Indaga, detective
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Indaga, detective

12 indagini degli investigatori più amati dai lettori

  1. 304 pagine
  2. Italian
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Indaga, detective

12 indagini degli investigatori più amati dai lettori

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Dodici indagini, dodici storie nere che hanno come protagonisti alcuni degli investigatori seriali più amati dai lettori. Una raccolta unica in cui gli eroi maggiormente apprezzati delle serie crime - come dei vecchi amici che il lettore ritrova, affezionandosi sempre di più, romanzo dopo romanzo - indagano in una sorta di narrazione corale in cui le storie si intrecciano esplorando i lati e i luoghi più oscuri della nostra società. Una mappa dell'Italia criminale e non solo.
Si parte con un cammeo nella Napoli degli anni Trenta del commissario Ricciardi di Maurizio de Giovanni per poi immergersi in una Milano che ha molte facce: quella di Andrea G. Pinketts e del suo Lazzaro Santandrea raccontata da Sandrone Dazieri, quella del giornalista hacker Enrico Radeschi di Paolo Roversi, quella dell'avvocato pena- lista Lorenzo Ligas di Gianluca Ferraris e quella di Libera Cairati, la Miss Marple del Giambellino di Rosa Teruzzi.
E poi c'è Siena, con sette segrete e una confessione fatta al commissario Soneri di Valerio Varesi; la Parma misteriosa nell'indagine della marescialla dei carabinieri Nina Mastrantonio di Daniela Grandi; la Ferrara solare del capitano della Guardia di Finanza Gaetano De Nittis di Paolo Regina; la Pescara fuori stagione del vicequestore Laura Damiani di Romano De Marco; la Genova che profuma di mare del vicequestore aggiunto Paolo Nigra della coppia Ronco e Paolacci; la Firenze ottocentesca di un irriconoscibile Collodi di Leonardo Gori; la Torino magica e nera della detective privata Zara Bosdaves di Enrico Pandiani e la Londra misteriosa di Sherlock Holmes in un'avventura inedita scritta da Luca Crovi.

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Informazioni

Anno
2022
ISBN
9788858528051

MILANO

Sandrone Dazieri

IL CODICE GRATTA E VINCI

(per Andrea Pinketts: mi manchi tanto, fratello)

1

Le sfighe arrivano trasportate da un carrello ferroviario. Ci sono a bordo due vecchi con la salopette che spingono la sbarra per far muovere le ruote e intanto scelgono a chi andare nella schiena. Io ho imparato a sentirli a distanza, perché oltre al senso della frase ho il senso del ragno, o il senso della rogna, e so come scansarli. Devo solo stare seduto in un bar con una birra schiumosa e una tipa bramosa, senza alzarmi fino a quando il cigolio che fanno i due manovratori si è allontanato. Il carico di letale letame allieterà qualcun altro, e mi ritroverò tra i superstiti che piangono le vittime, che tra le due è la condizione migliore. A volte, però, il cigolio delle ruote non si riesce a sentire, perché qualcuno urla troppo. Come Agata, meravigliosa compagna per un fine settimana alle terme, ma terribile per tutto il resto. Rossa come Pel di Carota, discreta come Pancho Villa.
«Lazzaro, perché hai chiamato quella sciacquetta di Giorgia?» urlò per superare l’autoradio a tutto volume sul canale degli avvisi ai naviganti. Io stavo sdraiato dietro, e avrei preferito gli avvisi ai navigati, che per loro natura non ne hanno bisogno.
«Sciacquetta non è l’appellativo corretto per quella povera ragazza. E comunque, io non guido e qualcuno mi deve portare a casa.»
«Ti sto portando io a casa.»
«Ma poi esco. Non sono ai domiciliari e ho appuntamento con Pogo al bar per una partita a Indovina il colore.»
Agata cambiò la marcia solo per poterla grattare con violenza. «Che cazzo è Indovina il colore?»
«È un giuoco di nobili origini. Io e il Dritto siamo i depositari delle regole che risalgono al XII secolo.»
«E quali sarebbero?»
«Sono complesse. Mancano solo duecento chilometri a Milano, concentrati.»
Agata superò un camion sulla destra, usando la corsia di emergenza e un pezzo di spartitraffico. «Mi stai agitando, Lazzaro. Guido male quando mi agito.»
«Ma ci sono altre cose che fai benissimo, my love.»
«Mi sto agitando sempre di più.» Innestò la decima, una marcia nascosta che solo le donne sanno sbloccare nei momenti di irritazione. L’asfalto cominciò a schizzare da sotto le ruote come trucioli da una pialla. «Parla.»
«Se ci tieni… Vince chi individua il colore dell’intimo delle ragazze che entrano al bar.»
«E tu vincerai perché sai già il colore di quello di quella zoccola di Giorgia.»
«Il tuo astio verso una sorella femmina è un favore al patriarcato, lo sai, vero? Comunque, Giorgia non le porta.»
Due minuti dopo Agata mi stava abbandonando al primo autogrill, con in tasca i soldi solo per un pacco di birre da sei e il bancomat scarico. L’autogrill era uno di quelli che sembrava un bar di paese, ma senza paese, senza allegria e giocatori di briscola. A parte due camionisti in pantaloncini corti dall’aria olandese, dietro il bancone c’era un uomo con la testa grande come una biglia attaccato a un corpo che si allargava come una pera Williams, quelle che crescono dentro le bottiglie della grappa. Presi le mie sei lattine e mi sedetti a uno dei tre tavolini seminascosti dagli espositori di marshmallow e souvenir. Benvenuti a Volta, c’era stampato sul portacenere, lo stesso nome dell’uscita autostradale che si biforcava in due direzioni: Volta di Sopra e Volta di Sotto. Nonostante io sia stato dappertutto, come cantava “the Man in Black”, non avevo mai sentito parlare di quel posto e non avevo idea di come tornare a casa. Mi sedetti a uno dei tavolini esageratamente alti, tra i ricordi appiccicosi di chi mi aveva preceduto e pensai a come risolvere il problema.
Giorgia la smutandata a quell’ora era con il fidanzato, ed è buona norma lasciare che le ragazze con le quali ti accoppi non facciano scoppiare la coppia. A Pogo, di converso, avevano sospeso la patente per rissa stradale, e quando lo chiamai ne approfittò per prendermi per il culo. «Ma perché non ti sei inventato una storia delle tue, invece che sifonarle la verità, cazzone che non sei altro?»
«Perché le mie storie le riservo a un pubblico selezionato.»
«E hai preferito farti sbattere giù.»
«Sono sceso con le mie gambe. Con tutta la mia dignità intatta.»
«Prova a vedere se c’è qualche camionista disponibile.»
Lo salutai con una sequela di vaffanculo, ma in fondo era una tattica possibile. Quando fingevo di essere un fotomodello sadomaso – solo per infiltrarmi tra i vizi altrui – avevo ai miei piedi metà dei camionisti italiani e quasi tutti i romeni.
Andai a prendere un’altra confezione da sei, facendo segno al cassiere periforme che sarei passato a pagare in seguito. Visto che erano due ore che mi vedeva sul trespolo, cominciava a considerarmi parte della famiglia e non protestò. Ero anche l’unico cliente, adesso che gli olandesini erano andati a dormire e lo rimasi fino a quando entrò un uomo lungo e stretto come una carruba, frutto di cui aveva anche il colore. Camminava basculando con un’oscillazione di novanta gradi. «Ladri di merda!» urlò.
«Luciano, vai fuori» urlò subito il barista, sporgendosi fino all’equatore della pancia. «Qui non ci devi venire.»
Il suddetto Luciano, si inclinò avanti e indietro un paio di volte, poi disse: «Vai a cagare. Ladro, infame e porco».
«Cos’hai detto?»
«Vai a cagare, ladro infame e porco. Ma prima dammi da bere.»
Lo guardai ammirato. Aveva ripetuto la frase meglio di Franco Nero in Django. Gelido, come un cubetto di ghiaccio infilato nel colletto di un cadavere, sicuro dei suoi diritti anche se dritto non riusciva a stare. Era un barbone, ma di alto pedigree.
Il Periforme uscì da dietro il bancone, rivelandosi più basso di quello che sembrava grazie alla pedana di legno. Aveva il corpo di Ciccio dalla vita in su e le gambe di Topolino avvitate sul culo di Clarabella. Si piazzò di fronte al cliente sgradito. «Se non esci subito ti butto fuori io.»
«Sto aspettando.»
«Cosa?»
«Che mi porti da bere, coglione!»
I due si fronteggiarono, l’uomo pera contro l’uomo carruba, un film di fantascienza Anni Cinquanta, di quelli che passano sulle televisioni improbabili del digitale terrestre, dopo Mina la Sensitiva e prima di Gina la Vogliosa. Pera aveva il vantaggio dei muscoli, Carruba solo quello di una fiatata alla Godzilla. Pera caricò una sberla con il braccione tremolante, ma non la tirò perché gli ero arrivato dietro e gli assestai un calcio rotante sulle gambette. Pera rotolò sul pavimento e ci fossero stati i birilli del bowling avrebbe fatto strike.
«Polizia, polizia!» gridò. «Aiuto, mi vogliono uccidere.»
«Non esageriamo. Volevo solo vedere se rimbalzavi.»
«Aiutoo. Assassini!»
Alzai gli occhi e mi vidi sul monitor in bianco e nero antiladro. Era un vecchio catorcio e difficilmente poteva essere collegato alla polizia, ma prima o poi anche in quell’autogrill morto qualcuno si sarebbe fatto vivo.
«È meglio se ce ne andiamo» disse Carruba, che la pensava come me.
«Non ho voglia di correre sull’autostrada.»
«C’è un altro posto.»
Carruba afferrò una bottiglia di spumante e uscì, io gli andai dietro stupito da me stesso, e ce ne vuole. Invece di schivare il carrello della sfiga c’ero salito sopra con un gesto atletico, e adesso seguivo i binari invisibili che erano stati tracciati per me, curioso di vedere come sarebbe andata a finire. Tallonai Carruba tra le sciabolate dei fari e le pugnalate dei lampioni fino alla recinzione che chiudeva il retro dell’autogrill. C’era un cancelletto di servizio coperto di filo spinato che si aprì al primo tocco delle mani ossute del mio cariato Caronte: dietro, il buio e la selva autostradale, con le piante cresciute tra i rifiuti lanciati dai finestrini. C’erano gli alberi fazzoletto sporco, quelli con i festoni di bicchierini di plastica, e anche gli alberi goldone, con i pegni dell’amor mercenario. Carruba superò la carcassa di una lavatrice, e si inerpicò su un vialetto quasi invisibile nel buio: per quanto tirassi il sigaro non faceva una gran luce. «Senti, dove stiamo andando?»
«A casa mia.»
«Ecco che mi sorprendi. Hai una casa?»
Carruba sparì tra i rami di un arbusto carta igienica, e non avendo alternative migliori, lo seguii. Dopo una fila di alberi scatoletta si apriva uno spiazzo erboso chiuso dal cavalcavia, dove luccicava alle stelle un tir senza ruote.
«Come ci è arrivato, quello?» chiesi.
Carruba indicò il cavalcavia sopra di noi, dove l’autostrada curvava. «È cascato da sopra e l’hanno lasciato qui» disse Carruba.
«Complimenti all’autista» dissi ammirato.
Carruba aprì lo sportello e salì nell’abitacolo. «Grazie» disse. «Ero io.»

2

Da piccolo, Luciano guardava passare i camion che attraversavano Volta di Sotto, un paesino di dieci case che aveva la sfortuna di stare sulla rotta commerciale tra le manifatture dell’Umbria e il Nord operoso. Ne passavano talmente tanti che a Volta di Sotto c’era una nebbia perenne composta da gas di scarico e peti di camionisti e tutte le case avevano il colore del bitume. Quando pioveva, la pioggia era densa e appiccicosa e capitava che gli anziani rimanessero incollati sul marciapiedi. Per non parlare dei gatti che con il freddo si trasformavano in statue. I ghisa gli alzavano le palpebre irrigidite e li orientavano verso la strada, al posto dei catarifrangenti.
Non era un bel posto dove vivere, Volta di Sotto. I ricchi si spostavano infatti a Volta di Sopra, dove il cielo era sempre azzurro e le bambine correvano nei prati con il grembiulino candido e la colonna sonora della Casa nella prateria. Volta di Sopra era il sogno proibito di Luciano bambino. Voleva trasferircisi con la sua fidanzata, una volta che ne avesse trovata una, e allevare una pecora da compagnia. E i soldi per la casa li avrebbe fatti con i camion. A sei anni, Lucianino sapeva già distinguere ogni motore dal suono della marmitta, e a dieci era riuscito a mettere in moto una bisarca e tirare giù un albero. Suo padre era stato così contento del suo exploit che aveva giocato tutto il pomeriggio con lui e una cinghia di pelle. Ma la passione gli era rimasta e, fatta la patente durante la naia, era diventato uno di quelli che attraversava Volta di Sotto senza fermarsi, portando tacchi, dadi e datteri dal porto di Ancona sino a Milano. Per trent’anni. Luciano divenne così un camionista senior, con i lumini attorno il parabrezza e la Madonna fosforescente, un nome in codice per la radio e il calendario di Pamela Prati. La fidanzata, però, non l’aveva ancora trovata e si ritemprava con le battone da area di sosta. La sua casa era la cabina con la cuccetta, Volta di Sopra ancora un sogno lontano. Perciò una notte, stanco di aspettare, Luciano aveva chiuso gli occhi e aperto il carburatore. Il camion aveva sfondato il guardrail come carta straccia e per due secondi Luciano aveva guardato la Ma...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. INDAGA, DETECTIVE
  4. NAPOLI. Prefazione, di Maurizio de Giovanni
  5. MILANO
  6. MILANO E COLICO
  7. TORINO
  8. PARMA
  9. FERRARA
  10. GENOVA
  11. FIRENZE
  12. SIENA
  13. PESCARA
  14. LONDRA
  15. Postfazione. di Paolo Roversi
  16. Un ringraziamento
  17. Biografie
  18. Pinketts, vieni fuori, Andrea Carlo Cappi
  19. Copyright