Bernadette non ci ha ingannati
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Bernadette non ci ha ingannati

Una indagine storica sulla verità di Lourdes

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  1. 300 pagine
  2. Italian
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Bernadette non ci ha ingannati

Una indagine storica sulla verità di Lourdes

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Le diciotto apparizioni della Vergine Maria nella Grotta di Massabielle, presso Lourdes, sono da più di centocinquant'anni motivo di accese polemiche, soprattutto sulla credibilità dell'unica testimone, la quattordicenne Bernadette Soubirous. Lei sola ha visto, ha sentito, ha riferito. Ma davvero questa ragazzina misera e analfabeta, sulle cui fragili spalle grava il peso del maggior santuario del mondo (cinque milioni di pellegrini ogni anno, sempre in aumento), avrebbe colloquiato a tu per tu con Colei che si definì l'Immacolata Concezione? Le sue non sono forse allucinazioni di un'isterica o, peggio, invenzioni suggeritele dalla vanità di adolescente frustrata, da genitori interessati oppure da qualche ambiguo membro del clero? Molti hanno sostenuto e tuttora sostengono simili tesi.
Nel suo impegno per la riscoperta di un¿apologetica pacata e rigorosa - sempre consapevole che il Dio del Vangelo vuole proporsi e non imporsi, concedendo luci e lasciando ombre per rispettare la libertà delle Sue creature - Vittorio Messori indaga da decenni sulla verità della testimonianza di Bernadette, attribuendole un valore religioso decisivo. Oggi, in particolare, per i tanti inquieti che cercano ragioni «per continuare a credere». In effetti, se Bernadette non ci ha ingannati (e se non si è ingannata), se dunque Lourdes è «vera», tutto il Credo della Tradizione cattolica è «vero»: Dio esiste; Gesù è il Cristo; la Chiesa che ha per guida il papa è la custode e la garante di queste verità. È la Vergine stessa, infatti, che esorta la veggente: «Andate a dire ai preti di costruire qui una cappella»; che tiene tra le mani il rosario, icona della devozione cattolica; che chiede processioni, affidate alle cure ecclesiali; che appare seguendo il ciclo liturgico romano; che ribadisce il dogma dell'Immacolata Concezione, proclamato quattro anni prima da Pio IX. Non a caso, Lourdes è il luogo di culto privilegiato dai pontefici, che hanno proclamato Bernadette santa: Pio XII - fatto unico nella storia - gli ha dedicato un'intera enciclica; Giovanni Paolo II, ormai agli estremi, volle chiudere la sua vita trascinandosi sino alla Grotta; Benedetto XVI ne ha fatto una delle primissime mete del suo pontificato. Un libro unico, questo, tra i tanti bestseller dell'autore, ma segnato anch'esso dal consueto equilibrio tra il rispetto del credente per il Mistero e il rispetto dello storico per il rigore della ricerca. Nessuna elevazione misticheggiante, qui, nessuno scandalo o invettiva, bensì una mole impressionante di dati e notizie talvolta inediti, spesso nascosti o dimenticati; sempre, comunque, vagliati alla luce della ragione. Per una singolare coincidenza queste pagine appaiono all¿inizio dell'Anno della Fede voluto da papa Ratzinger. Proprio quella fede che, nella verità di Lourdes, trova un prezioso e solido «appiglio», una sorta di «maniglia» cui aggrapparsi nel dubbio che insidia oggi anche tanti cristiani.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
ISBN
9788852029936
Categoria
Religion

IV

I preti?

Se non c’erano i genitori, c’era forse il clero dietro a una Bernadette usata come consapevole o come ignaro, innocente strumento? Lo abbiamo accennato: anche questa era, per il commissario, un’ipotesi da vagliare. Jacomet, nella piccola, provincialissima cittadina dei Pirenei, aveva fama di uomo di mondo, di estimatore di belle donne. In realtà, questo trentasettenne di padre ignoto, nato in una vallata vicina (quindi in grado di padroneggiare il bigourdan, il dialetto del luogo), era un funzionario brillante e al contempo un cattolico irreprensibile, buon padre di famiglia, sempre nei primi banchi alla Messa Grande della domenica, in corretti rapporti con il clero locale e in particolare con il parroco. Spente le passioni e le polemiche, gli storici hanno rivalutato questo poliziotto, che fece con zelo quel che il suo ruolo gli imponeva e che può considerarsi uno dei «grandi diffamati», al pari di altri rappresentanti del potere nella zona.
Buon cattolico, dunque. Anzi, talvolta persino ospite alla tavola di don Peyramale e dei suoi vicari. E questo ci permette di accennare a un particolare significativo ma non molto noto, eppure attestato in modo sicuro. Poco dopo la fine delle apparizioni, Jacomet fu cambiato di sede e inviato in un commissariato in Provenza. Il ministro dell’Interno, da cui dipendeva, non aveva da lagnarsi di lui, che aveva fatto il suo dovere senza badare a tempo e a fatica, e spesso restava a sorvegliare la Grotta anche di notte, visti gli orari imprevedibili di Bernadette, che seguiva non un programma bensì una chiamata interiore; però la simpatia popolare di cui aveva goduto in precedenza non solo si era dissolta, ma si era rovesciata in avversione. La gente lo accusava di essere stato troppo duro con quella piccola, di essersi accanito contro una povera innocente.
Forse, malgrado tutto, qualcosa mordeva davvero la sua coscienza se, nel lasciare l’ufficio pirenaico, sottrasse e portò con sé l’intero dossier Bernadette, che fu ritrovato solo nel 1957 da quel detective che è don Laurentin. Ebbene, con Jacomet si fece vivo, tramite un emissario, nientemeno che Ernest Renan, lo storico e biblista più esecrato dai cattolici del tempo e il più amato dalla borghesia scettica, l’ex seminarista che con il best seller su Gesù – pubblicato nel 1863, un anno dopo il riconoscimento ecclesiale delle apparizioni – aveva ridotto il Nazareno a un semplice uomo, a un sognatore, per quanto «incomparabile». Scrittore, Renan, tanto più insidioso per la fede in quanto apparentemente pacato se non soave, grande specialista nelle questioni religiose (che aveva vissuto egli stesso nella giovinezza devota in seminario) ma capace di farsi divulgatore e spingere il lettore alla commozione per quel povero Gesù, vittima innocente della sua dolce illusione di amore e di fraternità, finita crudelmente su una croce. Non a caso, la sua romantica Vie de Jésus, che mirava a distruggere la fede dalle fondamenta proprio mentre l’Immacolata appariva, fu definita da qualcuno «un marron glacé con nascosti, dentro, degli aghi».
Come tanti altri increduli, anche Renan era disturbato da quella superstizione di Lourdes, che minacciava di rilanciare la pietà cattolica. Dunque prese contatto con Jacomet, offrendogli una grossa cifra in cambio dei suoi dossier. Renan sperava che il commissario conservasse dei documenti in grado di togliere credibilità a un santuario e a un pellegrinaggio che erano uno scandalo per il laicismo, il razionalismo, il positivismo che dominavano le cattedre universitarie ormai in tutta Europa. Più volte, interrogata dagli storici, la vedova di Jacomet confermò che quell’offerta era stata fatta, ma che il marito (al contrario di lei, propensa ad accettare) aveva opposto un rifiuto, dicendo: «Renan è un nemico del cattolicesimo e io sono cattolico; non posso aiutarlo a combattere la mia fede».
Come si vede, Dominique Jacomet non era un credente solo per abitudine o per convenienza. Ma il suo dovere di detective esigeva che indagasse in tutte le direzioni. Anche quella del clero (vescovo compreso) come possibile ispiratore di ciò che succedeva a Massabielle e che rischiava di turbare l’ordine pubblico che egli era pagato per tutelare.
I preti potevano avere diverse motivazioni. Potevano, essi pure, mirare al guadagno. O potevano anche essere intenzionati a rilanciare la devozione del popolo, messa in pericolo da Renan e dagli altri che stavano impadronendosi della cultura. Come insegna l’esperienza – ricordiamo quella coronata dal grande e duraturo successo della Controriforma –, la moltiplicazione di processioni e di santuari, soprattutto mariani, era un fattore potente di rinvigorimento del fervore. Il successo pastorale della Compagnia di Gesù, per esempio, si basava proprio su questa strategia. Ma così avevano fatto, anche prima, gli ordini mendicanti, soprattutto i francescani.
Va detto che la zona dei Pirenei, e con essa la diocesi stessa di Tarbes, abbondava di luoghi di pellegrinaggio che portavano un buon movimento anche economico, oltre che religioso. Lourdes, invece, il centro più importante, allo sbocco di tutte le vallate, ne era sprovvisto. Proprio perché conosceva bene il parroco, il commissario sapeva che l’uomo non ambiva alla ricchezza, anzi era straordinariamente prodigo verso i bisognosi. Era, però, molto ambizioso, desideroso di primeggiare, portato a costruire e a organizzare. Tutta Lourdes non aveva che una sola parrocchia e questa era, anche per popolazione, tra le più rilevanti della diocesi; esserne titolare era dunque un privilegio, ma questo sembrava non bastare a un prete come Peyramale, portato alle grandi prospettive e ai grandi progetti.
Tuttavia, per completezza, prima di parlare di preti parliamo dell’altra metà del mondo ecclesiale, quello femminile. Le religiose, a Lourdes, erano rappresentate soprattutto da quelle Suore della Carità e dell’Istruzione cristiana di Nevers nella cui Casa Madre sulla Loira, otto anni dopo, entrerà Bernadette per non uscirne più. È certo che, almeno in questa direzione, forze dell’ordine o magistratura non indagarono. I polemisti che le hanno sospettate (ci sono stati anche questi, in un secolo e mezzo le hanno provate tutte…) sono stati più diffidenti dei già diffidentissimi inquirenti di Lourdes. Costoro erano sì convinti che ogni pista dovesse essere seguita, ma trovavano davvero eccessivo sospettare che fossero implicate in un imbroglio blasfemo quelle serissime e riservate religiose, rispettate e amate da tutti per l’impegno a favore di bambini, malati, vecchi.
Significativa è l’accoglienza che ebbe Bernadette rimettendo piede, lunedì 15 febbraio, nella «classe gratuita per indigenti» dove era stata ammessa «per carità», come le ricordavano le suore, e che, con poco profitto, frequentava saltuariamente da meno di un mese. Da quando, cioè, era rientrata da Bartrès per imparare almeno a leggere e a scrivere ma, soprattutto (come sappiamo), per studiare il catechismo e accedere finalmente alla prima comunione. Quando le «indigenti» furono sedute nei banchi – quelli malandati, dismessi dalla «classe delle paganti» –, la stessa Madre Superiora entrò nella stanza e fissò lo sguardo severo su Bernadette, che cercò di farsi ancor più piccola di quanto non fosse. Il giorno prima, domenica, vi era stata la seconda apparizione ed era giunta anche all’Istituto la voce che delle ragazzine, per giunta allieve della scuola, si esibivano in sceneggiate blasfeme in una grotta fuori mano. Un posto che le religiose, certamente, non avevano mai visto, ma di cui conoscevano la fama equivoca. La Madre, con tono aspro, chiese a quella quattordicenne ancora del tutto ignorante e, a quanto sembrava, dura di comprendonio, oltre che irregolare nella frequenza: «Soubirous, quando la finisci con le carnevalate di cui mi parlano?». Il termine usato non era casuale, il giorno della prima apparizione era il giovedì grasso, per ancora due giorni il carnevale era in corso. Al silenzio di Bernadette, la Madre sbottò: «Mi hanno riferito che dici di vedere qualcosa. Sono illusioni, sogni. Alla tua età, smettila di credere alle favole di fate e di fantasmi!».
Ma l’aspettava di peggio a mezzogiorno, quando finalmente finivano quelle lezioni così indigeste per la sua testa, dove le lettere dell’alfabeto non riuscivano a entrare, malgrado la buona volontà. Fuori dalla scuola l’attendevano un’altra suora e una madre di famiglia, la quale conduceva una sua personale crociata contro quella che definiva, indignata, la colpevole indulgenza dei genitori verso i figli. Aveva saputo qualcosa sulle pagliacciate alla Grotta. Non potendo dare una lezione a quegli squinternati dei Soubirous, riteneva fosse il caso di dare almeno un avvertimento alla figlia. Per questo si era messa d’accordo con una religiosa dell’Istituto, anch’essa severa moralista, che volentieri aveva accettato di indicarle Bernadette, che non conosceva, all’uscita delle lezioni. Individuata la piccola, la Giustiziera le si avvicinò e all’improvviso le mollò un violento schiaffo, dicendo: «Prendi questo, drôle!», usando il termine regionale per indicare una ragazza tra sventata e poco di buono. Toccava ora alla suora dare lezioni di comportamento. Afferrò Bernadette per i suoi poveri stracci e, scuotendola rudemente, gridò: «Drôle! Drôle! Se vai ancora a quella grotta, ci penseremo noi a farti rinchiudere!».
Bernadette, come al solito, non rispose. A testa bassa, stringendo il sillabario usato che aveva avuto in prestito, si avviò verso il suo tugurio, gelido per mancanza di legna, dove l’attendeva la minestra di acqua e di erbe raccolte nei campi, e forse – era il suo unico privilegio di malata – un pezzo di quel pane di grano che il suo povero stomaco non rigettava.
È in momenti come questi (e furono davvero tanti) che si constata come solo una forza non umana poteva sorreggere una creatura così fragile e debole, dandole il coraggio di sfidare, umile ma testarda, tutto il mondo che la circondava. Un mondo che andava dai genitori nel cachot all’onnipotente imperatore alle Tuileries.
La suora che aveva fiancheggiato la Giustiziera schiaffeggiatrice non era isolata; all’Istituto, per tutto il tempo delle apparizioni, le sue consorelle saranno (paradossalmente, ma non troppo) dalla stessa parte dei «liberi pensatori» che si riunivano per bere e per leggere i giornali al Café Français, sulla piazza. Esse pure, cioè, pensavano a un’allucinazione di quella povera ragazzina sottosviluppata in tutto, nel corpo, nell’istruzione, nello spirito. E che non sapeva niente, ma proprio niente. Quando cominciarono a farle scuola con un po’ di continuità (e non in modo saltuario, come in passato), la religiosa maestra, vista la buona volontà ma al contempo la difficoltà di farle imparare qualcosa, soprattutto per mancanza di memoria, le chiedeva fra l’ironico e l’irritato: «Si dice che quella “cosa bianca” che hai visto a Massabielle faccia dei miracoli. Ma allora perché non lo fa anche a te, dandoti una testa dove tu riesca a far entrare qualcosa?». E la scolara, con la consueta umiltà: «È vero, Madre. Qualche volta mi piacerebbe che qualcuno la testa me la aprisse e ci mettesse dentro il sillabario a colpi di martello».
Sia detto di passaggio: nel 1866, mentre la bambina di un tempo, divenuta ormai donna di 22 anni, si preparava a partire per il noviziato di Nevers, tra le visite di congedo ne ricevette una insolita. Era la schiaffeggiatrice di otto anni prima, tal madame Sophie, che veniva a chiedere scusa, tormentata da molto tempo dal rimorso per avere percosso la piccola che la Chiesa aveva riconosciuto ufficialmente come strumento di Maria. Ma Bernadette si sorprese di quelle scuse perché, disse, non si ricordava proprio dell’episodio. Un vuoto di memoria? Difficile crederlo, più facile pensare al suo istinto di sempre da naturaliter christiana: ricordare le cortesie, dimenticare le offese. In effetti (l’abbiamo già ricordato), mai, dicesi mai, fu sentita lamentarsi o parlar male di qualcuno.
Dunque, il comportamento delle due suore di cui abbiamo parlato non lasciava presagire rapporti facili con quelle peraltro meritevoli, spesso ammirevoli, religiose. Le quali, sino alla fine, quando la piccola drôle era diventata una di loro, si divisero tra affetto e distacco, in ogni caso trattandola sempre con severità. Come mostrerà la Madre delle Novizie, a Nevers.
Comunque, è evidente che c’era qui ben poco da fiutare, per quel segugio del commissario o per il suo collega, il maresciallo della gendarmeria. Che difatti non approfondirono, almeno per quanto riguardava le suore.
Ma, per tornare appunto a Jacomet, conoscendo fatti e persone e seguendo giorno per giorno gli eventi, finirà per abbandonare anche la pista del clero, perché chiaramente improponibile. Fra l’altro, anche perché (l’accennavamo) tutti conoscevano l’assoluto disinteresse di don Peyramale, munifico sino all’incoscienza, come gli rimproveravano quelli che gli erano vicini. A chiunque chiedesse dava, senza preoccuparsi se erano gli ultimi denari che possedeva. Sua madre raccontò che, recatasi a trovarlo, si preoccupò, pensò addirittura che fosse malato, scovando alcune monete in un cassetto; era un fatto del tutto insolito per il figlio che, se aveva denaro, non lo teneva mai per sé. Insomma, il classico burbero dal cuore d’oro; in ogni caso non sospettabile di imbrogli con fini economici.
Eppure, ancora oggi, c’è chi vorrebbe saperne di più degli inquirenti contemporanei a Bernadette, quelli che la vedevano ogni giorno, che conoscevano la sua famiglia, che parlavano il suo dialetto.
Ecco allora un piccolo episodio che avrà il vantaggio di permetterci di approfondire il dossier «clero». Mentre stavo scrivendo questo libro, un editore mi ha inviato l’ennesimo dossier «scientifico», che nelle «guarigioni inspiegate» per intercessione della Signora di Massabielle vede solo e sempre truffa o illusione. In realtà, non si trattava di un testo nuovo, bensì della traduzione di un vecchio pamphlet composto a più voci da specialisti di varie discipline. Come ho già detto, sono convinto che i pochi (rispetto all’enorme numero di pellegrini) miracoli di guarigione fisica dichiarati «inspiegati» dall’apposito Ufficio medico e «miracolosi» dalla Chiesa siano solidamente provati, ma che quegli eventi – al pari dei miracoli del Vangelo – siano al servizio del vero dono della Grotta: la promessa di guarigione dal peccato, la conversione spirituale che è offerta e concessa a chiunque la chieda nella preghiera, con fiducia e umiltà.
Tra l’altro, conoscevo il libro di cui parlo nell’edizione originale e, dunque, sfogliate quelle pagine che già mi erano note, stavo per riporlo in uno dei molti scaffali della libreria contrassegnati dalla targhetta «Lourdes». Ma, richiuso il volume, mi accorsi dallo «strillo» di copertina che la prefazione della traduzione italiana era stata scritta dal consueto ex seminarista, divenuto matematico e fattosi apostolo non dell’agnosticismo ma dell’ateismo tout court. E, come tale, divenuto personaggio televisivo e, in genere, dello spettacolo, spesso invitato in qualità di esponente del razionalismo in dibattiti da sala teatrale, da piccolo schermo o da foglio di giornale. Avevo già letto il libro ma, ovviamente, non quella prefazione, stilata per l’occasione. Per qualche pagina mi sorpresi; quel signore, pur noto per la veemenza della sua polemica, si muoveva con una certa prudenza, non praticava i suoi ben noti affondo contro la «superstizione cattolica». Ma poi, ecco che mi imbatto in alcune parole, dette quasi per inciso, senza particolare risalto, come fosse cosa scontata per chi conosce i retroscena: «… ma Bernadette, come è noto, era imbeccata dal suo parroco…».
Privilegiando ormai da molto la stesura di libri, scrivo poco sui giornali, comunque meno di quanto essi mi richiedano. E, più avanzo in età ed esperienza, più pratico l’ammonimento di un antico Padre del Deserto: «Non scagliarti contro le tenebre, ma bada, piuttosto, a tenere accesa la tua piccola lampada». Credo sempre meno nelle sfide mediatiche, nei duelli verbali. E credo sempre più nella necessità, per il cristiano, non di darsi a polemiche che radicalizzano l’antagonista nei suoi pregiudizi, bensì di esporre, con rigore, basandosi esclusivamente su fatti accertabili, quelle che sono a suo avviso le «ragioni per credere». Ma stavolta era difficile tacere, vista l’imprudenza, se non la sfacciataggine, di quel «come è noto». Per cui, scrissi di getto per il «Corriere» le poche righe che qui riproduco. E che mi permetto di copiare e incollare dal giornale, senza riassumere.
Si sa quale sia il motto dell’ideologo: «Se i fatti contraddicono il mio schema previo, tanto peggio per i fatti». Cultore dell’ideologismo è certamente Piergiorgio Odifreddi. Il professore di matematica, cioè, che si ispira al look di Einstein (larghi maglioni, capelli scarmigliati) e che imita il celebre fisico anche in quella che chiama «impertinenza». Chi non ricorda la foto di Einstein che mostra la lingua ai fotografi? Impertinente, appunto, come ha voluto autodefinirsi anche Odifreddi sin dal titolo di uno di quei suoi libri dove si propone di dimostrare che lui fa parte del club degli àpoti, di quelli che non la bevono, quando si tratta di religioni. Lo schema ideologico di Odifreddi è, come ripete volentieri, l’ateismo puro e duro, senza se e senza ma. Ai volumi pubblicati a gran ritmo, il professore aggiunge anche molte prefazioni. Come quella apposta a un libro su Lourdes appena uscito, ma che sembra giungerci dalla Belle Époque, dagli scontri tra Zola e Lasserre, tra i medici positivisti e padre Gemelli. Ebbene, stando a Odifreddi, Bernadette, la veggente, «era imbeccata, come è noto, dal suo parroco». Ecco, dunque, la gabbia del pregiudizio contro i fatti, quelli ricostruiti da decine di storici con scialo di documenti inoppugnabili, dai quali risulta in modo certissimo che Bernadette conobbe il parroco, il tempestoso Peyramale, solo il 2 marzo, dopo la tredicesima apparizione. Riferendo impaurita il messaggio di Aqueró, «quella là», la piccola ne ricavò una scenata e fu cacciata fuori dalla canonica assieme alle due zie in lacrime, con minaccia di negare la comunione non solo a loro ma tutto il loro clan familiare. I documenti dicono che il clero, all’unisono, cercò di frenare la devozione popolare e che, per ordine di don Peyramale e del vescovo, nessun sacerdote (con un solo violatore del divieto, ma non era di Lourdes) assistette ad alcuna delle apparizioni. Solo dopo quattro anni di indagini serrate lo scetticismo della gerarchia fu vinto, riconoscendo la verità di quanto Bernadette riferiva. I preti, insomma, si arresero all’evidenza dei fatti. Cosa che non vuol fare il matematico piemontese: il suo schema ha deciso che Lourdes non può, non deve essere credibile. Checché ne dica la storia, quella autentica, non le dicerie da Bar Sport di sempre. Quella storia dice che gli eventi straordinari di Lourdes si imposero alla Chiesa, non fu certo questa che li impose alla credulità della gente.
Non va dimenticato, come fanno invece i propagandisti alla Odifreddi, che gli inizi di Lourdes sono segnati dall’accordo tra potere civile e potere religioso, uniti per sorvegliare, reprimere e, se necessario, punire. Prefetto e vescovo di Tarbes, scendendo via via ai livelli gerarchici più bassi, lavorano di conserva per dissipare quella che sembra loro in ogni caso – quale ne sia l’origine, dolosa o patologica – una situazione deplorevole per la religiosità autentica. Inutile, anzi, sciocco deprecare una simile opposizione, come fa qualche autore devoto o come ha fatto Henri Lasserre: in questa vicenda, ciascuno gioca la sua parte; ciascuno, facendo il suo mestiere, non compie altro che il suo dovere e dà, ripetiamolo ancora una volta, abbondante materiale agli storici. Per una volta, viva la burocrazia, soprattutto se così efficiente e puntuale come quella della Francia d’allora! Con un piccolo paradosso, si potrebbe dire che qui è l’Imperatore sulla Terra che, suo malgrado, si mette a servizio della Regina del Cielo, per dare credibilità storica ai suoi interventi.
Per stare al don Peyramale di cui parlavamo anche nel breve articolo riportato sopra, soltanto quando i fatti e la figura di Bernadette lo convinceranno appieno (e ciò avverrà solo verso la fine delle apparizioni) arriverà a minacciare pubblicamente, nel suo stile tempestoso: i gendarmi dovranno passare sul suo corpo se si presenteranno per rinchiudere la piccola in manicomio. E, da allora, l’amò e la protesse come una figlia. Ma questa fiducia giungerà ben dopo quella accordata alla veggente dalla maggioranza dei suoi fedeli. Il pastore incredulo e il gregge sempre più fervente; questa, a lungo, fu la situazione nella parrocchia di San Pietro, a Lourdes. Dal convento di Nevers, la piccola, divenuta suora, gli scrisse diverse volte, ricordandogli che ogni giorno pregava per lui e che, dopo la morte del padre François, aveva ancora due padri: san Giuseppe in Cielo e lui in terra. Da parte sua, don Peyramale scrisse alla Superiora: «Dite a suor Marie Bernard che è sempre la mia bambina e che la benedico». Quando morì anche quel gigante (mezzo metro in più della «sua bambina»), due anni prima del congedo terreno di Bernadette, questa scoppiò in lacrime e disse: «Ha fatto per la Santa Vergine quello che io non potevo fare».
Ma vediamo che cosa avvenne davvero quel 2 marzo cui facevo...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Bernadette non ci ha ingannati
  3. I. Quella Grotta: perché?
  4. II. Quando? Dove? Come?
  5. III. I genitori?
  6. IV. I preti?
  7. V. Una commediante?
  8. VI. Un’allucinata?
  9. VII. Sconfessioni? Dubbi?
  10. VIII. Scetticismo in convento?
  11. IX. Il diavolo?
  12. Commiato
  13. Copyright