Non ci sono solo le arance
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Non ci sono solo le arance

  1. 210 pagine
  2. Italian
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Non ci sono solo le arance

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Informazioni sul libro

Adottata da una famiglia religiosissima della provincia inglese - dove «i pagani sono dappertutto, specialmente alla porta accanto» - la piccola Jeanette impara tutto sulle sacre scritture ma niente sul resto del mondo. Inventiva e ingenua la ragazza sconcerta le insegnanti ricamando minacciosi versetti biblici e preparandosi con impegno a un futuro da missionaria. Ma invece della vocazione le giunge l'amore, nella forma imprevista di una coetanea, cosa che, nella comunità, fa subito sospettare un intervento diabolico. Ma per Jeanette la scoperta del desiderio è una verità emozionante e naturale. Estroso, brillante, coraggioso e addirittura sublime nel suo umorismo, questo primo romanzo di Jeanette Winterson ha subito assicurato all'autrice un posto di assoluto rilievo tra gli autori più dotati della sua generazione. Un talento ben presto riconfermato dalle opere successive e in particolare dall'altro libro "cult", Scritto sul corpo.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
ISBN
9788852046278

Ruth

TANTO TEMPO FA, quando il regno era diviso in compartimenti stagni, come una pentola a pressione, la gente prendeva i viaggi molto più seriamente di quanto non faccia ora. Certo c’erano problemi oggettivi: quante provviste prendere? Che genere di mostri si sarebbero incontrati? Era meglio mettere nella bisaccia la tunica blu per la pace o quella rossa per la guerra? E c’erano anche problemi meno ovvi come, per esempio, cosa fare nel caso che un mago avesse deciso di tenerti d’occhio.
A quei tempi la magia era molto importante e il territorio, tanto per cominciare, non era che un’estensione del cerchio di gesso che ci si tracciava intorno per proteggersi da elementi e affini. Ora non è più di moda, ed è un peccato, perché sedere in un cerchio di gesso quando ci si sente minacciati è molto meglio che infilare la testa nel forno. Certo, gli altri rideranno di te, ma la gente ride di tante cose, perciò non è il caso di prendersela troppo. Perché il sistema funziona? Perché il concetto di spazio vitale è sempre lo stesso, sia che si lotti contro uno degli elementi o il malumore del prossimo. È un campo di forza che ti circonda e finché i nostri poteri immaginativi sono deboli è utile avere qualcosa di palpabile per rammentarcelo.
L’apprendistato di un mago è molto difficile. I maghi devono trascorrere anni in piedi dentro un cerchio di gesso, finché non riescono a farne a meno. Espandono a poco a poco i loro poteri, dapprima nei loro cuori, poi nei loro corpi e infine nella loro cerchia immediata. Non è possibile controllare ciò che è fuori di noi finché non si è riusciti a dominare il proprio spazio vitale. Non è possibile cambiare nulla prima di aver compreso l’intima natura di quanto si vuole cambiare. Certo la gente mutila e trasforma, ma questo è un potere della caduta e la vera essenza del male consiste nel cambiare qualcosa che non si comprende.
Da un po’ di tempo Winnet si era accorta che uno strano uccello la seguiva, una bestia nera con ali enormi; poi, per un intero pomeriggio, l’uccello scomparve. Il pomeriggio che vide lo stregone. Lo stregone le stava di fronte, sull’altra riva di un torrente impetuoso. Lo riconobbe dagli abiti e sarebbe scappata se l’uomo non l’avesse chiamata da sopra la corrente.
«Conosco il tuo nome.» Allora Winnet si fermò impaurita. Se questo era vero lei era in trappola. Pronunciare il nome delle cose significa dominarle. Adamo aveva dato un nome agli animali e gli animali rispondevano al suo richiamo.
«Non ti credo» gli gridò. Allora lo stregone sorrise e la invitò ad attraversare il torrente in modo da poterglielo sussurrare all’orecchio. Winnet scosse il capo; molto probabilmente al di là del torrente iniziava il territorio dello stregone; lì, almeno, era al sicuro.
«Non uscirai mai da questa foresta senza il mio aiuto» l’ammonì lui mentre Winnet cercava di farsi strada nel fango. Winnet non si curò di rispondere. Calò un’altra notte e questa volta portò una pioggia che sferzò gli alberi e fece volare via il suo riparo. Poi fu attaccata da un esercito di formiche acquatiche che la costrinsero a inoltrarsi ancor di più nel buio della foresta. All’alba era esausta. Aveva perso la giara di pietra con dentro le provviste e gli abiti asciutti e, quando arrivò alla curva del fiume, si accorse di non essersi praticamente spostata. Sull’altra riva c’era lo stregone che sorrideva dolcemente.
«Ti avevo avvertita» disse.
Non era quello che Winnet voleva sentire. Si sedette imbronciata tra i giunchi.
Intanto sulla riva opposta lo stregone aveva acceso un fuoco e vi aveva appoggiato sopra una pentola. Winnet annusò l’aria e si rannicchiò contro le gambe. Odorava di piccione.
«Sono vegetariana» gridò allora scrutando la faccia di lui.
«Oh, anch’io» replicò lui allegramente. «Sto preparando uno stufato di fagioli e gnocchi e ce n’è abbastanza per due.»
Winnet si sentì morire. Come faceva a saperlo? La riassalì il ricordo della nonna e del suo famoso stufato di fagioli, e quello dei cori intorno al fuoco mentre gli uomini erano fuori a caccia. Così nascose il naso dentro la giacca cercando di non respirare.
«Vuoi del coriandolo nel tuo?» gridò lo stregone. «È fresco.»
«Sì» gridò Winnet roca e confusa, «ma non mangerò perché tu mi avveleneresti.»
«Ma che dici!» Lo stregone sembrava sinceramente offeso.
«Come faccio a sapere se posso fidarmi?» (Lo stomaco di Winnet brontolava.)
«Perché non conosco il tuo nome. Se lo avessi saputo ti avrei già portata qui. È così triste mangiare da soli, non trovi?»
Winnet ci pensò un po’, quindi decise di fare un patto con lo stregone. Avrebbe mangiato alla sua tavola, poi lui le avrebbe detto quello che voleva da lei e infine avrebbero fatto una gara per decidere la questione. Come garanzia il mago tracciò per lei un cerchio di gesso con una piccola apertura perché potesse entrarvi, una volta attraversato il corso d’acqua. Fatto questo le lanciò il gesso. Era un ruvido sassolino marrone e, tenendolo ben stretto tra le dita, Winnet guadò cautamente il fiume, saltò nel cerchio e lo richiuse alle sue spalle.
«Preferisci pane bianco o integrale?» chiese lo stregone porgendole una ciotola fumante.
Per un quarto d’ora mangiarono in amichevole silenzio, poi lo stregone sospirò, strappò un altro pezzo di pane e raccolse il sugo rimasto nel piatto. «Non c’è dolce, purtroppo. Avrei voluto preparare un po’ di crema, ma è difficile trovare del latte da queste parti. Ci prenderemo un caffè e intanto ti dirò cosa voglio.»
A Winnet andò di traverso il boccone. Cominciò a tossire e dovette permettere allo stregone di darle qualche colpo sulla schiena. Forse voleva farla a pezzi, tramutarla in un animale, o magari costringerla a sposarlo. Quando il caffè fu pronto era ormai paralizzata dal terrore.
«Quello che voglio» disse lo stregone «è che tu diventi la mia apprendista. Le arti magiche si stanno estinguendo e più numerosi siamo meglio è. Tu sei dotata, questo lo so, potrai portare il messaggio in altri posti, dove non sanno neppure tracciare un cerchio di gesso per terra. Ti insegnerò tutto, ma non posso obbligarti e comunque prima dovrai dirmi il tuo nome.» Quindi si sistemò più comodamente e guardò Winnet. «C’è un’ultima cosa; se non mi dici il tuo nome non potrai mai uscire da quel cerchio, perché io non posso liberarti e tu non ne hai il potere».
Winnet rimase senza parole per l’indignazione. «Mi hai ingannato!»
«Be’, è il mio mestiere.»
«D’accordo» disse Winnet dopo un po’. «Facciamo un patto. Se riuscirai a indovinare il mio nome sarò tua. In caso contrario mi mostrerai come uscire di qui e mi lascerai in pace.»
Lo stregone annuì lentamente mentre Winnet si chiedeva angosciata quale diabolico piano stesse architettando per dirimere la questione. All’improvviso lo stregone alzò gli occhi.
«Giochiamo all’impiccato.»
Tirò fuori un pezzo di carta e una penna stilografica ed esordì: «X».
«Sbagliato. Uno per me» replicò Winnet sprezzante.
«Dovresti darmi almeno un indizio» disse lo stregone. «Dopotutto non sto usando le arti magiche.»
«D’accordo» acconsentì lei a malincuore. «Eccoti un indovinello.»
Per alcuni il mio nome è quasi un uccello,
per altri un recipiente per conservare la giuncata.
«E questo è tutto quanto otterrai da me.»
Lo stregone si mise a testa in giù per un po’ e intanto continuava a ripetere l’indovinello.
«P» disse infine.
«Due a zero per me» esultò Winnet.
Allora il mago balzò in piedi gridando: «Ti chiami Gannet Barrel».
«Sbagliato» gongolò Winnet. «E così guadagno altri due punti. Se non stai attento finirai impiccato.»
Era quasi notte quando Winnet versò a entrambi un’altra tazza di caffè, ma lo stregone si mise improvvisamente a ridacchiare: «Ci sono».
«Oh, davvero?» disse Winnet. «Ricorda che bastano altri due errori e sarò libera.»
«Il tuo nome è Winnet Stonejar.» E il cerchio di gesso svanì.
“Oh, be’” pensò Winnet mentre spegneva il fuoco, “perlomeno è un bravo cuoco.”
Un attimo dopo si ritrovarono in un castello con tre corvi sussiegosi che li osservavano appollaiati su un decrepito pennone.
«Shadrach, Meshach e Abednego» li presentò lo stregone. «Col tempo imparerai a riconoscerli come per magia, se mi consenti il gioco di parole. Ora però devo portarti in braccio oltre la soglia o cadrai addormentata. Fa parte del sistema di sicurezza.» Così dicendo sollevò tra le braccia Winnet e la portò in una stanza dai colori vivaci dove c’era un imponente camino acceso.
«Ti piacciono i soffitti alti?» le chiese mentre si accomodavano ai lati del camino. «È una caratteristica di questi vecchi edifici, ma ti ci abituerai.»
«Da quanto tempo sei uno stregone?» chiese Winnet tanto per dire qualcosa.
«Oh, non saprei» replicò lui allegro. «Vedi io vivo anche nel futuro e per me il tempo non esiste.»
«Ma non può essere» protestò Winnet, «non si può parlare così del tempo.»
«Tu forse non puoi, mia cara, ma noi siamo molto diversi.»
Almeno questo era vero, così Winnet rivolse la sua attenzione alla stanza.
Era quasi vuota, ma c’erano tantissimi armadi. Sulla destra, accanto alla finestra, pendeva un enorme cornetto acustico lavorato a sbalzo.
«A cosa ti serve?»
«Be’, non sono sempre così vecchio come adesso, e quando sono ancora più vecchio ho la tendenza a diventare un po’ sordo. Quello mi serve per ascoltare il canto notturno degli usignoli, mentre sto sdraiato su quel divano.»
Per quel che poteva vedere Winnet non c’era nessun divano nella stanza. «Quale divano?»
«Ma quello, che diamine!» disse sorpreso lo stregone. Lei guardò meglio, ed eccolo lì. Questo fu solo l’inizio delle avventure di Winnet al castello, ma col passare del tempo le accadde una cosa strana. Dimenticò come c’era arrivata e tutto quello che aveva fatto prima. Credeva di esser sempre stata al castello e di essere figlia dello stregone. Lui le disse che lo era. Che era orfana di madre ed era stata affidata alle sue cure da uno spirito potente. Ben presto Winnet si convinse che questa era la verità e poi quale altra vita avrebbe potuto desiderare?
Lo stregone era buono con gli abitanti dei piccoli villaggi sparsi ai piedi delle colline. Insegnava loro la musica e la matematica e gettava potenti incantesimi sui raccolti, così che in inverno nessuno soffrisse la fame. Ovviamente pretendeva in cambio una devozione assoluta, che loro erano ben lieti di offrirgli. Winnet imparò a far da maestra ai contadini e tutto andò bene fino al giorno in cui uno straniero giunse al villaggio. Prese alloggio in una delle fattorie e fece immediatamente amicizia con Winnet. Lei lo invitò al castello per la Grande Festa.
La Grande Festa era un anniversario e una solennità importante per il villaggio. Ogni famiglia offriva un regalo allo stregone e lui ricambiava i doni nel modo che riteneva più appropriato.
«Darai un regalo anche allo straniero?» chiese Winnet a suo padre il mattino della festa.
«Quale straniero?»
«Questo» disse Winnet facendolo apparire. Il ragazzo era sbalordito. Un attimo prima se ne stava appoggiato a un albero a rimirare il castello. Adesso era in piedi accanto a tre corvi, in un salone così alto che cielo e soffitto si confondevano. Lo stregone si rivolse a entrambi e batté le mani. «Sia quello che dev’essere, tu hai già deciso il suo regalo.» Quindi, avvolgendosi nel mantello, il padre di Winnet sparì.
«Ho paura» disse il ragazzo.
«Non c’è ragione» disse Winnet baciandolo.
Al tramonto la sala traboccava di persone e animali. Alcune delle bestie erano doni allo stregone per la sua fattoria, altre si erano semplicemente intrufolate. A mezzanotte, quando il vino aveva fatto dimenticare a ciascuno ogni cosa tranne l’istante presente, lo stregone tenne il suo solito discorso. Promise ancora una volta un buon raccolto per l’anno seguente e buona salute ai suoi amici. Ai giovani che quell’anno avrebbero lasciato il loro villaggio diede in dono uno scudo, un coltello, o un arco. Alle giovani donne decise a trovarsi il loro sostentamento regalò un falcone, un cane o un anello. «Che ognuno protegga l’altro a seconda del bisogno.» Infatti lo stregone sapeva come son fatti i viaggiatori. Infine si fece grave in volto e annunciò che una terribile maledizione si era abbattuta sulla loro terra. «Il responsabile è uno di voi» proseguì mentre la sala veniva percorsa da un brivido di paura, «e dev’essere scacciato.» Così dicendo lo stregone posò la mano sul collo del ragazzo.
«Quest’uomo ha viziato mia figlia.»
«Non è vero, lui è mio amico» gridò Winnet balzando in piedi allarmata.
Ma nessuno le diede ascolto. Il ragazzo fu legato e gettato nella più buia segreta del castello e lì sarebbe rimasto a marcire per sempre se Winnet non avesse usato le sue arti per liberarlo. «Adesso va da lui» disse al ragazzo che strizzava gli occhi abbagliato dalla luce della sua torcia, «e rinnegami. Dai pure tutta la colpa a me, non puoi stare al mio fianco perché non puoi reggere contro di lui.» Il ragazzo impallidì e pianse, ma Winnet lo spinse su per le scale e il mattino seguente seppe che aveva fatto come voleva lei.
«Figlia, mi hai disonorato» disse lo stregone, «e io non so più che farmene di te. Dovrai andartene.»
Winnet non poteva chiedere perdono perché era innocente, ma chiese ugualmente di restare.
«Se vuoi puoi rimanere al villaggio a sorvegliare le capre. Lascio a te la scelta.» E sparì. Winnet era sul punto di scoppiare in lacrime quando sentì un leggero colpetto sulla spalla. Era Abednego, il suo corvo preferito. Le saltò sulla spalla vicino all’orecchio. «Non temere, non perderai i tuoi poteri, dovrai semplicemente imparare a usarli in modo diverso».
«Come fai a saperlo?» disse Winnet, tirando su col naso.
«Gli stregoni non possono riprendersi i doni che hanno concesso, lo dice il libro.»
«E se decidessi di restare?»
«Finiresti per morire di dolore. Tutto ciò che conosci sarebbe ancora intorno a te ma, al tempo stesso lontano da te. È meglio che ti cerchi un altro posto.»
Winnet rifletté su queste parole mentre il corvo si dondolava pazientemente sulla sua spalla.
«Tu verrai con me?»
«Non posso, sono legato al castello, ma prendi questo.» Il corvo volò via e, a quel che poteva vedere Winnet, cominciò a vomitare sulle bandiere. Quindi si lisciò le penne e lasciò cadere nella sua mano un ruvido sassolino marrone.
«Grazie» disse Winnet. «Cos’è?»
«Il mio cuore.»
«Ma è di pietra!»
«Lo so» replicò triste il corvo. «Vedi, tanto tempo fa scelsi di rimanere qui e il mio cuore si fece denso di dolore fino a diventare pietra. Ti servirà come monito.»
Winnet rimase seduta per un po’ in silenzio davanti al fuoco. Il corvo, ammutolito per magia, non poté avvertirla che suo padre era rientrato nella stanza sotto forma di topo e stava legando un filo invisibile attorno a uno dei suoi bottoni. Quando Winnet si alzò, il topo sgattaiolò via. Lei non se ne accorse e il mattino seguente, raggiunto il limitare della foresta, attraversò il fiume.
Ero tornata a lavorare all’impresa di pompe funebri, o salone per le onoranze funebri, come preferivano chiamarlo l’amica della mamma e il suo socio Joe. Mi pagavano bene e inoltre, se mi serviva più denaro, potevo sempre raggranellare qualche soldo in più lavando i furgoni. A volte mi toccava parcheggiare il camioncino dei gelati sul retro, aiutare a comporre una salma nella cappella e poi riprendere il mio giro. Joe diceva scherzando che avrebbe messo i cadaveri nel mio congelatore quando fosse venuto il caldo.
«Non credo che...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. di Jeanette Winterson
  3. Non ci sono solo le arance
  4. Genesi
  5. Esodo
  6. Levitico
  7. Numeri
  8. Deuteronomio
  9. Giosuè
  10. Giudici
  11. Ruth
  12. Copyright