La destra si può battere
eBook - ePub

La destra si può battere

Dall'Emilia Romagna all'Italia, idee per un paese migliore

  1. 160 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

La destra si può battere

Dall'Emilia Romagna all'Italia, idee per un paese migliore

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

Stefano Bonaccini è uno dei grandi protagonisti della politica italiana. Barba da hipster e occhiali a goccia, ma soprattutto un indubbio carisma capace di mescolare abilmente senso pratico e buona politica. Nelle elezioni regionali emiliano-romagnole dello scorso gennaio la posta in gioco era altissima: vincere oppure consegnare la regione più rossa d'Italia a Salvini e alla destra, con una serie di conseguenze dannose per la stabilità del governo nazionale. I sondaggi, fino a poche ore prima del voto, non erano così positivi per il candidato di centrosinistra. Eppure, alla fine è riuscito a imporsi con un ampio margine. Questa non è solo la storia della sua arrembante campagna elettorale o delle sue indiscutibili qualità di amministratore, capace di rendere la regione tra le migliori d'Europa, ma è anche e soprattutto un manifesto politico che individua le ricette fondamentali di una vittoria nazionale. Perché è vero che l'Emilia-Romagna non è l'Italia ma è pur sempre una parte importante e paradigmatica del nostro Paese. Il centrosinistra ha un bisogno estremo di ri-trovare un nuovo slancio, una nuova identità politica forte in grado di aggregare le varie anime in un programma moderno, non nostalgico, e di convogliare simpatie e apprezzamenti trasversali. E la vittoria di Stefano Bonaccini è l'esempio più chiaro e lampante di una riscossa possibile. Di Stefano Bonaccini è disponibile l'ebook original gratuito IL VIRUS SI DEVE BATTERE, La nostra sfida alla pandemia.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a La destra si può battere di Stefano Bonaccini in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Politics & International Relations e Political Biographies. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

1

Sindaco dell’Emilia-Romagna

13 novembre 2019, ore 10.30

È una mattina di quelle in cui l’Emilia-Romagna si mostra quieta, dentro le abitudini di ogni giorno. A cominciare da un sole pallido e una luce fioca, di quelle che il mattino sembra non volerne sapere. Invece è già tutto in moto, ognuno alle prese col suo da fare. Il padiglione della Fiera di Bologna si va riempiendo velocemente. Quando arrivo si stanno già formando due blocchi di persone: da una parte tantissimi amministratori che confabulano sorridenti, dall’altra molti giornalisti che faticano a comprendere l’organizzazione di questa conferenza stampa un po’ anomala. Quando mi siederò tra i primi, circondato da oltre 200 fra uomini e donne, saremo davvero dentro a un format inedito. Certo mai visto prima.
Per me non è un giorno come tanti. Ho scelto di annunciare la mia ricandidatura alla presidenza della Regione Emilia-Romagna accanto agli oltre 200 sindaci che hanno sottoscritto un appello in mio sostegno (addirittura i due terzi dei primi cittadini emiliano-romagnoli). Con molti di loro ci conosciamo da anni: avendo ricoperto la carica di segretario regionale del Pd dal 2009 al 2015 ne ho seguito personalmente la selezione, l’elezione, i primi passi. Altri sono conoscenze più recenti, diversi sono stati eletti per la prima volta solo pochi mesi fa, nell’ultima tornata amministrativa di maggio. Altri ancora non vengono nemmeno dalle fila del centrosinistra: una trentina sono civici e hanno addirittura battuto la sinistra nel proprio comune; anche con loro però si è cementato nel tempo un rapporto solido, fatto di collaborazione sul campo, di progetti condivisi, di una fiducia personale e politica costruita insieme agli interventi realizzati sul territorio. Non fanno mistero di una provenienza politica diversa, ma nel loro ruolo di amministratori hanno scelto di anteporre la condivisione del lavoro fatto, e da fare, alle questioni ideologiche.
Ho voluto che il calcio d’inizio fosse con i sindaci per un motivo semplice e preciso: al centro di questa campagna elettorale metterò l’Emilia-Romagna e il suo territorio, la sua identità e le sue comunità. E proverò a condividere con tanti un progetto per il futuro di questa regione. Per me è un atto d’amore e sarà il mantra che ripeterò mille volte nei settantaquattro giorni che ci separano dalle elezioni del 26 gennaio: “Per l’Emilia-Romagna, non per altro”. Mi verrà rinfacciato da avversari e giornalisti, commentatori politici e analisti. Tutti a ripetermi che quello delle regionali è un voto politico, che il dato amministrativo non conta o conta poco, che da questo voto non dipenderanno tanto le sorti del governo regionale quanto di quello nazionale, che in ballo c’è la segreteria di Nicola Zingaretti, la tenuta del Pd e il destino stesso della sinistra. Chi più ne ha più ne metta, come si dice.
Oltre ai riflettori dei media nazionali, quelli della stampa estera: arrivano richieste di interviste dalle principali testate europee e americane, alla fine arriverà anche Al Jazeera. Non sarà facile remare controcorrente, me ne renderò conto molto presto. Ma non mollerò di un centimetro. Il dado è tratto, la strategia è impostata, indietro non si torna: si vota per l’Emilia-Romagna, non per altro. Parlo di Emilia-Romagna, non di altro.
Spesso mi chiamano “governatore”, come capita a chi guida una regione. Un termine mutuato dagli Stati Uniti, senza considerare che quello è un paese federale e che a capo di ciascuno stato ci sono appunto i governatori; noi, che siamo in uno stato unitario, governiamo invece le regioni, di cui siamo presidenti. La questione non è puramente lessicale. La metamorfosi si è consumata quasi vent’anni fa, con la riforma del titolo V della seconda parte della Costituzione, che ha trasferito maggiori poteri alle regioni; ma soprattutto con l’elezione diretta dei presidenti, che ha reso oggettivamente centrale la figura di vertice dall’ente regionale. Il mio predecessore si schermiva quando si sentiva chiamare governatore, alzava lo sguardo e diceva: «No, non mi chiamate così». Io non ci faccio nemmeno più caso, ormai il termine è entrato nell’uso comune. Ma in quei giorni ci ripenso e, un po’ per scherzo e un po’ per marcare il tratto territoriale della sfida che intendo portare avanti, lo dico: «Mi candido a sindaco dell’Emilia-Romagna». Qualcuno storce il naso, i sindaci sembrano invece apprezzare. Tra i primi messaggi convinti che mi arrivano, quelli di Michele De Pascale, Enzo Lattuca, Maria Costi e Luca Vecchi.
La destra ha conquistato le ultime nove regioni in cui si è votato e il peso della Lega e di Matteo Salvini è progressivamente cresciuto, fino al successo impressionante delle elezioni europee dello scorso maggio. La Lega è diventata primo partito anche in Emilia-Romagna e la destra è complessivamente avanti di quasi 7 punti percentuali rispetto al centrosinistra. Messa così, sembra una battaglia persa in partenza. Ci sono altri fattori esterni che giocano nettamente dalla loro parte. Anzitutto la forza del loro leader, che sembra inarrestabile e travolgente. Ricorda il Matteo Renzi del 2014, politicamente diverso, ovviamente, ma ovunque andasse radunava folle spontanee, un’apoteosi di partecipazione e fascinazione collettiva. Avere Salvini in Emilia-Romagna per i prossimi due mesi e mezzo sposterà totalmente i riflettori sul piano nazionale della contesa e non sarà semplice parlare di ospedali, scuole, lavoro. La seconda condizione è l’oggettiva fragilità del governo nazionale e della maggioranza che lo sorregge, con il Pd che ha subito due scissioni in poco tempo e un rapporto con i 5 Stelle che non riesce a decollare. Ogni timida aspettativa sembra essersi infranta col voto in Umbria: dopo una difficile e tardiva sintesi sul nome del candidato presidente, la batosta è stata enorme. Centrosinistra e 5 Stelle insieme hanno fallito e i pentastellati non vogliono più nemmeno sentir parlare di alleanze, paralizzati come sono dalla sconfitta e da una leadership sempre più incerta. La foto di gruppo dei leader nazionali che ha suggellato la chiusura di quella campagna elettorale è diventata l’immagine di una sconfitta politica nazionale. Uno scenario desolante.
Qui, tuttavia, in Consiglio regionale i rapporti con i grillini sono da tempo migliorati. Dopo anni di scontro frontale – il Movimento nacque in Emilia-Romagna, in alternativa diretta a noi –, cui è seguita una relativa normalizzazione delle relazioni, da alcuni mesi le cose vanno decisamente meglio: diciamo pure che una maggior attenzione da parte nostra a costruire momenti di condivisione preventiva e un atteggiamento loro di maggior disponibilità al confronto ci hanno permesso di votare insieme tutti i principali provvedimenti. Ha giocato in positivo la nuova coabitazione al governo nazionale ma anche la percezione, da parte loro, di poter essere determinanti in una possibile, futura alleanza in Regione; viceversa, se non ci fosse, si condannerebbero all’irrilevanza, schiacciati da una competizione sempre più bipolare tra destra e centrosinistra. La sconfitta umbra è stata però una doccia fredda tanto per noi quanto per loro, soprattutto sulla componente più dialogante. Ancora in quei giorni scelgo di non chiudere nessuna porta ma di non rincorrerli, di incalzarli nel merito delle questioni ma di attendere un minimo segnale di apertura. Non arriverà mai. Infatti, decideranno di correre: da soli. A un certo punto si era fatta strada l’eventualità che non partecipassero, su esplicita proposta di Massimo Bugani e con la tacita benedizione dello stesso Luigi Di Maio. Decidono invece di avere un loro candidato presidente. È una scelta che rispetto anche se per noi determina la condizione più complicata, perché rischia di offrire un vantaggio diretto alla destra. Su questo, i sondaggisti saranno piuttosto concordi. Alla fine, come dimostreranno i numeri, avevano ragione i consiglieri 5 Stelle che avrebbero voluto l’accordo: in alleanza con noi non solo avrebbero eletto una rappresentanza probabilmente più consistente (sono invece scesi dai cinque eletti del 2014 ai due di oggi), ma per la prima volta sarebbero entrati in un governo regionale, potendo per esempio contribuire in maniera decisiva a quella svolta ecologica che comunque realizzeremo. Al contrario, rimanendo fuori, hanno semplicemente convinto una larga parte dei loro elettori a votare per le nostre liste e, soprattutto, per me. Addirittura, due consiglieri regionali uscenti del Movimento, Raffaella Sensoli prima e Andrea Bertani poi, faranno pubblicamente appello al voto disgiunto in mio favore, a testimonianza della lacerazione profonda che in quel passaggio si è prodotta. Persino un commentatore attento a quei mondi e non certo imputabile di pregiudizio politico verso i 5 Stelle come Andrea Scanzi non farà mistero di non comprendere questa scelta del Movimento, giudicandola controproducente. Arriverà a dirlo pubblicamente e, senza nulla concedere alla nostra parte politica, indicherà anche lui nel voto disgiunto l’opzione più ragionevole.
Lo dico senza recriminazione: per parte mia la porta del confronto resterà comunque aperta e se nei prossimi mesi e anni saremo in grado di condividere scelte anche da posizioni diverse lo considererò comunque un fatto positivo.
C’è però dell’altro che rende il quadro di partenza meno fosco. Domenica 25 maggio, neanche un anno fa, giorno delle elezioni europee e di quelle amministrative, con 235 comuni in regione chiamati a eleggere il sindaco, anche gli emiliano-romagnoli hanno premiato la destra e Salvini per l’Europarlamento, ma con l’altra mano hanno invece scelto primi cittadini del centrosinistra, in maniera massiccia. Abbiamo assistito a spostamenti di voto a dir poco clamorosi. Se gli elettori avessero votato per le amministrative come per le europee, avremmo perso nell’80% dei comuni dell’Emilia-Romagna, mentre è accaduto esattamente l’opposto: abbiamo vinto, in diversi casi stravinto, nell’80% dei casi. Ricordo bene quella notte fra il 26 e il 27 maggio: molti nostri candidati andarono a letto all’alba con la certezza di aver perso e qualcuno di loro, da sindaco uscente e ricandidato, mi scrisse che sarebbe andato a far su gli scatoloni in ufficio perché la partita era chiusa. Il giorno dopo, quando partì lo scrutinio delle comunali, già dai primi seggi si avvertì la strambata: l’esito era completamente ribaltato e il centrosinistra si avviava a trionfare quasi ovunque, in modo tanto inaspettato quanto straordinario. Incredulità e felicità correvano da un cellulare all’altro, una vera e propria riscossa. Quelle ore non le scorderò mai.
“Si può fare”, pensai, emulando il celebre grido di Frankenstein Junior firmato Mel Brooks. In quel momento avevamo davanti a noi tanto la strada della sconfitta pressoché certa (le europee), quanto la strada della possibile vittoria (le amministrative): è di fronte a questo bivio che nasce la strategia di fare delle elezioni regionali una sfida totalmente centrata sul territorio e il più possibile distante dal voto politico nazionale.
Non sono stupito che Salvini abbia scelto la strategia opposta, vedeva i numeri come noi. Lui aveva il vantaggio di essere Salvini, il campione nazionale, il “Capitano”, di avere il vento in poppa e un messaggio chiaro e diretto da spendere: «Mandiamoli a casa tutti». A casa tutti, da Conte al Pd, da Bonaccini ai 5 Stelle, inutile perdersi in distinguo capziosi, il messaggio populista è semplificato. Io avevo il vantaggio – pur minore, almeno inizialmente – di essere Bonaccini, un amministratore mediamente rispettato, ma anche quello del campo di gioco: l’Emilia-Romagna. Che non è l’Italia. Ed è proprio questo che Salvini non ha capito, infilandosi in un tunnel che lo ha portato dritto alla sconfitta politica e personale. È possibile che abbia sbagliato candidata, è possibile che abbia sbagliato strategia, di certo ha sbagliato regione. A sua parziale discolpa, si può dire che hanno sbagliato anche parte dei nostri, della nostra classe dirigente nazionale in particolare. Continueranno per mesi a misurare il campo di gioco e a ragionare delle regole d’ingaggio in modo convenzionale, col metro dei palazzi romani. Qualcuno, sospinto da una parziale ripresa del voto al Pd alle europee, vedrà addirittura nel voto in Emilia-Romagna la prima occasione per lanciare un assalto alla destra. Non li ho mai ascoltati, per fortuna. E per fortuna, aggiungo, ho anche trovato sulla mia stessa linea il segretario nazionale del Pd, Nicola Zingaretti, e quello regionale, Paolo Calvano. Al netto di tutti i distinguo e delle diverse sensibilità che come sempre emergono nella gestione quotidiana di una lunga campagna elettorale, con loro c’è stata intesa da subito sulla strategia da perseguire e sulla battaglia da condurre.
Con Nicola ci conosciamo da oltre trent’anni, un’amicizia nata da ragazzi, ai tempi della Sinistra giovanile. Quando si stringe un rapporto fraterno a vent’anni poi la vita difficilmente ti divide. Diversi passaggi della politica ci hanno visto dalla stessa parte, altri più distanti, ma non è mai venuto meno il bisogno di sentirsi, di parlare, di ragionare insieme delle cose che investivano il partito, il paese o la vita personale di entrambi. Ci siamo ritrovati insieme a guidare le rispettive regioni e lui mi ha sostenuto quando sono stato scelto come nuovo presidente della Conferenza delle Regioni. Nel marzo del 2019 ho votato per lui alle primarie che lo hanno eletto segretario del Pd.
È nel suo ufficio a Roma, all’inizio dell’ottobre scorso, che condividiamo la scelta di una corsa tutta di marca civica, o quasi. «Non ci pensare neanche un attimo, Stefano», mi dice, «sei il presidente uscente e in quanto tale hai il diritto e il dovere di rivolgerti a tutti gli elettori. Il presidente viene eletto direttamente: il partito farà la sua campagna, tu la tua, più libera e larga. Anch’io sono partito dai sindaci e non usai il simbolo del Pd per la corsa in Lazio. Parlate di Emilia-Romagna.»
Premessa logica di questo schema è rafforzare il tratto identitario dell’Emilia-Romagna, fino a far risultare Salvini un corpo estraneo: non dico un intruso, ma quantomeno un ospite in casa nostra. #SiamoEmiliaRomagna è il tormentone che rilancio personalmente per mesi in ogni mia comunicazione politica. Peraltro, mi aggancio alla comunicazione istituzionale che la Regione ha avviato molto tempo prima, basata sullo slogan: “Emilia-Romagna, facciamo la differenza”. Di fatto, si parli di abolizione dei superticket o di liste d’attesa in sanità, di opportunità per le imprese o per i lavoratori, proviamo in ogni modo a mettere in luce il tratto distintivo della nostra regione. Non è un dato antropologico, è un fatto politico. Ho ricordato mille volte alla nostra gente che qui non governiamo per diritto divino, ma solo se riusciamo ad assicurare una buona amministrazione, che risponda più e meglio di altri ai bisogni dei cittadini. Che la destra invochi un cambiamento di colore politico dopo 75 anni di governo è non solo legittimo, ma per molti aspetti fisiologico. A un certo punto stavano quasi centrando il messaggio giusto: e un po’ ho tremato, lo confesso. Dire “qui si sta meglio che altrove e hanno governato bene, ma dopo tanti anni cambiare sarà salutare, anche solo per superare certi modi di vedere le cose e affrontare i problemi” è un modo ragionevole e decisamente insidioso per presentarsi come alternativa praticabile. O “l’Emilia-Romagna è una macchina che va a velocità sei ma potrebbe andare a dieci”: non ero d’accordo, sempre di propaganda si trattava, ma il messaggio era pacato, moderato, rischiava di essere efficace. Ma poi ha prevalso la logica di una destra dura, smodata nei toni e nei gesti, incapace di riconoscere quanto di buono c’è. E lì hanno commesso il secondo errore madornale, iniziando a denigrare e offendere l’Emilia-Romagna.
Il buon governo conta eccome. A fronte di amministrative perse e di recenti batoste elettorali, è entrato nell’uso comune della nostra classe dirigente dire che il buon governo non basti, che rivendicare il lavoro fatto sia stucchevole, che occorra ben altro. Salvo poi non saper mai definire bene cosa sarebbe, concretamente, questo “ben altro”. Alla fine, diventa una di quelle discussioni astratte e ombelicali che non portano a nulla, per di più distanti anni luce dalle persone, che ci guardano come marziani. Al contrario, io credo che il buon governo pesi eccome, che sia dirimente. Non sarà sufficiente, perché le elezioni si vincono e si perdono per tanti fattori, ma è senz’altro premessa indispensabile per un sindaco, un presidente o un premier che si ricandida. Basta quindi per vincere? Dipende. Certamente non aver risposto ai problemi dei cittadini ti dà la garanzia di perdere. Poter rivendicare quanto di buono si è fatto, viceversa, dà credibilità a chi si ricandida e agli impegni che assume per il futuro. Nel nostro caso, poi, un rendiconto onesto delle cose fatte era premessa indispensabile per poter marcare quella differenza tra l’Emilia-Romagna e il resto del paese di cui ho voluto farmi interprete. Ciò non significa negare i problemi e le questioni irrisolte, anzi: ma è proprio quando porti la discussione sul piano dei problemi reali che più emerge la diversa capacità di affrontarli e la qualità delle ricette che proponi. Altrimenti bastano gli slogan, e su quelli Salvini vince sempre. “Tutti a casa” non è un messaggio che puoi sconfiggere con “nessuno a casa”. Lo smonti se hai cose significative da dire rispetto alla vita delle persone, se puoi rivendicare ciò che hai fatto e stai facendo per loro, se puoi indicare i problemi che restano aperti e le soluzioni che avanzi per risolverli.
Parlando di identità dell’Emilia-Romagna, non abbiamo mancato di rimarcare i nostri valori, la nettezza del nostro progetto, la nostra idea di società: sono tratti imprescindibili se vuoi evidenziare le differenze con i tuoi avversari e spiegare perché la scelta è importante. Ma abbiamo anche costruito un programma di obiettivi concreti che partisse dai risultati raggiunti per indicare poi le cose da fare.
“Un passo avanti”, lo slogan che ho usato per tutta la campagna elettorale, ha questo doppio significato: da un lato sottolinea che l’Emilia-Romagna è oggettivamente un passo avanti rispetto al resto del paese; ma significa anche che qui c’è ancora tanto lavoro da fare e non possiamo smettere di muoverci, di andare avanti. Perché in un mondo che cambia in fretta, chi si ferma sta già tornando indietro. È anche per questa ragione che la mia nuova giunta oggi è fortemente rinnovata rispetto a quella precedente. Ho avuto il privilegio di collaborare negli ultimi cinque anni con persone straordinarie, che con grande competenza e abnegazione hanno dato il massimo per questa regione. Palma, Patrizio, Paola, Simona, Andrea, Sergio, Giammaria, Emma, Massimo, Raffaele, e prima ancora Elisabetta e Andrea: avrei potuto davvero riconfermarli tutti e non li ringrazierò mai abbastanza per quanto hanno fatto per me e per l’Emilia-Romagna. Ma ho preferito non fermarmi, mettere persone diverse su obiettivi nuovi, non accomodarmi sul lavoro fatto nella scorsa legislatura, cercare nuove sensibilità e nuovi profili. Andare avanti, insomma.
Ma avanti in quale direzione? Perché il movimento non diventi una retorica del fare, una semplice suggestione, decidiamo di mettere a punto quattro pilastri su cui incardinare la nostra proposta per la società. Quattro direttrici lungo cui costruire un progetto di futuro ben piantato nel nostro territorio e nella nostra esperienza di governo, da cui declinare i passi avanti necessari. È così che è nato il programma elettorale. Ci mettiamo troppo passato? Troppo presente? Troppo futuro? Per sgomberare il campo, decidiamo di tratteggiarli già nel mio primo intervento, annunciando la mia candidatura nel padiglione in Fiera. Siamo subito chiari: abbiamo un progetto per il futuro e proponiamo di fare dell’Emilia-Romagna la regione della conoscenza, dei diritti e dei doveri, della sostenibilità, delle opportunità e del lavoro. Faremo subito anche la prima proposta concreta per ciascuno di questi ambiti, il primo passo avanti: nidi d’infanzia gratuiti e senza più liste d’attesa, in una regione che è già prima per disponibilità di posti e dove abbiamo già assunto un primo provvedimento per dimezzare le rette per due terzi delle famiglie, facendole risparmiare in media mille euro a figlio; rientro nei parametri per le liste d’attesa in sanità, anche per gli interventi chirurgici programmati e per la permanenza nei pronto soccorso, dopo aver lavorato cinque anni per tagliare le liste d’attesa per analisi e visite specialistiche, riportandole entro i tempi di legge nel 97% dei casi; raddoppio delle risorse per la manutenzione del territorio e la prevenzione del dissesto idrogeologico, per passare in cinque anni da 50 a 100 milioni di euro investiti; riduzione di un terzo del numero dei NEET, ragazzi che non studiano e non lavorano, scendendo stabilmente sotto la soglia del 10%.
Questi primi quattro passi avanti diventeranno, alla fine del percorso programmatico, quaranta. Un elenco puntuale di obiettivi per rendere l’Emilia-Romagna una regione ancor più moderna, forte, giusta. Ma intanto la rotta è tracciata. E al termine della presentazione delle proposte, quel giorno, quanti prima si erano lamentati dell’assenza di una chiara indicazione rispetto al futuro saranno i più entusiasti. Tra questi ricordo bene Gian Carlo Muzzarelli, il sindaco di Modena, in genere piuttosto parco di complimenti, diciamo: «Stefano, finalmente hai dato la linea e io la condivido, avanti!». Se va bene a Gian Carlo, sorrido tirando un sospiro di sollievo, allora va bene a tutti. Non si smentirà Muzzarelli: da par suo, nei due mesi e mezzo successivi, si metterà a testa bassa sulla campagna elettorale come se in gioco ci fosse la sua di rielezione. E nella città di Modena, a scrutini chiusi, vinceremo sfiorando il 62% dei consensi.
Anche l’idea di costruire una lista civica leg...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. LA DESTRA SI PUÒ BATTERE
  4. Introduzione
  5. 1. Sindaco dell’Emilia-Romagna
  6. 2. Le piazze
  7. 3. L’autodromo di Imola
  8. 4. Borgo Panigale
  9. 5. La “Bestia” e “il Piave”
  10. 6. Vi (ri)parlo di Bibbiano
  11. 7. Ho fatto 800.000 chilometri
  12. 8. Ivan, Siniša, Julio: prima gli italiani
  13. 9. Giù le mani dalla sanità pubblica
  14. 10. Ultimo miglio
  15. 26 gennaio 2020
  16. Copyright