Il mondo sembrava sull’orlo del caos. Si erano registrati più di mille decessi in Cina a causa di un virus misterioso. Quasi un miliardo di persone erano in lockdown e i cittadini americani erano stati evacuati. Navi da crociera nel Pacifico probabilmente stavano trasportando passeggeri infetti e non si vedeva un vaccino all’orizzonte. Secondo il presidente la crisi sarebbe passata presto, e allo stesso tempo il suo esperto in virologia diceva che bisognava prepararsi per una pandemia. Intanto il padre di Jennifer era morto a Seattle di una malattia non identificata, e lei continuava a non ricevere risposte.
A Los Angeles eravamo al secondo giorno di selezione dei giurati per il processo più importante della mia vita.
Ci eravamo mossi a un ritmo rapido. I quattro giorni messi da parte per il voir dire erano stati dimezzati, perché anche la giudice sentiva che c’era qualcosa di grosso in arrivo e voleva terminare prima che ne fossimo colpiti. A me non piaceva la fretta nella scelta della giuria, ma ero d’accordo con Warfield: non vedevo l’ora che fosse tutto finito. Alcune guardie al Twin Towers avevano cominciato ad andare in giro con mascherine chirurgiche sul viso, e lo presi come un segno. Non volevo essere in carcere quando fosse arrivata l’onda.
Tuttavia, scegliere i dodici estranei che avrebbero deliberato al processo era una decisione importantissima. Quei dodici avrebbero avuto la mia vita tra le mani e il tempo per sceglierli era stato dimezzato. Perciò avevo preso misure straordinarie per cercare di scoprire rapidamente chi fossero.
La selezione della giuria è un’arte. Implica ricerche, conoscenza di dati sociali e culturali e anche molto istinto. Quello che cerchi è un gruppo di persone attente e desiderose di sapere la verità. Provi quindi a estirpare quelli che tendono a considerare la verità attraverso un filtro: razziale, politico, culturale o altro. E quelli con un secondo fine.
Il giudice inizia a eliminare quelli che per qualche motivo non possono rispettare il programma, che non se la sentono di giudicare gli altri o che non riescono ad afferrare il senso di principi legali come quello del ragionevole dubbio. Poi la palla passa agli avvocati, che possono interrogare ulteriormente i candidati per determinare se rimandarli a casa per motivi di parzialità o di background. All’accusa e alla difesa è concesso anche un diritto di esclusione, uguale per entrambi, che permette loro di rifiutare un certo numero di giurati senza spiegarne il motivo. E quello è il punto in cui spesso entra in gioco l’istinto.
Tutta questa procedura deve condurre a una sintesi su chi tenere e chi mandar via. Quella è l’arte: arrivare finalmente a scegliere dodici persone che secondo te saranno aperte a comprendere le tue ragioni. Ammetto che la difesa ha il vantaggio di dover convincere un solo giurato, per avere successo. Basta una sola persona che dubiti dell’accusa e il verdetto non può essere pronunciato, così lo stato è costretto a ricominciare da capo o magari a pensare se vale la pena di ripartire con un secondo processo. L’accusa, dal canto suo, deve conquistare tutti e dodici cuori e menti, per ottenere una condanna. Ma a parte questo, i vantaggi dello stato sono così tanti da rendere trascurabile quello che la difesa ha sulla giuria.
Del resto, bisogna prendere quello che ti viene dato, per cui la scelta della giuria era sempre stata una procedura sacra per me, e stavolta ancora di più perché ero io l’imputato.
Erano le due del pomeriggio e Warfield si aspettava, anzi, esigeva, che la giuria fosse approvata entro la chiusura della giornata alle cinque. Io avrei potuto ottenere di arrivare al giorno dopo, perché nessun giudice vuole forzare la mano su una scelta che poi potrebbe essere rovesciata in appello. Ma, se l’avessi fatto, mi sarei inimicato la giudice e ci sarebbero state delle conseguenze durante il processo.
Inoltre, mi restava un solo diritto di esclusione da esercitare e sapevo di non poter trascinare avanti la decisione per altre tre ore. Avremmo selezionato la giuria prima che calasse il buio, e il processo per l’omicidio di Sam Scales sarebbe cominciato la mattina dopo.
La buona notizia era che la maggior parte dei giurati mi sembravano ricadere nella zona gialla, cioè al centro, o decisamente nella verde, cioè favorevoli alla difesa. A causa di una profonda e giustificata diffidenza verso la polizia diffusa tra le minoranze etniche, i giurati dalla pelle scura, latini o afroamericani, erano sempre preziosi per la difesa, perché tendevano a considerare con sospetto le testimonianze dei poliziotti. Ero riuscito ad assicurarmi quattro neri e due latine in giuria, combattendo gli sforzi di Dana Berg per escludere soprattutto i neri. Quando una donna nera aveva rivelato, sotto interrogatorio, di aver fatto una donazione al movimento Black Lives Matter, Berg aveva chiesto la sua eliminazione. Fare una simile richiesta a una giudice afroamericana richiedeva un certo coraggio, ma sottolineava la singolare determinazione di Dana Berg nell’ottenere la mia condanna.
La giudice negò la mozione, e Berg allora tentò di usare il diritto di esclusione. A quel punto io obiettai che la mossa era dovuta a ragioni razziali, che esulavano dal diritto di esclusione. Warfield fu d’accordo e la giurata fu ammessa. Quella delibera servì a Berg da preavviso riguardo a futuri sforzi di formare la giuria secondo linee razziali, mentre permise a me di fare proprio quello.
Fu una grande vittoria per la difesa, ma ormai restavano solo tre facce nuove e io potevo esercitare un solo diritto di esclusione. Si trattava di due donne e un uomo, tutti e tre bianchi. E a quel punto doveva entrare in gioco la capacità di tracciare un profilo di quelle persone. La mattina del giorno prima, Cisco si era appostato nel garage di First Street, dove i giurati andavano a parcheggiare. Erano stati convocati a centinaia per la selezione. Cisco non aveva modo di sapere chi sarebbe stato scelto, ma aveva preso nota di tutti gli aspetti utili a definire il loro carattere, come marca e modello dell’auto, adesivi sui paraurti, il contenuto interno delle auto, e così via. Una persona che arriva su una Mercedes SL avrà probabilmente una visione del mondo diversa da chi guida una Toyota Prius.
A volte in giuria ti serve la Mercedes, altre la Prius.
Dopo la prima sessione mattutina, in cui erano state esaminate cento persone, Cisco era tornato nel garage per la pausa pranzo, e poi ancora a fine giornata. Al suo quarto ritorno, mercoledì mattina, riconosceva già i giurati assegnati al mio caso e aveva iniziato a costruire un profilo su di loro.
Quando la corte si riunì di nuovo, Cisco tornò in aula, si sedette in platea e comunicò a Maggie tutto ciò che aveva scoperto su ciascun potenziale giurato. Infatti al tavolo della difesa non ero solo, ma al mio fianco non c’era Jennifer Aronson. La mia nuova collega era Maggie McPherson. Si era presa un periodo di permesso dall’ufficio del procuratore distrettuale per rispondere alla mia richiesta d’aiuto. Non potevo sperare di meglio per affrontare la sfida più difficile della mia vita.
L’ultimo diritto di esclusione è meglio non usarlo, perché non sai mai chi andrà a sostituire il giurato che elimini. Magari liberi il posto per un soggetto che è il sogno del pubblico ministero, e non hai in mano più nulla per fermarlo. Per questo è meglio tenersi l’ultimo diritto di esclusione solo per circostanze di emergenza. L’avevo imparato nel modo più duro, agli inizi della carriera, quando mi ero trovato a difendere un uomo accusato di aggressione nei confronti di un poliziotto e di resistenza all’arresto. Ero sicuro che l’accusa di aggressione fosse falsa, aggiunta dal poliziotto che l’aveva arrestato solo per animosità personale. L’agente era bianco, il mio cliente nero. Durante la selezione della giuria usai l’ultimo diritto di esclusione per eliminare un potenziale giurato che nella mia scala di misura era giallo. In sala restavano ancora diversi afroamericani da chiamare secondo una selezione casuale, perciò credevo di avere una probabilità del cinquanta per cento di assicurarmene uno, e infatti fu così. Fu chiamata una donna nera, ma si scoprì che era figlia di un poliziotto in pensione che aveva servito per trentadue anni nel dipartimento dello sceriffo. La interrogai a lungo, sperando in qualche risposta che mi permettesse di escluderla per giusta causa, ma lei continuò a sostenere di poter giudicare il caso in modo imparziale. Il giudice rifiutò la mia richiesta di eliminarla e io non avevo più un diritto di esclusione da esercitare, così mi trovai con la figlia di un poliziotto in giuria per un caso di aggressione a un poliziotto. Il mio cliente fu condannato per entrambe le accuse e scontò un anno di carcere per un crimine che secondo me non aveva commesso.
Seguii la mia solita routine per mappare i giurati durante la selezione. Sul tavolo della difesa era aperta una cartellina di spessa carta marrone e all’interno, su entrambi i lati, avevo disegnato quello che chiamavo il vassoio del ghiaccio: un lungo rettangolo diviso in quattordici quadrati, dodici giurati e due sostituti. Ciascun quadrato misurava cinque centimetri di lato, le dimensioni di un post-it, e lo usavo per scriverci i dettagli salienti di ciascun potenziale giurato, marcandolo con il numero del sedile che il candidato occupava. Ogni volta che qualcuno veniva eliminato e un altro prendeva il suo posto, incollavo un post-it sulla casella per coprire i particolari sulla persona eliminata e ricominciare da capo. Usavo la cartellina perché potevo chiuderla in fretta, se dal tavolo dell’accusa qualcuno avesse diretto dalla mia parte sguardi troppo attenti.
L’accusa interrogava i candidati per prima. E mentre Berg procedeva con le sue domande di routine, Maggie e io controllavamo i messaggi che Cisco le inviava sul computer, di nascosto, perché solo avvocati e...