Nuovi Argomenti (8)
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Nuovi Argomenti (8)

  1. 360 pagine
  2. Italian
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Nuovi Argomenti (8)

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Informazioni sul libro

Hanno collaborato: Enzo Siciliano, Raffaele La Capria, Attilio Scarpellini, Raffaele Manica, Arnaldo Colasanti, Lorenzo Pavolini, Mario Cifariello, Paolo Del Colle, Claudio Damiani, Massimiliano Capati, Flavio De Bernardinis, Andrea Salerno, Tarcisio Tarquini, Ted Hughes, Ubaldo Bertoli, Giovanni Ferrara, Giosuè Calaciura, Vincenzo Pardini, Guido Conti, Valerio Aiolli, Giorgio Luzzi, Nicola Ponzio, Raffaele La Capria, Emanuele Trevi, Nicola Fano, Lisa Ginzburg, Bernardo Bertolucci.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
ISBN
9788852045509
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FONTE
Una scelta di poesie
nella versione di Camillo Pennati


Ted Hughes

a Ted per la reciproca amicizia
di un’intera vita creativa,
adesso lui mancandomi.
Widdop
Dove non v’era nulla
qualcuno mise un lago spaventato.
Dove non v’era nulla
pietrose spalle
si allargarono per sorreggerlo.
Un vento di tra le stelle
si librò giù per avere sentore del tremitio.
Alberi, mani giunte, occhi chiusi,
recitarono il mondo.
Dell’erba di brughiera strisciò più raso, intimorita.
Null’altro
tranne quando erompe un gabbiano attraverso
uno squarcio nella tessitura
dal nulla sino addentro al nulla
Widdop.Where there was nothing/ Somebody put a frightened lake.// Where there was nothing/ Stony shoulders/ Broadened to support it.// A wind from between the stars/ Swam down to sniff at the trembling./ Trees, holding hands, eyes closed,/ Acted at world.//
Some heath-grass crept close, in fear.// Nothing else/ Except when a gull blows through// A rip in the fabric// Out of nothingness into nothingness
È questo
Sta accadendo al sole.
Il sole caduto
è nelle mani dell’acqua.
Ci sono forre scavate in fredde colline
dalle sofferenze dell’acqua
e forre
tagliate nel freddo fuoco
dall’acqua sfinita di donne
e dai fiumi perduti di uomini.
It Is All.Happening to the sun.// The fallen sun/ Is in the hands of water.// There are gulleys gouged in cold hills/ By the sufferings of water// And gulleys/ Cut in the cold fire// By the worn-out water of women/ And the lost rivers of men.
Digitale1 colpita da insolazione
Mentre ti curvi a toccare
la zingarella
che nella siepe ti attende
la veste sciolta le cade aperta.
Mal di fossato di mezza estate!
In rossore, lentigginosa da febbre terrestre,
schiuse le tumide labbra, gli occhi le si chiudono,
una bracciata pencolante, e così giovane! Ardente
tra i ragni impazziti.
Cogli in un lampo la sotto-maculatura da rettile
dei suoi seni riarsi dal sole
e ti gira la testa. Chiudi gli occhi.
Sanno parlare la volpi? La testa ti batte forte.
Ricorda l’eco rintoccante dell’uccello
le radici di felci stillanti, e gli sfioramenti di farfalla
che ti destavano.
Ricorda le lunghe, scure mammelle
di tua madre.
Il suo serico corpo un soffice forno
per grumoli di polline.
Sunstruck Foxglove.As you bend to touch/ The gypsy girl/ Who waits for you in the hedge/ Her loose dress falls open.// Midsummer Ditch-sickness!// Flushed, freckled with earth-fever,/ Swollen lips parted, her eyes closing/ A lolling armful, and so young! Hot// Among the insane spiders./ You glimpse the reptile under-speckle/ Of her sunburned breasts/ And your head swims. You close your eyes.// Can the foxes talk? Your head throbs./ Remember the bird’s tolling echo,/ The dripping fern-roots, and the butterfly touches/ That woke you.//
Remember your mother’s/ Long, dark dugs.// Her silky body a soft oven/ For loaves of pollen.
A guisa di saltamartino
Una trappola
attende su un sentiero di campo.
Un congegno di giunco con parti funzionanti,
la molla tesa e predisposta.
Di così fragile struttura, d’erba
(di steli, ramificazioni, ruvide e secche spighe).
Un bruco dalla pelliccia morbida per esca,
ventre di vita amorosa, pulsante segnali.
Nostalgica d’amore, dai piedi profumati, sopraggiunge
una musica della selvatica2 terra.
La trappola, appena sfiorata,
vibra in azione, la sue parti si sfocano -
e la musica grida.
Un muscoloso violino
ha preso il suo violinista.
L’estate dalle dita di nubi, la bella intrappolatrice,
raccatta la gabbia che canta
e il Canto ne estrae, l’aggiunge ai Canti
di cui si adorna, che sono la sua ricchezza,
ripredispone la sua trappola, una iarda più in là.
In the Likeness of a Grass-Hopper. A trap/ Waits on the field path.// A wicker contraption, with working parts,/ Its spring tensed and set.// So flimsily made, out of grass/ (Out of the stems, the joints, the raspy-dry flags).// Baited with a fur-soft caterpillar,/ A belly of amorous life, pulsing signals.//
Along comes a love-sick, perfume-footed/ Music of the wild earth.// The trap, touched by a breath,/ Jars into action, it parts blur–// And music cries out.// A sinewy violin/ Has caught its violinist.// Cloud-fingered summer, the beautiful trapper,/ Picks up the singing cage// And takes out the Song, adds it to the Songs/ With which she robes herself, which are wealth,// Sets her trap again, a yard further on.
Una violetta a Lough Aughrisburg
Macina la risacca di cristallo,
sotto le scogliere.
Di contro all’aperta fornace d’Occidente –
un ramo di melo in fiore.
Un manzo di fuligginoso bronzo
prende il fresco su di uno smeraldo
che sta frantumandosi in tizzoni di granito.
Fragili sono latte e sangue
nel vento rabbrividente che soffia dal mare.
Solo un fiore violaceo – questo amuleto
(di Prospero un tempo) – trattiene il tutto, un istante,
in un globo deterso di luce.
A Violet at Lough Aughrisburg.The tide-swell grinds crystal, under cliffs.// Against the opened furnace of the West–/ A branch of apple-blossom.// A bullock of sooted bronze/ Cools on an emerald/ That is crumbling to granite embers.// Milk and blood are frail/ In the shivering wind off the sea.// Only a purple flower – this amulet/ (Once Prospero’s) – holds it all, a moment,/ In a rinsed globe of light.
Uno sparviero
Scivola dalla coda dell’occhio – sorpassando
il tuo primo pensiero.
Attraverso il tuo meditante sguardo su un tratto di terra a caso
la raffreddata ala carbone del sole
aguzza l’occhio.
Quegli occhi nel loro elmetto
tuttora direttamente collegati
al nocciolo nucleare – loro soli
penetrano a laser il buco dalla forma di allodola
nel canto dell’allodola.
Trovi gli speroni caduti, tra ceneri soffici.
E forse lo troverai
materializzato dal tramonto e da rugiada
ancora come ascoltatore –
il guerriero
mantellina blu avvolta su di lui
che sta posato, ricurvo,
tra le querce dall’arpa.
A Sparrow Hawk. Slips from your eye-corner – overtaking/ Your first thought.// Through your mulling gaze over haphazard earth/ The sun’s cooled carbon wing/ Whets the eyebeam.// Those eyes in their helmet/ Still wired direct/ To the nuclear core – they alone// Laser the lark-shaped hole/ In the lark’s song.// You find the fallen spurs, among soft ashes.// And maybe you find him// Materialized by twilight and dew/ Still as a listener -// The warrior// Blue shoulder-cloak wrapped about him/ Leaning, hunched,/ Among the oaks of the harp.
Fonte
Da dove son venute tutte quelle lacrime?
Erano esse la polla naturale?
Lui era tornato, felicità,
lui aveva vinto la guerra.
A capotavola
ogni sera, così scoppiante di presenza
da allarmare i suoi figli. Che cercavano
le tue lacrime? Qualcosa da te perso? Qualcosa
che ancora duole? O
avevi preso l’abitudine,
forse durante la guerra, di collegarti
a qualcosa oltre la vita, un cordoglio
che ti risarciva
ed era necessario.
Eri così felice
che le tue cognate vissero amareggiate
dall’invidia di te. Le tue lacrime non avevano udito?
Ai passeri sul comignolo
non importava nulla di Dio,
facevano a meno del groppo di dolore,
dei dotti lacrimali, facevano semplicemente un lieve tonfo
quando il tuo figlio maggiore sparava loro, e cadevano [all’indietro
dentro la canna fumaria. Il tuo angustiarti
era il suo stesso accecamento. O era
accecato di lacrime del futuro? Il tuo futuro,
esaudendo le tue preghiere più segrete, ha messo rughe
come onorificenze sul tuo viso. Non importava alle tue [lacrime.
Ti avrebbero cercata
ovunque ti sedevi sola. Ti avrebbero trovata
(proprio come me
in quei pomeriggi temporaleschi e immoti
prima dei miei giorni di scuola). Là china
nella tua stanza di lavoro, sulla tua macchina per cucire.
Ti si accoccolavano addosso. Tu fermavi
l’ago e senza una parola
prendevi a piangere quietamente. Simile a un canto.
Senza badare ad altro, soltanto a piangere
del tutto, profondamente, come se finalmente
fossi arrivata, come se ora finalmente
potessi riposare, potessi abbandonarti totalmente
al lusso del puro piangere –
potessi dissolvere te stessa, me, tutto
nel sollievo stesso della tua strana musica.
Source. Where did all those tears come from?/ Were they the natural spring?/ He’d returned, happiness,/ He’d won the war./ End of the table/ Every evening, so bursting with presence/ He alarmed his children. What were your tears/ Looking for? Something you’d lost? Something/ Still hurting? Or/ You’d got into a habit,/ Maybe during the war, of connecting yourself/ To something beyond life, a mourning/ That repaired you/ And was necessary./ You were so happy/ Your sisters-in-law lived embittered/ With envy of you. Hadn’t your tears heard?/ The sparrows on the chimney/
Cared nothing for God,/ Did without the grief-bump,/ Tear-ducts, they simply went plop/ When your eldest shot them, and dropped backwards/ Into the soot-hole. Your sorrowing/ Was its own blindness. Or was it/ Blinded with tears of the future? Your future,/ Fulfilling your most secret prayers, laid wrinkles/ Over your face as honours. Your tears didn’t care./ They’d come looking for you/ Wherever you sat alone. They would find you/ (Just as I did/ On those thundery, stilled afternoons/ Before my schooldays). You would be bowed/ In your workroom, over your sewing machine./ They would snuggle against you. You would/ Stop the needle and without a word/ Begin to weep quietly. Like a singing./
With no other care, only to weep/ Wholly, deeply, as if at last/ You had arrived, as if now at last/ You could rest, could relax utterly/ Into a luxury of pure weeping –/ Could dissolve yourself, me, everything/ Into this relief of your strange music.
Note
1 Digitale in inglese è foxglove, dall’antico inglese foxes glosa, letteralmente guanto di volpe: rimando necessario per capire il riferimento alle volpi nel testo. Se ne ignora, etimologicamente, l’accostamento alla volpe. Glove, in italiano guanto, riconduce a una figurativa comunanza terminologica del latino digitalis.
2 Wild in inglese significa anche eccitatissimo, scatenato, sfrenato.
[«Widdop» e «It is all» da Remains of Elmet, con fotografie di Fay Godwin, Faber & Faber 1979; «Sunstruck Foxglove» e «In the likeness of a grass-Hopper», «A violet at Lough Aughrisburg» da Flowers and Insects, con disegni a colori di Leonard Baskin, Faber & Faber 1986; «A Sparrow Hawk» e «Source» da Wolfwatching, Faber & Faber 1989.]
© Ted Hughes

IL SERGENTE KARL
SULLA COLLINA


Ubaldo Bertoli

Karl Dronnher vedeva la propria faccia muoversi in smorfie inverosimili, riflessa dalla caraffa panciuta. Una faccia larga e polposa di tedesco, dalla aggressività misurata e dalla percezione durevole. Il vino denso, di un rosso illuminato, era uno sfondo piacevole. E piacevole era la luce domestica della sala.
– Buona gente, questa – pensava. Con l’occhio distaccato nella mite diffidenza controllava l’atteggiamento rispettoso degli ospiti e scorgeva la padrona di casa, sorridente, gonfia di amabile protezione, i denti d’oro invecchiato messi sul labbro come uncini. Il marito era incolore, inavvertibile. Batteva il coltello sul piatto, timidamente; il mento giallo di nicotina. Lui è un po’ stupido. E piccolo – pensò Karl. Spinse il busto, il braccio scavalcò la tavola, e prese ancora del cotechino, mentre gli ospiti fecero, quasi cantando: – Prego sergente! prego.
Sulla strada un carretto rotolò nel silenzio domenicale, gli zoccoli del cavallo sulla polvere fecero cioff e il sergente Karl Dronnher masticava dignitosamente, le guance bionde. Masticava preciso come un orologio, dicendo ogni tanto: – Bono cotechino, – e la sua mimica divoratrice pareva un ammonimento. La padrona, commossa, rispondeva: “Ja”.
A un certo punto Karl si mise a pensare al maggiore Maisher e questo fatto, in seguito, lo addebitò alla telepatia. Si mise a pensare, dunque, e trovò che Maisher aveva eccessive paure e che vedeva banditi dappertutto, persino sui campanili. Era grosso e ulceroso, il maggiore Maisher, comandante il presidio dei paesi pedemontani, e aveva gli occhi gonfi di lacrime rosse che non colavano mai.
– Storie! Banditi. Ribelli. Puh! – mormorò. L’ospite scoprì altri uncini e: – Come? – fece dentro l’impiastro di cipria.
– Storie – ripeté il sergente Karl. – Storie, Signora.
Come avesse capito, lei disse: – Già, storie – e abbassò le palpebre cerimoniose.
Sulla finestra batteva l’arancio del sole e si udiva il calmo rumore della masticazione. Troppa paura, pensava, e sorrideva. Karl Dronnher.
Poi la porta dietro la sua schiena si aprì come un colpo d’aria. Nessuno si mosse. Appena le guance si spostarono lievemente nella cauta sensazione di un fatto impossibile.
– Mani in alto! – La voce rintronò sulle stoviglie.
Il sergente Karl vide un buco giallo rosso allargarsi sulla faccia bianca della padrona di casa. Il coltello scintillava in un comico tremolio nel pugno giallo del marito. Strisciò un piede in avanti, per istinto, ma la sua volontà reattiva si frantumò: mani in alto!
La figura alta giovane e sottile, sorrideva sulla porta spalancata. Dronnher vide un naso decisamente aquilino, gli occhiali d’oro da studente e due labbra lunghe stranamente persuasive. Trovò un attimo per ripensare a Maisher e alzando le braccia, la schiena, tutto il corpo massiccio, sentì la pistola appesa al cinturone oscillare sulla natica.
Sul sentiero il sergente Karl acquietò l’umiliazione della cattura. Udiva il passo leggero, quasi danzante, del giovane dietro di lui, il fiato agile. La collina verde nera, s’accucciava interminabile nella notte. I muri delle case che rasentavano i boschi parevano lenzuola sporche. L’odore dell’erba sovrastò il silenzio, e Karl ricordò i meli folti di Stoccarda, tante altre cose di Stoccarda, ma un naso tremendamente aquilino con occhiali d’oro gli passava nel cuore. E quel naso era dietro, camminava e soffiava, leggero, sibili aggressivi e la faccia grassa del maggiore Maisher rideva contro la collina; lenta, grinzosa, alle borsette degli occhi annebbiati. E la collina era verde nera, con un gracile ventaglio di luce alla cima.
– Alt! – fece il naso aquilino. Karl si volse e vide l’arma oscillare sulla spalla del giovane; un oggetto semplice, frivolo, mai visto così. Pareva che non potesse sparare.
– Fermo lì – ripeté il giovane con voce stranamente conciliativa. Tese il capo verso le siepi. Uno scalpiccio saliva misurato e Dronnehr trovò che era cupamente tranquillo. Poi qualcosa apparve: una barba scura.
Si avvicinò, morbida. Esclamò: – Toh! Marco! – e mise due occhi di un liquido nero sul prigioniero. Restò così e la barba pareva la coda di un uccello.
– Che fai, qui, Pedro? – chiese il naso aquilino.
– Devo andare a B. – rispose la barba. – Novità? – e rimise gli occhi su Karl.
– Giù è abbastanza quieto. Ho preso costui.
– Dove lo meni?
– Lo porto su.
– Mi sembra un bel bestione.
– È tranquillo.
– Beh, ciao Marco. Salutami tutti. – La barba nera scivolò nell’ombra e si udì lo sfregare dei chiodi sui sassi.
– Buona fortuna – gli mandò dietro Marco e rivoltandosi disse piano. – Cammina. Weg!
Ripresero a camminare. Dronnehr pensava che Marco era un nome simpatico, e anche Pedro, tutti e due; parlavano in un modo che se ci fosse stato Maisher non avrebbe avuto nulla da dire. Quel weg poi, pronunciato così cantante, non aveva niente di pericoloso, almeno per il momento. Sentiva il desiderio di parlare, l’altro gli stava dietro come un ramo di siepe, leggero e lungo nell’ombra sotto la luna. Ma pensò che forse era meglio proseguire così, con quel resto di dubbio lasciatogli dalla lontana presenza del maggiore Maisher, e sulla natica, dove era prima la pistola, sentì il fresco vuoto dell’aria.
L’uomo agitò un braccio. Stava sul vuoto del portico, la testa arruffata, dove luccicavano fuscelli di paglia, gli occhi impiastricciati di sonno, smorti come la pelle del braccio. Oltre la casa, più in là, dietro le querce una striscia bianchiccia serpeggiava nel cielo basso e il vento trascinava un odore tepido di letame.
L’uomo curvò la mano sulla bocca e fece un grido lungo: – Oeh, Marco! – Poi s’infagottò e corse dall’altra parte, e un catenaccio cigolò; si mossero voci corrose, come avvolte da un fumo, e una donna apparve dal finestrino più alto.
Il sergente Karl s’avvide di essere al centro della collina e di tanti movimenti che nascevano alla luce confusa.
Due figure avanzarono, poi altre, tante a semicerchio: caute, imprecise. Osservò mentalmente che era quello uno strano modo di apparire, di avanzare come fosse un agguato. Poi si formò un cerchio scuro e silenzioso e Karl si sentì nel centro, paurosamente, col solo contatto del respiro di Marco. Vedeva una riga di occhietti grigi e aspettava u...

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  1. Copertina
  2. Nuovi Argomenti (8)
  3. ARGOMENTI
  4. DESTINI RAPPRESENTATIVI
  5. SCRITTURE
  6. CANTIERE
  7. INDICE DELLE ANNATE
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