Una famiglia come un'altra
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Una famiglia come un'altra

  1. 180 pagine
  2. Italian
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Una famiglia come un'altra

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Secondo gli ultimi rilevamenti dell'Istat in Italia ogni anno ci sono più di 50.000 divorzi e quasi 90.000 separazioni. E questo significa che sono decine di migliaia i minori che si trovano a vivere la dissoluzione del nucleo familiare originario e in molti casi la formazione di uno nuovo. Le famiglie allargate sono una realtà ben presente nella società italiana, con tutto ciò che comportano: fratelli che hanno genitori diversi, coppie padri-figli che si scompongono e ricompongono nei fine settimana, "vicemadri", "secondipadri", "figli acquisiti". Un fenomeno in crescita, insomma, che in questo libro Irene Bernardini analizza dal punto di vista dei bambini: perché sono loro che, soprattutto nel quadro di queste famiglie oggettivamente più complesse e complicate, ci chiedono di andare oltre i vecchi schemi, di reinventare nuovi modi di fare famiglia. Ma sono anche loro che ci rendono capaci di farlo. E che accompagnano l'adulto nel faticoso, ma tutt'altro che impossibile cammino verso una nuova possibilità di essere, tutti, felici.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
ISBN
9788852047176

VII

L’angelo del focolare e la rovinafamiglie

Se nel nostro viaggio attraverso le varie prospettive della famiglia allargata ci soffermiamo, sempre assumendo l’angolo visuale dei bambini, sulle dinamiche originate o correlate alla nuova unione di papà, può accadere che ci si imbatta in contrasti radicali. E questo perché nella complessa scena degli affetti disegnata dal costituirsi di una nuova famiglia sul versante paterno si fronteggiano due donne: ovvero due persone che quando si tratta di figli, di famiglia, di sentimenti, di primati affettivi, di potere nei rapporti non badano, per così dire, a spese. Danno tutto di sé: tutto il meglio e tutto il peggio. Se il difetto di certi uomini può essere quello di latitare o di essere recalcitranti nell’assumersi responsabilità affettive e educative nei confronti dei figli della propria compagna, è raro poter dire altrettanto delle donne.
Le protagoniste
In tema di famiglia, vecchia o nuova che sia, alle donne tocca, nel bene e nel male, la parte delle protagoniste, anzi delle registe. È un ruolo gravoso, di grande responsabilità, qualche volta molto gratificante, più spesso solitario e poco apprezzato e valorizzato.
Nel complesso intreccio familiare che collega, oppure oppone, vecchie e nuove unioni, le donne possono trovarsi a giocare parti diverse e speculari e a volte anche più parti allo stesso tempo, ma tutte decisive: c’è la mamma che deve o dovrebbe imparare ad accettare che i propri figli entrino in relazione e stabiliscano legami affettivi con la nuova compagna dell’ex marito e con i figli che nascono dalla loro unione; c’è la donna – ed è una parte non meno difficile per molti aspetti – che si unisce a un uomo che ha già avuto una famiglia; c’è quella che deve trovare il modo di integrare il rapporto con i propri figli con la relazione o la convivenza con il nuovo partner e, se nascono altri bambini, cercare l’equilibrio tra i fratelli.
Capita non di rado che alla donna tocchi assumersi più d’uno di questi ruoli e compiti allo stesso tempo, qualche volta anche tutti insieme: ho conosciuto parecchie madri che, dopo la separazione, si sono legate e hanno avuto figli da uomini a loro volta padri e separati; gli ex mariti di queste signore avevano formato nuove famiglie, anch’esse allietate, come si dice, dalla nascita di altri bambini. Tenere insieme le fila di certe reti familiari è per alcune donne un vero e proprio lavoro a tempo pieno.
Anche agli uomini può capitare, ovviamente, di trovarsi a svolgere contemporaneamente più ruoli. Tuttavia, pensando soprattutto alle responsabilità verso i bambini, il carico emotivo e organizzativo che ricade su uomini e donne in certe circostanze non è paragonabile. Giusto o sbagliato che sia, a tutt’oggi, è alle donne che natura e cultura, in alleanza o, a seconda dei punti di vista, in congiura tra loro, assegnano la cura, fisica ma soprattutto emotiva e morale, dei figli e più in generale delle relazioni familiari e affettive. Un primato quantomeno ambiguo che, pur assicurando qualche onore, certo non risparmia alcun onere.
L’angelo del focolare, figura lungi dall’essersi estinta, ha un gran da fare di questi tempi, anche perché i fuochi si sono moltiplicati, complicati e sparsi sul territorio. Le responsabilità di cura verso le persone e verso le relazioni familiari – in inglese care significa «prendersi cura» ma anche «avere a cuore» e «volere bene» – ricadono oggi ancora prevalentemente sulle donne. Questo dà loro tra l’altro anche un gran potere: l’andamento di certi ménage separativi e delle relazioni successive tra vecchi e nuovi partner e tra adulti e bambini dipendono in gran parte da quello che le signore, protagoniste di vecchie e nuove unioni, mettono in atto.
Il tutto e il niente
I rari casi in cui, in occasione della separazione, i bambini vengono affidati al padre sono spesso correlati, almeno nel nostro Paese, a una figura materna molto debole o precaria: perché non è in grado (per condizioni psichiche o per inadeguatezza d’altra natura) di occuparsi di loro; perché la prevaricazione esercitata su di lei dal clan familiare del marito e talvolta anche dal proprio l’ha indotta a cedere sui figli o, più subdolamente, ad abbandonarli; perché l’unico modo per separarsi era fuggire via lasciando tutto e tutti. Comunque sia, in simili circostanze la nuova compagna del padre diviene ben presto una vera e propria sostituta della figura materna. Il che, quando la mamma sia effettivamente incapace di fare la sua parte, è una gran fortuna per i piccoli. Il problema – specularmente a quanto si è detto per i bambini nel rapporto col padre e col compagno della mamma – sorge quando la mamma c’è, o vorrebbe esserci, magari dopo aver superato una fase di crisi.
Era il caso di Adele. Dopo sei anni di matrimonio, per lei infelice, da cui erano nate Rossella e Marina, allora di sei e quattro anni, Adele se n’era andata di casa portando con sé le figlie. Ma Tullio, il marito, non aveva dovuto lottare molto per riaverle con sé: lei non aveva né casa né lavoro, ma soprattutto non aveva le idee chiare su quello che avrebbe voluto fare della sua vita. Negli accordi della separazione consensuale Adele e Tullio scrissero che le bambine restavano affidate al padre fino a quando la madre non si fosse riorganizzata e fino ad allora lei avrebbe potuto vederle ogni volta che avesse voluto. Nei primi tempi la presenza di Adele con le bambine era stata molto discontinua e intermittente. Tullio aveva dovuto fare miracoli per riuscire a occuparsi di loro e a far quadrare il bilancio con uno stipendio da insegnante. Poi aveva conosciuto Annalisa. Un fidanzamento lampo: in casa c’era troppo bisogno di lei. Per questo le bambine non avevano fatto grande resistenza all’ingresso di Annalisa in famiglia.
Quando ho conosciuto tutti loro, la separazione risaliva a sei anni prima, Annalisa viveva da quattro anni con Tullio, erano nati anche Gioia e Michele. Adele, che aveva trovato lavoro e aveva messo su casa con Giuliano, da più di tre anni chiedeva invano a Tullio e poi al Tribunale, in sede di divorzio, di avere le figlie con sé. Ma al di là delle resistenze di Tullio a staccarsi dalle figlie e della perplessità del Tribunale a cambiare radicalmente le abitudini delle bambine, il vero ostacolo alla realizzazione dei desideri di Adele era Annalisa. Non tanto perché lei le si opponesse in modo diretto, quanto, paradossalmente, per l’amore e la dedizione che negli anni aveva saputo sviluppare nei confronti delle bambine. Come spesso accade, vuoi per gli impegni di lavoro, vuoi per quella sorta di inerzia culturale per cui sono le donne in famiglia a occuparsi dei bambini, Tullio aveva ampiamente delegato ad Annalisa le cure e l’educazione quotidiana delle figlie. Era stata lei per anni a lavarle, vestirle, portarle a scuola, preparare loro da mangiare, seguirle nei compiti, portarle dal pediatra. Annalisa sapeva tutto dell’allergia di Virginia a determinati alimenti, aveva imparato a cucinarle alcuni piatti appetitosi che non le facevano pesare i divieti della sua dieta. Sapeva come arginare le sue intemperanze preadolescenziali per evitarle scontri con il papà, poco tollerante verso le sue unghie dipinte di tutti i colori e le sue ciocche blu elettrico. Era stata Annalisa a convincere Marina del fatto che con gli occhiali e l’apparecchio per i denti era bellissima, era tale e quale quell’attrice americana. Quando le bambine tornavano a casa dal fine settimana con la mamma – Rossella con l’orticaria e le unghie blu elettrico, Marina senza occhiali, i compiti ancora da fare perché, guarda caso, il diario era stato dimenticato –, non c’era neanche bisogno di far commenti: Adele, che pure si era dedicata alle figlie con tutto l’amore, appariva a tutti, soprattutto alle bambine purtroppo, come inadeguata, maldestra, inaffidabile. Fuori gioco.
Le cure che mettono al mondo
La competenza materna è un sapere complesso che matura nella condivisione della quotidianità: l’istinto è solo un potenziale di partenza. Per anni, anni decisivi per la formazione di un bambino, a Adele, certo anche per sue responsabilità, era mancata la possibilità di incarnare il suo essere madre in atti e gesti quotidiani. Virginia e Marina volevano molto bene alla mamma, che era tra l’altro una donna molto intelligente e affettivamente molto vivace e comunicativa. Però era in Annalisa che avevano fiducia, era lei a dar loro sicurezza.
La competizione tra padre «vero» e padre per così dire «acquisito», o che si candida a esserlo, avviene di solito su questioni relative alla rappresentanza esterna («Come si permette quello là di andare lui dall’allenatore del calcio a suggerirgli in che ruolo far giocare mio figlio!») o sul terreno del ruolo educativo, («Come si permette quello là di mettere in castigo mio figlio!», e così via). L’investimento degli uomini sui figli o sui bambini è meno viscerale, è mediato culturalmente e fortemente condizionato, nel bene e nel male, dalla relazione con la donna. L’investimento delle donne sui figli o sui bambini è primario, attinge alle radici dell’identità femminile. L’Io femminile si qualifica, o crede di doversi qualificare, nella dimensione materna.
Sulla relazione di una donna con un bambino, e dunque non solo della madre con il figlio, pesa l’ingiunzione – archetipica, o più semplicemente connessa allo stereotipo e al pregiudizio culturale, o ancor più banalmente sostenuta dalle aspettative maschili – di attivare le attitudini materne. La funzione della madre non è compatibile con la parzialità, tende a essere totalizzante, può essere condivisa solo con chi si ama e si ha vicino (il padre, la propria madre) o con chi si domina e si controlla (la baby-sitter). La funzione materna passa per il corpo: la cura, il cibo, i rituali quotidiani come l’addormentarsi, il risveglio, il lavarsi, l’accudimento nelle malattie. Per un bambino (almeno finché è piccolo) queste cure gettano le fondamenta della sua personalità e della sua vita di relazione con gli altri e con il mondo. Queste cure sono la prima e decisiva esperienza dell’amore.
Ancora sull’importanza di certi piccoli gesti quotidiani: in occasione di una consulenza relativa a un conflitto tra genitori separati, ho conosciuto una signora, che chiamerò Erica, che si opponeva con tutte le sue forze alla richiesta dell’ex marito di tenere con sé la loro bambina, Alessandra, quattro anni, anche a dormire. Il papà viveva da un anno con la sua compagna e il loro bambino di pochi mesi. Erica proprio da un anno aveva cominciato a ostacolare il soggiorno di Alessandra presso il papà, mentre prima aveva rispettato gli accordi della separazione consensuale che prevedevano che la bambina trascorresse due fine settimana al mese presso di lui. Tra i tanti motivi francamente pretestuosi che Erica adduceva per sostenere la sua posizione, a un certo punto era emerso, quasi suo malgrado, quello vero: in occasione di uno dei primi fine settimana trascorsi da Alessandra con il papà dopo l’inizio della sua nuova convivenza, la bambina aveva fatto pipì a letto e, nella notte, mentre il papà cambiava le lenzuola, la sua compagna le aveva infilato il pigiamino pulito raccontandole, per consolarla, che anche a lei, da piccola, capitava di bagnare il letto. Un episodio comune, che la bambina aveva raccontato alla mamma con serenità. Troppo comune, troppo familiare, appunto, per Erica. L’immagine di tanta intimità tra la sua bambina e la compagna del papà le era insopportabile, tanto da indurla a fare, come si dice, carte false affinché non avesse più a ripetersi. Forse, se il papà si fosse occupato del pigiama e la sua compagna delle lenzuola, Erica avrebbe sopportato meglio la scenetta familiare. È una considerazione che faccio senza alcuna ironia: in determinate situazioni i dettagli sono decisivi. Per una madre è importante che, almeno all’inizio, la nuova figura femminile accanto all’ex marito si tenga alla larga da un contatto troppo intimo e di stampo materno dai propri bambini. Tanto è vero che proprio il ragionare insieme a me attorno a questa considerazione ha consentito a Erica di rivedere la sua posizione sulle notti di Alessandra a casa del papà, il quale, in cambio, si è impegnato a occuparsi personalmente della bambina in tutti quei piccoli ma importanti atti quotidiani di accudimento che implicano intimità.
Un grande – per me il più grande – della psicologia infantile, D.W. Winnicott, ha scritto che la salute psichica di un bambino, la possibilità stessa per lui di diventare un individuo, dipendono dall’esperienza precoce che egli fa delle cure elementari, dalle risposte che ricevono i suoi bisogni fisici. Le funzioni descritte dall’autore riferendosi alla competenza materna ed estese poi alle risorse che anche in seguito, per tutto il corso dell’infanzia, dell’adolescenza e anche della vita adulta, dovrebbero essere garantite dall’ambiente, sono funzioni all’origine strettamente legate alla soddisfazione di bisogni fisiologici. Al tempo stesso hanno un potentissimo impatto psicologico e una rilevanza decisiva ai fini della strutturazione dell’intera personalità e della vita di relazione (il pane e le rose, si diceva ai miei tempi). La funzione di contenimento, ad esempio, è anzitutto definita dall’atto di tenere in braccio un bambino, di tenere insieme il suo corpo perché vi si possa insediare la psiche. Quando abbracciamo un bambino, quando abbiamo cura del suo corpo e delle sue necessità fisiologiche, lo aiutiamo a percepirsi e rappresentarsi come un individuo integro, autonomo e soprattutto amato. Descrivendo, in occasione di una trasmissione radiofonica rivolta ai genitori, una madre nell’atto di prendere in braccio la sua bambina, Winnicott ha detto: «Forse che l’afferra per un piede o la strascica via dalla culla, tirandola su sospesa a mezz’aria? No: ha un modo ben diverso di procedere. L’avvertirà che si sta avvicinando, almeno credo, e le passerà intorno le mani per raccoglierla prima di muoverla: in effetti si assicura la collaborazione della bambina prima di sollevarla e poi la solleva da un posto all’altro, dalla culla alla spalla... La sua tecnica è estremamente personale e il bambino la ricerca e la riconosce, come la sua bocca, i suoi occhi, il suo colorito e il suo odore... Tutto ciò assicura un fondamento su cui il piccolo dell’uomo può cominciare a costruire una nozione di quella cosa estremamente complessa che è una relazione tra due esseri umani».1
Comportamenti e funzioni apparentemente così banali ed elementari ma in verità così fondamentali come quelli descritti e interpretati da Winnicott, se pure rapportati alle forme di accudimento dei bambini più grandi, non possono essere spartiti o condivisi. Per questo, in vicende come quella di Virginia e Marina, la concorrenza tra la mamma e la vicemamma (ma già attenersi a quel “vice” sarebbe una gran cosa) è una sfida radicale, perché la posta in gioco è altissima. Mamme part-time non ce ne sono. Una delle due deve soccombere. O fare un passo indietro.
Ma le donne, proprio sull’onda di quella medesima attitudine – un’attitudine beninteso se non indotta certo molto rinforzata dalle aspettative sociali – a entrare in un rapporto materno di accudimento ed empatia con i bambini sanno anche essere straordinariamente generose.
Hello Virgi!
Virginia, ad esempio, una professionista socialmente molto autonoma e affermata, che ho conosciuto fuori dal mio ambito professionale e ho quindi potuto osservare «sul campo», è appunto una donna di straordinaria generosità. Da quando è insieme a Massimo, papà separato, affidatario di due bambini di quattro e sette anni, Clara e Richard, ha radicalmente cambiato la sua vita per lui: ha lasciato il suo amatissimo appartamento nel quartiere bohémien della città per trasferirsi insieme a lui «per il bene dei bambini» in una casa più grande, in un quartiere più verde ma periferico e anonimo; ha rinunciato a parte della sua attività privata e al contratto a tempo pieno in ospedale per ricavare più tempo per Massimo e i bambini; di loro parla con affetto e competenza: è stata lei a occuparsi della ricerca della scuola materna e della scuola elementare, è lei a portarli dal pediatra, così come si è data da fare per la malattia cronica della madre di Massimo; niente più viaggi esotici d’estate, ma tranquille villeggiature adatte ai bambini. Ma ora Virginia è entrata in crisi: Jackie, la mamma di Clara e Richard, dopo un periodo di grande disorientamento seguito alla separazione e che l’aveva portata a cercare un nuovo equilibrio nel suo Paese, l’Inghilterra, vuole recuperare il rapporto con i suoi figli, che aveva a suo tempo accettato di affidare al padre per la paura di affrontare la guerra legale che lui le aveva prospettato. Jackie ha chiesto a Massimo un incontro: è tornata stabilmente in Italia, ha ripreso il lavoro, desidera riniziare gradualmente a vedere e a occuparsi dei bambini; non minaccia battaglie per l’affidamento, è pacata, sembra molto maturata – dice Massimo –, è molto grata a lui e anche a Virginia per quello che hanno fatto nell’ultimo anno e mezzo; è consapevole di aver mancato nei confronti dei bambini: vuole rimediare.
Virginia è molto contrariata dalla ricomparsa di Jackie, anzi è furibonda: «È inconcepibile che una lasci i suoi figli, poi quando questi hanno trovato un loro nuovo equilibrio, rispunti buona buona, tanto grata a chi se li è spupazzati per più di un anno e si presenti a ritirare i pacchettini, come se li avesse lasciati al deposito bagagli della stazione. Va troppo al cinema quella donna: forse pensa di essere come quel pesce lesso della Meryl Streep in Kramer contro Kramer, quando arriva fresca fresca da Dustin Hoffman e gli dice “Eccomi qua, ho ritrovato me stessa...”. Ma io non ci sto. Io non conto, non posso certo oppormi, ma che nessuno mi chieda di alzare un dito per andare incontro alla “povera Jackie”».
Poi arriva il giorno in cui i bambini, preparati da Massimo, devono incontrare la madre. Sono pallidi, tirati e insieme eccitatissimi. Virginia non sopporta la tensione, esce prima di loro. La sera, al rientro, non fa domande, l’aveva giurato a se stessa. Ma la cena è un tormento: «Virgi, ma tu la mamma la conosci? Virgi, la mamma ha detto che sei bravissima a tagliare i capelli. Virgi, sai che a Londra si può andare a cavallo in giro per il parco? Virgi, la mamma ha detto...». La notte Clara si sveglia piangendo. Un brutto sogno. Virginia si sveglia di soprassalto, corre in cameretta, giusto in tempo per sorbirsi un incomprensibile sproloquio condito da lacrime e singhiozzi. Incomprensibile perché è in inglese. Clara non aveva più pronunciato una parola di inglese dai tempi della separazione dei genitori.
Nelle settimane successive la determinazione di Virginia vacilla. Jackie vede i bambini due pomeriggi alla settimana: va tutto bene, loro sono contenti, lei è corretta e discreta. Richard le chiede a bruciapelo: «Di’ la verità, Virgi, sei un po’ arrabbiata che la mamma è tornata, eh?». La casa di Jackie è pronta, arriva il primo fine settimana dei bambini dalla mamma. Massimo è fuori città per lavoro: Virginia deve preparare le borse, con le medicine, e i compiti per Richard.
“Chissà se Massimo si è ricordato di dirle dell’antibiotico per Clara, se interrompe adesso tra una settimana ci risiamo con quei peperoni di tonsille che si ritrova... chissà se le ha detto delle goccine nel naso... chissà se lei ha l’umidificatore, quasi quasi glielo do dietro, bisognerebbe dirle che Richard vuole la luce, ma forse lo sa, forse era così anche prima, e poi bisognerebbe dirle che Clara per via della febbre che ha avuto è già tre giorni che non fa il bagno... allora devo mettere dentro anche la maglietta della salute pulita... se faccio in tempo scrivo un biglietto... cristosanto, ma è lei la madre, se le scrivo un biglietto con tutte queste cose di sicuro si offende e avrebbe anche ragione...”
Suona il citofono, Clara e Richard con lo sguardo perso, schiacciati dal peso delle loro borse, si trascinano verso la porta. Prima di rendersene conto Virginia sta dicendo: «Jackie? Sono Virginia. Scusa, hai parcheggiato? Allora ti dispiacerebbe salire un attimo per cortesia? Sai, per i bambini, mi pare brutto...». Non fa in tempo a riagganciare la cornetta del citofono, che Clara e Richard, mollate le borse e il giubbotto, sono già sul pianerottolo appesi alla porta dell’ascensore in preda a un’eccitazione incontenibile.
Jackie in occasione di quel primo incontro si è fermata poco, giusto il tempo di chiedere a Virginia: «Devo dare qualche medicina a Clara, so che ha avuto la febbre, è il caso di farle il bagno stasera? Richard vuole ancora la lucina dove dorme? Guarda che non mi offendo, io lo so che li hai curati tu i miei bambini».
Da qualche mese Clara e Richard si sono trasferiti dalla mamma e stanno molto bene. Vedono spesso il papà, e Virginia. È stata Virginia a convincere Massimo che era giusto così: «I bambini sono degli esseri straordinari: quando Jackie è tornata nella loro vita, con umiltà e con amore, decisa ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. di Irene Bernardini
  3. Una famiglia come un'altra
  4. Introduzione ... Per non parlar del cane
  5. I. Per cominciare
  6. II. Il paesaggio e il clima
  7. III. Il tempo per cambiare
  8. IV. Le buone maniere
  9. V. Un bambino è la sua storia
  10. VI. Quando mamma si risposa
  11. VII. L’angelo del focolare e la rovinafamiglie
  12. VIII. Per congedarmi
  13. Copyright