Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano.
Ogni religione e ogni cultura celebra solennemente l’inizio dell’anno. È uno dei modi di santificare il tempo, cioè di riconoscere che nel tempo siamo contenuti e che esso è opera di Dio. La celebrazione dell’inizio dell’anno è quindi un modo con cui si esprime la nostra dipendenza da Dio.
Tale carattere sacro dell’inizio dell’anno resta, almeno come nostalgia, anche nelle culture per cui il tempo non ha più alcun rapporto con il divino. Rimane cioè una sorta di fascino all’inizio di ogni nuovo anno, un fascino a cui nessuno può sottrarsi, fosse anche solo per fare qualche buon proposito, come i bambini che, quando ricevono un quaderno nuovo, esprimono la volontà di non sporcarlo mai più con una macchia.
Se ogni religione o cultura celebra solennemente l’inizio dell’anno, i tempi di tali celebrazioni sono assai diversi, anche se tutti si accordano in qualche modo sulla sua ripetizione al completamento di un anno solare. Gli ebrei, il cui calendario badava prevalentemente alle fasi della luna, calcolavano un anno a partire dal mese di marzo-aprile. In seguito per loro l’anno ebbe inizio nel mese di settembreottobre e tale è rimasto fino ai nostri giorni. C’è poi un inizio distinto per il calendario musulmano, per quello cinese o giapponese, e ciascuno ha riti e celebrazioni propri. In Occidente abbiamo scelto, a partire dal Cinquecento, in particolare con il calendario rinnovato da papa Gregorio XIII (e che perciò si chiama «gregoriano») di far partire l’anno dal 1° gennaio. In passato vi erano state altre soluzioni, per esempio quella che durò per molto tempo in Europa e che faceva iniziare l’anno il 25 marzo, nella festa dell’Incarnazione e commemorazione dell’annunciazione dell’angelo a Maria.
Le letture di oggi vanno dunque lette applicandole a noi che iniziamo questo nuovo anno dell’era cristiana.
La prima lettura richiede anzitutto la benedizione di Dio, con le belle parole con cui si benediceva il popolo in Israele da tempo immemorabile. Per tre volte si ripete il nome del Signore, nella sua forma più arcaica e misteriosa, impronunciabile (Yahweh): «Ti benedica il Signore e ti custodisca; il Signore faccia splendere su di te il suo volto; il Signore ti conceda pace!». Possiamo leggere oggi questa invocazione come trinitaria e chiedere perciò che il Dio uno e trino sia al principio di ogni nostra azione. La terza invocazione, in particolare, chiede il dono della pace, ed è a partire da qui che i papi, da Paolo VI in avanti, hanno dichiarato il primo giorno di ogni anno Giornata della pace: rivolgono perciò a tutti gli uomini di buona volontà un messaggio, che quest’anno ha come titolo «Combattere la povertà, costruire la pace».
In secondo luogo chiediamo a Dio, nella lettera e nello spirito della seconda lettura (Fil 2,5-11) di comprendere il senso della povertà di Gesù che «non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso». Qui la povertà non è solo qualcosa da combattere e non va intesa nel senso del messaggio del papa per questo nuovo anno. Si tratta invece di un tema nodale in tutta la Scrittura, che i secoli della tradizione cristiana si sono sforzati di approfondire. Lo stesso Concilio Vaticano II a un certo punto sembrava voler fare della povertà il proprio tema centrale, intendendo racchiudere tutto ciò che aveva da dire all’interno degli sviluppi e delle conseguenze di esso. Parecchi non lo capirono, perché ritennero che questo tema fosse piuttosto settoriale o perché lo interpretavano in maniera esclusivamente sociologica. Ma in realtà, come ha mostrato bene un grande esegeta, padre Dominique Barthélemy, la povertà è un tema che pervade tutta la Scrittura e che ci permette di giungere in qualche modo fino alle profondità di Dio. E forse proprio la trascuratezza e l’incertezza riguardo a questo tema non hanno permesso al Concilio Vaticano II di raggiungere tutti i frutti che faceva sperare.
Di solito per l’anno che viene ci auguriamo successo, prosperità (anche materiale), riuscita negli affari, un buon posto di lavoro, una casa dignitosa per la nostra famiglia, ecc. Tutto ciò può anche essere utile, ma dovremmo ritenere piuttosto che la tensione verso una reale povertà e un reale distacco fa parte della nostra felicità, è nel DNA del nostro benessere.
Una terza cosa, poi, che possiamo chiedere per l’anno venturo ci viene suggerita da cinque espressioni tratte dal Vangelo di oggi: «tutti si stupirono», «Maria custodiva e meditava», «i pastori se ne tornarono glorificando e lodando Dio». E dunque i verbi: «stupirsi», «custodire», «meditare», «glorificare» e «lodare».
Vogliamo chiedere e augurarci reciprocamente la capacità di stupirsi di fronte alle meraviglie di Dio, la capacità di custodire e meditare la Parola di Dio, la forza e l’amore per lodare e glorificare Dio in ogni evento della nostra vita, qualunque esso sia, affinché ogni giorno che passa ci mostri sempre più quest’abbondanza di amore, di grazia e di misericordia che avvolge ogni cosa e che sarà rivelata in pienezza nella vita eterna.
Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito Santo e la sua fama si diffuse in tutta la regione.
Il brano di oggi, dove si racconta l’inizio della predicazione di Gesù a Nazaret, è tra i più densi e significativi del Vangelo di Luca. È probabilmente una composizione artificiale di Luca stesso, che ha voluto condensare, in una pagina inaugurale, il senso e la sostanza della predicazione di Gesù, specificando meglio il significato di quell’altra espressione sintetica che dice semplicemente: «Gesù predicava il Vangelo di Dio e diceva: il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al Vangelo» (Mc 1,14-15).
Capire queste poche cose e metterle in pratica occupa tutta la nostra vita, e anche giunti verso il suo termine dobbiamo confessare che ne sappiamo ancora poco e che facilmente ci confondiamo sul vero significato di queste parole.
Esse richiedono anzitutto che ci sia chiarezza sul senso del tempo che stiamo vivendo: è un tempo che è giunto ormai al suo compimento, non nel senso che ne resti ancora poco o molto dal punto di vista cronologico, ma nel senso che gli eventi del regno sono imminenti, ci sovrastano e penetrano nel nostro tempo mondano, togliendo valore a quelle cose e persone che credono di possedere il mondo attraverso il potere militare o politico, il denaro, il prestigio intellettuale o culturale, ecc.
È giunto il tempo in cui tutto ciò sbiadisce nel suo valore e perde la sua forza ingannevole.
Noi siamo dunque invitati, come Gesù ci ha chiesto, a vendere ogni cosa e a darla ai poveri, anche qui non necessariamente nel significato letterale delle parole, ma nel senso di non dare più valore a ciò che prima avevamo tanto stimato e desiderato e di mettersi totalmente nelle mani di Dio creatore e Signore.
Tutto ciò fa parte del grande disegno di Dio annunciato dai profeti, un disegno che tende a farci entrare nella piena amicizia con Lui rinunciando a tutto il resto, che non per questo ci verrà a mancare ma ci sarà dato in sovrappiù. Per questo, però, occorre credere, fidarsi totalmente di Gesù e della sua parola, disfarci volentieri di tanti altri pesi che ci ingombrano: occorre cioè convertirsi e credere al Vangelo.
Ciascuno di noi sente invece di trovarsi piuttosto dalla parte dell’uomo ricco, qualunque sia il genere della propria ricchezza, mondana, culturale o anche spirituale. Ci attacchiamo tanto al poco quanto al molto che possediamo e abbiamo paura a disfarci dei nostri beni, anche se ad altri possono apparire insignificanti. Abbiamo cioè paura a convertirci e a credere al Vangelo, e questa paura ci riconquista gradualmente anche quando l’abbiamo superata, magari con gesti eroici.
Le parole di Gesù rimangono quindi di costante attualità, valevoli per l’oggi e da mettere in pratica adesso. Oggi, infatti, questa Scrittura si adempie e l’udiamo con le nostre orecchie. Percepiamo che solo per la forza di Dio e per la grazia dello Spirito Santo potremo fare questo passo che ci libera dalle schiavitù del mondo presente e ci rende liberi e gioiosi in attesa del Signore che viene.
È con questa libertà e questa gioia che potremo amare davvero i fratelli, cominciando dai più poveri, non necessariamente quelli con poco denaro in tasca ma semmai coloro che gemono sotto il peso di tante schiavitù: il denaro, il potere, la droga, il sesso, la violenza e l’odio.
Dipende da noi dare inizio o meno a un anno di grazia del Signore. Chiediamo a Gesù in questa eucaristia di dilatare il nostro cuore perché abbia la fede del regno di Dio, e dalla nostra coraggiosa accoglienza di esso ne seguano i frutti che egli si aspetta.
Gesù nacque a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode. Alcuni Magi giunsero da oriente a Gerusalemme e domandavano: «Dov’è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo».
La festa dell’Epifania che oggi celebriamo ha una grande importanza simbolica per la Chiesa. Nelle poche righe di una vicenda di cui non si conoscono neppure bene le basi storiche, si descrive il simbolo del grande cammino dei popoli verso il Signore che è nato, un cammino che è in atto ormai da duemila anni e che si concluderà solo con il chiudersi della storia umana. A questo cammino partecipano anche molti in apparenza non cristiani, parecchi dei quali sono legati a Cristo con quello che si chiama tecnicamente un «battesimo di desiderio», altri ancora con quello che viene invece detto un «battesimo di sangue». Si tratta quindi di una moltitudine immensa, che nessuno può contare.
L’importanza data a questa manifestazione universale di Cristo si ricava pure dal fatto che qui, nella rivelazione ai misteriosi Magi, la Chiesa rilegge in filigrana anche altre manifestazioni di Gesù, quella al battesimo presso il Giordano, quella agli sposi di Cana e quella alle folle della Palestina nella moltiplicazione dei pani. Gesù si presenta dunque come colui che può essere cercato a partire da ogni condizione umana, da tutti coloro che camminano per le strade di questo mondo.
Ed è anche così che il Santo Padre Giovanni Paolo II definì il mio ministero di vescovo, quando mi ordinò solennemente a Roma in San Pietro. Disse che mi conferiva «il sacramento della strada», abilitandomi con ciò a camminare con tutti per le strade della vita quotidiana alla ricerca della stella, cioè dei segni del Dio vivente. Non posso che rendere grazie ancora una volta a Giovanni Paolo II per questa chiamata e per questa fiducia, e soprattutto per avermi affidato la diocesi di Milano – non solo una delle più grandi del mondo, ma anche una delle più belle – con la tenacia perseverante dei suoi preti, con la creatività e la fedeltà dei suoi laici, con la santità e lo spirito di preghiera dei suoi religiosi, con la vivacità dei suoi movimenti.
Non voglio, tuttavia, fermarmi qui a elencare i doni ricevuti da questa diocesi, doni immensi, molti di più di quanto abbia potuto dare o meritare. Ho già avuto tante occasioni per farlo, durante le quali avevo anche auspicato che tutti potessero fare l’esperienza del vescovo, scoprendo i doni di Dio nascosti nel cuore di tanta gente. Oggi non vedo più questa necessità, perché mi pare chiaro che l’esperienza di un vescovo è già compresa nell’esperienza battesimale, per cui la nostra vita è unita per sempre con la vita, la morte e la resurrezione di Gesù. Certamente la Chiesa ha bisogno di buoni vescovi, ma molto più dei prelati contano i santi, coloro che vivono il battesimo in un’autentica relazione con Dio e con i fratelli, specialmente con i più poveri.
Una simile relazione, o rete di relazioni buone ed evangeliche, è presente in tutti coloro che rinunciano a qualcosa di sé, che si mettono in viaggio come i Magi fidandosi del messaggio tenue di una stella, che non hanno paura di momenti di oscurità e che affrontano i sacrifici di un lungo cammino per ricevere il Bambino Gesù dalle braccia della Madre. Sono certo che tutti coloro che si buttano risolutamente su questa strada avranno il centuplo in questa esistenza e la vita eterna.
E predicava: «Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali».
Il battesimo di Gesù è un episodio molto significativo della sua vita, giacché costituisce un inizio importante, quello della cosiddetta «vita pubblica» di Gesù. Fino a quel tempo, infatti, Gesù era rimasto «nascosto» a Nazaret e, pur pregando e offrendo se stesso per la salvezza del mondo, la sua attività non era nota se non in una piccolissima cerchia di amici e parenti.
Quando Gesù decide di partire per farsi battezzare nel fiume Giordano, la sua vita cambia completamente. L’episodio, dunque, nel suo insieme ci offre quattro spunti.
Primo. Gesù avrebbe potuto scegliere un inizio degno della sua condizione, presentandosi come un conquistatore romano o un saggio della Grecia antica. Invece sceglie, e tale sarà la sua scelta per tutta la vita, una condizione comune, in fila con tutti i peccatori, attendendo pazientemente il proprio turno, silenzioso e anonimo. È la scelta di far parte della povera gente, come uno qualunque degli abitanti di Gerusalemme.
Secondo. Su tale scelta cade la predilezione di Dio: «Tu sei il mio Figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto». Queste parole testimoniano il gradimento divino del metodo dell’umiltà e della non appariscenza. Esse sono ripetute nella trasfigurazione, al centro della vita di Gesù, affinché servano di norma a tutti i discepoli.
Terzo. Ciò che avviene nel battesimo di Gesù è anche significativo di quanto avviene nel nostro battesimo. Dio Padre si piega su di noi dicendoci: «Tu sei il mio figlio prediletto»; e noi rispondiamo: «Padre, Padre mio». Non siamo noi per primi a dire «Padre», ma è Dio Padre che si piega su di noi e ci chiama figli. Non potremmo neppure recitare con piena verità la preghiera del Padre nostro, se Dio non si chinasse per primo su ciascuno di noi chiamandoci «figlio suo». Per questo possiamo dire che nel battesimo entriamo a far parte della vita di Gesù e siamo come una cosa sola con lui. Anche lo Spirito Santo si posa su di noi in forma di colomba, nel senso che quello Spirito che muove Gesù a donarsi ai poveri e a dare la vita per i peccatori ci viene comunicato perché sappiamo fare altrettanto. Così la nostra vita si identifica veramente con quella di Gesù. I doni della figliolanza divina e dello Spirito Santo saranno poi comunicati più specificamente a proposito di altri sacramenti, soprattutto dell’eucaristia, del matrimonio e dell’ordine sacerdotale. Essi sono però già in radice operanti in noi fin dal battesimo. Per questo, ricordando l’anniversario della mia cons...