Il linguaggio segreto dei bambini
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Il linguaggio segreto dei bambini

  1. 372 pagine
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Il linguaggio segreto dei bambini

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C'è un'età nella vita di ogni bimbo, e di ogni genitore, nella quale tutti i giorni sono una scoperta, una sfida, spesso una lotta. Daquando imparano a camminare a quando iniziano a frequentare la scuola materna, i piccoli non desiderano altro che acquisire indipendenza, sperimentare le propriecapacità, mettere alla prova la pazienza di chi li accudisce e la solidità delle regole.Spesso in questo periodo i genitori, che pensano di essersi lasciati alle spalle la fasepiù faticosa delle poppate infinite, delle coliche e delle notti in bianco, vanno in crisi.Risolte le difficoltà dei primi mesi, infatti, ne sorgono di nuove. Ma gestire i bambinida uno a tre anni, sempre pieni di energia, sempre a caccia di guai, sempre pronti adire "No!", è tutt'altro che una missione impossibile: Tracy Hogg, celebre per il suometodo di puericultura destinato ai neonati, lo insegna in questo libro, che guida tuttii genitori verso la conoscenza del proprio figlio e il riconoscimento della sua unicità, per spiegare poi come gestire i momenti più delicati - dalla socializzazione all'usodel vasino -, come instaurare una sana routine, come aiutare i piccoli nelle nuoveesaltanti esperienze che aspettano loro e i genitori di giorno in giorno.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
ISBN
9788852046407
IV

Basta con il pannolino: a grandi passi verso l’indipendenza

I paragoni sono odiosi.
DETTO POPOLARE DEL XIV SECOLO
È bello avere una meta per viaggiare; ma quel che conta, alla fine, è il viaggio.
URSULA K. LE GUIN

Prima non è meglio

Poco tempo fa sono andata a trovare Linda: sua figlia, Noelle, aveva appena un mese. Il suo bambino di quindici mesi, Brian, stava giocando con Skylar, il suo miglior amico. Naturalmente, visto che stavo scrivendo questo libro, prestai particolare attenzione ai due bambini (con mia grande fortuna, durante la prima ora della mia visita la piccola Noelle dormiva profondamente).
Mentre osservavamo i due maschietti, Linda spiegò che lei e Sylvia, la mamma di Skylar, si erano conosciute nel corso di un seminario riservato ai genitori quando erano entrambe incinte, e avevano scoperto con gioia di essere vicine di casa. Anche quel giorno, come in altre occasioni, se una delle due aveva un appuntamento o una commissione urgente, di solito l’altra si prendeva cura dei bambini. Di conseguenza, i loro figli avevano trascorso del tempo insieme fin dalla nascita. Mentre giocavano, Linda si rivolse a me e spiegò, quasi con tono di scusa: «Sai, Skylar fa tutto per primo. È perché è nato tre settimane prima di Brian». Poi, con un chiaro accenno di ansia nella voce, si affrettò ad aggiungere: «Ma anche Brian se la cava bene, non ti pare?»
Triste a dirsi, conosco molti genitori come Linda. Invece di godere di ogni fase dello sviluppo e di apprezzare il momento della vita che il figlio sta attraversando, non fanno che misurare i suoi progressi, ne fanno un dramma, cercano di spingere il piccolo ad andare più «svelto». Tendono a paragonare il loro bambino agli altri. Ogni volta che si trovano in un gruppo di piccoli, al parco giochi, con altri bambini a casa di qualcuno, sembra di essere a un concorso. La mamma del piccolo che cammina per primo si vanta; le mamme di quelli che ancora non camminano sono a disagio. E magari chiedono: «Perché Karen non lo fa ancora?» oppure, come Linda, cercano delle scuse: «Lui è nato tre settimane dopo».
Poco tempo fa sono andata al compleanno di due bimbe di un anno, Cassy e Amy, nate esattamente lo stesso giorno. Cassy trotterellava qua e là piuttosto bene, mentre Amy riusciva a malapena a tirarsi in piedi. Tuttavia, Amy era già in grado di nominare degli oggetti e di chiamare il suo cane per nome. Inoltre, sapeva che quel grosso e rombante veicolo che percorreva la strada era un «amio» (un camion), proprio come l’«amio» giocattolo che aveva a casa. Osservando Amy, la mamma di Cassy mi disse: «Come mai Cassy non parla ancora?». Non poteva saperlo, ma qualche minuto prima la mamma di Amy mi aveva chiesto: «Come mai Amy non cammina?». Spiegai alle due mamme che quando un bambino è in anticipo sullo sviluppo fisico, spesso è un po’ in ritardo nel linguaggio, e viceversa.

NIENTE ESIBIZIONI, PER FAVORE

«Guardate» disse Madre Orgogliosa ai suoi ospiti «ora riesce a battere le manine.» Poi, mentre il povero, piccolo tesoro se ne stava lì tranquillo, continuò con aria triste: «Ma l’ha fatto proprio stamattina!».
I bambini non sono fenomeni da circo. I genitori non dovrebbero chiedere loro di esibirsi per i nonni o per i loro amici adulti. Il figlio di Madre Orgogliosa forse non ha capito le parole della mamma, ma di certo ha udito il tono della sua voce e ha visto la delusione sul suo viso quando lui non ha eseguito la sua richiesta.
I bambini fanno esattamente quello che possono, quando possono. Se riescono a battere le mani, lo fanno. Non si trattengono di proposito. Chiedendo a vostro figlio di fare una cosa che può aver fatto una sola volta, gli preparate un futuro di fallimento e delusione. E se, per caso, si esibisce secondo il vostro suggerimento, magari otterrà un applauso, ma in quel caso voi lo apprezzerete per la sua abilità, invece di applaudirlo per quello che è.
I paragoni sono soltanto una parte di un problema iniziato addirittura nell’infanzia. I genitori considerano le normali fasi dello sviluppo come fossero successi del figlio: «Guarda, riesce a tenere su la testa»; «Oh, riesce a girarsi sulla schiena»; «Adesso può stare seduto»; «Miracolo, si regge in piedi!». Io trovo persino divertenti questi commenti, perché non si tratta di successi. Sono il modo scelto da Madre Natura per dire: «Attenzione: il vostro bambino si sta preparando al prossimo passo».
Parte della pressione che grava sulle spalle dei genitori spesso è dovuta ai continui commenti dei nonni. Una frase come «Perché Lucia non sta ancora in piedi?» detta da un genitore o da un suocero è sufficiente per far andare nel pallone qualche mamma e qualche papà. Peggio ancora sono alcuni commenti come: «Non credi che dovresti tenerla su in modo che impari come stare seduta?». Dio ce ne scampi! Questo implica non solo che la piccola Lucia è un po’ lenta, ma anche che mamma e papà non stanno facendo abbastanza.
Naturalmente, è normale per genitori e nonni essere eccitati per le crescenti capacità del bimbo. Ed è normale che si faccia qualche paragone, anzi, è perfino desiderabile, sempre che si osservino gli altri bambini con uno sguardo non competitivo. Certamente può essere rassicurante vedere con i vostri occhi che, nell’ambito di una sfera di sviluppo «normale», esiste una vasta gamma di comportamenti e di fasi di crescita. Tuttavia, quando i genitori si fanno coinvolgere troppo nei paragoni o quando cercano di accelerare il processo «addestrando» il figlio, gli fanno una grande ingiustizia. Invece di aiutarlo a portarsi avanti, è probabile che gli trasmettano ansia.
Per mettere fine ai paragoni ed evitare che i genitori incitino troppo i figli, la mia gestione dei gruppi di gioco è molto rilassata. Seguo un mio schema: per esempio, faccio ascoltare un po’ di musica al termine di ogni sessione al fine di creare un’atmosfera piacevole e rilassante per concludere. Ma resto a distanza di sicurezza da qualsiasi cosa si avvicini, anche soltanto lontanamente, all’insegnamento, perché il nostro scopo è la socializzazione, non l’educazione. Da quello che ho sentito e visto in altre classi, però, non è sempre così. In alcuni gruppi di bambini invece di insegnare ai genitori a osservare i segnali indicanti quando il piccolo è pronto a camminare, l’istruttrice suggerisce alle mamme e ai papà di tenere il figlio in piedi, per rinforzare le sue gambine e quindi fare in modo che stia in piedi da solo quanto prima.
Il problema è che mentre alcuni bambini staranno in piedi (perché per loro è arrivato il momento di farlo), altri non ci riusciranno. Fidatevi, miei cari, una mamma può passare tutta una dannatissima ora, settimana dopo settimana, cercando di tirare su suo figlio, ma il piccolo ripiomberà a terra nel momento esatto in cui gli lascerà le manine, a meno che non sia pronto a tenersi in piedi. Invece di accettarlo, a questo punto i genitori acquistano un trabiccolo fatto apposta per fare camminare il piccolo «prima».

ANCORA H.E.L.P.

Fate un passo indietro: aspettate che vostro figlio vi segnali di essere pronto, prima di intervenire.
Incoraggiatelo a esplorare: date a vostro figlio delle opportunità in base al suo livello di sviluppo, in modo che affronti nuove sfide e impari a fare sempre più cose.
Ponetegli dei limiti: restate all’interno del «triangolo dell’apprendimento» (vedi pp. 117-118), assicurandovi di non lasciare mai che il bambino tenti qualcosa che lo possa portare a uno stato di frustrazione o di emotività estreme o di pericolo.
Lodatelo: apprezzate un lavoro ben fatto, una nuova competenza acquisita, un comportamento degno di ammirazione, ma senza mai esagerare.
Quanto accade in seguito è ancora più frustrante. Quando il piccolo ripiomba a terra, mamma e papà sono delusi. Gli altri bambini del gruppo sono «più avanti». E secondo voi come si sentirà il bambino? Come minimo, sarà confuso: «Perché mai i miei genitori mi tirano su di continuo e hanno un’aria così triste?». Nella peggiore delle ipotesi, questo è l’inizio di uno schema che si ripeterà per tutta la vita e che può ledere la sua autostima. «Non soddisfo le aspettative dei miei genitori, non mi amano per quello che sono, quindi probabilmente non sono un granché.»
La verità è che, verso i tre anni, quasi tutti i bambini sono più o meno allo stesso livello, qualsiasi cosa i genitori abbiano fatto per loro (altro che portarsi avanti!). Lo sviluppo segue quella che io chiamo una progressione naturale: avviene automaticamente. Alcuni bambini si sviluppano fisicamente prima, altri compiono prima dei passi avanti mentali o emotivi. Qualunque sia il loro percorso, probabilmente seguono i passi dei loro genitori, perché il tasso e lo schema di sviluppo è in buona parte un fenomeno genetico.
Ciò non significa che non dobbiate giocare con vostro figlio o incoraggiarlo. Non significa che dobbiate rifiutarvi di aiutarlo quando mostra interesse per qualcosa di nuovo. Significa, invece, che dovete essere per lui una guida che resta a osservare, e non un insegnante che pungola e incita. Sono decisamente a favore di tutto quello che rende i bambini indipendenti, ma voi dovete dare al vostro piccolo il tempo per diventarlo. Dovete lasciare che siano il suo corpo e la sua mente a prendere il comando, invece di spingerlo a «eccellere».
In questo capitolo vi aiuterò a valutare i segnali da individuare, quando intervenire, e che cosa potete fare per guidare il naturale corso di sviluppo del bambino verso la sua crescente indipendenza. In queste pagine ci occuperemo di molti argomenti: dalla mobilità al gioco, dal mangiare al vestirsi e imparare a usare il vasino (nei prossimi due capitoli prendo in considerazione la crescita cognitiva, emotiva e sociale). Prima di leggere le prossime sezioni, vi esorto ancora una volta a ricordare il mantra H.E.L.P.

Attenzione, bambini in libertà!

La forza che guida i bambini da uno a tre anni è la mobilità. Il vostro piccolo è in moto e non ha intenzione di fermarsi. Nella sua mente, tutto il resto (compresi, sfortunatamente, cibo e sonno) è un impedimento al suo procedere. Ma pensate a quanto questo sia meraviglioso: nei primi nove o dieci mesi di vita, vostro figlio si è già trasformato da una creaturina bisognosa di tutto, che riusciva appena a controllare il suo corpo, a un bambino capace di schizzare per la casa su qualsiasi cosa lo possa far andare avanti: ginocchia, sederino, o piedi. Ma soprattutto, l’aumento delle sue capacità fisiche gli fornisce un nuovo punto di vantaggio. Il mondo sembra diverso quando riesci a stare seduto, ed è ancora più diverso quando riesci a stare in piedi. E, cari amici, quando puoi camminare senza l’aiuto di nessuno, allora sei in grado di avvicinarti alle cose che ti piacciono e di allontanarti da quelle che ti spaventano. In altre parole, sei padrone di te stesso!
Tenete a mente che ogni gradino nella scala dello sviluppo si presenta senza fretta e quando è arrivato il momento giusto. Dopo tutto, a otto mesi un bimbo non sta veramente «seduto». Dalla nascita in poi il suo corpo continua a maturare, i suoi arti si rinforzano. In genere sono necessari circa due mesi perché passi dallo stare seduto precariamente da solo all’essere in grado di mettersi a sedere da solo. Lo stesso si può dire per il gattonamento. Dal momento in cui vostro figlio inizia a «nuotare» sulla pancia, scalciando, inizia a fare pratica delle diverse componenti del gattonamento. Serviranno altri quattro o cinque mesi perché tutti gli elementi necessari si incastrino alla perfezione.

L’ENIGMA DEL GATTONAMENTO

È stato ormai ampiamente riconosciuto che alcuni bambini passano direttamente da stare seduti a stare in piedi. E il loro numero sta aumentando. Secondo gli scienziati, la ragione è che ora i bambini passano molto meno tempo stesi a pancia in giù, come conseguenza dei timori per la Sindrome della morte in culla.
Prima del 1994, quando fu lanciata la campagna «Back to sleep» (un gioco di parole che significa sia «tornare alla nanna» sia «fare la nanna sulla schiena»), la maggior parte dei bambini veniva messa a dormire a pancia in giù. Per avere una visione migliore del mondo, i piccoli imparavano a sollevarsi su braccia e gambe: un gesto che poi portava al gattonamento. Ma ora in genere ai genitori si consiglia di mettere a dormire i piccoli sulla schiena, e i bambini non hanno bisogno di girarsi.
Due recenti studi, uno americano e uno inglese, sono arrivati alla conclusione che molti bimbi abituati a dormire sulla schiena (un terzo, secondo la ricerca negli USA), non si girano e non gattonano secondo i tempi stabiliti e che alcuni saltano completamente la fase del gattonamento. Ma non preoccupatevi se anche il vostro piccolo fa così. A diciotto mesi, in pratica non esistono differenze nello sviluppo tra chi gattona e chi non lo fa: e tutti cominciano a camminare alla stessa età. Non esiste alcuna validità in quello che un tempo si credeva, ossia che il gattonare fosse necessario per lo sviluppo del cervello.
La tabella alle pp. 114-115 illustra le pietre miliari della mobilità, ossia le tipiche fasi dello sviluppo che trasformano il neonato in un bambino. Non c’è bisogno di dire che con la maturazione della fisiologia del piccolo, aumentano anche il suo senso del sé e la sua consapevolezza sociale, la sua capacità di gestire lo stress e la separazione. Non possiamo fingere che le diverse aree dello sviluppo non abbiano a che fare l’una con l’altra. Eppure, la capacità fisica è un buon punto di partenza. La fase in cui si trova l’organismo del bambino determina se lui possa stare seduto a tavola e mangiare, che tipo di giochi può usare, il modo in cui si comporta quando è con altri coetanei.
Leggendo la tabella, tenete a mente che il controllo precoce dei muscoli è una faccenda, in qualche misura, ereditaria. Anche se circa metà di tutti i bebè riesce a stare più o meno in piedi verso i tredici mesi, se voi o il vostro coniuge avete camminato più tardi è molto probabile che anche il vostro piccolo percorra queste fasi un po’ dopo rispetto ai suoi amichetti. Alcuni poi recuperano il tempo perduto; altri impiegano qualche anno a farlo. A due anni, è possibile che vostro figlio non sia agile quanto i suoi coetanei che sanno già saltare e correre, ma a tre anni le differenze, se ancora esisteranno, saranno minime.
Qualunque sia il personale tasso di sviluppo di vostro figlio, lungo la strada ci saranno cadute e delusioni, e persino qualche passo indietro. Se oggi cade malamente e si fa male, è più che comprensibile che domani sia un po’ timoroso all’idea di rialzarsi. Ma non preoccupatevi: ben presto riprenderà da dove aveva interrotto. Lui si farà sempre più sicuro sulle gambine, e voi nel frattempo incoraggiatelo a provare a camminare su diversi tipi di superficie, per migliorare il suo controllo motorio.
Consiglio. Quando vostro figlio cade...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il linguaggio segreto dei bambini
  4. Introduzione
  5. I. Imparate ad amare il vostro bambino
  6. II. Un aiuto per i problemi di tutti i giorni: H.E.L.P.
  7. III. Routine e rituali: la vita del bambino non è un tiro alla fune
  8. IV. Basta con il pannolino: a grandi passi verso l’indipendenza
  9. V. E adesso parla!
  10. VI. Aiutate vostro figlio a capire come funziona il mondo
  11. VII. Disciplina consapevole: come insegnare a vostro figlio l’autocontrollo
  12. VIII. I «rubatempo»
  13. IX. La famiglia cresce
  14. Qualche considerazione conclusiva
  15. Ringraziamenti
  16. Copyright