Le confessioni dei Borgia
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Le confessioni dei Borgia

  1. 480 pagine
  2. Italian
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Le confessioni dei Borgia

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Ambizione smodata, segreti inconfessabili, omicidi e amori. Nella Roma rinascimentale una sola famiglia decide il destino di un mondo. Roma non è mai stata così seducente. È la torrida estate romana del 1492, e la città è in piena fioritura: artisti da ogni parte d'Europa affollano le sue strade, sorgono monumenti e chiese magnificamente affrescate a rendere Roma grande come un tempo. Rodrigo Borgia è appena stato eletto papa con il nome di Alessandro VI: è la sua famiglia, di origini spagnole, a regnare incontrastata sulla città. Ma il primo dei suoi figli, Cesare, costretto a seguire il padre nella carriera ecclesiastica, cova gelosia e rancore per non aver potuto, invece, perseguire la gloria militare. Ed è pronto a cogliere qualunque occasione per rifarsi...
Maddalena Moretti viene dalle campagne romane, dove ha vissuto sulla propria pelle come i capricci dei potenti possano portare il caos nelle vite della povera gente. Adesso, però, la sua vita è cambiata: domestica a Palazzo Borgia, è più vicina che mai al cuore del potere. E al fascino di Cesare Borgia...
Tra intrighi di palazzo, ambizione smodata e segreti di cui è meglio non essere messi a parte, le vite di Maddalena e Cesare si intrecciano sempre più pericolosamente, mentre la minaccia della guerra incombe su Roma, gettando un'ombra nera sulla famiglia Borgia e sul suo dominio della città. E Cesare dovrà scegliere molto bene le sue alleanze, dentro e fuori la camera da letto, se vorrà salvare il proprio posto nella Storia.
Un romanzo di grandissima forza narrativa, che racconta vicende dal fascino immortale, facendo rivivere la Roma rinascimentale e la famiglia più potente e controversa della Storia.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788858523568
PRIMA PARTE

La casata dei Borgia

Roma, agosto 1492 – ottobre 1493
1

Maddalena

Roma, agosto 1492

Gli incessanti rintocchi delle campane di San Pietro annunciavano la morte del papa. La dipartita di Innocenzo era ben lungi dall’essere inattesa: il Santo Padre si era ammalato di recente, e l’estate torrida aveva ulteriormente debilitato il suo fisico, così come quello di ogni altra persona nelle strade affollate di Roma.
Essendo una domestica di basso rango, non avevo assistito Sua Santità in prima persona, ma tutti in Vaticano sapevano che la malattia era durata parecchi giorni, una febbre violenta e inesorabile. E girava voce che il Santo Padre avesse sostenuto di poter guarire bevendo il sangue dei bambini, e che il suo medico personale gliene avesse procurato una certa quantità. Nessuno era in grado di confermare se la diceria fosse vera, ma il dottore era stato visto portare un calice sospetto nella camera da letto del papa ogni notte per una settimana.
Tuttavia, che si fosse macchiato o meno di un atto così orrendo, non spettava a me giudicare le azioni del vicario di Cristo sulla terra. Appena sentii le campane mi recai nella cappella della servitù a pregare perché fosse accolto alle porte del paradiso da San Pietro, suo predecessore, con tutti gli onori dovuti al più alto servitore di Dio.
All’uscita della cappella incontrai Federico Lucci, che consideravo il mio migliore amico tra i domestici del Vaticano. Era stato gentile con me quando ero appena arrivata, spiegandomi le mie mansioni, aiutandomi a orientarmi nell’immenso palazzo e mettendomi al corrente anche di tutti i pettegolezzi. Probabilmente era convinto che non mi accorgessi delle occhiate che mi lanciava quando credeva che fossi distratta, ma i suoi occhi castani erano così belli e intensi che non potevo certo affermare che mi dispiacesse. «Sarà meglio che tu venga con me» disse quando mi vide.
«Dove?» domandai, incamminandomi al suo fianco.
«Nella Cappella Sistina. Deve essere pulita in previsione del conclave. Mi è stato detto di radunare più domestici possibile.»
Sentii il mio cuore palpitare dalla gioia. Sarei stata proprio in quel palazzo durante il conclave. Nello stesso edificio in cui sarebbe stato eletto il futuro pontefice, in cui si sarebbe fatta la storia. Sarei stata in un certo senso testimone dell’evento. Avrei forse potuto sperare di meglio quando avevo deciso di trasferirmi nella città santa?
Il mio caro zio Cristiano, Dio lo abbia in gloria, me lo diceva di continuo: «La provvidenza trova sempre una via». Era un prete, e sarebbe stato orgoglioso di vedermi servire nella casa del Santo Padre. Mi sarebbe piaciuto potergli raccontare che sarei stata presente, o quasi, all’elezione del papa. Forse, in fondo, a prescindere da ciò che mia madre pensava del mio trasferimento, era stato il volere divino a portarmi a Roma, a scegliermi come testimone dell’operato della Chiesa.
Ritenere che Dio in persona mi avesse convocata in seno alla sua Chiesa era senza dubbio una manifestazione di superbia. Mi feci subito il segno della croce e rivolsi la mia attenzione a Federico.
«È impegnativo, allora?» chiesi. «Preparare la cappella per il conclave?»
Federico si lasciò sfuggire un fischio. «Certo che sì. I cardinali resteranno rinchiusi lì dentro per giorni, settimane persino, anche se probabilmente si porteranno dietro i loro mobili e ornamenti preferiti. Dormiranno, mangeranno e cagheranno tutti nello stesso posto finché non si metteranno d’accordo su un nuovo papa.»
Mi feci il segno della croce a quella blasfemia. «Ma Dio verrà in loro aiuto, per guidarli» osservai mentre raggiungevamo le pesanti porte di legno della cappella. «Non sono i cardinali a doversi mettere d’accordo sul nuovo papa: sono in ascolto e in attesa che Dio riveli la sua volontà, no? E infine tutti esprimeranno il proprio voto per il prescelto da Dio.»
All’ingresso nella cappella fui sopraffatta dallo stupore. Non ci ero mai entrata prima. Le pareti erano adorne degli affreschi più belli e colorati su cui avessi mai posato lo sguardo. Vi erano raffigurate scene della Bibbia, ma con un realismo tale da darmi l’impressione che i personaggi potessero staccarsi dal muro per venire a conversare con noi. La semplice chiesa del mio villaggio, dove fin da piccola avevo assistito alla messa, non poteva vantare niente di simile, e da quando ero arrivata in Vaticano non avevo ancora avuto occasione di entrare in nessuna delle sale più importanti. E anche se così fosse stato, non avrei mai osato indugiare con lo sguardo sui dipinti o sugli oggetti preziosi dei cardinali. In quel momento ero libera di farlo. Mi avvicinai più che potevo a uno degli affreschi, una delle tentazioni di Cristo in cui era raffigurato insieme al diavolo sul pinnacolo di un tempio, con lo sguardo rivolto verso una folla di gente. Osservai sbalordita le pieghe delle stoffe, i dettagli dei ricami in oro sulle vesti del sacerdote, la trama dei capelli e della pelle, così realistica che mi venne voglia di sfiorarla per controllare che fosse veramente soltanto pittura. E poi l’angolazione perfetta di teste e arti che faceva sembrare tutte le figure del dipinto in movimento. Alzai gli occhi e vidi che la volta azzurra della cappella era punteggiata di stelle dorate dipinte, a simboleggiare il cielo.
A pochi passi di distanza, Federico scuoteva la testa, sorridendo. «Il prescelto da Dio» ripeté, riportandomi alla nostra conversazione. «Dimenticavo che sei a Roma da poco, mia dolce Maddalena. Scoprirai in fretta come funzionano davvero le cose in Vaticano.»
2

Cesare

Roma, settembre 1492

Il mantello di velluto viola dell’arcivescovo e il talare di seta dello stesso colore erano terribilmente inadatti alla calura romana. Nonostante sedessi all’ombra della loggia nel rigoglioso giardino di mia madre, avevo la sensazione di rosolare al fuoco dell’inferno. Come sarebbe stato giusto, in effetti, dal momento che avevo l’ardire di indossare gli abiti di un arcivescovo, nonostante tutto. Se l’Onnipotente avesse trovato da ridire al riguardo, lo avrei pregato di presentare la sua lagnanza al mio illustre padre, pensai furioso, strattonandomi il collarino con un gesto irritato. Si era attenuto alla sua parola e, dopo l’elezione al soglio di Pietro, mi aveva ceduto il suo vecchio arcivescovado, nominandomi arcivescovo di Valencia.
Ma, a giudicare da quanto avevo osservato negli anni passati tra Roma e altri posti d’Italia, il Signore non pareva infastidito dall’ipocrisia dei suoi servi. E se anche avesse deciso di punirli, avrebbe avuto una lista molto lunga da sfoltire prima di arrivare a me.
Proprio mentre ero immerso in queste oscure riflessioni, due mani fredde mi coprirono gli occhi. «Lucrezia» dissi, sorridendo al suono della sua risatina. Le afferrai il braccio e me la attirai in grembo.
«Cesare, germà» mi salutò nel catalano tipico dei nostri scambi familiari, baciandomi la guancia. «Forse in fondo è un bene che tu non sia un soldato, se sono riuscita a sorprenderti alle spalle senza che te ne accorgessi!»
Se fosse stato nostro fratello Giovanni a dirlo, avrei fatto fatica a reprimere l’istinto di tagliargli la lingua, ma, pronunciate da mia sorella, quelle parole mi strapparono un sorriso. «Ah, ma anche il più grande dei guerrieri sarà sempre superato in astuzia e intelligenza dalle donne» risposi, adeguandomi al catalano che mi era ancora familiare, malgrado gli anni di scuola passati a parlare solo in italiano e in latino.
Lei ridacchiò di nuovo. «Mi sono presa la libertà di ordinare del vino, se Sua Eccellenza gradisce.»
Emisi un gemito. «Per favore, Crezia, almeno da te non voglio sentirmi chiamare “Eccellenza”» ribattei. «Il vino però è molto apprezzato, grazie.»
Lei arricciò il naso. «Madonna Adriana si è messa in testa di insegnarmi il modo adeguato di rivolgersi alle personalità importanti» spiegò. «Secondo lei è necessario, adesso che nostro padre è diventato papa.» Ci facemmo entrambi il segno della croce all’accenno alla recente svolta nelle fortune della nostra famiglia. «Dobbiamo abituarci all’idea.»
«Non ci sono dubbi» concordai.
Uno dei servi arrivò portando un vassoio con una brocca di vino e due coppe. Lucrezia versò il liquido color paglierino prima nel mio calice e poi nel suo. Ne presi un sorso con gratitudine e chiusi gli occhi, assaporandone la sensazione dolce e fresca sulla lingua.
«E così sembra proprio che alla fine tutti i piani di nostro padre si siano concretizzati» disse, appoggiandosi allo schienale della sedia con la grazia svogliata di una ragazzina. «Presto potrà farti cardinale e darmi in sposa a un buon partito.»
Rimasi in silenzio, scegliendo di non condividere il pettegolezzo che stava facendo il giro di Roma: si vociferava che nostro padre avesse offerto la mano di Lucrezia alla famiglia del cardinale che gli aveva assicurato il maggior numero di voti in conclave. Nessuno sapeva con certezza chi fosse, ma era opinione diffusa che si trattasse di Ascanio Sforza, fratello minore di Ludovico Sforza, duca di Milano. Si diceva che fosse stato lui a spostare l’ago della bilancia in favore di mio padre. Ascanio era ancora piuttosto giovane per entrare negli alti ranghi della Chiesa, e la sua nomina a vicecancelliere della curia – la carica più importante e redditizia in Vaticano dopo la cattedra di San Pietro –, ottenuta subito dopo il conclave, la diceva lunga; soprattutto dal momento che aveva scalzato candidati più esperti e senz’altro più qualificati come il cardinale Giuliano della Rovere, acerrimo nemico di mio padre.
Tecnicamente, Lucrezia era promessa in sposa a un nobile spagnolo di Valencia, città d’origine della nostra famiglia e mio nuovo arcivescovado, ma quell’accordo poteva essere ignorato senza particolari complicazioni. La figlia di un papa poteva puntare a uomini più eminenti e unioni più redditizie di quella di un cardinale.
La sola idea che la mia amata sorella venisse usata come merce di scambio nel vergognoso gioco della politica bastava a farmi ribollire il sangue e meditare vendetta contro nostro padre, nonostante il comandamento che prescriveva di onorare i propri genitori. Per non parlare del fatto che scagliarsi contro il Santo Padre era un peccato che Lucifero stesso avrebbe esitato a perpetrare.
«E Sua Santità ti ha già parlato del tuo matrimonio?» chiesi con finta noncuranza.
Mia sorella scosse la testa e i riccioli d’oro le lambirono le spalle. «No. Sua Santità ha, credo, avuto la mente occupata da questioni molto più urgenti. Ma immagino che lo farà presto, appena si sarà abituato alla sua nuova posizione.»
Nostro padre aveva senz’altro avuto molto di cui preoccuparsi dalla sua ascesa al soglio pontificio, ma lo conoscevo meglio di Lucrezia se lei pensava che il suo matrimonio non fosse un problema pressante per lui.
Mi irritava essere a Roma già da due settimane e non essere stato ancora convocato in Vaticano. Subito dopo l’elezione mi era stato imposto di lasciare Siena, dove stavo addestrando un cavallo per farlo gareggiare al Palio, ed ero rimasto confinato nel nostro castello a Spoleto, un posto vecchio e isolato dal mondo dove non accadeva mai nulla, ad ammazzare il tempo finché non ci fosse stato bisogno di me. Poi mi avevano mandato a chiamare, ordinandomi di tornare a Roma, eppure non avevo ancora visto mio padre. Non avrei dovuto essere costretto a speculare sulle sue intenzioni: mi sarei dovuto trovare al suo fianco, come suo braccio destro. Ma capivo perché le cose stavano così: i pettegoli e le malelingue di tutta Roma e del Vaticano sarebbero stati pronti a gridare al nepotismo, se il nuovo papa avesse esplicitamente favorito i membri della sua famiglia a pochi giorni dalla sua elezione. Papa Alessandro VI aveva adottato una linea di condotta saggia, ma esserne consapevole non alleviava la frustrazione dell’attesa.
Quanto al matrimonio di Lucrezia, era un argomento sul quale avrei avuto molto da dire, che il Santo Padre chiedesse la mia opinione o meno.
«È tutto nelle mani di Dio» aggiunse Lucrezia.
Tenni a freno la lingua. La mia devota sorella non aveva la benché minima idea di quanto poco Dio fosse coinvolto nella gestione della sua Chiesa. Senza dubbio presto o tardi lo avrebbe scoperto, e il giorno in cui Lucrezia avrebbe perso la sua fede sarebbe stato triste per tutti noi.
«E mentre aspettiamo possiamo goderci il sole e questo vino delizioso che sei stata tanto gentile da mescere.» Sollevai la coppa in un brindisi. «Ne uscirai vincitrice, qualunque cosa Sua Santità decida per te, perché sarai sempre la donna più bella di Roma.»
Lei ridacchiò e bevve con me.
Le nostre chiacchiere si spostarono su altri argomenti: le lamentele di Lucrezia su madonna Adriana, cugina di nostro padre e sua istitutrice, e su come nostra madre diventasse irritabile nell’afa dell’estate romana. Le raccontai episodi dei miei soggiorni a Pisa e Siena che non avevano trovato posto nelle mie assidue lettere e le assicurai che al castello di Spoleto ci si annoiava come sempre.
Ben presto il nostro piacevole pomeriggio fu rovinato dall’arrivo di nostro fratello Giovanni, il duca di Gandía, un titolo spagnolo che nostro padre gli aveva fatto conferire anni prima. Nonostante il caldo, Giovanni ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. LE CONFESSIONI DEI BORGIA
  4. Prologo. Cesare
  5. PRIMA PARTE. La casata dei Borgia. Roma, agosto 1492 – ottobre 1493
  6. SECONDA PARTE. Gli angeli dell’Apocalisse. Romagna e Roma, luglio 1494 – luglio 1495
  7. TERZA PARTE. Sancia d’Aragona. Roma, maggio 1496 – maggio 1497
  8. QUARTA PARTE. Caino e Abele. Roma, maggio – giugno 1497
  9. QUINTA PARTE. La città in fiamme. Roma e Firenze, giugno – agosto 1497
  10. SESTA PARTE. Peccati mortali. Roma, novembre 1497 – marzo 1498
  11. SETTIMA PARTE. Il duca Valentino. Roma, luglio – agosto 1498
  12. Nota dell’Autrice
  13. Ringraziamenti
  14. Copyright