Tutta la verità su Ruth Malone
eBook - ePub

Tutta la verità su Ruth Malone

  1. 336 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Tutta la verità su Ruth Malone

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

« Tutta la verità su Ruth Malone è uno di quei rari libri in grado di far volare le pagine e far battere il cuore. Si legge d'un fiato, provare per credere.» Jeffery Deaver New York, una torrida estate del '65. Capelli cotonati rosso fuoco, pantaloni Capri, sigaretta tra le labbra: Ruth Malone, divorziata e giovane madre di due bambini, è la Marilyn del quartiere. Le piace bere, uscire, avere uomini diversi, specie ora che ha dato il benservito al marito Frank, con cui è in guerra per la custodia dei bambini. Cindy e Frank Jr. sono i suoi piccoli tesori, i capelli che pettina ogni mattina e le bocche che sfama ogni giorno, stando attenta che mangino abbastanza verdura.
Ma poi, un mattino, Ruth non li trova più nei loro lettini. La polizia arriva e subito qualcosa non quadra: trovano le bottiglie di bourbon vuote, i bigliettini d'amore di troppi uomini in una valigetta sotto il letto, e Ruth troppo truccata, troppo bella. Le vicine scuotono il capo: il Queens intero sembra traboccare di pettegolezzi e mezzi sussurri, "madre distratta", "l'ha fatto apposta".
Pian piano Ruth si accorge che la "verità" degli altri - senza prove a suffragarla, solo illazioni - le si sta chiudendo sopra come il coperchio di una bara. Solo Pete Wonicke, giornalista in cerca di storie, cercherà di guardare oltre le apparenze, innamorandosi di questa donna sbagliata, che pagherà la propria imperfezione nel modo più terribile.
Ispirato al caso di cronaca nera che sconvolse l'America degli anni '60, Tutta la verità su Ruth Malone è un thriller serratissimo, e al tempo stesso un romanzo magnifico e sorprendente. Ruth Malone: vi sembrerà di averla conosciuta davvero, e vi si spezzerà il cuore per lei.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Tutta la verità su Ruth Malone di Emma Flint in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Letteratura e Narrativa noir. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788858521496
Argomento
Letteratura

1

Le rare notti in cui dorme riveste i panni della donna che era prima.
Prima: di rado si addormentava in camicia da notte, su cuscini ben sprimacciati, la faccia lustra di crema idratante. Certe volte si svegliava in un letto sfatto accanto a una sagoma che russava; più spesso si svegliava da sola sul divano accanto a bottiglie quasi vuote e posacenere quasi pieni, la pelle impiastricciata di fumo stantio e del trucco del giorno prima, il corpo fiacco, la mente svuotata. Si alzava a sedere e sussultava, d’un tratto consapevole del torcicollo e del saporaccio triste e rancido in bocca.
Ora si sveglia, e non con l’impaccio di un mal di testa o con la spossatezza di una nottata fumosa alle spalle, ma con artefatta lucidità. Le sue giornate iniziano al suono di una campanella accompagnato da voci aspre, clangore metallico e grida. Dalle esalazioni corrosive di candeggiante e urina. E nelle sue mattine non c’è spazio per i ricordi.
Prima, tutte le mattine attraversava il corridoio per andare in cucina a mettere il caffè sul fornello. Si accendeva la prima sigaretta della giornata e ascoltava il mattino animarsi tutt’intorno: lo squillo della radio di Gina dall’alto, i passi pesanti di Tony Bonelli sulle scale. Porte sbattute, auto messe in moto. Nina Lombardo che sbraitava ai bambini della porta accanto.
Andava nel bagno in fondo al corridoio e chiudeva la porta a chiave. Frank se n’era andato da un anno e ancora lei non aveva capito di essere sola in casa. Si toglieva i vestiti del giorno prima e si lavava al piccolo lavandino: le mani, il viso, sotto le ascelle, sotto i seni, in mezzo alle gambe. A volte sentiva il proprio odore: quell’odore giallo e maturo che ancora considera suo soltanto e che la metteva in imbarazzo quando si svegliava in compagnia di qualcuno.
Come una cagna in calore, eh, tesoro?
Si strofinava in mezzo alle gambe con il ruvido asciugamano azzurro, con forza, fino a farsi male, senza alcuna pietà. Si strofinava a secco, tirava la pelle della coscia con la base del palmo per farla apparire soda un momento prima di lasciarla ricadere, bucherellata come al solito dalla cellulite. Appendeva l’asciugamano, si avvolgeva nella vestaglia e riattraversava il corridoio fino alla cucina dove si versava il caffè, e pensava allo zucchero nel barattolo senza mai metterne nemmeno un granello nella tazza.
Quindi la camera da letto, dove indossava un paio di pantaloni eleganti e una camicetta. Se più tardi aveva il turno di lavoro al Callaghan’s, prendeva la divisa, l’appendeva fuori dall’armadio per cercare macchie e fili tirati. Una camicetta inamidata stirata la domenica sera. Una gonna, un pelino troppo stretta. Le scarpe allineate, le punte unite, i tacchi eccessivamente alti per una cameriera che doveva stare in piedi quasi per tutta la notte. Ma i suoi occhi emanavano un bagliore particolare che faceva impennare le mance, che faceva volare le ore.
Poi si accendeva un’altra sigaretta, calzava le pantofole e portava il caffè in bagno. Solo allora, sveglia e all’erta, e con i vestiti a proteggerla, trovava il coraggio di guardarsi allo specchio.
Prima la pelle: la pelle sempre prima. Nelle giornate buone era diafana e liscia come una fotografia in bianco e nero. Nelle giornate meno buone, le macchie e le vecchie cicatrici che ne deturpavano la superficie dovevano essere nascoste. Posava la tazza sul bordo del lavandino, tirava dalla sigaretta e la lasciava in equilibrio nel posacenere sulla mensola.
Tutte le mattine si spalmava il fondotinta con le dita che tremolavano a seconda di quanto l’avesse turbata il riflesso allo specchio o del tipo di notte che aveva passato. C’erano giorni in cui le mani le tremavano e le sudavano a tal punto che il trucco veniva tutto a chiazze, o la sua pelle era tanto segnata che due strati di fondotinta non sembravano fare alcuna differenza. In quei giorni lo spalmava prendendosi a schiaffi. Punendosi. E mentre lo faceva si guardava dritta negli occhi. Abbastanza forte da farsi male, non abbastanza da lasciare segni.
Poi la cipria, applicata fino a dipingere la maschera ormai familiare. Arricciava le labbra, spennellava il fard nell’incavo sotto gli zigomi, socchiudeva gli occhi finché il viso allo specchio non diventava un ovale indistinto, e controllava che le strisciate di colore fossero uniformi. Fatto. Batteva le palpebre, impugnava la matita, concentrandosi. Prima le sopracciglia: due arcate alte e meravigliate che le incorniciavano gli occhi dalla forma allungata. Ombretto, eye-liner, tre passate di rimmel. Lavorava come un’artista: sfumava, ritoccava, marcava i colori. Di tanto in tanto tirava dalla sigaretta, beveva un sorso di caffè. Un’ultima impolverata di cipria; un velo di rossetto, ben tamponato; una pettinata veloce per cotonare i capelli; una spirale argentea di lacca. Finito. Solo allora riusciva a guardarsi in faccia.
Prima, era Ruth.
Ora è una delle venti donne infreddolite in una stanza rivestita di piastrelle, rannicchiate sotto uno stillicidio d’acqua tiepida. Venti pezzetti del peggior sapone in circolazione. Venti asciugamani logori su venti ganci arrugginiti.
Una volta entrata chiude gli occhi, si fa sorda alle grida rimbombanti, ai canti, alle imprecazioni. Finge di essere sola e si concentra completamente sulla pulizia. Non si sente mai abbastanza pulita. La prima settimana ha chiesto uno spazzolino per unghie e ora affonda le setole nel sapone, si concentra per raccogliere le verdi scaglie mollicce e formare un sottile strato di schiuma tra palmo e spazzola. E poi strofina, come quando dalle suore le lavavano la faccia fino a scorticarla. Chiude gli occhi e si rivede com’era allora: una minuscola tredicenne dal petto piallato, i capelli flosci, la pelle del viso grassa e punteggiata da foruncoli rossi e bianchi. Sente l’acqua pungerle la pelle come allora, lo stesso odore di candeggina e vapore acqueo, perde la nozione dello spazio e sa che non ha molta importanza.
E quando le guardie le gridano di darsi una mossa riapre gli occhi, afferra l’asciugamano ruvido e si strofina fino a farsi male.
Più tardi prenderà il minuscolo specchio che le hanno concesso e guarderà un frammento del suo viso; lo vedrà lucido, grasso, foruncoloso e saprà che la punizione non è ancora finita.
Solo di rado solleverà lo specchio all’altezza degli occhi – rapidamente, come per non vedere il peggio – e si pettinerà le sopracciglia, si inumidirà le dita per incurvare le ciglia, per opacizzare la pelle e proverà a riconoscersi in quel riflesso. Le piccole vanità sono l’unica cosa che resta di lei.
Indossa in fretta la biancheria ingrigita e il vestito di cotone che le hanno dato, poi mette anche un maglione perché non ha mai abbastanza caldo. Attende l’ispezione – della branda, della cella, della sua persona –, quindi è ora di colazione.
Un tempo colazione evocava immagini da rotocalco di bricchi di caffè, pane tostato ancora tiepido e tocchi di burro scintillanti come raggi di sole. Di una mamma e un papà, e di bambini con i baffi di latte e le teste arruffate. Di sorrisi e baci e dell’inizio di una nuova giornata. Pensava che visioni come quelle l’avrebbero tirata fuori di lì, finché non si è resa conto che quelle immagini solari riemergevano durante la notte, e che lo splendore di quei sorrisi a colazione la faceva singhiozzare nell’oscurità. Ora si concentra su un momento alla volta. Sui rumori che rimbombano per le scale. Sul freddo corrimano di metallo. Poi sulla sensazione del vassoio e delle posate di plastica. L’odore di uova, di farina di granturco e di grasso. Il sapore del caffè amaro e i rumori che producono trecentoventiquattro donne quando masticano tutte assieme.
Quei momenti sono disposti in una lunga fila, uno dopo l’altro, come grani di un rosario. Le basta prenderli uno alla volta e finiscono, dopo di che può andare in biblioteca e dare il buongiorno a Christine. Christine, un’ergastolana, è la bibliotecaria, perciò gode di certi privilegi. Prima di aggredire il marito con un punteruolo spaccaghiaccio e ammazzarlo con un coltello da cucina, faceva la maestra a Port Washington.
Christine ha quasi sessant’anni: esile, capelli scuri, immancabilmente cortese e serena. Il marito voleva piantarla per la segretaria ventiduenne e, siccome il punteruolo gli era rimasto conficcato nella spalla, lei aveva dovuto usare il coltello da cucina per finirlo. Christine salta la colazione perché è perennemente a dieta, perciò all’arrivo di Ruth i libri sono di solito già pronti.
Il suo compito è caricare i volumi sul carrello, i dorsi rivolti all’esterno, così da avere già un’idea del percorso che dovrà seguire e di chi potrebbe essere interessato a leggerli. Quindi dà inizio al giro, ritira i libri che ha distribuito i giorni precedenti e distribuisce quelli nuovi appuntandosi chi ha letto cosa, quali volumi sono stati restituiti e quali, troppo spiegazzati o strappati, sono da rilegare o mandare al macero.
E tutti i giorni, mentre spinge il carrello lungo ciascun braccio del penitenziario e sbircia in ciascuna cella e saluta le donne che sa le risponderanno, ripensa a quell’ultima mattina. Ha imparato a non pensare alla colazione, ma non può fare a meno di ricordare. Le sagome rannicchiate sulle brande a sonnecchiare o leggere, che tengono il segno con il dito, non smettono mai di riportargliela alla mente.
Quell’ultimo giorno, una volta finito di truccarsi, uscì dal bagno e chiuse la porta. Minnie girava in tondo nel corridoio, guaendo sommessamente. Ruth fece schioccare la lingua e la chiamò con tenerezza, armeggiò con le chiavi e con le scarpe, e andò incontro al mattino. Il cielo luminoso prometteva un’altra giornata afosa nel Queens. Passeggiarono per quindici minuti attraverso prati ordinati e sbiaditi dal sole, oltre file di palazzi in batteria, Minnie che strattonava il guinzaglio, Ruth che sorrideva agli uomini che passavano e dietro gli occhiali scuri rivolgeva un cenno a qualche vicina.
Tornata in casa, Ruth bevve un bicchierone d’acqua fredda, riscaldò il caffè e trangugiò un’altra tazza, osservando per un istante Minnie che mangiava. Poi decise che era ora di svegliare i bambini.
Solo che erano già svegli. Ogni mattina sapeva cosa avrebbe visto ancor prima di sollevare il gancio e aprire la porta. Se era inverno, li trovava accoccolati insieme in uno dei due letti sotto la coperta blu, Frankie con il braccio intorno a Cindy per leggerle una storia. I suoi occhi erano fissi sulla pagina, il libro in equilibrio sulle ginocchia sollevate, l’altra mano che seguiva le scritte. Quando Frankie si imbatteva in una parola che non sapeva pronunciare, la saltava o la inventava guardando le figure. Cindy stringeva la bambola, il pollice in bocca, lo sguardo che faceva la spola tra il libro e la faccia seria del fratello. Quando lui leggeva qualcosa di buffo o faceva una vocetta, Cindy applaudiva e scoppiava a ridere.
Ma nelle giornate torride come quel mattino di luglio, li trovava sempre alzati, in piedi sul lettino di Cindy a salutare tutti i passanti dalla finestra al primo piano. Persino gli sconosciuti sorridevano a quei dentini allegri, a quelle guance morbide. Ruth sapeva di dover essere orgogliosa dei suoi figli. Avrebbe dovuto essere fiera di se stessa, per averli cresciuti praticamente da sola. Avevano libri e giocattoli, vestiti ordinati e puliti, mangiavano verdura tutte le sere a cena. Lì erano al sicuro. Era un quartiere accogliente: quando in primavera sgattaiolavano dalla finestra, una vecchietta li riaccompagnava a casa prima che Ruth si accorgesse della loro fuga. Doveva nascondere il proprio stupore. Quella donna sembrava un po’ svitata – capelli rosso fuoco e informi vestiti a fiori – ma abbracciava e baciava i bambini per salutarli prima che si precipitassero in casa. Era chiaro che avrebbe voluto seguirli, ma Ruth si piantava sempre davanti alla porta per sbarrarle la strada.
«È dura, signora Malone. Lo so. Anch’io sono quasi sempre sola. È dura.»
La sua voce era aspra, e aveva un accento straniero. Tedesco, forse polacco. Guardava Ruth, e i suoi occhi la giudicavano.
Ruth le rivolgeva un sorriso nervoso e apriva la bocca per congedarla.
«Mi stia a sentire, signora Malone, se ha bisogno non ha che da chiedere. Noi abitiamo là,» e indicava «al numero quarantaquattro. Venga quando vuole.»
Ruth smetteva di sorridere e la guardava dritta in faccia.
«Non abbiamo bisogno di aiuto. Stiamo benissimo.»
Sbatteva la porta e si precipitava in cucina per prendere la bottiglia che non apriva mai prima delle sei del pomeriggio, e mandava giù un sorso. Poi andava nella camera dei bambini, che la stavano aspettando, e si scagliava su di loro colpendoli con le...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. TUTTA LA VERITÀ SU RUTH MALONE
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. 12
  16. 13
  17. 14
  18. 15
  19. 16
  20. 17
  21. 18
  22. 19
  23. 20
  24. Ringraziamenti
  25. Copyright