Le luci di settembre
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Le luci di settembre

  1. 276 pagine
  2. Italian
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Le luci di settembre

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Informazioni sul libro

Nell'estate del 1937 Simone Sauvelle, rimasta all'improvviso vedova, abbandona Parigi assieme ai figli, Irene e Dorian, e si trasferisce in un piccolo paese sulla costa per sfuggire alla pesante eredità che suo marito le ha lasciato: un cumulo di debiti di cui lei non aveva mai avuto il benché minimo sospetto, e che nelle sue condizioni non è certo in grado di onorare. Ad aiutarla, offrendole un posto di governante, è un vecchio amico del marito, il facoltoso fabbricante di giocattoli Lazarus Jann, che vive con la moglie malata in una gigantesca tenuta chiamata Cravenmoore.
Tutto sembra andare per il meglio, Lazarus si dimostra un uomo gentile, tratta con riguardo Simone e i figli, a cui mostra gli straordinari esseri meccanici che ha creato nella sua lunga carriera, strani automi che sembrano avere vita propria. Intanto Irene conosce Ismael, il giovane cugino di Hannah, la cuoca di casa, e se ne innamora.
Ma cosa sono quelle luci che brillano nella nebbia intorno all'isolotto del faro? E cosa si nasconde dietro i macabri eventi e le strane apparizioni che sconvolgono inaspettatamente l'armonia di Cravenmoore? Perché Hannah viene uccisa, e qual è il mistero dell'ombra che si è impossessata della tenuta? Spetterà a Irene e Ismael lottare contro un nemico invisibile per salvare Simone e svelare l'oscuro segreto che avvolge Cravenmoore e la fabbrica dei giocattoli di Lazarus, un enigma che li unirà per sempre e li trascinerà nella più emozionante delle avventure, in un mondo labirintico di luci e ombre.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2012
ISBN
9788852027413
1

Il cielo sopra Parigi

Parigi, 1936
Quanti ricordano la notte in cui morì Armand Sauvelle giurano che un lampo purpureo attraversò la volta del cielo, tracciando una scia di cenere ardente che si perdeva all’orizzonte; un bagliore che sua figlia Irene non poté mai vedere, ma che avrebbe stregato i suoi sogni per molti anni.
Era una fredda mattina invernale, e i vetri della stanza numero quattordici dell’ospedale Saint-George erano ricoperti da una sottile pellicola di ghiaccio che disegnava spettrali acquerelli della città nelle tenebre dorate dell’alba.
La fiamma di Armand Sauvelle si spense in silenzio, quasi senza un sospiro. Sua moglie Simone e sua figlia Irene sollevarono lo sguardo quando i primi bagliori che incrinavano la linea della notte tracciarono aghi di luce lungo tutta la stanza. Dorian, il figlio minore, dormiva su una sedia. Un silenzio impressionante invase la sala. Non fu necessario scambiare nemmeno una parola per capire quello che era accaduto. Dopo sei mesi di sofferenza, il nero fantasma di una malattia, il cui nome Armand Sauvelle non era mai stato in grado di pronunciare, gli aveva strappato la vita. Tutto qui. Questo fu l’inizio dell’anno peggiore che la famiglia Sauvelle avrebbe ricordato.
Armand Sauvelle si portò nella tomba la sua magia e la sua risata contagiosa, ma i suoi numerosi debiti non lo accompagnarono nell’ultimo viaggio. Ben presto, una corte di creditori e ogni sorta di avvoltoi con finanziera e titolo onorifico presero l’abitudine di recarsi a casa Sauvelle, in boulevard Haussmann. Le fredde visite di cortesia si trasformarono in velate minacce. E queste, con il tempo, in pignoramenti.
Scuole di prestigio e vestiti di impeccabile fattura furono sostituiti da lavori saltuari e da abiti più modesti per Irene e Dorian. Era l’inizio della vertiginosa discesa dei Sauvelle nel mondo reale. Tuttavia, la parte peggiore del viaggio toccò a Simone. Riprendere il lavoro di maestra non bastava a far fronte al torrente di debiti che divorava le sue scarse risorse. Da ogni angolo spuntava un nuovo documento firmato da Armand, una nuova cambiale non pagata, un nuovo buco nero senza fondo…
Fu allora che il piccolo Dorian cominciò a sospettare che la metà degli abitanti di Parigi fosse composta da avvocati e contabili, una specie di topi che abitavano in superficie. Fu sempre allora che Irene, all’insaputa della madre, accettò un lavoro in una sala da ballo. Ballava con i soldati, poco più che adolescenti spaventati, per pochi spiccioli (spiccioli che, all’alba, metteva nella cassetta custodita da Simone sotto l’acquaio).
Allo stesso modo, i Sauvelle scoprirono che l’elenco di quanti si dichiaravano loro amici e benefattori si dissolveva come la brina all’alba. Nonostante tutto, arrivata l’estate, Henri Leconte, un vecchio amico di Armand Sauvelle, offrì alla famiglia la possibilità di sistemarsi nel piccolo appartamento sopra il negozio di articoli da disegno che gestiva a Montparnasse. Il pagamento dell’affitto lo lasciava a tempi migliori, in cambio dell’aiuto di Dorian come fattorino, dal momento che le sue ginocchia non erano più quelle di una volta. Simone non trovò mai parole sufficienti per ringraziare la bontà del vecchio Leconte. E mai il commerciante le chiese. In un mondo di topi si erano imbattuti in un angelo.
Quando i primi giorni dell’inverno fecero capolino, Irene compì quattordici anni, che le pesarono come se fossero ventiquattro. Quel giorno, spese i soldi guadagnati nella sala da ballo per comprare una torta e festeggiare il suo compleanno con Simone e Dorian. L’assenza di Armand incombeva su di loro come un’ombra opprimente. Insieme spensero le candeline della torta nell’angusto soggiorno dell’appartamento di Montparnasse, pregando che, con le fiamme, si spegnesse lo spettro della sfortuna che li aveva perseguitati in quei mesi. Per una volta il loro desiderio non fu ignorato. Ancora non lo sapevano, ma quell’anno di tenebre stava giungendo al termine.
Qualche settimana più tardi, una luce di speranza si accese insperatamente all’orizzonte della famiglia Sauvelle. Grazie alle arti di monsieur Leconte e alla sua rete di conoscenze, comparve la promessa di un buon impiego per Simone in un piccolo paese sulla costa, Baia Azzurra, lontano dalla grigia nebbia di Parigi, lontano dai tristi ricordi degli ultimi giorni di Armand Sauvelle. Sembrava che un facoltoso inventore e fabbricante di giocattoli, un certo Lazarus Jann, avesse bisogno di una governante che si prendesse cura della sua residenza nel bosco di Cravenmoore.
L’inventore viveva nell’immensa dimora, contigua alla sua vecchia fabbrica di giocattoli ormai chiusa, con la sola compagnia della moglie Alexandra, gravemente malata e prostrata da vent’anni in una stanza della grande casa. Lo stipendio era generoso, e inoltre Lazarus Jann offriva loro l’opportunità di sistemarsi nella Casa del Capo, una modesta residenza costruita sulle scogliere alla punta del capo, dall’altro lato del bosco di Cravenmoore.
A metà giugno del 1937, monsieur Leconte salutò la famiglia Sauvelle dal binario sei della stazione di Austerlitz. Simone e i suoi figli salirono su un treno che li avrebbe portati verso la costa della Normandia.
Mentre guardava perdersi ogni traccia del treno, il vecchio Leconte sorrise tra sé e, per un attimo, ebbe il presentimento che la storia dei Sauvelle, la loro vera storia, fosse appena iniziata.
2

Geografia e anatomia

Normandia, estate del 1937
Nel primo giorno alla Casa del Capo, Irene e la madre cercarono di mettere un po’ d’ordine in quella che sarebbe stata la loro dimora. Nel frattempo, Dorian scopriva la sua nuova passione: la geografia o, più esattamente, disegnare mappe. Fornito di matite e di un quaderno che gli aveva regalato Henri Leconte alla partenza, il figlio minore di Simone Sauvelle si ritirò in un piccolo santuario tra gli scogli, una posizione privilegiata dalla quale si godeva una vista spettacolare.
Il paese e il suo modesto molo di pescatori si trovavano al centro della grande baia. Verso est si estendeva una spiaggia infinita di sabbia bianca, un deserto di perle di fronte al mare, conosciuta come la Spiaggia dell’Inglese. Più in là, la punta del capo si protendeva verso l’acqua come un artiglio affilato. La nuova casa dei Sauvelle si trovava sulla sua estremità, che separava Baia Azzurra dall’ampio golfo che i locali chiamavano Baia Nera, per le sue acque buie e profonde.
Al largo, tra la nebbia evanescente, Dorian riusciva a scorgere l’isolotto del faro, a mezzo miglio dalla costa. La torre del faro si ergeva oscura e misteriosa, confondendosi tra le brume. Se volgeva lo sguardo verso terra, Dorian poteva vedere la sorella Irene e la madre nella veranda della Casa del Capo.
La loro nuova dimora era una casa a due piani di legno bianco, incastonata fra gli scogli: una terrazza sospesa nel vuoto. Oltre la casa si estendeva il bosco e, sopra le cime degli alberi, si intravedeva la maestosa residenza di Lazarus Jann, Cravenmoore.
Cravenmoore somigliava piuttosto a un castello, alla fantasia di una cattedrale, frutto di un’immaginazione stravagante e tormentata. Un labirinto di archi, sordini, torri e cupole componeva il suo tetto irregolare. La costruzione aveva una pianta a croce dalla quale si dipartivano le diverse ali. Dorian osservò attentamente il sinistro profilo della magione di Lazarus Jann. Un esercito di gargolle e angeli scolpiti nella pietra stava di guardia ai fregi della facciata come uno stormo di spettri raggelati in attesa della notte. Mentre chiudeva il quaderno e si apprestava a tornare alla Casa del Capo, Dorian si chiese che genere di persona poteva scegliere di abitare in un posto simile. Non avrebbe tardato molto a scoprirlo: quella sera erano invitati a cena a Cravenmoore. Una gentilezza del loro benefattore, Lazarus Jann.
La nuova stanza di Irene era orientata a nordovest. Dalla finestra poteva vedere l’isolotto del faro e le chiazze di luce che il sole disegnava sull’oceano, lagune d’argento incendiato. Dopo aver trascorso mesi chiusa nell’angusto appartamento di Parigi, possedere una stanza tutta per sé le pareva un lusso quasi offensivo. La possibilità di chiudere la porta, di godere di uno spazio riservato alla sua intimità era una sensazione inebriante.
Mentre contemplava il sole a ponente tingere di rame il mare, Irene affrontò il dilemma di quali abiti sfoggiare per la sua prima cena con Lazarus Jann. Le era rimasta solo una piccola parte di quello che era stato il suo ricco guardaroba. All’idea di essere ricevuta nella grande casa di Cravenmoore, tutti i suoi vestiti le sembravano stracci di cui vergognarsi. Dopo essersi provata gli unici due abiti che sarebbero potuti andare bene per una simile occasione, Irene si rese conto dell’esistenza di un nuovo problema che non aveva valutato.
Da quando aveva compiuto tredici anni, il suo corpo sembrava impegnato a riempirsi in alcuni punti e ad assottigliarsi in altri. Ora, vicina ai quindici, mentre si guardava allo specchio, i capricci della natura si erano fatti più che mai evidenti. La nuova silhouette curvilinea non coincideva con il taglio severo del suo polveroso guardaroba.
Un festone di riflessi scarlatti si allungava su Baia Azzurra quando, poco prima del tramonto, Simone Sauvelle bussò piano alla porta.
«Avanti.»
Sua madre si chiuse la porta alle spalle e fece una rapida radiografia della situazione. Tutti i vestiti di Irene erano appoggiati sul letto. La figlia, vestita di una semplice camicetta bianca, contemplava dalla finestra le luci lontane delle navi nel canale. Simone osservò il corpo slanciato di Irene e sorrise tra sé.
«Il tempo passa e non ce ne rendiamo conto, eh?»
«Non me ne entra nemmeno uno. Mi dispiace» rispose Irene. «Ci ho provato.»
Simone si avvicinò alla finestra e si mise accanto alla figlia. Le luci del paese al centro della baia disegnavano acquerelli di luce sull’acqua. Per un istante, entrambe contemplarono l’impressionante spettacolo del crepuscolo su Baia Azzurra. Simone accarezzò il viso della figlia e sorrise.
«Credo che questo posto ci piacerà. Tu che ne dici?» chiese.
«E noi? Piaceremo a lui?»
«A Lazarus?»
Irene annuì.
«Siamo una famiglia affascinante. Ci adorerà» rispose Simone.
«Sei sicura?»
«Meglio che sia così, ragazzina.»
Irene le indicò i vestiti.
«Provane uno dei miei» sorrise Simone. «Credo che ti staranno meglio che a me.»
Irene arrossì leggermente.
«Esagerata» rimproverò la madre.
«Tempo al tempo.»
Lo sguardo che Dorian rivolse alla sorella quando la vide apparire ai piedi delle scale, con indosso un abito della madre, avrebbe vinto un concorso. Irene fissò i suoi occhi verdi in quelli di Dorian e, alzando minacciosa l’indice, gli diede un velato avvertimento:
«Nemmeno una parola.»
Dorian, muto, annuì, incapace di distogliere gli occhi da quella sconosciuta che parlava con la stessa voce di sua sorella Irene e sfoggiava il suo stesso volto. Simone colse la sua espressione e trattenne un sorriso. Poi, con solenne serietà, posò una mano sulla spalla del ragazzo e si mise di fronte a lui per aggiustargli il papillon viola, eredità del padre.
«Vivi circondato da donne, figlio mio. Ti ci abituerai.»
Dorian annuì di nuovo, fra il rassegnato e il terrorizzato. Quando l’orologio della parete annunciò le otto, erano tutti inguainati nei loro abiti più eleganti, pronti per il grande appuntamento. Per il resto, morti di paura.
Una tenue brezza soffiava dal mare e agitava le fronde degli alberi che circondavano Cravenmoore. Il fruscio invisibile delle foglie accompagnava l’eco dei passi di Simone e dei suoi figli sul sentiero che attraversava il bosco, un vero e proprio tunnel scavato in una selva scura e impenetrabile. Il pallido volto della luna lottava per attraversare il sudario di ombre che avvolgeva la foresta. Il canto degli uccelli appollaiati in cima a quei giganti centenari componeva un’inquietante litania.
«Questo posto mi dà i brividi» commentò Irene.
«Sciocchezze» si affrettò a zittirla la madre. «È semplicemente un bosco. Forza.»
Dorian, dalla sua posizione di retroguardia, osservava in silenzio le ombre della foresta. L’oscurità creava sagome sinistre e catapultava la sua immaginazione a stanare decine di creature diaboliche in agguato.
«Alla luce del giorno questi non sono che cespugli e alberi» precisò Simone Sauvelle, riducendo in polvere l’effimero incantesimo con cui Dorian si stava trastullando.
Pochi minuti dopo, alla fine di una traversata notturna che a Irene sembrò interminabile, l’imponente e spigolosa sagoma di Cravenmoore si ritagliò di fronte a loro come un castello delle favole che emergeva dalla nebbia. Fasci di luce dorata tremolavano dietro le grandi finestre dell’immensa residenza di Lazarus Jann. Un bosco di gargolle si stagliava contro il cielo. Poco oltre si poteva distinguere la fabbrica di giocattoli annessa alla casa.
Oltrepassata la foresta, Simone e i figli si fermarono a contemplare l’impressionante mole della residenza dell’inventore di giocattoli. In quel momento, un uccello simile a un corvo emerse dalla boscaglia, battendo le ali, e tracciò una curiosa traiettoria sul giardino che circondava Cravenmoore, poi volò in circolo su una delle fontane di pietra e andò a posarsi ai piedi di Dorian. Quando le sue ali smisero di battere, il corvo si stese su un fianco e si abbandonò a un lento dondolio finché non restò immobile. Il ragazzo si inginocchiò e allungò la mano verso l’animale.
«Stai attento» lo ammonì Irene.
Dorian, ignorando il consiglio, accarezzò le piume del corvo. L’uccello non diede segni di vita. Il bambino lo prese tra le mani e gli distese le ali. Una smorfia di perplessità gli oscurò il viso. Qualche attimo dopo si girò ve...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Le luci di settembre
  4. Nota dell’autore
  5. 1. Il cielo sopra Parigi
  6. 2. Geografia e anatomia
  7. 3. Baia Azzurra
  8. 4. Segreti e ombre
  9. 5. Un castello tra le brume
  10. 6. Il diario di Alma Maltisse
  11. 7. Un sentiero di ombre
  12. 8. Incognito
  13. 9. La notte trasfigurata
  14. 10. Intrappolati
  15. 11. Il volto dietro la maschera
  16. 12. Doppelgänger
  17. 13. Le luci di settembre
  18. Copyright