Il codice dell'eroe
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Il codice dell'eroe

Lezioni di superpoteri per la vita di tutti i giorni

  1. 160 pagine
  2. Italian
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  4. Disponibile su iOS e Android
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Il codice dell'eroe

Lezioni di superpoteri per la vita di tutti i giorni

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Il nuovo libro di William McRaven, come il suo precedente bestseller Fatti il letto, è già un fenomeno editoriale: un piccolo e potente volume sulle qualità dei veri eroi di tutti i giorni.

Un tributo forte e chiaro dell'ammiraglio alle persone preziose e straordinarie che ha incontrato nel corso dei suoi trentasette anni nei Navy Seal, dai campi di battaglia agli ospedali, dalle scuole alle strade, tutti quelli cioè che stanno facendo la loro parte per salvare il mondo. Uomini e donne dotati di una compassione così profonda da far impallidire la crudeltà e l'indifferenza dei peggiori criminali e oppressori, persone meravigliose che esplorano, nutrono, consolano, sostengono e sorridono perché gli altri possano fiorire. Tutte posseggono qualità che le rendono capaci di aiutare, di fare la differenza, di costruire l'armonia, di curare le malattie e la povertà: coraggio, sia fisico che morale, perseveranza, umiltà, capacità di perdonare e un profondo senso di integrità.

Il codice dell'eroe non è un algoritmo, un rebus o un messaggio segreto. È un codice interiore, inscritto nel nostro DNA, e attraverso queste lezioni imparate da vite vissute bene, ognuno di noi può renderlo la guida per il nostro futuro.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788858527627

IL CODICE DELL’EROE

Capitolo 1

CORAGGIO

Si ritiene che il coraggio sia la prima delle virtù umane.
È giusto, perché è la qualità che garantisce tutte le altre.
WINSTON CHURCHILL
Quando entrai nel grande centro di comando al quartier generale delle Special Operations di Tampa, un sergente con indosso la mimetica fece mettere i soldati sull’attenti. Si alzarono tutti in piedi e rimasero immobili finché non sedetti a un capo del tavolo.
«Accomodatevi» annunciai.
Era il briefing quotidiano del comando e nella stanza c’erano un centinaio di persone fra soldati, marinai, avieri, marines e civili, tutti pronti a fornire al sottoscritto, il generale a quattro stelle, informazioni riguardo gli eventi della notte precedente.
Sulla parete alta nove metri di fronte a me c’era una schiera di schermi piatti da settanta pollici, su ciascuno dei quali comparivano informazioni vitali riguardanti le operazioni speciali condotte in giro per il pianeta. Al centro della parete un metro quadrato di spazio era occupato da una serie di videocamere e microfoni che mi consentivano di parlare in videoconferenza con i miei comandanti.
Accanto a me sedeva uno dei miei sottufficiali più anziani. Quando mi girai a salutarlo intuii che qualcosa non andava. Era silenzioso e ricambiò il saluto con un semplice cenno del capo.
Un giovane ufficiale iniziò a comunicare i risultati delle missioni notturne. Snocciolò informazioni su alcune operazioni di Ranger e SEAL in Afghanistan, parlò di programmi di addestramento in Africa e poi arrivò al rapporto sulle vittime. Mentre l’ufficiale iniziava a parlare dissi una preghiera silenziosa.
«Signore, ieri notte nella provincia di Kandahar sono stati uccisi tre soldati: il soldato scelto di prima classe Christopher Horns, il sergente di prima classe Kris Domeij e…» Fece una pausa. «Il tenente Ashley White del Cultural Support Team.»
Feci un respiro profondo.
«Che cosa è successo?» chiesi in tono grave.
«Signore, i Ranger stavano effettuando una missione di routine a Kandahar e nel compound talebano c’erano delle trappole esplosive. I due Ranger e il tenente hanno messo i piedi su una mina a pressione, che è esplosa. I Ranger sono rimasti uccisi sul colpo.» Il giovane ufficiale si interruppe di nuovo, cercando le parole.
«Il tenente White è rimasta gravemente ferita nell’esplosione.» Un’altra pausa. «L’hanno evacuata in elicottero a Kandahar, ma è morta all’ospedale.»
Tutti i presenti tenevano gli occhi bassi o guardavano me.
Perdere un soldato non è mai facile. Le vite dei due Ranger erano altrettanto preziose, ma per qualche ragione il fatto che fossi padre, che avessi una figlia suppergiù dell’età di Ashley, rendeva molto difficile accettare quella perdita. Non era la prima donna che perdevo in combattimento, ma questa volta era una cosa personale. Ashley White non avrebbe mai partecipato a quella missione… se non fosse stato per me.
Nel 2008 ero generale a tre stelle e avevo assunto il comando del Joint Special Operations Command. Anche se il quartier generale era in North Carolina, passavamo la maggior parte del tempo in Iraq e Afghanistan. Dopo aver osservato le operazioni di combattimento che si susseguivano una notte dopo l’altra, mi fu chiaro che avevamo bisogno di donne americane nelle missioni. Ne avevamo bisogno perché ingaggiassero le donne afghane sul bersaglio. Il fatto era che gli uomini, anche gli afghani, non erano culturalmente preparati a interagire con il sesso opposto. Però c’erano le mogli, le figlie, le sorelle che avevano informazioni vitali sul nemico che seguivamo. Senza soldati donne a relazionarsi con le donne afghane, era come combattere con una mano legata dietro la schiena. Senza soldati donne, le missioni erano molto più a rischio. Ma non mi servivano semplicemente dei soldati donne, avevo bisogno del meglio! Mi servivano donne audaci, fisicamente e mentalmente toste, in grado di reggere lo stress costante della guerra. Donne capaci di stare fianco a fianco con guerrieri induriti dai combattimenti e di non lasciarsi intimidire dalla loro esperienza, dai loro modi scontrosi e dal comportamento brutale. Venivamo ingaggiati in combattimenti senza esclusione di colpi tutte le notti e nel corso degli anni le perdite erano aumentate, e le perdite avevano portato con sé uomini segnati dai massacri. Mi servivano donne resilienti, coraggiose e impegnate a fondo nella missione. Perciò, chiesi che i miei superiori istituissero i Cultural Support Teams (CST) femminili come parte integrante delle operazioni di combattimento. Ashley White era stata una delle prime a offrirsi volontaria.
Ogni candidata per i CST veniva mandata a Fort Bragg, in North Carolina, dove veniva sottoposta a un addestramento fisico e psicologico accurato in vista dell’incarico oltreoceano. Ashley era in una forma fisica incredibile, in grado di fare venti trazioni alla sbarra di fila e di tener testa agli uomini nella maggior parte delle prove fisiche. Uno degli istruttori l’aveva soprannominata “la Megatron bionda taciturna”. Ma non era soltanto notevolmente tosta, era anche una signora sotto tutti gli aspetti. La sua compagna di squadra del CST, il capitano Meghan Curran, disse che Ashley «era una moglie e una figlia… che aveva un lato tenero e non ne aveva paura. Non aveva paura di conciliare la femminilità con il fatto di essere una guerriera».
A partire dall’agosto 2011 Ashley era in Afghanistan a condurre missioni con il 75th Ranger Regiment, l’unità di fanteria d’élite della nazione. A poche settimane dal suo arrivo, si era ritrovata in mezzo a uno scontro a fuoco con i talebani che le era valso l’ambita Combat Action Badge, conferita solo ai soldati cui il nemico ha sparato addosso. Con la sua tipica modestia, aveva liquidato l’azione come una cosa da niente.
Tutte le sere Ashley si metteva il giubbotto antiproiettile, prendeva il fucile, saliva a bordo di un elicottero e volava nell’oscurità senza sapere se sarebbe tornata. Ma nonostante il pericolo, nonostante i rischi, nonostante la possibilità di perdere tutto, la sua paura più grande era deludere i compagni: non esserci quando avevano bisogno di lei. Ma Ashley White c’era sempre per i suoi compagni. Era sempre preparata. Sempre concentrata sulla missione. La sera del 22 ottobre 2011 non era stata diversa. Aveva indossato l’equipaggiamento. Aveva messo da parte la paura ed era salita sull’elicottero; perché indipendentemente da quello che l’aspettava, non aveva intenzione di deludere i soldati che amava. L’unica differenza di quella notte era che il suo grande coraggio le sarebbe costato la vita.
Il combattimento è logorante. La paura ti divora notte dopo notte. Ti sussurra all’orecchio e si insinua nei tuoi incubi peggiori. Ci vuole un coraggio notevole anche solo ad alzarsi la mattina e affrontare la giornata. Ci vuole un coraggio ancora maggiore per affrontare la giornata con entusiasmo, conoscendo le sfide e i rischi che ti aspettano. Ma i veri eroi, come Ashley White, lo fanno perché trovano il coraggio di affrontare le loro paure, e quel coraggio dà loro nervi d’acciaio e una determinazione ferrea.
In ogni lettera che ho scritto ai genitori o al coniuge di un soldato caduto ho detto, senza esitare, che i loro eroi erano morti facendo ciò che amavano accanto a uomini e donne che li amavano e li rispettavano. Nonostante sappia quanto possano essere dolorose queste parole nel momento del lutto, nondimeno sono vere. Ashley White amava i soldati con cui prestava servizio, e il suo coraggio era l’incarnazione di quell’amore. Esattamente come lo era nel caso del tenente Mike Murphy, del capo Mike Monsoor, dei sergenti John Chapman e Robbie Miller, tutti insigniti della Medal of Honor… o dei SEAL e dei soldati a bordo degli elicotteri Turbine 33 e Extortion 17 che si sono alzati in volo per andare in soccorso dei compagni e non sono mai tornati. O delle migliaia di altri soldati, marinai, avieri, marines e civili che hanno sacrificato così tanto dall’11 settembre.
Ma il coraggio non è prerogativa dei guerrieri soltanto. Niente affatto. Ho visto identici atti di eroismo in medici che curavano gli ammalati, poliziotti che pattugliavano le strade, vigili del fuoco che si precipitavano dentro edifici sul punto di crollare, genitori che proteggevano i figli e innumerevoli altri uomini e donne che hanno trovato il coraggio di superare le proprie paure e di fare cose straordinarie.
Certe volte, però, il coraggio fisico di affrontare i nemici della nazione o le minacce nelle strade impallidisce in confronto al fegato necessario a combattere i nemici interiori. Ciascuno di noi deve fare i conti con delle sfide: paura, incertezza, rimpianto, alcol, droghe, depressione… la vita stessa. Tante volte sono rimasto colpito dal coraggio di altri nell’affrontare i propri demoni. Ho assistito con grande orgoglio quando il mio sergente maggiore, Chris Faris, e sua moglie Lisa hanno condiviso la loro storia personale con migliaia di soldati, raccontando lo stress post-traumatico di Chris e la loro battaglia per tenere unita la famiglia. Con quel gesto, Chris e Lisa hanno incoraggiato centinaia di altri guerrieri in difficoltà a cercare aiuto. Il loro coraggio ha indubbiamente salvato le vite di tanti giovani uomini e donne sull’orlo del suicidio.
Ma non sono stati solo i soldati ad aver combattuto contro queste ferite invisibili. Il generale a quattro stelle Carter Ham ha fatto la scelta straordinaria di rendere pubblica la sua battaglia con la depressione e lo stress post-traumatico, sperando che quella rivelazione avrebbe spinto altri a farsi avanti. L’ammiraglio Sandy Winnefeld, ex vicecapo dello stato maggiore, ha perso un figlio per overdose. Lui e sua moglie Mary hanno avviato una campagna chiamata SAFE Project per aiutare altre persone a combattere questa dipendenza.
Nessuno di noi è immune dalla sofferenza e dalle delusioni della vita. Ma se dubitate anche solo per un attimo di avere il coraggio necessario ad affrontare il male del mondo o la debolezza che abita dentro tutti noi… vi sbagliate.
La leggenda vuole che durante la battaglia per l’indipendenza del Texas il colonnello William B. Travis abbia sguainato la sciabola usandola per tracciare una linea nella sabbia ai piedi degli uomini che difendevano Alamo. Disse loro che quasi sicuramente sarebbero morti per mano dell’esercito del generale messicano Santa Anna. Chiunque desiderasse abbandonare il forte era libero di farlo. Ma quelli che volevano rimanere a combattere avrebbero dovuto fare un passo avanti: un passo oltre la linea tracciata sulla sabbia. Anche se politici, storici e gente benintenzionata di ambo le parti in causa possono discutere della legittimità della battaglia, nessuno può mettere in dubbio il coraggio degli uomini che rimasero e il loro impatto sul futuro dell’America.
Tutti noi abbiamo la nostra personalissima linea sulla sabbia, le paure che ci impediscono di essere coraggiosi. Ma tutti noi dobbiamo superare quelle paure, quegli ostacoli, quelle sfide che la vita ci presenta per fare un passo avanti. Solo uno. Un passo avanti per salire sull’elicottero. Un passo avanti per parlare con un medico. Un passo avanti per lottare contro l’ingiustizia. Un passo avanti per opporsi ai prepotenti. Un passo avanti per affrontare i propri demoni interiori. E se fate quel passo avanti troverete il coraggio che cercate, il coraggio necessario per superare le vostre paure ed essere gli eroi che desiderate essere.
Il codice dell’eroe
Mi sforzerò sempre di essere
coraggioso; di fare un passo avanti
mentre affronto le mie paure.
Capitolo 2

UMILTÀ

Un uomo capace ma umile
è un gioiello che vale un regno.
WILLIAM PENN
La sala dove si teneva la cena era piccola e raccolta, con splendidi pavimenti in parquet e portefinestre che si aprivano su un ampio scalone rivestito di moquette che portava nell’atrio. Il tavolo d’onore era apparecchiato per nove e distribuiti nella sala c’erano altri sei tavoli rotondi. Ero ospite del dottor Kenneth Cooper, il celebre cardiologo il cui primo libro, Aerobics, pubblicato nel 1968, aveva inaugurato la rivoluzione del fitness. Il dottor Cooper mi aveva invitato a parlare al Cooper Institute di Dallas quella sera dopo cena. Lui e sua moglie, Millie, erano seduti davanti a me. Alla mia destra c’erano Roger Staubach, il quarterback dei Dallas Cowboys entrato nella Hall of Fame, e sua moglie Marianne. Dopo il mio congedo dalla Marina nel 2014, Roger e io eravamo diventati buoni amici. Accanto ai Cooper era seduta un’altra coppia di Dallas e alla mia sinistra c’erano un signore più anziano e sua moglie.
Il dottor Cooper avviò la conversa...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. IL CODICE DELL’EROE
  4. Introduzione
  5. IL CODICE DELL’EROE
  6. Epilogo
  7. Il codice dell’eroe
  8. Ringraziamenti
  9. Copyright