I Grandi Miti della Resilienza
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I Grandi Miti della Resilienza

  1. 208 pagine
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I Grandi Miti della Resilienza

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In tempi incerti e difficili, la resilienza è essenziale più che mai. Oggi la sentiamo invocare da più parti come strumento di rinascita, per rialzarsi dopo una caduta, per guarire dopo una malattia, per ritrovare la voglia di vivere dopo l'inerzia.
Questa capacità di non rassegnarsi alla sconfitta e di non cedere alle avversità è una qualità che contrassegna anche l'approccio degli antichi Greci alla vita, che vede nella resistenza, stretta parente della resilienza, una forza indispensabile data agli uomini dagli dèi.
Odisseo, il cui nome è sempre accompagnato dall'epiteto «resiliente», è l'eroe che meglio incarna questo modo di vivere. Odisseo affronta tutte le esperienze che la vita gli offre con estrema intensità e drammaticità, senza risparmiarsi. Ma anche eroi come Filottete ed Eracle sono esempi di resilienza; o Efesto e la sua risalita all'Olimpo; Demetra, che per riavere la figlia accetta il compromesso; e i mostri mitici come il gigante Anteo, che attinge le forze dalla Madre Terra, o l'Idra di Lerna, le cui teste ricrescono dopo essere tagliate; e infine la celebre Fenice, che risorge dalle ceneri.
Un viaggio tra i miti che esortano il cuore a riprendere un cammino destinato forse a non finire mai.

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Informazioni

Anno
2021
ISBN
9788858527863

RESISTERE ALLE AVVERSITÀ

ERACLE E L’IDRA

Tante teste, un solo mostro

Prima di farlo impazzire, Era non aveva risparmiato agguati e assalti al suo odiato Eracle: aveva sempre cercato di annientarlo in tutti i modi, e non le mancava certo la fantasia.
Un giorno, si mise in testa di allevare un mostro. A Lerna, nell’Argolide (regione del Peloponneso orientale), in una fangosa palude senza fondo viveva l’Idra, un serpente gigantesco, con nove teste: proprio quel che faceva al caso suo. Se ne prese cura amorevolmente e lo nutrì con generosità, svolgendo nei suoi confronti un ruolo quasi materno che aveva rifiutato in passato di assumere per il suo vero figlio Efesto, che pure era un “mostro” per lei.
Ma questa volta ne aveva tutto l’interesse: se ne sarebbe servita contro Eracle, facendo in modo che il padrone Euristeo gli commissionasse l’impresa impossibile di uccidere l’Idra di Lerna.
Impossibile, certo, perché quel mostro era la resilienza incarnata: le sue teste, se venivano tagliate, ricrescevano raddoppiate! Tutte tranne una, che era immortale.
In verità, le chiacchiere di paese erano discordi sul numero di quelle teste di serpente che spuntavano dalle acque, dimenandosi sul corpo gigantesco: c’era chi diceva di averne viste solo nove, chi addirittura cinquanta. Forse si erano lasciati confondere dal riflesso sulla superficie dello stagno? O dalla paura? O forse alcuni mentivano addirittura, fingendo di aver affrontato di persona l’Idra senza averne mai in realtà avuto il coraggio, e galoppando con la fantasia? O forse qualche poeta ha voluto rendere i suoi versi più spettacolari, diffondendo così tradizioni infondate? Nessuno lo sa.
Quel che è certo è che chi fosse passato dalle paludi di Lerna e, tra le nebbie umide e la vegetazione palustre, avesse visto emergere anche solo una delle teste serpentine, enormi e spaventose come incubi, certo non sarebbe stato incoraggiato a fermarsi.
Anche perché il respiro velenoso di quel mostro bastava a uccidere qualunque essere vivente si aggirasse nelle vicinanze.
Ben sapendo tutto ciò, la regina degli dèi sogghignava, mentre alimentava con prodigalità l’Idra, richiamandola ogni giorno e aspettando che affiorasse dalla sua paludosa dimora per offrirle in dono ogni sorta di leccornie: guardava i suoi occhi rosseggianti, i colli che si contorcevano, il corpo viscido che diventava di giorno in giorno più grosso e massiccio, e pregustava la sconfitta del suo rivale.

Un’ardita missione

Ma si sbagliava. Non conosceva bene Eracle, non aveva fatto i conti con la sua capacità di resistere agli urti della vita e di trovare soluzioni ed escamotage imprevedibili per superare ogni ostacolo: lui ne sapeva una più dell’Idra.
Venne il giorno della missione.
Eracle era pronto a partire da Micene, armato di tutto punto. Si congedò dal padrone Euristeo, salì sul carro e diede il segnale di partenza a Iolao, suo nipote e amico fedele, che si era offerto di fargli da cocchiere. I cavalli partirono al galoppo.
Arrivati alla base della collina dove sorgeva la palude, Iolao tirò le briglie e i cavalli si arrestarono. Eracle e il suo auriga scesero dal cocchio e proseguirono a piedi, risalendo il colle e avvicinandosi alle sponde stagnanti, con un segreto fremito di paura.
Ecco la tana dell’Idra: stava lì, acquattata tra le canne, sotto un grande platano che affondava le sue radici nell’acqua del lago.
Eracle scaricò dalle spalle arco e faretra e scoccò qualche freccia infuocata, stanando la bestia e costringendola a uscire dal suo nascondiglio.
Era proprio spaventosa.
Ma l’eroe non si fece intimorire. Afferrò uno dei suoi colli e lo tenne saldamente, con la forza immane che si ritrovava.

Complicazioni

Menando colpi con la clava, cominciò a troncare una testa dopo l’altra: ma suo malgrado si accorse che, per ogni testa troncata, ne spuntavano altre due. Un sudore gelido lo percorse: questa non l’aveva prevista. E adesso come se la sarebbe cavata? Non aveva scampo, a quanto pareva: nemmeno la forza e il coraggio sarebbero bastati, di fronte a una creatura invincibile per costituzione.
Quante volte capita anche a noi: cerchiamo di risolvere un problema, e come per magia ne nascono altri due! Il mito ha radici profonde e a volte si ha la sensazione che parli di noi.
Ma se la nostra è una giusta missione, e se ne va della salvezza dai mostri, bisogna insistere: perché nelle “sfide di resilienza” con cui la vita ci mette spesso e volentieri alla prova, vince sempre chi è più testardo, chi a ogni colpo ricevuto continua a scegliere di non arrendersi. Chi ci crede di più.
Una delle mosse vincenti, in questi casi, è cambiare strategia, senza fissarsi vanamente su un’azione che si è rivelata controproducente, con animo aperto e versatile. Rem tene, verba sequentur, si usava dire nelle scuole di retorica antiche: ossia, tieni fisso il senso, lo scopo che vuoi raggiungere, non cedere sull’obiettivo, e le parole (verba) verranno da sole, ma potremmo estenderlo anche agli acta, le azioni. L’importante è non demordere, resistere a denti stretti senza ritirarsi, sperimentando altre vie e modalità per raggiungere la propria meta.
Così fanno gli eroi: con calma, tenacia e fantasia. E poi l’aiuto arriva.

La mossa vincente

Eracle infatti, mentre rifletteva sulle sue possibili mosse alternative, vide arrivare dalla selva vicina, avanzando sinistro tra l’erba, un grosso granchio, certo complice dell’Idra, che gli morse il piede.
L’eroe di scatto l’uccise, e chiamò in aiuto Iolao, che accese il fuoco e appiccò un incendio alla selva.
Il fuoco! Ecco la strategia vincente!
Eracle prese i tizzoni ardenti e bruciò le teste del mostro alla radice, impedendo così che rispuntassero.
Allo stesso modo bisognerebbe fare con tutti i problemi del mondo: se li si taglia in superficie, scompaiono solo in apparenza ma la radice rimane e presto (come i colli dell’Idra) o tardi (come certe faccende della vita che si muovono sui tempi lunghi) stiamo pur certi che rispunteranno: forse anche raddoppiati. Ma se li si brucia alla radice, estirpandone le cause profonde, li si rende definitivamente innocui.
Domate così le teste che ricrescevano, Eracle tagliò l’ultima rimasta, quella immortale, e la seppellì lungo la strada di Lerna, collocandovi sopra un pesantissimo masso. Poi fece a pezzi il corpo del mostro e nel veleno letale del suo fiele intinse le sue frecce, rendendole infallibili.
Non dimenticò mai l’aiuto che Iolao gli aveva offerto, e quell’esperienza rinsaldò ancor più la loro alleanza. In due si pensa meglio, si vede più lontano e si resiste più a lungo: la resilienza di un eroe non è per forza un atto individuale, a volte è il risultato dell’unione di due menti amiche e di due destini che si sono incrociati sulla stessa strada del mondo per camminare insieme e fortificarsi a vicenda, aiutandosi a superare anche le più caparbie avversità.

DALLA PALUDE AL FIRMAMENTO

Chi ha paura dei rettili sia prudente quando guarda il cielo notturno: perché lo sguardo potrebbe cadergli sulla colossale Idra, la più grande di tutte le costellazioni. La sua testa si trova nell’emisfero boreale, la punta della coda a sud dell’Equatore celeste: un serpente sinuoso, gigantesco, tanto che in era cristiana fu reinterpretato come il biblico fiume Giordano. Ma una certa rassicurazione può venire dal fatto che, nonostante la sua mole, l’Idra non è facilmente identificabile a occhio nudo, per la sua scarsa luminosità: è sempre bassa sull’orizzonte, e le sue stelle, per lo più poco brillanti, sono offuscate da nebbie e densi strati atmosferici. Del resto, come potrebbe brillare un mostro mitico che fu usato da una perfida dea per soffocare la luce di un eroe? L’Idra, elevata dalla gelosa Era tra le stelle, resta anche lassù il simbolo immortale della vittoria della resilienza: a sconfiggerla è sempre l’eroe più luminoso, il Sole, che con la fiamma del solstizio estivo costringe la serpe di stelle a nascondersi e sparire, inghiottita dalla sua palude d’ombra. Anche nel cielo, il mostro delle tenebre è sconfitto dal fuoco: e nemmeno la complicità della notte sembra disposta a salvarlo dal suo oblio.

LE TEMPESTE DI ODISSEO

Cantami, o Musa, l’uomo

Quando le tempeste della vita imperversano, un eroe, specie se appartiene alla civiltà arcaica dei guerrieri epici, deve resistere a testa alta, con cuore saldo e mente ferma.
Il cantore dell’Odissea, prima di cominciare il suo poema, invocava la Musa della poesia, perché parlasse attraverso di lui, semplice strumento del sacro.
Quella voce divina avrebbe però dovuto cantare “un uomo”: un guerriero dalla mente versatile, che a lungo errò per mare dopo la distruzione di Troia e molti dolori patì e superò, lottando sempre per la sua vita e per garantire il ritorno anche ai suoi compagni.
Si trattava di Odisseo, naturalmente: ma prima ancora di svelare il suo nome, il poeta lo definiva “uomo”, in prima posizione assoluta, una parola così forte nella sua semplicità, che rimane impressa nella mente del lettore come un’eco.
Chi fosse questo “uomo”, prima del suo nome, erano le sue azioni e i suoi comportamenti a definirlo: soprattutto, la sua capacità di sopportare le avversità della vita, che nel caso di Odisseo si concentravano nel suo travagliato viaggio di ritorno a casa.
In una parola, la sua resilienza: è questa la virtù “umana” per eccellenza, che permette a un uomo di portare a compimento la sua natura. Chi è uomo deve soffrire, è la sua stessa condizione mortale che lo richiede: per essere pienamente uomo, deve riuscire ad affrontare dolore e fatica e continuare a remare anche controcorrente, senza rassegnarsi mai alle forze contrarie.
Ma non è lasciato da solo, nelle sue battaglie: gli dèi sono con lui, se li prega e invoca la loro presenza per sostenerlo sulla sua strada.
Odisseo era detto polytlas, aggettivo derivato dalla radice della tlemosyne, la “sopportazione”, la “resistenza” alle avversità: la “resilienza”, potremmo proprio dire. In questo senso, il resiliente Odisseo era pienamente uomo: aveva vissuto tutte le esperienze che un essere umano può dover affrontare e aveva sviluppato la capacità di sostenere e superare gli ostacoli e le difficoltà che la natura umana porta con sé.

Quando infuria la tempesta

Navigò e navigò, per anni, su quella nave percossa dai venti, che dondolava al precario equilibrio del destino.
Finché gli dèi sorridevano, la bonaccia accarezzava le onde, e la navigazione procedeva tranquilla. Ma quando si arrabbiavano, scatenavano la loro furia sulle acque, e sollevavano burrasche.
Così accadde dopo l’incontro con le alate Sirene (nel mito antico non erano donne-pesce, ma donne-uccello!): superato il pericolo delle voci ammalianti e infide che seducevano e poi schiantavano le navi dei marinai incauti, scoppiò una violenta tempesta che mise a dura prova la tlemosyne dell’eroe e dei suoi compagni di viaggio.
Un rombo di tuono improvviso sconvolge il cielo, ondate enormi si sollevano dal mare, più alte dell’albero maestro, e un gran fumo nero si sparge nell’aria. I compagni, atterriti, si lasciano cadere i remi dalle mani, si urtano tra loro, sono sommersi dall’acqua, la nave smette di procedere e resta in balìa delle onde…
«Amici, non perdiamo la calma!» grida Odisseo reggendo con fermezza il timone delle emozioni di tutti. «Non siamo inesperti di disgrazie. Ne abbiamo superate di peggiori. Restiamo uniti, ognuno faccia quello che vi dico.
«Voi sedetevi di nuovo ai vostri posti, in ordine; prendete i remi e dateci dentro, non mollate un istante. Forse, se ce la mettiamo tutta, Zeus ci aiuta e ci dà scampo.
«Tu, timoniere, reggi il timone e guida la nave fuori da questo fumo: manovralo con decisione, e stai attento allo scoglio, ché la nave non ci sbatta contro e andiamo tutti a mare.
«Mi raccomando, saldi e decisi!»
Quando le forze opposte si scaraventano contro di noi, perdere il controllo di noi stessi porta solo alla deriva. È in quei momenti che serve polso fermo, capacità di ingoiare le proprie umane paure e indecisioni, che si rivelerebbero solo controproducenti e forse fatali, e di resistere con tenacia, saldi sul proprio obiettivo.
Quella tempesta fu una delle esperienze in cui con maggior vigore si espresse la tlemosyne del resiliente Odisseo: a volte la responsabilità della tutela di altre vite fa emergere da se stessi una forza doppia, perché la missione di difendere il prossimo dai colpi della sventura rende ancor più attenti e motivati di quanto non si sarebbe se si agisse solo per se stessi. Così il ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Resistere per rinascere. di Giuseppe Zanetto
  4. CADERE E RIALZARSI
  5. ANTEO E LA TERRA
  6. EFESTO E IL FUOCO
  7. ERACLE E L’AMICIZIA
  8. RESISTERE ALLE AVVERSITÀ
  9. PIEGARSI E CAMBIARE
  10. MORIRE E RISORGERE
  11. Copyright