«Locusta, tu che sei maestra impareggiabile di pozioni letali, devi crearmi un antidoto al veleno, semmai qualcuno pensasse di propinarmelo. Mi raccomando: che sia potente, potentissimo, tale da sconfiggere qualsiasi filtro esiziale. Te lo pagherò a peso d’oro.»
«Agrippina, mia Domina, in quest’ampolla c’è la terìaca, una miscela di cinquanta piante, fra cui l’odoroso incenso e la preziosa mirra; io vi aggiungerò lucertola triturata, carne di serpente, oppio e altri ingredienti segreti. Nessun antidoto sarà così potente, augusta Agrippina, ma dovrai usare l’accortezza di assumerlo ogni giorno, aumentando la dose piano piano per abituare il tuo corpo ad assorbirlo: comincia con una goccia, poi domani due, poi tre e così via. Tu, una volta assuefatta, sarai immunizzata e nessun veleno potrà annientarti1.»
«Bene, vecchia megera, a lavoro finito, avrai una bisaccia colma di sesterzi» replicò Agrippina compiaciuta, con un sorriso torvo. «Lavora senza sosta, stanotte: per domani voglio l’antidoto. I miei nemici, a cominciare da mio figlio Nerone, non avranno vita facile se pensano di sbarazzarsi tanto facilmente di me.» Il suo sguardo era una lancia appuntita. Locusta le rivolse un sorriso sdentato: «Domani, allo spuntar del sole, avrai ciò che mi hai chiesto. E sarai invincibile, mia Domina».
Invincibile forse no, ma una delle donne più potenti, spietate e influenti della Roma antica, Agrippina Minore sicuramente lo fu. Pronipote di un imperatore (Ottaviano Augusto), sorella di un imperatore (Caligola), moglie di un imperatore (Claudio), madre di un imperatore (Nerone), era una dei nove figli generati da Germanico, il più valente generale dell’imperatore Tiberio (di cui era anche figlio adottivo) e da Agrippina Maggiore, nata dai dissoluti lombi di Giulia Maggiore, figlia, a sua volta, del primo imperatore di Roma, Ottaviano Augusto.
Agrippina nacque il 6 novembre del 15 d.C. in quello che allora era solo un insediamento militare sulla sponda sinistra del Reno (denominato Colonia Agrippinensis in suo onore) e che oggi è la città tedesca di Köln, Colonia. In questo castrum erano accampate le truppe romane impegnate in una campagna militare contro i Cherusci, al comando di suo padre, Germanico, amatissimo dal popolo e acclamato dai soldati, e destinato a succedere a Tiberio quale imperatore, se non fosse che quest’ultimo, mosso da grifagna invidia per l’enorme popolarità che lui godeva, lo fece avvelenare.
Ad accusare pubblicamente l’imperatore fu l’indomita e innamoratissima vedova di Germanico, Agrippina Maggiore, la quale, proprio a causa di questo atto di sfida e d’accusa, fu confinata nell’allora inospitale isola di Pandataria (oggi Ventotene), dove morì di stenti in seguito alle terribili flagellazioni subite; stessa sorte capitò ai due figli che erano con lei: uno si suicidò e l’altro perì di fame (era arrivato persino a cibarsi della paglia del proprio giaciglio).
Suo nonno Tiberio le aveva decimato gran parte della famiglia, e per questo Agrippina lo odiava, e la sua acredine si acuì a dismisura quando le impose di sposare, a quattordici anni, Gneo Domizio Enobarbo, il quale, non solo aveva trent’anni più di lei, ma era un uomo rude, crudele e vizioso che si era macchiato di turpi violenze e omicidi efferati. Lei non lo amerà mai.
Gneo, invece, era affascinato da questa ragazza alta e carismatica, intelligente e calcolatrice, astuta e volitiva.
Solo dopo nove anni di matrimonio generarono un figlio, Lucio Domizio (il futuro Nerone), nato ad Anzio il 15 dicembre del 37 d.C., che dal padre riprese i capelli rossicci e gli occhi sporgenti, e da entrambi la propensione alla spietatezza: «Da me e da Agrippina non può che nascere soltanto qualcosa di dannoso per Roma», profetizzò Gneo alla sua nascita.
Lo storico Plinio narra che il bambino venne alla luce in posizione podalica, cosa allora ritenuta di cattivo auspicio, e quando i rinomati sacerdoti caldei predissero alla madre che il neonato avrebbe avuto una vita gloriosa e che sarebbe assurto al potere di Roma, ma che si sarebbe macchiato di matricidio, Agrippina rispose: «M’uccida, purché diventi imperatore!». Sarà accontentata in entrambe le cose.
Agrippina partorì suo figlio lo stesso anno in cui suo fratello Gaio, che tutti chiamavano Caligola (da caligae, i calzari che da piccolo soleva indossare quando si aggirava negli accampamenti militari insieme al padre), assassinò l’odiato Tiberio soffocandolo con un cuscino. Lo uccise sia per vendicarsi dei familiari morti per causa sua, sia per assurgere al trono di Roma. E così avvenne. Se Tiberio era stato degenerato, cupo e spietato, Caligola lo avrebbe presto superato in turpitudini, crudeltà e nefandezze.
Una di queste, che scandalizzò tutta Roma, pur avvezza a immoralità e dissolutezze, fu l’oscena passione incestuosa che Caligola intessé con tutte e tre le sue sorelle: la morbida Giulia Livilla, la voluttuosa Drusilla, la spregiudicata Agrippina.
Non solo spregiudicata, ma anche amorale e opportunista. Immune da passioni sentimentali e da brividi erotici, Agrippina mostrava un’inesausta (e mendace) brama erotica al solo scopo di far impazzire di godimento gli amanti, di manipolarli e raggiungere i propri obiettivi: i suoi amplessi, pertanto, non furono mai veicolo di piacere ma di potere, e per questo non si era peritata di divenire l’amante del proprio fratello Caligola.
Ma compì un errore madornale: intessé una relazione anche con il cognato, il bello e corrotto Marco Emilio Lepido, marito di sua sorella Drusilla e compagno di giochi erotici anche dell’altra sorella Giulia Livilla; non solo, ma in combutta con quest’ultima, Agrippina ordì una congiura per spodestare il loro fratello Caligola e sostituirlo sul trono imperiale proprio con Lepido. La congiura venne scoperta e Caligola condannò lui a morte e le due sorelle cospiratrici all’esilio: Agrippina nella funesta isola di Pandataria e Giulia Livilla in quella che attualmente è l’isola di Ponza.
Queste ultime sarebbero rientrate a Roma soltanto nel 41 d.C. quando, dopo l’assassinio di Caligola per mano di un manipolo di pretoriani, salì sul trono il loro zio Tiberio Claudio Druso, fratello del loro papà Germanico e passato alla storia come l’imperatore Claudio, nonché marito di Valeria Messalina.
Agrippina intanto, rimasta vedova di Gneo Domizio Enobarbo nel frattempo morto annegato (e molti sospetti si addenseranno su di lei quale mandante di questa morte), impalmò il facoltoso Gaio Sallustio Passieno Crispo che dopo qualche tempo fece sopprimere col veleno, non prima di averlo convinto a nominarla erede universale di tutte le sue immense fortune. L’uccisione del suo secondo marito rientrava in un disegno preciso e perverso: diventare la nuova moglie dell’imperatore Claudio, che nel frattempo era rimasto vedovo di Messalina, uccisa su istigazione di Narciso, il potente segretario personale dell’imperatore.
«Pallante2, dimmi, è vero che l’imperatore Claudio ha giurato ai suoi pretoriani che non si risposerà mai più?»
«Sì, Domina, e ha anche aggiunto: “Vi autorizzo a mandarmi a morte, caso mai cambiassi idea”.»
«Che scempiaggine! Mio zio negli affari di cuore è un irresoluto ma, cosa per me molto vantaggiosa, è bramoso di piaceri e ha un debole per le donne lussuriose. Ergo, non sarà difficile per me saziarlo e rinnovargli sempre la fame.»
«Agrippina, il talamo e il trono accanto a quello di Claudio sono vuoti. Aspettano te, non altro che te!»
«Il talamo non è ancora sgombro, mio fido amante, ma per Cleopatra e Calpurnia, le due ingorde schiavette che lo hanno allietato finora, l’esperta Locusta sta preparando una bevanda che le spedirà dritte dritte nel fondo dell’Averno.»
«Locusta, l’avvelenatrice gallica! Sei astuta e crudele, Agrippina, hai una pelle dolce e il cuore di pietra.»
«Solo così ottengo ciò che voglio. Mai dare diritto di parola al proprio cuore, se vuoi raggiungere obiettivi ambiziosi. E io punto in alto... molto in alto.»
«Mia Domina, la strada per impalmare Claudio è irta e ardua a causa di numerose rivali, tra le quali la bellissima Lollia Paolina, donna incantevole dal sorriso irresistibile. Pare che Claudio sia molto attratto da lei.»
«La conosco. Seppe irretire anche mio fratello Caligola, avvolgendolo nelle sue spire serpentine e ne divenne la terza moglie, poi ripudiata. Ma ora non le darò il tempo di abbindolare Claudio. Sarò io la sua prossima moglie. Per me e per mio figlio Lucio Domizio sto costruendo un fiammeggiante avvenire di gloria.»
Così sarà: Agrippina cominciò a circuire suo zio Claudio mostrandogli una dolcezza che non possedeva e una passione che non provava; il suo modus operandi era improntato alla previdenza e alla prudenza, e palesandosi in ogni occasione lucida e calcolatrice, determinata e inarrestabile. Piano piano il suo potere a Palazzo crebbe in maniera smisurata: Nondum uxor potentia uxoria iam uteretur, chiosò mirabilmente Tacito, ovvero: «Benché non ancora moglie, già godeva del potere di moglie».
Furono in molti a sconsigliare a Claudio il matrimonio con quella donna dall’irresistibile capacità manipolativa, ma lui, irretito e fiaccato, la sposò nel bosco sacro della dea Diana con dei riti propiziatori, per espiare il peccato di incesto (erano pur sempre zio e nipote).
Eventi straordinari pare accaddero nel giorno di quell’infausto e improvvido matrimonio: un enorme sciame di vespe si installò sul tempio di Giove Capitolino, nacquero vitelli deformi e un bimbo con due teste, e la tomba di Germanico, fratello dell’imperatore e padre di Agrippina, fu distrutta da una folgore, «sicuramente scagliata da Giove», in molti dissero.
«Sono tutti segnali degli dèi,» si mormorava in giro «sono tutti presagi di sventure! Quella donna apporterà solo sciagure e morte!»
E che così fosse, lo si vide subito. La bellissima e sventurata Lollia Paolina, la cui unica colpa era stata di aver osato competere con lei nella corsa ad accaparrarsi Claudio, fu la prima vittima della sua sete di vendetta. Agrippina convinse l’imperatore a condannarla all’esilio, con grande sdegno di tutti, e, non paga, ordinò che fosse uccisa e decapitata e che la sua testa le fosse recapitata a Palazzo. Una volta avuto davanti il macabro trofeo, Agrippina le estirpò tutti i denti, dacché il suo smagliante sorriso era stato per lei oggetto di invidia implacabile.
Poté così dedicarsi, con tigrina determinazione, a un preminente obiettivo: stendere le sue tentacolari mani su tutto l’apparato burocratico, collocando nei posti strategici dell’amministrazione e dell’esercito uomini di sua fiducia, legati a lei da intrecci torbidi e colpevoli. Pretese e ottenne una guardia personale di soldati germanici che si distinse per efficienza e disciplina, e richiese Sesto Afranio Burro quale prefetto del pretorio e consigliere militare di suo figlio, e, quale precettore, pretese Seneca, il più acclamato filosofo del tempo, per emulare l’altrettanto temibile Olimpia, che per suo figlio Alessandro Magno aveva scelto come educatore Aristotele.
Seneca era stato confinato in Corsica, allora isola selvaggia e semideserta, poiché accusato dalla precedente moglie di Claudio, Valeria Messalina, di aver intessuto una relazione adulterina con l’odiata Giulia Livilla (sorella di Caligola e di Agrippina), e anche perché si era reso inviso allo stesso Claudio per un suo velenoso pamphlet, dal titolo Apocolocyntiosis, ovvero “la trasformazione di Claudio in zucca”.
Nel 49 d.C., grazie al volere perentorio di Agrippina, il filosofo poté rientrare a Roma e intraprendere la luminosa carriera di precettore del futuro imperatore Nerone, che però gli riserverà una tragica fine, condannandolo, anni dopo, a suicidarsi bevendo la cicuta.
Intanto però i suoi insegnamenti e la costante presenza al suo fianco illuminarono il giovane discepolo, gli forgiarono mente e cuore e tutti si stupirono, compiaciuti, per la profondità di pensiero e per la sensibilità d’animo, per la sagacia e la saggezza che Lucio Domizio rivelava giorno dopo giorno: per lui, per questo figlio amatissimo, Agrippina progettò un programma grandioso, audace e ambiziosissimo.
«Claudio, riflettevo: con il nostro matrimonio Lucio Domizio è diventato anche tuo figlio, seppure acquisito. E allora perché non lo adotti? In fondo mio figlio ha ormai tredici anni, quattro più del tuo Britannico, e possiede una maturità di pensiero e una facondia straordinarie. Lo hai constatato anche tu: grazie alle lezioni di retorica e agli insegnamenti di vita del sommo Seneca, le sue orazioni destano stupore e ammirazione persino in Senato.»
«Agrippina... non metto in dubbio le eccelse qualità di tuo figlio... ma se lo adotto, lui diventa mio primogenito e mio diretto successore al trono di Roma, mentre Britannico, mio figlio naturale ed erede legittimo, sarà scavalcato dal tuo!»
«Claudio, il destino di Roma e dell’Impero valgono più delle mere ragioni dinastiche. Siamo soli io e te, in questo momento. Guardami negli occhi e rispondimi sincero: credi davvero che Britannico, così ...