Dopo il terremoto Fornero
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Dopo il terremoto Fornero

  1. 76 pagine
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Dopo il terremoto Fornero

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Pietro Ichino, accusato spesso all'interno del suo stesso partito di «intelligenza col nemico», affronta senza pregiudizi il tema della riforma Fornero, ne riconosce i limiti e sottolinea i meriti, primo fra tutti quello di muoversi nella direzione di risolvere l'ingiustizia tra generazioni, commessa da coloro che sono nati negli anni Quaranta e Cinquanta nei confronti dei propri figli e nipoti entrati nel mercato del lavoro «senza protezioni né reti di sicurezza». Una generazione costretta a sopportare il costo di benefici non più sostenibili, la cui unica speranza è il superamento del dualismo tra lavoro regolare e lavoro atipico, alla ricerca di un nuovo punto di equilibrio tra garanzie e diritti.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
ISBN
9788852029790

Un anno dopo: la sinistra e il terremoto Fornero

Curioso ritrovarci oggi: è passato solo un anno e invece sembra che sia passato un secolo, dall’ottobre 2011.
Sì, è cambiato tutto. Monti al posto di Berlusconi, Patroni Griffi al posto di Brunetta, Fornero al posto di Sacconi, nei sondaggi il Popolo della Libertà crollato sotto il 20 per cento e noi saldamente in testa con molti punti di vantaggio. Ma mi pare che il Pd non stia vivendo in piena letizia questa situazione: sembra quasi che la stia vivendo con imbarazzo.
Come potremmo non essere imbarazzati? Dopo che nel novembre dell’anno scorso il Pd si è sacrificato in un momento di crisi economico-finanziaria gravissima, rinunciando a elezioni anticipate che lo avrebbero visto sicuro vincitore, il primo atto del governo Monti è stato di allontanare di tre o quattro anni la pensione a mezzo milione di persone che erano lì lì per ottenerla: un atto che definire brutale è poco. Compiuto, per di più, senza neppure consultare il sindacato. Poi, subito dopo, la follia del disegno di legge Fornero, con lo stravolgimento dell’articolo 18. Ma soprattutto questa idea assurda che la recessione si combatta con i tagli! Lo capisce anche un bambino che quando l’economia è in fase di contrazione occorre semmai abbondare in spesa pubblica e interventi statali nell’economia. Io, poi, sarei per farlo anche nella congiuntura favorevole, figurati un po’. Questo governo tecnico è servito per far uscire di scena Berlusconi e per superare un momento di crisi finanziaria acuta; ma ora occorre che la politica riprenda il timone al più presto. Parlo della nostra politica, naturalmente: è evidente, ormai, che il liberismo ha fallito.
Ma dove lo hai visto tu il liberismo in questi anni?
Mi riferisco al «pensiero unico» dominante, al mercatismo, alle politiche monetariste, all’idea che il mercato perfettamente concorrenziale costituisca la forma migliore di organizzazione della società.
Incominciamo col dire che, allo stato di natura, il mercato concorrenziale non esiste proprio: occorre costruirlo con strumenti giuridici e amministrativi molto sofisticati e con correzioni molto incisive del modo di essere della società. Dunque, se vogliamo essere precisi, e se per «liberismo» intendiamo un assoluto laissez-faire, liberismo e mercato concorrenziale non stanno affatto bene insieme. Resta il fatto che, comunque, in Italia negli ultimi decenni abbiamo avuto assai poco mercato concorrenziale e anche assai poco liberismo: abbiamo avuto una pressione fiscale superiore alla metà del reddito complessivo degli italiani, una burocrazia statale ipertrofica, una pretesa regolatoria dello Stato estesissima e intrusiva in tutti i campi dell’economia. Insomma, anche se intendiamo il liberismo come costruzione e difesa di un mercato concorrenziale, non si può certo dire che negli ultimi tempi l’Italia lo abbia largamente sperimentato.
Va bene, professore, mi correggo. Hanno fallito le politiche monetariste, che sono state il cavallo di battaglia della destra su entrambi i lati dell’Atlantico e della Manica. Sono quelle politiche che hanno generato la catastrofe di questa crisi economica globale, soprattutto strangolando le economie dei paesi più deboli dell’Europa meridionale: Grecia, Spagna, Italia, Portogallo.
C’è anche chi vede la cosa in modo esattamente inverso: questi paesi sono strangolati da un debito che hanno accumulato nei due o tre ultimi decenni di politiche pubbliche dissennate. Altro che monetarismo!
È un fatto, comunque, che oggi l’Europa è dominata dal pensiero unico monetarista, quello che ha ispirato Reagan e Thatcher e che ora ispira il governo tedesco, le istituzioni europee, il Fondo monetario internazionale. Quello che ora pretenderebbe di espropriarci della possibilità di scegliere una politica espansiva, di crescita, fondata sulle idee keynesiane.

UNA SOSPENSIONE DELLA DISTINZIONE FRA DESTRA E SINISTRA?

Siamo ancora alla contrapposizione tra politiche monetariste e politiche espansive keynesiane, tra «rigoristi» e «sviluppisti»… Ma non ti rendi conto che in Italia oggi – e presumibilmente ancora per diversi anni a venire – non c’è più spazio per questa distinzione?
Perché mai non dovrebbe esserci più spazio? Cosa proponi, una sospensione della distinzione fra sinistra e destra?
Per fare quello che dici tu, cioè pompare denaro nel sistema economico, lo Stato ha solo tre modi: stampare moneta, aumentare l’indebitamento e aumentare le tasse. A stampare liberamente la nostra monetina nazionale abbiamo rinunciato entrando nel sistema dell’euro. Quanto all’indebitamento, per tre decenni abbiamo preso a prestito mediamente l’equivalente di trenta miliardi di euro ogni anno, e ora nessuno è più disposto a darci credito aggiuntivo se non con interessi da usura. Resterebbero le nuove tasse…
… certo: dobbiamo introdurre la patrimoniale, per far pagare chi possiede di più.
Di questa possibilità, nella congiuntura italiana attuale, ha parlato per primo Veltroni al Lingotto nel gennaio 2011, ed è stato allora rimbrottato da Stefano Fassina, a nome del vertice del Pd, che di patrimoniale non voleva sentir parlare. Ma la patrimoniale il governo Monti la ha introdotta eccome: che cosa sono, se no, l’IMU e le tasse sui conti correnti e i portafogli titoli? La si può inasprire, certo; ma ne trarremmo, se andasse proprio bene, tre o quattro miliardi in più, con qualche rischio di fuga di capitali mobili e di crisi del mercato immobiliare, cioè il rischio di peggiorare la situazione generale. Prova a fare questo calcolo: dividi quei tre o quattro miliardi, presi al 10 per cento più ricco, tra il restante 90 per cento degli italiani: ne risultano circa 150 euro per nucleo familiare. Ha ragione Sandro Brusco quando avverte che renderebbe di più alle famiglie povere e al ceto medio l’abolizione del canone Rai.
Che cosa c’entra la privatizzazione della Rai con le politiche keynesiane?
Il paragone tra aumento della tassazione dei patrimoni e abolizione del canone Rai serve a mostrare quanto siano diverse l’impostazione e le conseguenze dei due modi del nostro ragionare politico: tu proponi di porre rimedio agli sprechi e alle inefficienze facendone pagare il costo ai cittadini con un aumento di tasse…
Sì, ai cittadini più ricchi.
D’accordo; ma in questo modo la scelta prioritaria è sempre quella di far pagare gli sprechi dello Stato ai cittadini. Correggere le inefficienze, sopprimere le rendite, quello viene sempre dopo. Le tasse aggiuntive servono per evitare alla politica il compito difficile di fare ordine nella cosa pubblica, per andare avanti come se nulla fosse. Eliminare il canone Rai, invece, avrebbe l’effetto di eliminarle alla radice, le dissipazioni di risorse e le rendite, almeno per la parte di esse che si osservano in abbondanza dentro quell’azienda. Lo stesso occorre fare con tutte le altre dissipazioni e rendite, in ciascun comparto dell’amministrazione, incominciando con la dismissione del patrimonio immobiliare dello Stato, delle Regioni e degli enti locali poco o male utilizzato. È curioso che contro quest’ultima scelta si registri una convergenza fra l’ex ministro Giulio Tremonti e la sinistra del Pd.

L’AUMENTO BRUSCO DELL’ETÀ PENSIONABILE DEL DICEMBRE 2011

Torniamo ai temi dell’inchiesta dell’anno scorso, che è meglio. Lavoro e welfare: come fai a considerare quel che ha fatto Elsa Fornero come un buon lavoro? Io parlerei piuttosto di macelleria sociale! Sono bravi tutti a fare le riforme in quel modo, a colpi di accetta, lasciando da un giorno all’altro centinaia di migliaia di famiglie nella condizione terribile di veder sfumare la prospettiva ormai prossima di godimento della pensione secondo le vecchie regole. Monti e Fornero hanno parlato di rigore ed equità, ma qui c’è soltanto il rigore astratto, quello dei saldi generali, mentre di equità non vedo proprio nulla. Anzi, una colossale ingiustizia.
L’ingiustizia colossale è quella che la mia e la tua generazione, quelle di coloro che sono nati negli anni Quaranta e Cinquanta, hanno commesso nei confronti delle generazioni dei nostri figli e nipoti. Per decenni ci siamo concessi le pensioni di invalidità come rimedio alla disoccupazione nel Mezzogiorno, la Cassa integrazione «a perdere» senza limiti di durata per nascondere la disoccupazione al Nord, le pensioni di anzianità a quaranta e a cinquant’anni; il tutto sempre accumulando debito pubblico, poi debito per ripagare il debito e gli interessi sul debito; finché i creditori hanno incominciato a dubitare della nostra capacità di restituire il tutto. Così, di colpo, come per effetto dello scoppio di una «bolla», la drammatica crisi del debito pubblico nel dicembre 2011 ci ha costretti a rimettere i piedi per terra.
Guarda che il bilancio del Fondo Pensioni Lavoratori Dipendenti dell’Inps a fine 2011 era in pareggio.
Lo era soltanto dal punto di vista dell’equilibrio fra entrate e uscite annuali; ma in un sistema pensionistico conta il bilancio proiettato nella prospettiva futura, basato sui dati attuariali; e in questa prospettiva il sistema non poteva affatto considerarsi in equilibrio. Di questo abbiamo reso noi stessi una confessione quasi esplicita.
A che cosa ti riferisci?
Nel 1995, consapevoli dell’insostenibilità del nostro vecchio sistema pensionistico, ne abbiamo varato un’ottima riforma: la cosiddetta «riforma Dini», che abbandona il calcolo delle pensioni sulla base d...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Dopo il terremoto Fornero
  4. Premessa
  5. Un anno dopo: la sinistra e il terremoto Fornero
  6. Copyright