LA LETTERATURA ANGLOFONA IN
CANADA NEL NUOVO MILLENNIO
Branko Gorjup
“La letteratura di un popolo diventa nazionale alla stessa velocità in cui tende all’universale”
Leon Rooke
Una volta, citando una vecchia battuta, Northrop Frye, il famoso critico letterario canadese, disse che gli Stati Uniti erano passati “dalla barbarie alla decadenza senza attraversare la fase di civilizzazione” e che il Canada si era trasformato da “stato pre-nazionale a stato post-nazionale” senza essere mai diventato una nazione. A onor del vero, Frye notò quanto la battuta fosse ormai datata se riferita agli Stati Uniti, ma che esprimesse ancora il senso di un destino per il Canada. Questo avveniva nel 1980, ma la battuta risaliva a molto tempo prima. Oggi, la maggior parte dei critici sostiene che il Canada non è solo uno stato postnazionale ma anche postmoderno, ideologicamente contrario a qualsiasi tipo di identità stabile o monolitica. Il terreno letterario canadese, come intende illustrare questa scelta di recenti scritti di lingua inglese, fa parte di un immenso, interattivo campo globale (non a caso Marshall McLuhan è canadese).
Storicamente, il Canada è sempre stato problematico per i suoi abitanti, sempre in crisi, sempre al limite di una rottura per la minaccia di contraddizioni interne. A causa del passato politico, dell’area geografica francese, inglese e nordamericana, il Canada, come ex colonia, ha avuto uno sviluppo imprevedibile, tipico di un paese postcoloniale in cerca di nazionalità e identità culturale. All’inizio della sua storia – per quasi due terzi del XIX secolo – la popolazione bianca era stata per lo più impegnata nell’opera di colonizzazione, che si concluse al tempo della Confederazione nel 1866. La fase successiva, intesa a costruire una nuova nazione, registrò un’inversione di tendenza con il graduale sviluppo di un processo di decolonizzazione, soprattutto nell’immaginario. In questo periodo, per circa cento anni, si è privilegiato lo sviluppo della letteratura nazionale, in funzione unicamente utilitaristica. Critici ed intellettuali si sono preoccupati soprattutto delle finalità della letteratura – particolarmente nella sua dimensione nazionale – piuttosto che del suo valore assoluto. L’accento era sul contenuto, o meglio sui temi “canadesi”, infatti si riteneva che la nuova letteratura dovesse riflettere l’immagine dei canadesi come popolo, da non confondersi con gli inglesi o gli americani. Secondo questa visione, la responsabilità primaria di uno scrittore era mitopoietica, il che significava valorizzare la letteratura per la sua capacità di forgiare lo spirito creativo di una nazione.
Ma il compimento del progetto nazionale è stato più volte procrastinato. È chiaro che la battuta di Frye sul Canada ha anticipato il futuro smantellamento della nozione ottocentesca romantica e anacronistica di stato moderno – una nazione, un popolo, uno spirito creativo – principio che per la maggior parte dei canadesi divenne sospetto man mano che il paese cominciava ad accettare l’idea di una società multiculturale e multirazziale. Specialmente nell’ultimo ventennio si sono prese le distanze dal vecchio paradigma nazionalistico – in cui i temi della colonizzazione, della costruzione di una società civile in un ambiente naturale ostile erano improntati alla visione anglosassone – privilegiando l’attuale concezione post-nazionalista del Canada, ora visto come società pluralista. Questa tendenza verso una percezione decentrata e variegata della realtà sembra aver attratto i lettori di tutto il mondo.
L’accettazione della “diversità” da parte dei canadesi ha accelerato la scomparsa delle ultime tracce di un Canada “unico”; questo processo ha coinciso con l’affermarsi del femminismo negli anni sessanta e del post-colonialismo negli anni ottanta. Tali movimenti – paralleli al consolidarsi del pluralismo culturale – hanno offerto una serie di punti di riferimento per una nuova società che prevede una quota ufficiale di immigrazione di duecentomila persone all’anno. Di conseguenza, la scrittura contemporanea canadese ha mutato ottica in termini sia estetici, sia esistenziali ed è divenuta un luogo dove è possibile affermarsi solo attraverso la molteplicità delle differenze. Differenze che possono sfociare in un progetto utopistico, ma che finora sono risultate gestibili e hanno apportato sensibili benefici alla produzione culturale. Poiché la scrittura contemporanea canadese si definisce tramite la circolazione di “culture”, la contaminazione e l’illimitata riproduzione di realtà variegate, offre una lettura particolare di ciò che costituisce una nazione o una letteratura nazionale. I temi canadesi non sono più la norma. La lotta dell’individuo con la natura è accantonata dagli scrittori, che oggi esplorano argomenti di interesse generale.
In Parlare canadese: Le ironie dell’arte e della letteratura canadese, Linda Hutcheon offre un termine significativo per la presente scelta di testi, introducendo l’idea del “parlar doppio”, della lingua biforcuta tipica dell’inglese parlato in Canada. A causa dell’intrinseca dualità della nazione canadese, gran parte degli autori prescelti, di origini diverse, assumono un atteggiamento nei confronti della scrittura che segue un percorso di duplicità stilistica, emotiva e tematica.
L’idea del “parlar doppio” nella scrittura si ricollega all’ironia, ma anche all’idea della duplicità e del gioco, che si accompagnano al principio postmoderno per cui il fatto di trovarsi in un determinato luogo, non esclude necessariamente di potersi trovare anche “altrove”. Il mondo di chi scrive non è più simmetrico, costruito per contrasti, esclusivo. Al contrario è asimmetrico, ibrido, inclusivo. Dal momento che il Canada come paese ha avuto solo una breve storia letteraria di circa centocinquanta anni, che si è sviluppata con una lingua “presa in prestito”, l’inglese, è sempre stato difficile per gli scrittori contemporanei canadesi essere originali, se non ritornando alle origini della propria lingua, al mito, alla grande narrativa. Hanno dovuto eliminare il tempo, appropriandosi di ogni elemento cronologico come fonte creativa. Di conseguenza, questi testi offrono al lettore un viaggio attraverso il tempo; e poiché la lingua presa in prestito ha assorbito altre lingue – ebraico, greco, latino, indù, ojibway – anche attraverso lo spazio. Il lettore entra sempre in un paesaggio duplice dove le memorie culturali che costituiscono una più vasta storia umana devono essere costantemente decodificate e ricodificate.
L’insieme di questi fattori rende L’usignolo di Margaret Atwood e Il libro di Isaia di Anne Carson moderni e antichi a un tempo. Entrambi i testi sono strutturati in modo da coinvolgere il lettore in avvenimenti vicini alla sua esperienza tramite la rilettura di antichi miti classici e biblici, da un punto di vista femminile, processo che implica il “controllo” del materiale narrativo. Analogamente, le poesie di Janice Kulyk Keefer sono un’espressione ironica delle donne che erano state tradizionalmente conquistate dallo sguardo maschile.
La duplicità è presente in Il melone di Raffaello dove l’arte emerge, ironicamente, per quello che vale per i singoli individui da cui è considerata sempre e soltanto come bene di consumo, oggetto di desiderio. Il valore del dipinto di Raffaello, raffigurante un melone, equivale, per la protagonista femminile del racconto, a quello di un paio di scarpe rosse, secondo l’intensità del desiderio da lei provato per queste ultime.
In modo altrettanto coinvolgente, autori tra loro diversi, come David Young, Anne Michaels e Keath Fraser, indagano la duplicità con un tono più intimo e immediato, appropriandosi della voce di altri. Così Glenn Gould, il celebre ed eccentrico pianista, è una presenza moltiplicata con cui Young esplora l’arte dell’interpretazione, e lo stesso Gould propone una personale rilettura di Bach in termini di “silenzio” – silenzio nello studio di registrazione, da una parte, e nel Grande Nord canadese, dall’altra. La Seconda ricerca, l’intenso componimento elegiaco di Anne Michaels, è un incontro finemente strutturato, un dialogo tra la voce narrante e Maria Curie, ispirato ai “quaderni grigi”, il diario scritto dopo la tragica scomparsa del marito, Pierre Curie. Questa appropriazione – l’uso narrativo di un personaggio storico – contribuisce, secondo la Michaels, a scavare più a fondo nella propria esistenza: un personaggio può essere una guida che dà allo scrittore il coraggio di “esplorare un territorio difficile”. Il Thesaurus di Roget è una breve autobiografia rubata del famoso collezionista e classificatore di sinonimi, Peter Mark Roget, in cui una delle più grandi e ambigue invenzioni umane, il linguaggio stesso, è percepito in termini di relazioni. Di conseguenza il Thesaurus di Roget è un luogo in cui le parole sono raggruppate in famiglie create da “idee come Spazio, Tempo e Affetto” e dove diventano “discendenti che si ritrovano, cugini che si incontrano, falsi amici che socializzano...” Tutto questo ci ricorda che la struttura del linguaggio è sempre ironica perché ciò che si dice è sempre diverso da ciò che si intende dire.
Lingua biforcuta significa anche trasformazione. Gli individui cambiano quando si muovono da uno spazio linguistico all’altro, anche quando è coinvolta la lingua inglese. Questo è particolarmente vero nella scrittura degli immigrati, come nelle poesie di Dionne Brand tratte da Terra su cui posare. Sono versi che non interessano solo per il loro contenuto – una donna nera di Trinidad combattuta tra due paesaggi, uno tropicale, lussureggiante, putrido, l’altro bianco, astratto, asettico – ma anche per la loro mescolanza linguistica di canadese standard con l’inglese colloquiale caraibico. Questa contaminazione incrociata rende autentica e legittima la posizione della voce narrante all’interno della società multirazziale in cui ora si trova e le permette di esplorare le memorie contenute nelle tradizioni orali del suo predecessore africano, di risalire ai tempi dello schiavismo.
Il concetto di lingua biforcuta assolve però un’altra funzione, e cioè quella dell’individuo che reinventa se stesso e persino si diverte ad ingannare gli ingenui sino all’impostura. Ecco a voi Lotta Hitchmanova di M.A.C. Farrant è una divertente parodia che capovolge il concetto di ambasciatore di buona volontà, di persona che ha il compito di aiutare i poveri e gli emarginati. Lotta, l’imbrogliona: il modo di parlare, il fare sofisticato, il modo di vestire e di vivere sono congegnati per mettere in evidenza il suo ruolo da samaritana. Ma lei non solo recita senza sbavature il ruolo di Lotta, lo recita con successo fingendo di essere la leggendaria Lotta; e ci riesce.
Il lettore noterà quanto varia sia questa scelta di autori canadesi contemporanei. Viene indicata così la molteplicità di rappresentazioni narrative in cui l’individuo, o un’intera cultura, si trovano, alla costante ricerca di uno spazio immaginario, dove i riferimenti concreti o i segni permanenti diventano l’esile memoria di altri tempi. Gli autori qui riuniti, raccontano la vita in un paese multietnico, post-nazionale, il cui senso di sé non può essere che versatile, elusivo, articolato, con la lingua biforcuta. La duplicità del Canada di oggi potrebbe, a ragion veduta, diventare una metafora del mondo di domani.
Traduzione di Anna Maria Chiavatti
Branko Gorjup, professore di letteratura canadese è autore di numerose antologie di racconti, tra cui Musica Silente ed Altre Terre. Cura l'edizione bilingue di poesia contemporanea canadese per l'editore Longo di Ravenna, che include opere di Margaret Atwood, Irving Layton, Gwendolyn MacEwen, Michael Ondaatje, P.K. Page, Al Purdy. È autore di due testi critici su Northrop Frye, editi rispettivamente da Bulzoni, Roma e da Legas, Ottawa-New York.
«PARLARE CANADESE»:
LE IRONIE DELL’ARTE E DELLA
LETTERATURA CANADESE
Linda Hutcheon
E.D. Blodgett qualche tempo fa definì il “canadese” che parliamo “una lingua mista, di norma ambigua, sempre aperta a possibili vie di fuga… senza mai andarsene di casa”. A questo aggiungerei anche che spesso, “di norma” o per preferenza, è ironica. Spinta dall’ossessione di articolare la propria identità, la voce canadese molte volte è doppia: è la lingua biforcuta dell’ironia. Sebbene generalmente concepita come arma retorica di difesa o di offesa, l’ironia (nel senso semantico basilare di affermare una cosa e significarne un’altra) è anche una modalità di “linguaggio” (per ogni mezzo espressivo) che permette a chi parla di affrontare qualsiasi discorso “ufficiale” e allo stesso tempo di mettersi in confronto con esso, vale a dire, di operare entro la tradizione dominante, ma anche sfidarla dal di fuori, senza rimanerne totalmente imprigionati. È la voce di Al Purdy quando risponde a quei canadesi che vogliono sapere cosa significhi per lui “essere canadese” in un contesto nordamericano e post-coloniale: “Ma voi volete gli eroi, volete la storia, voi volete, volete… volete Lindbergh, volete George Patton, o forse personaggi come Churchill e Wellington? Vi accontentereste di Norman Bethune, John A. e J.S. Woodsworth?” Qui i...