Il mondo sottosopra
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Il mondo sottosopra

  1. 512 pagine
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Il mondo sottosopra

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Il Covid? Non esiste. I vaccini? Provocano l'autismo. Le scie degli aerei? Veleno per alterare il clima. La Terra? È piatta. Ciò che fino a ieri era considerato da tutti vero e accertato, all'improvviso viene messo in discussione, mentre dilagano credenze irrazionali, pregiudizi e cospirazioni. Quanto hanno contribuito il web e i social network alla smodata diffusione di bugie a livello planetario e in che modo la politica sfrutta questa ostentata ignoranza? Massimo Polidoro ci conduce in un lungo viaggio nel mondo del verosimile, dell'improbabile e dello smaccatamente falso, consegnandoci - con questa nuova edizione ampliata e aggiornata del libro - un vero e proprio kit di sopravvivenza all'irrazionalità dilagante.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788858523445
Categoria
Sociologia
1

UNA LUNGA STORIA DI FALSI

«Affinché la dignità pontificale non sia svilita, ma sia onorata più della dignità e della potenza della gloria dell’impero terreno, ecco che, trasferendo e lasciando al più volte nominato beatissimo pontefice, il padre nostro Silvestro, papa universale, e alla potestà e giurisdizione dei pontefici suoi successori, il nostro palazzo e tutte le province, luoghi e città di Roma, dell’Italia, e delle regioni occidentali, determiniamo, con decreto imperiale destinato a valere in perpetuo, in virtù di questo nostro editto e prammatico costituto, che essi ne possano disporre, e concediamo che restino sottoposti al diritto della Santa Romana Chiesa.»
Il brano che avete appena letto è tratto dal Constitutum Constantini, un documento, redatto in origine in latino, che riporta la data del 30 marzo 315 e la firma dell’imperatore Costantino. È un passaggio cruciale, quello in cui si rende esplicito il desiderio dell’imperatore romano di lasciare palazzi, città, regioni, tutti i possedimenti dell’Impero romano d’Occidente al successore dell’apostolo Pietro. Al papa, insomma.
Questo atto diplomatico viene redatto in occasione di un “trasloco”: l’imperatore Costantino, infatti, ha deciso di trasferire la capitale imperiale sul luogo dell’antica Bisanzio, nell’Impero d’Oriente. La città sarà poi chiamata in suo onore Costantinopoli, l’attuale Istanbul, in Turchia.
Con tale trasferimento, Costantino, che dopo secoli di ostracismo e persecuzioni accordava al cristianesimo pari dignità rispetto alle altre religioni, donava a papa Silvestro I e ai suoi successori tutto quello che si lasciava alle spalle: Roma, l’Italia e l’intero Occidente.
Il documento diventerà incredibilmente importante, ma c’è un piccolo particolare: è un falso.

Il più grande falso dell’antichità

Curiosamente – si fa per dire – la prima volta in cui se ne parla è solo durante l’VIII secolo, ben cinque secoli dopo la sua presunta stesura, e la sua comparsa avviene quasi in sordina.
L’importanza della Donazione di Costantino, come sarà noto il testo, diventerà evidente solo nell’XI secolo. A quel tempo siamo nel bel mezzo dello scontro tra la Chiesa romana e quella ortodossa di Costantinopoli, che non accetta di essere considerata di livello inferiore e il patriarca di Costantinopoli, Michele Cerulario, pretende di stare sullo stesso piano del vescovo di Roma. L’accordo non sarà trovato, i due leader si scomunicheranno a vicenda e nel 1054 si avrà lo Scisma definitivo, con la nascita della Chiesa ortodossa a Oriente e la dichiarazione da parte della Chiesa romana di ritenersi unica, santa, apostolica e cattolica (dal greco, katholikós, cioè “universale”).
Prima di allora, però, cercando di persuadere il collega bizantino, papa Leone IX scrive nel 1053 una lettera a Cerulario affermando che le prerogative temporali della sede romana non si fondano su «sciocche favole tipiche dei vecchi» ma su un documento ufficiale. «Tutto ciò che Costantino aveva ricevuto da Dio» scrive il pontefice, «a Lui stesso lo restituì nelle persone dei Suoi ministri», ovvero del papa.
Da allora, la Donazione di Costantino sarà spesso invocata dai pontefici come prova del dominio temporale della Sede Apostolica. Ma, proprio come tale, diventerà il bersaglio di critiche crescenti, come dimostra, per esempio, l’invettiva di Dante Alighieri, che nell’Inferno, al canto XIX, recita:
Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,
non la tua conversion, ma quella dote
che da te prese il primo ricco patre!
Dante se la prende con Costantino, che con quel leggendario dono avrebbe irreparabilmente corrotto la spiritualità della Chiesa.
Sospetti circa l’autenticità della Donazione, tuttavia, sono attestati già a partire dall’anno 1000, con le denunce di Ottone III e Silvestro II, a giudizio dei quali il documento non sarebbe altro che un falso. L’imperatore arriva addirittura a identificare l’autore della contraffazione nella persona di un diacono noto come “Giovanni dalle dita mozze”.
Sarà agli inizi del Quattrocento che i sospetti si faranno più forti e al Concilio di Costanza (1414-1418) si dichiarerà che non esistono altre fonti giuridiche antiche che facciano cenno alla Donazione, mentre ne esistono per disposizioni molto meno importanti.
Al Concilio di Basilea, nel 1433, il giovane umanista e futuro cardinale Niccolò da Cusa, o Cusano, solleva forti dubbi sull’autenticità del Constitutum Constantini, rilevando come dopo un lungo esame delle fonti non sia stato possibile trovare riferimenti coevi e sottolineando l’esistenza di «prove evidenti della falsificazione, che sarebbe per il momento lungo e inutile inserire in questa sede».
Bisogna dunque attendere il 1440 perché un altro giovane intellettuale, il sacerdote e filologo piacentino Lorenzo Valla, entri nei dettagli e dimostri inequivocabilmente la falsità della Donazione. Esaminando il testo, infatti, Valla rileva una serie di errori e anacronismi che ne svelano l’artificiosità1.
La data inserita nella firma, per esempio, non era una pratica comune nel IV secolo, a meno che il documento non dovesse essere spedito. E questo non lo fu. Inoltre, nonostante si presenti come un documento ufficiale, manca il sigillo imperiale.
Particolarmente sospetto è l’uso di una lingua incompatibile con quella di un documento dell’età costantiniana e anzi decisamente barbarica. Non si spiegano poi le numerose espressioni mutuate dal latino biblico o incongruenze come l’inclusione di Costantinopoli tra le sedi patriarcali, prima ancora che la città fosse fondata, così come la citazione delle basiliche dedicate a Pietro e Paolo ancora prima che fossero edificate. O, meglio, tutto si potrebbe spiegare ma a una sola condizione: riconoscendo, cioè, che il documento sia un falso.
Per Valla il suo autore dev’essere «qualche stupido chiericuzzo» ed egli inoltre dichiara che la Donazione ha avuto un effetto deleterio, facendo sì che quando un papa «aumenta il potere temporale, diminuisce quello spirituale», generando così «la rovina e la devastazione di tutta l’Italia e di molte province».
Il testo di denuncia di Valla, pubblicato solo nel 1517 e in ambito protestante, con il titolo di De Falso Credita et Ementita Constantini Donatione Declamatio, sarà incluso dalla Chiesa nell’Indice dei libri proibiti, poiché pericoloso per la fede, e Valla dovrà presentarsi davanti al tribunale dell’Inquisizione, da cui sarà però salvato grazie all’intervento del re Alfonso V d’Aragona. Tuttavia, la sua indagine rappresenterà un colpo fatale per la Donazione di Costantino e una scossa violenta al prestigio spirituale della Santa Sede.
Non per papa Leone X che, ignorando le rivelazioni di Valla, commissiona a Raffaello nel 1520 un affresco per gli appartamenti papali in Vaticano che celebra per l’appunto la Donazione di Roma da parte di Costantino.
Oggi la Donazione è unanimemente riconosciuta come il più famoso falso medievale dell’Occidente e forse la frode meglio riuscita della storia2.
Chi ne è il responsabile? Non è chiaro. Secondo alcuni sarebbe un’invenzione della Curia romana, risalente all’VIII secolo, realizzata da un chierico della Basilica Lateranense, certo Cristoforo, segretario di papa Stefano II, in un anno imprecisato tra il 754 e il 767, allo scopo di fornire una giustificazione legale al potere temporale del papa e alle sue aspirazioni egemoniche. Per altri studiosi l’origine andrebbe invece ricercata in Francia, a Reims, nel 754, quando il re Pipino il Breve, predecessore di Carlo Magno, cercava di proteggere il papa e i suoi possedimenti dalle pretese dei Longobardi.
Come che sia, il riconoscimento imperiale della Constitutio, e l’intervento armato del sovrano in Italia per restituire al pontefice i territori contestati in Romagna, Emilia orientale e parte delle Marche, porterà alla nascita dello stato pontificio, una realtà che esisterà, crescerà e imporrà il suo volere fino al 1870, quando l’esercito italico bombarderà le mura di Roma, entrando poi attraverso la breccia di Porta Pia e annettendo Roma quale capitale del neonato stato italiano.
Si chiudeva così una clamorosa pagina di storia: quella che aveva visto nascere il regno dei papi da una semplice bugia.

Una lunga strada di bugie

Ci siamo dilungati nel racconto di questo clamoroso episodio di falso sia per la sua eccezionale importanza storica, ma anche per iniziare a capire come, a volte, le bufale e gli inganni possano nascere quasi per caso, avere effetti clamorosi, ma senza che sia necessario un intricato complotto ideato da chissà quali malvagi potenti in qualche stanza oscura. I passaggi che possiamo riconoscere sono sostanzialmente tre: 1) c’è un’esigenza concreta, in questo caso il bisogno di proteggere i possedimenti tradizionalmente sotto il dominio della Chiesa; 2) c’è un pretesto, un falso documento redatto con le motivazioni più diverse, a noi ormai sconosciute; 3) c’è chi coglie l’occasione al balzo per trarre da quel pretesto il massimo vantaggio.
Torneremo su questa dinamica perché la vedremo riproporsi più volte nel corso della storia, ma scopriremo anche quanto sia difficile farla accettare da chi vede in qualunque piega della storia un disegno cospiratorio, ideato da sopraffine menti potenti e spregiudicate, e non tiene in alcun conto il ruolo giocato dal caso.
L’episodio, comunque, ci conferma anche che l’idea di servirsi di falsità per trarre un vantaggio è tutt’altro che nuova. Basti pensare al classico artificio nato dall’ingegno di Ulisse per espugnare la città di Troia: dopo dieci anni di assedio, gli Achei fingono di ritirarsi e lasciano ai troiani un gigantesco cavallo di legno. Questi lo fanno entrare tra le loro mura salvo scoprire, troppo tardi, che al suo interno si cela un esercito di soldati guidati proprio da Ulisse che riusciranno a devastare e a conquistare la città.
Ma se l’inganno rientra tradizionalmente tra le strategie militari, e se ne discute non a caso nel più antico trattato di arte militare esistente, L’arte della guerra, opera del III secolo a.C. attribuita tradizionalmente al generale cinese Sun Tzu, anche quelle che oggi chiamiamo fake news, intese come false notizie diffuse per alimentare paure o per delegittimare qualcuno, possono vantare natali illustri.
Tra il 18 e il 19 luglio del 64 d.C. un incendio devastò la città di Roma. Fu uno dei più grandi che la storia ricordi, ci vollero sei giorni per domarne le fiamme e finì per distruggere quasi due terzi della città, bruciando abitazioni, botteghe, templi e santuari.
In città esplose la collera e l’imperatore Nerone, sospettato di avere ordito il disastro al fine di “fare spazio” per la sua nuova principesca dimora, anche se in quei giorni si trovava in villeggiatura ad Anzio, infastidito e impaurito da quelle voci trovò un comodo capro espiatorio su cui dirottare le accuse.
È Tacito negli Annali a raccontarci che «Per troncare le dicerie, Nerone spacciò come colpevoli e sottopose a pene raffinatissime quelli che il popolo chiamava cristiani, odiati per le loro nefandezze».
Detestati dai Romani per il fatto di adorare un solo dio e fatti oggetto di maldicenze e accuse disgustose ma del tutto fantasiose (come sarebbe successo in seguito anche agli ebrei e non solo a loro, come vedremo), i cristiani rappresentavano un perfetto “colpevole” per l’incendio e Nerone se ne servì per allontanare da sé ogni responsabilità.
Tuttavia, è con l’introduzione in Occidente della stampa a caratteri mobili tra il 1436 e il 1440, a opera del tedesco Johannes Gutenberg, che accanto alla diffusione di notizie e informazioni nasce anche la disseminazione di falsità e disinformazione per via tipografica.
Uno dei primi esempi di propaganda a mezzo stampa volta a screditare un rivale politico è quella che colpisce Vlad III di Valacchia, potente sovrano rumeno, soprannominato “l’impalatore”, per la sua predilezione di impalare i nemici, ma meglio conosciuto oggi quale fonte di ispirazione dello scrittore Bram Stoker per il personaggio del vampiro Dracula.
A lungo osannato come difensore della cristianità dagli assalti dei Turchi, una volta caduto in disgrazia Vlad finì per essere indicato come il responsabile di ogni atrocità immaginabile, vera e propria incarnazione del male, da chi voleva prenderne il posto.
È del 1453 un pamphlet in lingua tedesca intitolato Storia del voivode Dracula, un catalogo di orrori ed esagerazioni messo in circolazione dal rivale di Vlad, Mattia Corvino d’Ungheria, portato addirittura in scena a corte e poi diffuso ovunque per cercare di annientare la reputazione del rumeno. Il libretto, vero e proprio romanzo dell’orrore che racconta nei dettagli più cruenti, spesso esagerati, le mostruosità di Vlad, oltre a dare un forte impulso all’industria tipografica divenne uno dei primi “best seller” della storia.
Ed è sempre grazie alla stampa che possono dilagare i trattati sulla stregoneria, come il Malleus Maleficarum, e la caccia alle streghe, che difficilmente avrebbe potuto avere lo stesso impatto in epoca premoderna. È però la diffusione di un altro testo stampato, smaccatamente falso, ad avere alcune tra le conseguenze più tremende e devastanti che si possano immaginare. Una ridicola falsificazione, come scrive lo storico e antropologo Norman Cohn, membro dell’Accademia Britannica, costruita esplicitamente per «ammaliare tutte le potenzialità paranoiche e distruttive dell’essere umano»3 e trasformatasi in una vera e propria «licenza di genocidio». Parliamo dei cosiddetti Protocolli dei Savi Anziani di Sion.

I Protocolli dei Savi Anziani di Sion

Quella dei Protocolli è una storia infinita. Si tratta di un pamphlet di un’ottantina di pagine scritto alla fine dell’800, e poi pubblicato per la prima volta in Russia, che pretendeva di rappresentare l’autentica trascrizione del primo congresso sionista, convocato a Basilea, in Svizzera, nel 1897. A scriverlo sarebbe stata una misteriosa spia zarista ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Bugie rassicuranti e verità scomode
  4. 1. Una lunga storia di falsi
  5. 2. Un fenomeno nuovo?
  6. 3. Paure ancestrali
  7. 4. Perché abbocchiamo?
  8. 5. Un cervello irrazionale?
  9. 6. Una stanza senza finestre
  10. 7. Sfiducia generale
  11. 8. Odiatori di professione
  12. 9. Attacco alla scienza
  13. 10. Alle origini del complottismo
  14. 11. Chi manipola il mondo?
  15. 12. Perché ci piacciono le cospirazioni?
  16. 13. Il potere delle storie
  17. 14. Negazionismo a oltranza
  18. 15. In fondo alla tana del Bianconiglio
  19. 16. Il valore dei fatti
  20. 17. Coronavirus. Un caso da manuale di infodemia
  21. 18. Che fare? Piccola guida per contrastare le false credenze
  22. Conclusioni. Impariamo a dubitare
  23. APPENDICE. L’ASSASSINIO DEL PRESIDENTE KENNEDY. Indagine sulla più celebre teoria del complotto
  24. Chi ha ucciso il presidente Kennedy?
  25. Per approfondire sul caso Kennedy
  26. Note
  27. Ringraziamenti
  28. Dello stesso autore
  29. Copyright