Socrate
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Socrate

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  1. 112 pagine
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Socrate

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Informazioni sul libro

C'è chi si innamora di Sophia Loren, chi di Marx, e chi per tutta la vita porta fiori sulla tomba di Rodolfo Valentino. Io ho capito che il grande amore della mia vita è Socrate. In questo libro ho raccolto quanto su di lui ho scritto in "Storia della filosofia greca", "Oi dialogoi" e "I miti dell'amore". Con queste parole Luciano De Crescenzo rende omaggio al padre nobile del pensiero occidentale, ritraendolo dal vivo ai tempi suoi e riproponendone la saggezza ai tempi nostri. Regalandoci un altro piccolo capolavoro di saggezza e leggibilità.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
ISBN
9788852047527

I

Socrate

Come si fa a non innamorarsi di Socrate: era buono d’animo, tenace, intelligente, ironico, tollerante e, nel medesimo tempo, inflessibile. Di tanto in tanto sulla Terra nascono uomini di questa levatura, uomini senza i quali noi tutti saremmo un po’ diversi: penso a Gesù, a Gandhi, a Buddha, a Lao Tse e a San Francesco. C’è qualcosa però che distingue Socrate da tutti gli altri ed è la sua normalità di uomo. Infatti, mentre per i grandi che ho appena nominato c’è sempre il sospetto che un pizzico di esaltazione abbia contribuito a tanta eccezionalità, per Socrate non esistono dubbi: il filosofo ateniese era una persona estremamente semplice, un uomo che non lanciava programmi di redenzione e che non pretendeva di trascinarsi dietro torme di seguaci. Tanto per dirne una, aveva anche l’abitudine, del tutto inconsueta nel giro dei profeti, di frequentare i banchetti, di bere e, se ne capitava l’occasione, di fare l’amore con un’etera.
Non avendo mai scritto nulla, Socrate è sempre stato un problema per gli storici della filosofia. Chi era veramente? Quali erano le sue idee? Le uniche fonti dirette che abbiamo sono le testimonianze di Senofonte, quelle di Platone e alcuni commenti «per sentito dire» di Aristotele; sennonché il ritratto lasciatoci da Senofonte risulta completamente diverso da quello di Platone e lì dove c’è coincidenza tra le due versioni è perché il primo ha copiato dal secondo; per quanto poi riguarda Aristotele permangono fondati dubbi sulla sua obiettività.
Senofonte, detto tra noi, non era un’aquila d’intelligenza filosofica: al massimo possiamo definirlo un generale di bell’aspetto e un buon memorialista. Da giovanotto aveva frequentato la dolce vita di Atene: simposi, palestre, gare ginniche eccetera, finché un bel giorno incontra Socrate in un vicolo stretto.1 Il filosofo lo guarda fisso negli occhi, gli blocca il passo mettendogli il bastone di traverso e dice:
«Sai dove si vende il pesce?»
«Sì, al mercato.»
«E sai dove gli uomini diventano virtuosi?»
«No.»
«Allora seguimi.»
E fu così che Senofonte, più per darsi importanza con gli amici che per amore della saggezza, cominciò a seguire Socrate nelle sue passeggiate; dopo un paio di anni, però, forse esausto per il troppo discutere, parte volontario per la prima guerra che riesce a trovare. Frequenta le corti di Ciro il Giovane, di Agesilao re degli Spartani e tanti altri luoghi dove il suo maestro non avrebbe mai messo piede. Trascorre tutta la vita tra battaglie e scaramucce, militando quasi sempre in eserciti stranieri. Quando parla di Socrate, lo fa come se fosse il suo difensore d’ufficio: cerca di riabilitarne la memoria dopo il processo e ce lo presenta come un uomo integerrimo, bigotto e ossequioso verso le autorità. Se il ritratto di Senofonte è un po’ convenzionale, quello di Platone (genio creativo per eccellenza) pecca dell’eccesso opposto: in altre parole, leggendo «i dialoghi» ci si domanda se l’eroe platonico esprima le idee di Socrate o quelle del suo autore. Così stando le cose non mi resta che raccontare tutto quello che so e lasciare che il lettore si faccia un’opinione personale.
Fisicamente Socrate rassomigliava a Michel Simon, l’attore francese degli anni Cinquanta, e si muoveva come Charles Laughton nel film Testimone d’accusa. Nacque nel 469 nel demo Alopece, un sobborgo a mezz’ora di cammino da Atene alle pendici del Licabetto. Per gli appassionati di astrologia diremo che doveva essere un Capricorno, essendo nato nei primi giorni dell’anno. La sua era una famiglia medioborghese appartenente alla classe degli zeugiti (la terza e ultima, in ordine d’importanza, tra le classi di Atene che contavano qualcosa). Il padre, Sofronisco, era uno scultore, o forse solo uno scalpellino di periferia, e la madre, Fenarete, una levatrice.2 Della sua infanzia non sappiamo praticamente nulla e, a essere sinceri, facciamo anche un po’ fatica a immaginarcelo bambino: comunque, essendo di famiglia benestante o quasi, riteniamo che abbia seguito gli studi regolari come tutti gli altri ragazzi di Atene, che a diciotto anni abbia prestato il servizio militare e che a venti sia diventato oplita dopo essersi procurato un’armatura adeguata.
Da giovanotto di sicuro dette una mano in bottega al papà scultore, finché un bel giorno Critone, «innamoratosi della grazia della sua anima»,3 non se lo portò via per iniziarlo all’amore della conoscenza. Diogene Laerzio, nelle sue Vite dei filosofi, racconta che Socrate ebbe come maestri Anassagora, Damone e Archelao e che di quest’ultimo fu anche l’amante4 o, per essere più precisi, l’erómenos (a quei tempi, quando c’era un rapporto amoroso tra due uomini, veniva chiamato erastés l’amante più anziano ed erómenos quello più giovane). Su questa faccenda però degli amori omosessuali dei filosofi greci, prima di andare avanti e di considerare Socrate un gay, apriamo una parentesi e chiariamoci le idee una volta per tutte. L’omosessualità a quei tempi era cosa normalissima e non a caso è passata alla storia come «amore greco». Addirittura c’è stato chi, come Plutarco, l’ha definita «pederastia pedagogica».5 A ogni modo non era oggetto di scandalo: quando Gerone, tiranno di Siracusa, s’innamora del giovanetto Dailoco, commenta il fatto dicendo semplicemente: «È naturale che mi piaccia ciò che è bello»;6 che poi questo bello fosse un ragazzino, un uomo o una donna era un particolare da poco. I veri guai per gli omosessuali cominciarono con il cristianesimo: la nuova morale concepì il sesso solo come mezzo di procreazione e considerò peccaminoso qualsiasi altro tipo di rapporto sessuale, donde le persecuzioni e i pregiudizi assai diffusi ancora oggi.
Socrate sposò Santippe quando aveva quasi cinquant’anni, forse più per avere un figlio che non una moglie. Fino a quel momento si era sempre tenuto alla larga dal matrimonio e, a chi gli chiedeva consiglio se doveva sposarsi o meno, rispondeva invariabilmente: «Fa’ come vuoi, tanto in entrambi i casi ti pentirai».7 Santippe, donna dal carattere forte, è passata alla storia come lo stereotipo della moglie rompiscatole e possessiva: non è escluso però che lo stesso Socrate non le debba qualcosa in termini di popolarità. Perfino il «Corriere dei Piccoli», negli anni Trenta, le dedicava ogni settimana una striscia che iniziava sempre con la stessa quartina:
Tutti sanno che Santippe
matta andava per le trippe.
Trippe a pranzo, trippe a cena,
Dio per Socrate che pena!
Sul rapporto Socrate-Santippe si è sempre un po’ ricamato. Con ogni probabilità la loro vita coniugale doveva essere molto più normale di quanto non si pensi: lei era una casalinga come ce ne sono tante, dotata di senso pratico, gravata da problemi concreti, con uno (o tre) figli da crescere e con un marito che, a parte una piccola rendita lasciatagli dalla madre, non portava a casa una lira. Lui, un brav’uomo, ricco d’ironia, che le voleva bene e che la subiva con rassegnazione. Quello che più faceva andare in bestia Santippe era il fatto che il marito non le rivolgeva quasi mai la parola: tanto era ciarliero con gli amici per le strade di Atene, quanto taciturno a casa. Diogene Laerzio racconta che una volta, durante un litigio, Santippe s’infuriò a tal punto da tirargli addosso un secchio pieno d’acqua, al che Socrate commentò la cosa dicendo: «Lo sapevo che il tuono di Santippe prima o poi si sarebbe tramutato in pioggia».8 «Ma come fai a sopportarla?» gli chiese un giorno Alcibiade. E lui: «Certe volte vivere con una donna del genere può essere utile come domare un cavallo furioso: dopo si è più preparati ad affrontare i propri simili nell’agorà.9 E poi, cosa vuoi che ti dica, ormai mi ci sono abituato: è come sentire il rumore incessante di un argano».10
Aristotele c’informa che Socrate aveva anche una seconda moglie, una certa Mirto, figlia nientemeno che di Aristide il Giusto.11 Secondo Plutarco, il filosofo si sposò due volte solo per bontà d’animo, giacché questa Mirto, pur essendo parente stretta di Aristide, era finita nella più nera miseria.12 Altri invece sostengono che fosse solo una concubina che si era trascinata in casa una sera che aveva bevuto. A ogni modo, moglie o amante che fosse, Mirto gli regalò due figli, Sofronisco e Menesseno, che, messi insieme a Lamprocle, il primogenito, figlio di Santippe, portarono a tre la discendenza del filosofo. La cosa non deve poi tanto meravigliarci dal momento che il governo di Atene, per aumentare il numero degli ateniesi veraci, incoraggiava i cittadini ad avere più figli con donne diverse.13
Sul triangolo Socrate-Santippe-Mirto c’è un divertente brano tratto da un’opera di Brunetto Latini.14 A titolo di cronaca ricordo che l’autore in questione è quel famoso «ser Brunetto» che Dante Alighieri colloca all’Inferno, nel girone dei sodomiti.15 La citazione, pur non avendo alcun fondamento storico, però ci fa capire come nel Medio Evo fosse visto il rapporto Socrate-Santippe.
«Socrate fue grandissimo filosafo in quel tempo. E fue molto laido uomo a vedere, ch’elli era piccolo malamente, el volto piloso, le nari ampie e rincazzate, la testa calva e cavata, piloso il collo e li omeri, le gambe sottili e ravolte. E aveva due mogli in uno tempo, le quali contendeano e garriano molto spesso perché il marito mostrava amore oggi più all’una e domane più all’altra. E questi, quando le trovava garrire, si le innizzava, per farle venire a’ capelli e faceasine beffe, veggendo ch’elle contendeano per così sozzissimo uomo. Sì che un giorno, faccendo questi beffe di loro, che si traeano i capelli, quelle in concordia si lasciarono e vengorli indosso e mettollosi sotto e pélallo, sì che di pochi capelluzzi ch’egli avea no li ne rimase uno in capo.»
A proposito di guerre, Socrate fu un buon soldato, anzi diciamo pure un buon marine: nel 432 viene imbarcato insieme ad altri duemila ateniesi e mandato a combattere a Potidea, una piccola città nel nord della Grecia che si è ribellata allo strapotere di Atene. Siamo in piena guerra del Peloponneso: gli ateniesi, temendo che la rivolta possa estendersi a tutta la Tracia, sono costretti a inviare sul posto una spedizione punitiva. È in questa occasione che Socrate si guadagna la sua prima medaglia al valore salvando la vita al giovane Alcibiade: lo vede ferito sul campo di battaglia, se lo carica a cavalluccio e lo porta in salvo tra una selva di nemici. Non è tanto però il coraggio del filosofo a sorprenderci, quanto la sua totale indifferenza ai disagi della guerra: in proposito sentiamo che cosa ci racconta lo stesso Alcibiade nel Simposio.
«Fummo insieme sul campo di Potidea e avevamo il rancio in comune. Tanto per cominciare, non solo era superiore a me nelle fatiche militari, ma anche agli altri. Quando ci capitava di dover sostenere la fame, come spesso avviene in guerra, tutti noi al suo confronto non valevamo un bel niente. Nelle baldorie invece era lui solo a godere fino in fondo. Non che lo volesse, ma quando lo si forzava a bere era capace di battere tutti senza mai cadere ubriaco. Quanto poi a sopportare l’inverno, che al nord è tremendo, faceva addirittura miracoli. Un giorno c’era un gelo da inorridire: tutti si erano rintanati nei rifugi e quelli che uscivano all’aperto, avevano cura di avvolgersi in una incredibile quantità di panni e di fasciarsi i piedi con feltri e pellicce; ebbene, lui se ne andò in giro con la gabbanina di sempre e, scalzo, camminò sul ghiaccio come se niente fosse, tanto che alcuni soldati pensarono che li volesse mortificare. Un’altra volta, tutto assorto in una qualche idea, si piantò ritto in mezzo al campo, fino all’alba, a meditare; e poiché non ne veniva a capo, continuò, sempre restando immobile, a pensare anche durante il giorno. Quando si fece mezzogiorno alcuni uomini, accortisi di questo suo strano atteggiamento, cominciarono a dirsi l’un l’altro: “Socrate se ne sta impalato dall’alba in un qualche pensiero”. Alla fine alcuni Ioni, scesa la sera, giacché quella volta era estate, portarono fuori i giacigli e si misero a riposare all’aperto per controllare se fosse rimasto piantato lì tutta la notte. Ed egli vi stette finché non vide spuntare di nuovo l’alba.»16
Questo racconto di Alcibiade ci fa ritenere che Socrate fosse capace di cadere in catalessi, come accade ad alcuni sciamani in India. Certo che l’uomo era del tutto indifferente ai comfort della vita moderna. Il suo abbigliamento abituale, sia che facesse caldo o freddo, era costituito da una specie di tunichetta chiamata chitone, o al massimo da un tríbon, un mantello di stoffa che aveva l’abitudine di portare direttamente sulla pelle, drappeggiandoselo sulla spalla destra (epì déxia). Sandali o maglie di lana, neanche a parlarne. Per quanto riguarda poi i generi di lusso, non c’era nulla che lo potesse interessare. Un giorno si fermò davanti a un negozio di Atene e, guardando la merce esposta, esclamò stupito: «Ma guarda di quante cose hanno bisogno gli ateniesi per campare!».17
Otto anni dopo...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. di Luciano De Crescenzo
  3. Socrate
  4. Prefazione
  5. Socrate
  6. I. Socrate
  7. II. Il Simposio
  8. III. La Repubblica
  9. IV. Socrate e il paraurti
  10. V. Socrate e gli Ufo
  11. VI. Socrate e la Tv
  12. Note
  13. Copyright