Non mi sono mai piaciuta
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Non mi sono mai piaciuta

  1. 160 pagine
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Informazioni sul libro

«Pesavo 37 chili, mi sono messa a piangere ma ero felice.»
Valentina non si è mai piaciuta.
È timida e ama tanto stare da sola, solo la musica può restare.
L'immaginazione è la sua casa, si distrae in fretta e parla tanto.
Non è felice, o forse sì ma non lo capisce neanche lei.
C'è una voce in testa che non si stacca. Non vuole liberarla. Chissà se la punirà prima o poi.
Valentina è dura ma non lo è. È bella, dicono. Ma lei odia specchiarsi.
Ascolta tanto e pensa troppo.
Le passa tutto addosso ma non scivola mai. Tiene tutto. E manda giù. Prima o poi passa, dice sempre.
Non dorme, lei ama la luna. Ama il cielo scuro e le stelle. La notte la possiede. Lei è il sole ma è anche la luna.

Le piace perdersi, ma anche ritrovarsi. Perdersi la fa scappare dove niente può ferirla.
Fugge per anni, è la cosa che preferisce fare, volare via. Le piace giocare con il destino, non è sempre attenta.
Cuore grande. Però vuole essere più leggera. Valentina odia le sue gambe.
Non vuole mangiare più.
Valentina non vuole sentire più. Valentina non vuole vedere più. Valentina non vuole vivere più. Ha freddo e non ride più. Non ama nessuno. Valentina ha il viso scavato. Vuole essere più leggera. Ce la può fare, dice.
Valentina non riesce a camminare, ma forse è solo stanca. Sarà sicuramente così.
Le gira sempre la testa e dice che parlare è faticoso.
Non ha più amici ma non sembra triste.
Non sembra felice.
Non sembra e basta.

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Informazioni

1

Quando sono nata gridavo tantissimo. Mamma me lo dice sempre, è convinta che in un modo o nell’altro quell’immagine mi abbia sempre rappresentata. Si percepiva la voglia di liberarsi, dice.
Può essere. Fatto sta che c’era la neve ed era buio, e anche quello mi rappresenta, penso. Ma non glielo dico. Purtroppo sono una di quelle che si scorda tutto quanto, odio questa cosa quanto l’amo. A volte mi aiuta ma a volte cancella tutto ciò che mi ha segnato. Tutto quanto. Chiedetelo a un emotivo e vi risponderà la stessa cosa. Roba trita i sentimenti. Soprattutto per noi.
Comunque, ricordo solo poche cose. Ricordo che volevo i capelli lunghi, ma mamma non era d’accordo. Dovevo portare l’apparecchio, mi sentivo bruttina. Ero magrissima, non mi stava nulla e mamma comprava i vestiti per me. La scuola non mi piaceva, mi distraevo facilmente. La testa vagava e io mi perdevo dietro alla mia immaginazione… Non riuscivo a concentrarmi. Avevo paura della mia insegnante di matematica, era così diretta e mi sgridava sempre. Io mi mortificavo ogni volta che succedeva. Avevo paura di lei come ne avevo di mamma, mi sgridavano tutte e due. Erano entrambe bionde con gli occhi azzurri. Erano tanto belle quanto spaventose. Probabilmente era normale, ora che ci penso. Ma ho sempre avuto questa dote, ho sempre vissuto a nervi scoperti. Niente scivolava addosso a Valentina. Ogni cosa si incastrava in tutti gli angoli remoti della mia anima, e diventava immediatamente un ottimo strumento di tortura.
Avevo tredici anni e volevo essere Avril Lavigne, volevo sposare Tom dei Blink-182. La musica era la mia migliore amica, il nero il mio colore preferito. Ero una grande nerd, non vedevo l’ora di tornare a casa per scaricare la musica, appena indossavo le cuffie volavo nel mio mondo. Quello che abbiamo tutti, dove nessuno può raggiungerci. Collezionavo cartelle di immagini di ogni tipo, arte, musica, grafica, e le tenevo tutte salvate e numerate, in ordine alfabetico secondo un titolo che inventavo. Ero già ossessionata dall’ordine. Anche mamma lo è. Avevo la dannata percezione di poter controllare i miei sentimenti tramite gesti, che mi avrebbero poi portato una forte soddisfazione.
Se la mia ex terapista sentisse questo direbbe sicuramente che le persone come me s’illudono di sistemarsi l’anima facendo cose, controllando le proprie emozioni. È un gioco macabro che il nostro cervello ci infligge perché gli piace ogni tanto farci sentire masochisti. È pane per i suoi denti. Mi ricordo che mi specchiavo per ore e, guardandomi negli occhi, sapevo già di essere più matura rispetto alle mie coetanee. Non mi piaceva socializzare, neanche parlare a meno che non ce ne fosse stato davvero bisogno. Se mi affezionavo era per sempre, ero gelosa delle mie amiche… Avevo paura che quell’emozione potesse scivolarmi dalle mani e svanire nel nulla. Avevo bisogno dell’affetto altrui perché io non sapevo darlo a me stessa. Avevo certe consapevolezze che nessuna bambina di quell’età dovrebbe avere.
Ed erano successe tante cose. Quando arrivavano mi entravano fino al cuore. Non avevo alcuna barriera. Chiunque avrebbe potuto passare e rubarmi il cuore. Glielo avrei concesso. Pensavo troppo bene delle persone, non mi proteggevo mai, non credevo volessero farmi veramente del male. Ma poi lo facevano, e io crollavo in un buco nero di sensi di colpa. Sono sempre stata un po’ triste. Bello il mondo eh, ma vuole mangiarmi. E io ho troppa paura che ci riesca.

2

Mia sorella era diversa da me. O io da lei. Eravamo comunque diverse. Lei era molto intelligente, non si faceva fregare come me. Era quasi seria per essere una bambina così piccola. Non ci stavamo simpatiche, ci annusavamo ogni tanto ma nessuna si sbilanciava mai. Io le volevo bene, quel bene che si sente proprio forte, e ogni tanto le correvo dietro per abbracciarla. Ma lei scappava via, ero un po’ pesante a volte. Eravamo troppo diverse quindi troppo incompatibili per avere un vero rapporto. Siamo state sorelle senza sentirlo mai.
A volte vorrei tornare indietro per godermi questa cosa, che non ci siamo mai concesse. Eravamo piccole e lei era stupenda. La ragazza della porta accanto, lei, io ero un brutto anatroccolo. Ero pestifera ma anche tanto timida. Ero già ambivalente, e quindi ero una bambina catalogata come “particolare”. Io sapevo che gli altri bambini non volevano fare amicizia con me, glielo leggevo in faccia. Ero troppo timida per farmi avanti. Lei invece aveva tanti amici e tutti la volevano come fidanzata. La emulavo tanto quanto la odiavo. Ero evidentemente invidiosa. Volevo anch’io gli occhi di tutti addosso, ma ne avevo anche tanta paura. Mi inquietava il pensiero maschile. Lei non mi voleva tra i piedi, come ogni sorella maggiore, e a me andava bene così. Aveva amici grandi, e io avevo solo tredici anni. Non ho mai spiccicato parola le poche volte che mi portava con sé. Avevo troppa paura di essere presa in giro, tanto ero quella bruttina che lei doveva portarsi appresso per forza. Non avrei mai avuto la credibilità di dire qualcosa di intelligente.
Mamma e papà la ricoprivano di attenzioni e di regali. Lei era brava a scuola, non rispondeva mai male, si faceva già la sua vita. Era furba e io no. Vedevo l’orgoglio nei loro occhi quando ci parlavano. Lei l’ascoltavano. E invece nessuno ascoltava me come avrei voluto. Io ero quella che faceva i macelli, quella che andava raddrizzata prima che fosse troppo tardi e purtroppo non potevo godere delle stesse attenzioni. Me le davano, ma erano più che altro per controllare che tutto fosse al posto giusto. Ci hanno tirate su con un metodo abbastanza antico. Bisognava fare ciò che dicevano gli adulti, non c’era tanto spazio per le domande. Erano stati cresciuti entrambi così e così si faceva di conseguenza. Quando iniziammo a diventare adolescenti ci fu uno stacco ancora più forte con loro. Mamma disse che non voleva essere informata della nostra vita “sentimentale” al di fuori di casa. Niente ragazzi, messaggi, amicizie. Lei voleva mantenersi al di fuori. Probabilmente è quello che vorrebbero tutti, ma io mi sono sentita un po’ rimpallata. Avevo bisogno del suo aiuto, della sua approvazione, forse in un modo morboso, ma ero stata cresciuta così. Mi aveva fatto sempre sentire la sua opinione, ha fatto sempre in modo che mi comportassi come si sarebbe comportata lei. Forse, mi stava insegnando a essere come lei. Lei imparava e anche io. Però qualcosa andò storto e io mi sentii abbandonata alla mia adolescenza. Non le ho mai detto nulla, come desiderava. Se ci ripenso ora però mi sarei voluta ribellare. Le avrei voluto parlare, magari mi avrebbe ascoltata. Già. Sarebbe stato tutto diverso.

3

Mamma mi sgridava sempre. Ero una bambina diversa, ma credo che lei non lo abbia mai capito. Avevo paura di ogni cosa, la famiglia era l’unico rifugio che conoscevo, un po’ perché conoscevo solo quella realtà, un po’ perché erano le persone che mi avevano cresciuta. Non so se siamo mai stati una vera famiglia. Sì, c’erano mamma, papà, matrimonio felice, io e Alessia. Però non so se si è mai creato tra noi quel rapporto fatto di legami, e non intendo solo quelli che sentiamo, ma anche quelli che percepiamo. Come se ci fosse un filo unico a tenerci tutti legati. Credevo di essere troppo profonda io, mi ripetevo che tanto per gli altri il mondo era ciò che potevano vedere e basta, ma mi rifiutavo di crederci. Non può essere così meccanico, perché nessuno lo capisce? La musica era il mio rifugio, mi faceva credere che ci fosse molto altro oltre a quello che potevo dire di avere. Non avevo nulla. La mia famiglia erano i miei occhi sul mondo. Tutto quello che non potevo vedere lo vedevano loro per me, per poi raccontarmi e inculcarmi, involontariamente, le loro idee.
Io le regole proprio non le ho mai amate. Avete mai provato che significa vivere secondo le idee altrui, senza avere le vostre? Dopo tutti questi anni so che il risultato è questo. Chi sono io? Vivo ma non vivo. Ho bisogno di trovarmi, di conoscermi.
Mamma era una donna ambivalente. Come me. Mi proteggeva troppo dal mondo, che era stato tanto cattivo con lei, per non farmi provare gli stessi dolori. Per non inciampare troppo. Ero sotto questa splendida campana di vetro, che però mi stava stretta. La mia voglia di conoscere e scoprire era troppo forte. E io piangevo. Credevo di essere sbagliata. Non voglio che sia così avere dodici anni. Ti prego. Mamma era l’unica cosa giusta che conoscevo. Colei che non mi avrebbe mai tradita, era la mia gioia e la mia paura più grande. Paura quando si arrabbiava, perché sentivo di averla in qualche modo delusa. È stata dura con lei. Ci siamo ammazzate ma ci siamo volute un bene speciale. Il nostro è un legame. Sì, quello che si può vedere. Quello che dice lei è solo ed esclusivamente la verità. Mamma non può mentirmi. A volte mi lasciava sbattere la testa contro il muro, a volte mi proteggeva troppo. Io non credo che sia una donna così ansiosa, penso che in un certo senso se lo imponga. Credo che pensi che facendo così possa avere tutto sotto controllo. Sbagliato. Io volevo fare la modella, suonare, ma lei non amava farmi fare cose che non conosceva. Non amava le cose fuori dall’ordinario.
Credo si aspettasse che io scegliessi una vita normale. Studiare, laurearsi, sposarsi, avere dei bambini, comprare casa. Come mia sorella. Solo il pensiero mi fa venire i brividi. Non sono quel tipo di donna, non voglio questo. Mi sta tutto così stretto. E questa frustrazione non ho mai saputo sfogarla. Non potevo farlo, si sarebbe arrabbiata. Mi è sempre stato tutto troppo stretto e con il senno di poi, so che lo ha fatto con amore. Ma io sono cresciuta con la paura di buttarmi. Come faccio a crescere senza lei? Se faccio la mia vita, chi sarà la mia guida?

4

Ho sempre un po’ paura a parlare della mia famiglia. Soprattutto adesso, so che leggeranno queste righe… e forse dovrei essere contenta, forse posso avere modo di farli entrare di più nel mio mondo, a loro completamente sconosciuto, e fargli vedere cosa c’è dentro.
Papà è proprio un bell’uomo. Patito per la musica, dentista, chitarrista, velista, cestista, insomma uno di quelli che sa quello che vuole. È sempre stato un uomo tutto d’un pezzo, le emozioni non erano il suo forte, non amava farsi vedere in difficoltà. Per questo ho avuto difficoltà a legare con lui, lavorava sempre e quando tornava voleva riposarsi. Non parlavamo quasi mai. Condividevamo alcuni interessi in comune, il basket, la musica, la fantascienza. Io ero un po’ maschiaccio, e volevo emulare un po’ il cosiddetto figlio maschio che non aveva potuto avere. Mi piaceva stare con lui, ma la cosa che non ho mai messo in dubbio è l’amore che papà provava per mamma. Loro sono sempre stati una cosa unica. Si erano conosciuti da ragazzini ed erano ancora insieme. Mamma si è sempre appoggiata alla sua spalla, lui è stato capace di raccoglierne i resti e di rimetterla insieme. Credo che non potrei mai immaginarla senza di lui. Loro erano complici, forse tanto, a volte troppo. Complici anche quando mi mettevano in punizione, anche quando si arrabbiavano. Avevo paura di mamma, ma anche di papà. Avevo paura del loro giudizio. L’ombra di questa paura mi continua ad accompagnare, non ha mai smesso.
Comunque, vivevo in una famiglia benestante. Non potevo lamentarmi. Ero sempre in vacanza quando non ero sui libri. Mi hanno fatto vedere il mondo presto, perché era quello che piaceva a loro. Girare, vedere, conoscere. Io gli volevo bene, anche se li ho sempre considerati come una persona unica. Non potevo dire di avere un vero e proprio rapporto con ogni componente singolo della nostra famiglia. Anzi forse stare sola con uno di loro mi avrebbe messa veramente a disagio. In terapia sono più volte finita a parlare di questa “unicità” che vedevo nei miei genitori. Mamma e papà sono la stessa persona. Quello che diceva l’uno era oro colato per l’altro. Che dire, beati loro per la complicità, ma non c’era spazio per nessun’altra opinione, e la cosa, più avanti, avrebbe causato un effetto catastrofico su di me.

5

Non mi sono mai piaciuta. E quando dico mai intendo mai. Mamma ricorda sempre il mio volermi cancellare dalle foto con la penna. Dice sempre che la inquietava moltissimo vedermelo fare. Non ricordo il motivo, ma a volte lo sfondo era troppo bello per essere rovinato.
Sono cresciuta con l’ossessione per la musica, era la mia casa quando non sapevo dove andare, mi faceva volare in alto come un uccello, mi faceva riflettere, niente aveva più importanza quando sentivo la cassa sputare fuori le prime note. A casa non mi trovavo bene, mi sentivo tanto incompresa. Ero molto piccola, ma cantavo. Cantavo, cantavo e cantavo, fino ad avere male alla gola. Volevo essere Amy Lee, volevo sputare fuori tutto il disagio, con la potenza della mia voce. Sentivo un fuoco dentro, lo stesso che col tempo mi avrebbe portato a fare tante scelte sbagliate. Sentivo qualcosa che spingeva per uscire fuori, un brivido troppo forte per rimanere solo dentro di me. Non sapevo come avrei potuto trasformarlo in qualcosa di concreto. Forse non l’ho ancora capito. Perché lo sento di nuovo, proprio ora, e allora provo a vomitare qualche parola su un pezzo di carta, magari qualcuno capirà, magari qualcuno mi saprà dire che cosa significa.
Avevo paura delle zanzare, avevo il terrore di sentirle all’orecchio durante la notte… Io, quella che controllava sempre se ci fosse qualcuno sotto il letto prima di andare a dormire. Avevo paura del buio, del rumore dell’acqua, della morte. La prima volta che mi sono trovata faccia a faccia con la morte è stato quando a sei anni persi mio nonno paterno. Mi ricordo bene quei momenti perché mi sconvolsero completamente. Mi viene in mente la scena di mia madre che, al telefono, interrompe il nostro cartone animato per darci la brutta notizia. Mi ricordo quei cinque secondi di vuoto che si provano quando ti arriva una notizia così. Quei secondi di shock che non ti ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. NON MI SONOMAI PIACIUTA
  4. Premessa
  5. 1
  6. 2
  7. 3
  8. 4
  9. 5
  10. 6
  11. 7
  12. 8
  13. 9
  14. 10
  15. 11
  16. 12
  17. 13
  18. 14
  19. 15
  20. 16
  21. 17
  22. 18
  23. 19
  24. 20
  25. 21
  26. 22
  27. 23
  28. 24
  29. 25
  30. 26
  31. 27
  32. 28
  33. 29
  34. 30
  35. 31
  36. 32
  37. 33
  38. 34
  39. 35
  40. 36
  41. 37
  42. 38
  43. 39
  44. 40
  45. 41
  46. 42
  47. 43
  48. 44
  49. 45
  50. 46
  51. 3/07/2019
  52. Copyright