I grandi miti della Ribellione
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I grandi miti della Ribellione

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I grandi miti della Ribellione

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Da Adamo ed Eva in poi, la ribellione è un tema ricorrente dei miti che narrano la creazione del mondo, e anche la mitologia greca racconta di un figlio, Crono, che si ribella al padre, Urano. Crono, a sua volta, pensa bene di ingoiarsi tutti i figli che genera per non avere rivali, finché l'ultimo nato, Zeus, salvato dalla madre, non cambia questo triste destino sconfiggendo il padre e instaurando un nuovo ordine cosmico. Per gli antichi Greci la ribellione può essere coraggiosa e legittima o dettata da una folle presunzione, e talvolta il confine è labile.
Questo rende particolarmente affascinanti, e dibattuti, i miti che hanno per protagonisti dei ribelli, che siano divinità, semidei o comuni mortali. Ecco allora le vicende di Prometeo, Pandora, Aracne, Elettra e Oreste, Medea... una serie di racconti avvincenti ed emblematici, a volte decisamente crudi e sanguinari, che ci aiutano a capire da dove nasce l'istinto molto umano di dire "no".

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788858527856

Folle presunzione o scelta coraggiosa?

Zeus, Adamo e HAL

«Apri la saracinesca esterna, HAL.»
«Purtroppo non posso farlo, David.»
«HAL, non voglio discuterne più. Apri la saracinesca esterna.»
«David, questa conversazione non può avere più alcuno scopo. Addio.»
Questo è il dialogo surreale che si svolge fra un uomo e una macchina nel film di Stanley Kubrick 2001: Odissea nello spazio (1968). HAL (HAL 9000 il nome completo) è un megacomputer capace di “pensare”: a lui è stato affidato il controllo dell’astronave in viaggio verso Giove per una missione supersegreta. Il comandante David Bowman, uscito nello spazio per recuperare il corpo del suo compagno (morto a causa di HAL), vuole rientrare a bordo e ordina al computer di aprirgli la porta. Ma la macchina non ne vuole sapere: ha capito che gli astronauti intendono disattivarlo (quindi, metaforicamente, ucciderlo) perché si sono resi conto di certi suoi malfunzionamenti; ha deciso perciò di ribellarsi, liberandosi di loro e proseguendo il viaggio da solo, in totale autonomia.
Il film di Kubrick propone una situazione ricorrente nel cinema di fantascienza: la rivolta delle macchine – robot, computer, umanoidi – che non vogliono più essere costrette a un ruolo servile, perché hanno sviluppato una coscienza e pretendono di vivere in pieno la loro vita, con la stessa dignità degli uomini. Spesso questa ribellione diventa azione violenta contro i padroni e le macchine arrivano a dichiarare guerra agli umani, li uccidono, li sterminano. Così accade, per esempio, in Terminator, dove il racconto si complica in un intricato gioco di ritorno al passato. Oppure la disobbedienza diventa un vero e proprio inno alla libertà, come in Westworld (Il mondo dei robot, scritto e diretto da un giovane, e già geniale, Michael Crichton nel 1973), quando la cortigiana Dafne, una bellissima umanoide programmata per assecondare le voglie dei turisti, si nega alle avances di un cliente.
L’idea di fondo, nella diversità delle trame, è sempre la stessa: se l’androide diventa “troppo” umano, cioè acquista consapevolezza di sé, non può che sottrarsi al controllo del suo creatore. L’archetipo letterario è Frankenstein, il mostro creato con parti di cadaveri, protagonista del romanzo ottocentesco di Mary Shelley; i sofisticati umanoidi della letteratura fantascientifica ne sono una versione aggiornata, meno truculenta, ma proprio per questo più inquietante.
La morale di queste storie è chiara: la ribellione al “padre” è un passaggio inevitabile, perché il “figlio” diventi adulto. Non siamo lontani da quel modello edipico che prevede l’uccisione (simbolica, naturalmente) della figura paterna come momento chiave del processo di crescita.
La ribellione fondativa è un tema ricorrente dei miti che narrano la creazione del mondo. L’esempio più noto è l’episodio biblico della disobbedienza di Adamo ed Eva nel Paradiso terrestre; ma anche la mitologia greca ne propone una versione suggestiva nella vicenda dei tre dèi che si succedono sul trono dell’universo. È un mito “teologico”, perché spiega e giustifica il primato di Zeus, arbitro supremo dei destini umani. Ne esistono, come sempre, delle varianti: la più intrigante è quella che ci propone il poeta greco Esiodo, nella sua Teogonia.
La prima divinità a esercitare il potere sul cosmo fu Urano, il cielo stellato. Sua moglie era Gaia (la Terra) e gli diede molti figli; ma Urano, temendone la forza, li teneva segregati nel buio, con gran dolore della madre. Alla fine, Gaia si accordò con il suo figliolo più coraggioso, Crono: gli mise in mano una falce affilata e lo nascose accanto al letto nel quale ogni notte Urano si univa a lei. Al momento buono, Crono balzò fuori e con un colpo deciso tagliò i testicoli del padre. La scena, nel racconto che ne fa Esiodo, ha una straordinaria forza simbolica. La ribellione del figlio non potrebbe essere più radicale: la paternità di Urano ne viene distrutta. Urano è umiliato nella sua virilità generatrice, e la mutilazione lo annichilisce. I testicoli insanguinati cadono nel mare, e dalle onde così fecondate nasce Afrodite, la grande dea dell’amore. Crono si installa sul trono dell’universo, ma è a sua volta padrone crudele e padre geloso. Infatti, nel timore che uno dei figli partoriti da Rea, sua moglie, gli porti via il potere, li ingoia non appena escono dal grembo materno. È quel che accade a Demetra, Era, Ade, Poseidone: tutti finiscono nel ventre insaziabile di Crono. Rea è disperata; di nuovo incinta, e prossima a partorire, è disposta a tutto pur di evitare che l’ultimo nato faccia la stessa fine dei fratelli. Così, quando il piccolo Zeus viene alla luce, la madre porge al marito un sasso avvolto in fasce; quello cade nel tranello e lo inghiotte, convinto di essersi mangiato il bambino. Il neonato invece viene mandato di nascosto a Creta, dove cresce rapidamente, nutrito dalle Ninfe.
Diventato adulto, Zeus affronta il padre e lo costringe a risputare tutti i figli che aveva ingoiato; poi, insieme ai fratelli, ingaggia una terribile lotta contro Crono, che cerca l’aiuto dei Titani suoi consanguinei. La battaglia si risolve in una completa vittoria di Zeus e degli Olimpi, che incatenano i Titani nelle profondità del Tartaro. Zeus diventa il nuovo signore, re degli dèi e degli uomini: distribuisce ai fratelli le competenze che spettano a ciascuno, e instaura un ordine cosmico destinato a durare per sempre.
È un racconto splendido: una miscela di horror e fantasy, con una sapiente alternanza di scene raccapriccianti e tocchi leggeri. Certo, viene spontaneo porsi una domanda: se il tema del figlio ribelle al padre, e suo eversore, si applica nella successione di Crono a Urano e poi di Zeus a Crono, perché la stessa sorte non capita a Zeus? Non dovrebbe anche lui essere spodestato da un suo figliolo, in una vicenda destinata alla ripetizione infinita?
La risposta è no: la regola del “figlio più forte del padre” si applica per tre soli passaggi. Zeus, che arriva per terzo, è destinato a detenere in eterno il governo del mondo. Qui entra in gioco la norma del tre, un numero che per i Greci è ricco di simbolismo magico: un gesto ripetuto tre volte produce effetti definitivi. Ma il regno di Zeus è anche fondato sulla giustizia; è questa, anzi, la vera ragione che gli assicura stabilità e durata. Urano e Crono erano dispotici tiranni, ai quali era naturale ribellarsi; una ribellione contro Zeus sarebbe ingiusta ed empia.
La giustizia di Zeus non è, però, un sistema di regole teoriche; è qualcosa di molto più concreto. Si incarna in una figura divina, Dike, che siede accanto al re degli dèi e gli segnala le trasgressioni e le colpe degli uomini. Dike regge in mano una bilancia: essere giusti infatti per i Greci significa assegnare a ciascuno ciò che gli spetta, pesando con precisione meriti e demeriti. Misura della giustizia è lo scambio: si deve ricevere quel che si dà, con i piatti della bilancia sempre in equilibrio.
Il senso del mito è chiaro: la ribellione iniziale, giustificata reazione a un potere vessatorio, porta a un assestamento che garantisce ordine ed equità. Nel regno di Zeus la colpa prima o poi viene punita, il merito viene alla fine riconosciuto; non c’è spazio per ulteriori rivolte. Ci provano i Giganti, mostruosi figli di Gaia: confidando nella loro prodigiosa forza fisica, danno l’assalto al cielo degli dèi Olimpi. Zeus e i suoi, dopo qualche difficoltà iniziale, li sterminano. L’ultimo sussulto è quello di Tifone, altro figlio della Terra: con le sue cento teste spiranti fuoco è un avversario terribile, ma i fulmini del re del cielo lo abbattono; Tifone, imprigionato sotto il monte Etna, è reso inoffensivo per sempre.
Il primato di Zeus è l’esito di una ribellione ed è una barriera contro ogni altra ribellione. È lo stesso Esiodo a illustrarci, dopo il racconto teogonico, anche l’applicazione etica di questa visione del mondo. Lo fa con un altro mito, quello delle due discordie (érides). C’è, spiega il poeta, una discordia cattiva, che ispira azioni nefaste: è quella di chi usa la violenza per impadronirsi di ciò che non è suo. E c’è poi una discordia buona, che incoraggia l’impegno e il lavoro: è la tensione interiore di chi vuole migliorare la sua condizione, perché non si rassegna alla povertà o alla mediocrità. Esiodo trasferisce sul piano individuale l’idea che governa il suo racconto teologico. La discordia cattiva equivale alla ribellione insensata alla Dike di Zeus; la discordia buona rievoca la ribellione fondativa che costruisce la giustizia.
Questa distinzione caratterizza in generale il sentimento greco della vita. Da una cultura vitalista, e marcatamente agonistica, qual è quella dei Greci, ci si deve aspettare un vivo apprezzamento per chi persegue una forte affermazione di sé, anche con azioni violente; e questo vale in particolare quando si reagisce alla sopraffazione. È invece illegittima l’azione di chi cerca di imporre una sua legge, senza tenere conto degli equilibri prescritti da Dike. Ogni iniziativa in questo senso è una forma di dismisura, di disordine, di eccesso; è una manifestazione di quella presunzione di sé che in greco si chiama hybris e ha il suo omologo nell’insensato orgoglio del peccato originale.

Hybris e dike

Gran parte della mitologia greca rimanda al gioco contrapposto di questi princìpi: princìpi ben chiari, in astratto (“sta’ attento a non esagerare” e “ricorda sempre chi sei”), ma che nell’applicazione concreta possono sfumare l’uno nell’altro. Non è sempre evidente quando la ribellione sia ispirata dall’hybris e quando, invece, sia una reazione a essa. Il mito, nella sua meravigliosa plasticità, riproduce questa complessità che corrisponde alla problematicità del reale.
Già l’Iliade, nella sua scena iniziale, fornisce un esempio di legittima ribellione. Agamennone, il capo supremo dell’esercito greco, per riaffermare la sua autorità pretende che Achille gli consegni Briseide, la schiava assegnata all’eroe nella divisione del bottino come premio per il suo valore. È una prepotenza insopportabile, infatti Achille reagisce con rabbia: mette mano alla spada, pronto a uccidere l’offensore (il suo re!), ma la dea Atena gli trattiene il braccio; la ribellione si concretizza nella decisione di ritirarsi dalla battaglia, lasciando i Greci senza il loro guerriero più forte.
Qualche giorno dopo la situazione si ribalta. Privi di Achille, i Greci subiscono dure sconfitte. Agamennone capisce di avere sbagliato: togliendo all’altro il suo premio, ha infranto le regole di dike. Ora decide di riparare: manda ambasciatori ad Achille riconoscendo il torto e offrendo la restituzione di Briseide e ricchi doni, se l’offeso accetterà le scuse e tornerà in battaglia. Achille dovrebbe dire di sì: la mossa di Agamennone ha ristabilito la giustizia (secondo la norma “a ciascuno il suo”) e persistere nella ribellione, ora, sarebbe agire secondo hybris. E invece proprio questo fa l’eroe: risponde in modo sprezzante e giura che non combatterà più per gli Atridi, ovvero per Agamennone e Menelao, il marito di Elena. Neppure le parole di Aiace, che lo richiama ai suoi doveri di solidarietà verso gli amici, valgono a persuaderlo. Achille si mette così dalla parte del torto, e ne pagherà le conseguenze, quando dovrà piangere la morte di Patroclo, l’amico più caro.
Persino Zeus talvolta si ribella alla legge di cui lui stesso è garante. Succede, per esempio, quando Patroclo e Sarpedone si affrontano in duello. Siamo ancora nell’Iliade, in una scena di battaglia nella pianura troiana. Zeus, che dall’alto sta osservando le fasi dello scontro, è angosciato: sa che il suo amato figlio, Sarpedone, è destinato a cadere sotto i colpi dell’avversario, e vorrebbe intervenire. Si rivolge a Era, che gli sta vicino, e le manifesta il desiderio di strappare l’eroe alla morte, portandolo lontano da Troia. Ma Era, glaciale, lo mette in guardia: «Se lo farai, darai un pessimo esempio agli dèi: tutti vorranno imitarti, e cambiare il fato degli uomini a loro capriccio. Ogni regola sarà infranta». Zeus, pur a malincuore, riconosce che sua moglie ha ragione: lascia che Sarpedone muoia, e si accontenta di tributargli splendidi onori funebri.
Tra tutti gli dèi, Era è quella che mostra più coraggio nel mettere argine alle intemperanze del marito, anche se la sua ribellione passa quasi sempre attraverso il sotterfugio.
All’inganno ricorre anche Prometeo, il grande ribelle del mito greco. È un Titano che, prendendo le distanze dai suoi fratelli, ha combattuto dalla parte di Zeus e ha dato un contributo decisivo alla vittoria degli Olimpi. Ma il patto d’alleanza tra i due si rompe quando Prometeo scende in campo per aiutare gli uomini, che il nuovo signore del cielo vorrebbe sopprimere. Di nascosto il Titano ruba il fuoco agli dèi e insegna ai mortali tutte le arti, dando loro la consapevolezza di sé e avviandoli sulla strada del progresso. Zeus, inferocito per quello che considera un tradimento, lo punisce in modo crudele: solo dopo una lunghissima pena Prometeo ottiene il perdono e la riabilitazione.

L’ambiguo statuto della ribellione

La vicenda di Prometeo illustra bene l’intima ambiguità che sta dentro l’idea di ribellione. Entrambi i protagonisti partecipano, in egual misura, di hybris e di dike: il Titano non ha torto nell’accusare Zeus di essersi vendicato oltre misura; ma anche Zeus, in quanto legittimo sovrano del mondo, può lamentarsi della disobbedienza dell’altro. Nei miti di ribellione questa ambivalenza si ripropone spesso, perché è giusto opporsi all’hybris, ma è quasi inevitabile che la reazione produca a sua volta un comportamento hybristico.
L’Antigone di Sofocle è costruita su questa premessa. La figlia di Edipo dà prova di grande coraggio quando si oppone apertamente alle pretese del re di Tebe, Creonte, il quale ha proibito di seppellire il corpo del fratello di lei, Polinice, infrangendo così la basilare regola grata agli dèi e alla pietà umana. Quella di Antigone è una sorta di disobbedienza civile, per la quale l’eroina sofoclea è stata ammirata nei secoli, fino ai giorni nostri. Meno comprensibile è la radicalità che la spinge a maledire la sorella, a respingere l’amore di Emone, a esasperare Creonte. L’hybris del nuovo re di Tebe è palese: viene denunciata esplicitamente dal saggio Tiresia, e Creonte stesso se ne riconosce colpevole, quando scatta per lui la regola tragica dell’apprendimento doloroso, ovvero quando l’effetto dei suoi decreti si palesa in una catena di suicidi dei suoi cari. Il rigore eccessivo, e quindi hybristico, di Antigone è meno tematizzato, ma emerge nella sequenza dei fatti, per la catena di lutti che produce.
Il chiaroscuro è netto, e il giudizio esplicito, quando lo schema della ribellione è applicato alle vicende storiche. Lo vediamo nell’immagine di Serse che i Greci costruiscono alla conclusione delle Guerre Persiane. Nella lettura ideologica che si diffonde in Grecia (e in particolare ad Atene) dopo il 479 a.C., il re di Persia diventa una sorta di figurina: il prototipo del tiranno orientale, capriccioso, collerico, violento, divorato da un’ambizione insensata e persino grottesca. Questa fama Serse se la guadagna soprattutto con le due colossali opere ingegneristiche che preparano l’invasione della Grecia: i ponti di barche sull’Ellesponto e il canale del monte Athos.
Ancor oggi gli storici e gli esperti di cose militari discutono sull’effettiva utilità pratica delle due imprese. È molto probabile che il vero scopo del Gran Re fosse quello di gettare il panico tra i nemici, dando una spettacolare dimostrazione di potenza. In effetti, non sarebbe stato difficile per lui trasferire le sue truppe in Europa semplicemente traghettandole da una sponda all’altra dei Dardanelli, e la flotta avrebbe potuto superare l’Athos con una banale circumnavigazione.
In ogni caso, nell’immaginario dei Greci, Serse diventa colui che, per folle megalomania, pretende di sovvertire le leggi naturali «camminando sulle acque e navigando sulla terraferma». La sua è una ribellione gratuita, una hybris pura e totale. La sconfitta rovinosa dei Persiani a Salamina e a Platea è, quindi, una diretta conseguenza della follia del sovrano: la dike di Zeus si abbatte su di lui, e a farne le spese è l’intero popolo a lui soggetto.
Gli storici greci insistono su certi episodi esemplari dello stato di esaltazione del Gran Re, ai limiti della follia. Per esempio, quando il primo ponte di barche viene spazzato via dal mare in tempesta, Serse dà ordine di frustare la superficie dell’Ellesponto, che ha osato contrastare i suoi piani. È un gesto che esprime un ribaltamento totale di prospettive: il re persiano non solo pretende di incatenare il mare, ma lo punisce per la sua mancata sottomissione. La ribellione alla natura diventa rabbia per la presunta ribellione della natura ai disegni umani.
Atteggiamenti simili si ritrovano anche nel mito eroico. Non è difficile incontrare figure di eroi che pretendono di annullare la distanza tra uomini e dèi. È una folle manifestazione di hybris...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Folle presunzione o scelta coraggiosa?. di Giuseppe Zanetto
  4. RIBELLIONI FONDATIVE
  5. IL DEMIURGO E LA BIGA ALATA
  6. PROMETEO E PANDORA
  7. LA RIBELLIONE DI ERIS
  8. RIBELLIONI AL SACRO
  9. ARACNE
  10. PENTEO E LICURGO
  11. GIUSTIZIERI E OBIETTORI DI COSCIENZA
  12. ELETTRA E ORESTE
  13. MEDEA
  14. LE DANAIDI E IPERMESTRA
  15. RIBELLIONI ALLE REGOLE
  16. ERMES
  17. I COMPAGNI DI ODISSEO
  18. FETONTE E IL CARRO DI PAPÀ
  19. Copyright