Nuovi Argomenti (5)
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Nuovi Argomenti (5)

  1. 384 pagine
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Nuovi Argomenti (5)

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Informazioni sul libro

Hanno collaborato: Enzo Siciliano, Gennaro Sasso, Carola Susani, Walter Veltroni, Arnaldo Colasanti, Enzo Golino, Massimiliano Capati, Fabrizio Polacco, Tommaso Giartosio, Romana Petri, Flavio De Bernardini, Pietro Pompili, Ted Hughes, Gian Piero Bona, Giampiero Neri, Alberto Bevilacqua, Andrea Gibellini, Sergio De Santis, Adolfo Frigessi, Ugo Riccarelli, Alessandro Ceni, Raffaele Manica, Marco Belpoliti, Mauro Martini.

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Informazioni

Editore
Mondadori
Anno
2014
ISBN
9788852045530
Images

IL TEOREMA DI UNA TRAPPOLA


Ted Hughes

Borsisti Fulbright
Dov’era, sullo Strand? Quella mostra
fotografica di novità di cronaca.
Chissà perché, la notai.
Una foto di gruppo dei Borsisti Fulbright
per quell’anno. Sul piede d’arrivo
o già arrivati. O alcuni di loro.
C’eri anche tu fra quelli? La sbirciai
non troppo attentamente, domandandomi
quali di loro avrei potuto incontrare.
Ricordo quel pensiero. Non ricordo
il tuo viso. Di certo guardai soprattutto
le ragazze. Forse ti avrò notata.
E valutata, sentendomi improbabile.
Avrò scoperto i tuoi capelli lunghi, in onde sciolte…
la banda alla Veronica Lake. Non quello che celava.
Sarà sembrata bionda. E il sorrisone.
Il tuo esagerato sorrisone
americano ai fotografi, alla giuria, agli estranei, a chi [ ti faceva paura.
Poi ho dimenticato. Ma ricordo
l’immagine: quei Borsisti Fulbright.
Con i bagagli? Mi sembra difficile.
Saranno arrivati in squadra? Io camminavo
con il mal di piedi, sotto un sole cocente, cocenti marciapiedi.
Fu allora che comprai una pesca? Così mi ricordo.
Da un banco vicino alla stazione di Charing Cross.
In vita mia, la prima che abbia assaggiato fresca.
Talmente deliziosa da non crederci.
A venticinque anni fui daccapo sgomento
per la mia ignoranza delle cose più semplici.
Fulbright Scholars. Where was it, in the Strand? A display / Of news items, in photographs. / For some reason I noticed it. / A picture of that year’s intake / Of Fulbright Scholars. Just arriving – / Or arrived. Or some of them. / Were you among them? I studied it, / Not too minutely, wondering / Which of them I might meet. / I remember that thought. Not / Your face. No doubt I scanned particularly / The girls. Maybe I noticed you. / Maybe I weighed you up, feeling unilkely. /
Noted your long hair, loose waves – / Your Veronica Lake bang. Not what it hid. / It would appear blond. And your grin. / Your exaggerated American / Grin for the cameras, the judges, the strangers, the frighteners. / Then I forgot. Yet I remember / The picture: the Fulbright Scholars. / With their luggage? It seems unlikely. / Could they have come as a team? I was walking / Sore-footed, under hot sun, hot pavements. / Was it then I bought a peach? That’s as I remember. / From a stall near Charing Cross Station. / It was the first fresh peach I ever tasted. / I could hardly believe how delicious. / At twenty-five I was dumbfounded afresh / By my ingorance of simplest things.
Cariatidi [1]
Cosa reggevano, quelle cariatidi?
Fra le tue poesie fu la prima che lessi.
Di tutte l’unica fra le tue poesie
che guardai con occhi estranei, e non mi piacque.
Pareva esile e tenue, versi freddi.
Come il teorema di una trappola, un tranello – lì pronto.
Io lo vidi. E la trappola non scattò, restò vuota.
Senza interessarmi. Né trasmettermi un fremito
di presagi. In quei giorni spremevo
certezze oracolari
a me propizie da qualunque segno.
Così mi sfuggì tutto
nei volti rigidi, bianchi, bendati
di quelle donne. Sì, ne colsi la fragilità:
friabili d’alluminio bruciato.
Fragili reti di una luce a gas.
Però non feci nulla
del greve paradiso senza stelle di granito, nerissimo,
già a mezz’aria, crollato
fermato, come in un’istantanea,
dai loro capelli.
Caryatids [1]. What were those caryatids bearing? / It was the first poem of yours I had seen. / It was the only poem you ever wrote / That I disliked through the eyes of a stranger. / It seemed thin and brittle, the lines cold. / Like the theorem of a trap, a deadfall – set. / I saw that. And the trap unsprung, empty. / I felt no interest. No stirring / Of omen. In those days I coerced / Oracular assurance / In my favour out of every sign. / So missed everything / In the white, blindofolded, rigid faces / Of those women. I felt their frailty, yes: / Friable, burnt aluminium. / Fragile, like the mantle of a gas-lamp. / But made nothing / Of that massive, starless, mid-fall, falling / Heaven of granite / stopped, as if in a snapshot, / By their hair.
Cariatidi [2]
Sicuri fino a essere stupidi, nei panni sportivi
dell’età della crescita, ancora adagiati
fra i cuscini del palanchino,
senza fretta rimosso il baliatico della natura
per averla nel pieno, e noi senza pensieri
di vita austera, noi tre, quattro, cinque, sei…
giocando all’amicizia. Tempo da buttar via
per provare ogni ruolo… per il riso,
e per l’esperienza, dedicando le ore
a perversioni d’impulso, a sciaradiche
improvvisazioni dell’inane.
Come carcerati, la nostra vera vita
differita di forza, con il vero
Mondo e i nostri io veri. Così, giocando agli studenti, empivamo
e vuotavamo, empivamo da ubriacarci
un tedio, una cornucopia
d’aereo vuoto, di birra forte
scura e chiara, del fare e del disfare…
Simili a dèi, frivoli quanto infidi,
una drammaturgia del ghiribizzo.
Tale è stata la nostra formazione. Il mondo
attraversava i cortili bagnati, domenicale, compìto,
con le scarpe impacciate del turista.
Qui al centro della tela, nel crocicchio,
tu pubblicasti la tua poesia
sulle Cariatidi. Avevamo sentito
della danza dei tuoi biondi veli, dei gesti piromani,
dell’esibizionismo sbandato. Più per coglierti
che per biasimarti, più a destare
un contatto attraverso gli alterni vampanti
radiodisturbi del sapere elevato
e della bassa socialità, che a correggerti
con i nostri princìpi arcaici, ordimmo
un’aggressione, una stroncatura, ridendone.
Per pubblicarla c’era il nostro foglio.
A comporla fu il nostro Gallese… sordo ancora
al rumor bianco dell’elegia
che gli avrebbe riempito bocca e orecchio
universi più tardi, a Cader Idris,
sotto la neve e il vento della tua ascesa finale.
Caryatids [2]. Stupid with confidence, in the playclothes / Of still growing, still reclining / In the cushioned palanquin, / The nursery care of nature’s leisurely lift / Towards her fullness, we were careless / Of grave life, three of us, four, five, six – / Playing at friendship. Time in plenty / To test every role – for laughs, / For the experiment, lending our hours / To perversities of impulse, charade-like / Improvisations of the inane, / Like prisoners, our real life / Perforce deferred, with the real / World and self. So, playing at students, we filled / And drunkenly drained, filled and again drained / A boredom, a cornucopia / Of airy emptiness, of the brown / And the yellow ale, of makings and unmakings – / Godlike, as frivolous as faithless, / A dramaturgy of whim. /
That was our education. The world / Crossed the wet courts, on Sunday, politely, / In tourist’s tentative shoes. / All roads lay too open, opened too deeply / Every degree of the compass. / Here at the centre of the web, at the crossroads, / You published your poem / About Caryatids. We had heard / Of the dance of your blond veils, your flaring gestures, / Your misfit self-display. More to reach you / Than to reproach you, more to spark / A contact through the see-saw bustling / Atmospherics of higher learning / And lower socializing, than to correct you / With our archaic principles, we concocted / An attack, a dismemberment, laughing. / We had our own broadsheet to publish it. / Our Welshman composed it – still deaf / To the white noise of the elegy / That would fill his mouth and his ear / Worlds later, on Cader Idris, / In the wind and snow of your final climb.
Quanto odiavi la Spagna
La Spagna ti spaventava. La Spagna
dove io ero come a casa. La luce cruda di sangue,
le facce d’acciuga oleose, i contorni
neri d’Africa intorno a tutto, ti spaventavano.
La tua istruzione aveva trascurato la Spagna.
L’inferriata battuta, la morte, il tamburo arabo.
non conoscevi la lingua, la tua anima era vuota
di segni, e la luce incandescente
ti disseccava il sangue. Bosch
allungò una mano di ragno e la cogliesti
da americana timida in calzettoni.
Leggesti fino in fondo al ghigno funebre di Goya
e lo riconoscesti, ritraendoti
mentre le tue poesie ghiacciavano, e nel panico
tornavi ad aggrapparti all’America del college.
Così turisti assistemmo alla corrida
guardando macellare senza grazia i tori ebeti,
vedendo il matador faccia-grigia, alla barriera
proprio sotto di noi, che drizzava la spada incurvata
e vomitava di paura. E il corno
celandosi nel ventre di sarcofaga
del picador disarcionato trafisse
quello che ti attendeva. La Spagna
era l’ultimo dei tuoi sogni: il cadavere rosso di polvere
con il quale non osavi svegliarti, le mutilazioni labbrose
mai imbellettate da un corso letterario.
La terra totem dietro la tua bocca africana.
Era dalla Spagna che tentavi di svegliarti
e non potevi. Ti vedo, al chiar di luna,
camminare sul molo deserto di Alicante
come un’anima in attesa del traghetto,
un’anima novella, che ancora non capisce,
che si crede ancora in luna di miele
in un mondo felice, con tutta la vita davanti,
felice, e le poesie tutte ancora da inventare.
You Hated Spain. Spain frightened you. Spain / Where I felt at home. The blood-raw light, / The oiled anchovy faces, the African / Black edges to everything, frightened you. / Your schooling had somehow neglected Spain. / The wrought-iron grille, death and the Arab drum. / You did not know the language, your soul was empty / Of the signs, and the welding light / made your blood shrivel. Bosch / Held out a spidery hand and you took it / Timidly, a bobby-sox American. / You saw right down to the Goya funeral grin / And recognized it, and recoiled / As your poems winced into chill, as your panic / Clutched back towards college America. / So we sat as tourists at the bullfight / Watching bewildered bulls awkwardly butchered, / seeing the grey-faced matador, at the barrier /
Just below us, straightening his bent sword / And vomiting with fear. And the horn / That hid itself inside the blowfly belly / Of the toppled picador punctured / What was waiting for you. Spain / Was the land of your dreams: the dust-red cadaver / You dared not wake with, the puckering amputations / No literature course had glamorized. / The juju land behind your African lips. / Spain was what you tried to wake up from / And could not. I see you, in moonlight, / Walking the empty wharf at Alicante / Like a soul waiting for the ferry, / A new soul, still not understanding, / Thinking it is still your honeymoon / In the happy world, with your whole life waiting, / Happy, and all your poems still to be found.
La tua Parigi
La tua Parigi, pensai, era americana.
Volevo assecondarti.
Quando, in frantumi esclamativi, uscisti
dall’Hôtel des Deux Continents
attraverso cornice dopo cornice,
e strada dopo strada, di quadri impressionisti,
sotto le ombre castagno di Hemingway,
Fitzgerald, Henry Miller, Gertrude Stein,
ti tenni fuori dalla mia Parigi. Che
per un soffio non fu tedesca. Capitale
dell’Occupazione, e vecchio incubo.
Lessi ogni sfregio di pallottola sulla pietra del Quai
con uno strano senso familiare,
fissando il martellato, solare affioramento di marciapiede
che c’era sotto. Avevo provato
Con cura, e riprovato, quei precisi momenti…
quasi tutta la vita, mi parve. Mentre tu
mi chiamavi Aristide Bruant e volevi
disegnare les toits, le tue estasi rimbalzanti
dai muri tappezzati in croste di manifesti…
udii il contrappunto di basso
nella mia analisi segugia ponderante
su sedie di bistrot dove i manichini SS
avevano inscenato i loro tableaux vivants
da così poco che il caffè era ancora amaro
come le ghiande e gli occhi dei camerieri
zeppi di feccia rinnegata, di rappresaglia e odio.
Non fui così estasiato alla vista dei tetti.
La mia Parigi era un misero superstite bellico,
il tanfo di paura stagnante negli armadi,
collaborateurs di poco più che vent’anni.
Ogni altra faccia inchiodata dai Campi
o dai Maquis. Ero un guardafantasmi.
I miei occhi velati da quel che si alzava
come metano dalla scoperchiata
fossa comune di Verdun. Tutto questo per te
era l’estetica pennellata rapsodica
sul ritratto picassiano
di Apollinaire, completo di prolettico
bersaglio per lo sparo. E ovunque
il tuo sguardo posasse, la tua immacolata tavolozza,
il repertorio dei tuoi pianti,
rifiniva le tinte e le trame. Il tuo gergo
come una permanente dispersione d’emergenza
a difenderti dalla spontanea combustione
ti difese, te
e la tua Parigi. Fu un incendio di nafta
per il cane che avevo dentro. Arse
ogni olfatto e sensore. E sigillando
il sottosuolo, il tuo nascondiglio,
quella camera, dove aspettavi ancora
che il torturatore
si ricordasse del suo gioco. Quei muri,
laceri di manifesti, erano la tua pelle scuoiata
distesa piana sul tuo dio di pietra.
Quella che camminava al mio fianco era scuoiata,
una ferita deambulante che l’aria
scontrandola mantenne febbrile, trasalendo
alle agonie. Le tue labbra allenate
tradussero gli spasmi in quello che scusasti
come il tuo cicaleccio torrenziale… e io decodificai
in una lingua, per me tutta nuova,
dai sensi congetturali, disperat...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Nuovi Argomenti (5)
  3. ARGOMENTI
  4. CONVERSAZIONI
  5. MAESTRI NATURALI
  6. ALLIEVI NATURALI
  7. SCRITTURE
  8. CANTIERE
  9. GIORNALI DI BORDO
  10. Colophon