La fine di Scipione
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La fine di Scipione

  1. 564 pagine
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La fine di Scipione

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«Io e Annibale siamo stati entrambi grandi generali, traditi dai nostri rispettivi Senati, esiliati: come non potrei provare empatia per quest'uomo, nonostante lo abbia combattuto per anni?» Publio Cornelio Scipione sa di essere arrivato alla fine. È il 190 a.C. La crisi siriaca è al suo culmine, e Roma, anche se sfinita da anni di guerra, ha deciso di fronteggiare il re di Siria, Antioco, costante minaccia ai confini orientali della Repubblica. Scipione è tra i legati inviati in Grecia a negoziare la pace, e anche se la missione è un successo, che porta a Roma di fatto l'incontrastato dominio del mar Egeo e ricchezze inestimabili, Publio Cornelio non viene salutato da Roma come crede di meritare. Lontano dall'essersi arricchito, è tuttavia accusato, insieme al fratello Lucio, di aver accettato doni e denaro da Antioco, per una negoziazione giudicata da Roma troppo mite. È così che Scipione l'Africano, l'uomo che aveva sottratto l'Africa ad Annibale, e che aveva fatto di Roma la sua ragione di vita, decide di ritirarsi a Liternum, in Campania, dove la morte lo coglierà nel 183 a.C.
Santiago Posteguillo racconta il maestoso ultimo atto della saga dedicata a uno degli uomini più grandi e forse meno capiti della storia di Roma, facendolo rivivere nei pensieri e nelle azioni, e negli ultimi momenti in cui, ritornando con la memoria alle gesta passate, Scipione si congeda dalla vita e dalla Storia compiendo un doloroso e commosso bilancio.

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Informazioni

Anno
2018
ISBN
9788858519738
LIBRO II

IL PROCESSO A SCIPIONE

Anni 189-184 a.C.
(anni 565-570 dalla fondazione di Roma)
Bubus medicamentum. Si morbum metues, sanis dato salis micas tres, folia laurea III, porri fibras III, ulpici spicas III, alii spicas III, turis grana tria, herbae Sabinae plantas tres, ruta folia tria, vitis albae caules III, fabulos albos III, carbones vivos III, vini S. III.
[Medicamento per buoi. Temendo che i buoi si ammalino, in precauzione darai ai sani tre grani di sale, tre foglie di lauro, tre fibre di porro, tre spicchi d’upiglio, tre capi d’aglio, tre grani di incenso, tre vette d’erba sabina, tre foglie di ruta, tre pampini di vite bianca, tre baccelli di fava bianca, tre carboni ardenti, tre sestarii di vino.]
MARCO PORCIO CATONE, De Re Rustica, Capitolo LXXI
Altera manu fert lapidem, panem ostentat altera.
[Tiene in pugno una pietra e ti offre con l’altra mano un boccone di pane.]
PLAUTO, Aulularia, 195
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MEMORIE DI PUBLIO CORNELIO SCIPIONE AFRICANUS (Libro VI)

Sono molte le parole che mi si affollano nella mente quando penso a Marco Porcio Catone, ma voglio che queste memorie, scritte durante il mio esilio e dopo la mia sconfitta politica a Roma, siano più obiettive possibili e non frutto della rabbia e del rancore provati. Voglio essere giusto con Catone. Dopo aver superato i primi mesi d’ignominia, in un esilio umiliante per me e per tutta la mia famiglia, dopo aver meditato a lungo sull’insistenza con cui Catone ha combattuto contro tutto ciò che non rispecchiava la sua antiquata visione della tradizione di Roma, ho concluso che il suo attacco nei miei confronti, seppur sostenuto e incoraggiato dal risentimento verso la mia persona, nella sua essenza non sia stato puramente personale. Ciò lo rende ancora più temibile. Ha seminato il timore, a Roma, che io ambissi a restare console in modo permanente e mi convertissi in un dittatore o re, certo di conoscere la forma governativa adeguata per il futuro di Roma. Questa megalomania che crede di vedere in me non è altro che l’ombra della sua stessa intransigenza, il riflesso della cieca credenza che il suo modo di vedere le cose sia l’unico giusto per Roma. Se è vero che le nostre divergenze politiche si sono tradotte in affronti personali, soprattutto durante la sua carica di quaestor delle mie legioni in Sicilia e Africa, il suo odio nei miei confronti è sempre stato rafforzato dalla convinzione che eliminare, e non solo sconfiggere, ma annientare completamente il nemico rappresenti una forma di giustizia. Infatti, se esamino le sue azioni in altri ambiti, è facile riconoscere che con me non si è comportato in modo diverso da come ha agito rispetto ad altri che ha affrontato. Basti pensare a come ha agito in Hispania. Lì, dove io ero riuscito a ottenere accordi con molti dei capi delle tribù iberiche e celtiche, lui ha portato solo guerra e distruzione, attraverso un percorso che ha completamente eliminato la politica di alleanze che mio padre e mio zio avevano cominciato al nostro arrivo in quei territori. Tutto ciò ha inevitabilmente generato in Hispania una tale ostilità verso Roma, una tale enorme avversione che durerà per decadi, forse secoli. Talvolta mi è capitato di commentare in privato, con alcuni amici che sono venuti a trovarmi a Liternum, questa mia impressione su Catone. Alcuni hanno accettato la mia idea che la sua avversità continua nei miei confronti sia solo una parte dell’attacco che rivolge a tutto ciò che si oppone alla sua personale visione delle cose; ma altri hanno ribadito che le sue azioni sono mosse da un puro sentimento di vendetta personale dopo la morte di Fabio Massimo e che se ha sgretolato la rete di alleanze in Hispania è stato per distruggere ciò che io avevo iniziato a costruire anni prima e non certo per portare beneficio a Roma. Forse è realmente così. Ormai non credo che si possa più dimostrare cosa ha mosso davvero i suoi attacchi contro di me in tutti questi anni. L’unica cosa certa è che io ho perduto. Chi, come me, ha vinto molte volte e conosce bene il dolce sapore della vittoria, sa riconoscere altrettanto bene quello amaro della sconfitta. Nessuno ha osato dichiararlo pubblicamente, ma so che molti pensano che se avessi permesso a Gaio Valerio di uccidere Catone quella notte, mentre cenavamo a Siracusa, tutto sarebbe andato diversamente. In quel momento giudicai inammissibile e tantomeno non necessaria una tale azione. È incredibile quanto ci si possa sbagliare nella vita.
C’è stato un momento in cui ho creduto di essere immune dai complotti di Catone. E invece era lui ad avere il coltello dalla parte del manico: dopo il mio trionfo celebrato a Roma, io mi ritenevo troppo potente per finire nella trappola sua e dei suoi alleati; ma non lo pensavo con l’idea di oppormi a loro, bensì con la pace d’animo di chi si crede in salvo dai nemici. E non c’è errore peggiore che sottovalutare la capacità di reazione dell’avversario. In battaglia non l’ho mai permesso, ma nell’ambito della politica di Roma non ho fatto abbastanza attenzione. Catone rompeva alleanze che io creavo in terre straniere con altri popoli, disfacendo parte delle mie conquiste, e io, intanto, accecato dalle manovre del mio implacabile nemico, non mi accorgevo che nel frattempo stringeva nuove alleanze per lasciarmi solo, senza protezione e vulnerabile all’interno del cuore stesso di Roma: nel Senato.
Inoltre devo ammettere che Catone possiede una caratteristica che compensa la sua presunta minor dose d’intelligenza rispetto al mio grande nemico del passato, Fabio Massimo: Catone è la persona più tenace che esista a Roma. Lo si può sconfiggere più e più volte ma è impossibile distruggerlo; lui attende, e attende, con una pazienza letale, e quando meno te lo aspetti ti restituisce tutti i colpi ricevuti in una volta sola, con una freddezza e una crudeltà che gelano lo spirito. Così è Catone. E questo ha fatto con me.
D’altro canto, i problemi all’interno della famiglia non mi aiutarono certo a difendermi dagli attacchi del censore di Roma. Il rapporto con Emilia si era deteriorato già prima che portassi con me Aretè dall’Asia. Mio figlio si manteneva distante, convinto ancora una volta di avermi deluso, e io fui incapace di fargli cambiare opinione. Ci allontanavamo l’uno dall’altro sempre di più, senza nemmeno rendercene conto. Con mia figlia maggiore, sposata, parlavo poco e la vedevo sempre meno, mentre Cornelia Minore, dopo aver saputo delle mie intenzioni riguardo a Gracco a Magnesia, mi evitava intenzionalmente. Suppongo che, in tali condizioni, fu normale per me rifugiarmi in Aretè.
(Devo ricordarmi di correggere queste annotazioni ed eliminare alcune cose. Non voglio che Emilia venga ulteriormente ferita da queste mie memorie. Lei non ha colpa delle mie debolezze. La verità è che se l’avessi ascoltata forse avrei potuto risolvere il problema con Catone ed evitare le sue terribili conseguenze.)
Devo procedere con ordine. La lotta politica contro Catone dopo la campagna in Asia ebbe varie fasi e alcune le vinsi io. Il popolo fu sempre dalla mia parte, però Roma è molto più complessa del popolo in sé. Catone fu abile nel manovrare tutti i segreti del governo di Roma, tutte le sue istituzioni. Comprese che solamente un attacco combinato di diversi organismi alla volta poteva piegarmi. In quanto stratega, ancora oggi non posso che ammirare la sua tattica politica. In quanto cittadino di Roma in esilio, guardo alla sua vittoria con profondo timore. In quanto individuo, vivo con tristezza il tradimento di Roma. Da questo momento in poi riferirò i fatti in ordine cronologico, senza soffermarmi a commentare i successi che condussero alla sconfitta di Annibale, anche se tornerò a parlare più dettagliatamente di lui nell’ultimo libro di queste memorie; della sua vita e di come rovinò la mia esistenza e quella di tutta la mia famiglia. Ma ora torniamo ai giorni del trionfo dopo la vittoria su Antioco.
13

LA VITA PRIVATA DI PUBLIO

Elea, Asia Minore
Gennaio del 189 a.C.

Publio ascoltava emozionato il racconto del fratello. Era seduto sul letto, in una stanza della casa in cui alloggiava a Elea, imbacuccato in un paio di coperte e sudato. La febbre per fortuna continuava a scendere e lui, fosse perché la malattia stava passando, fosse perché il resoconto della vittoria di Magnesia gli stava infondendo una grande energia, si sentiva decisamente meglio. Di fronte a Publio, seduto su una sella, Lucio proseguiva con la sua narrazione.
«Tutto è andato come avevi previsto, fratello. Antioco non ha seguito i consigli di Annibale, di questo siamo certi: non ha utilizzato gli elefanti come avanguardia nell’attacco, né ha saputo approfittare della superiorità della sua cavalleria.»
«Sì, soprattutto questo» confermò Publio. «Annibale non ha mai sprecato la cavalleria, mai. Per la battaglia di Magnesia non è stato ascoltato, per nostra fortuna. Quindi ci sono solo buone notizie, non è così?»
Lucio esitò un istante prima di rispondere.
«In verità alcune cose non sono andate esattamente come previsto.»
Publio non domandò nulla, si limitò a mantenere lo sguardo fisso sul fratello. Fino a quel momento – volendo assicurarsi che le sue condizioni fossero buone prima di trasmettergli tutte le notizie – Lucio aveva omesso la vicenda di Gracco, ma era arrivato il momento di rivelarla.
«Gracco è sopravvissuto.» Di fronte all’incredulità nell’espressione di Publio, il console si sentì in dovere di spiegare tutti i fatti. «Non chiedermi come, ma è sopravvissuto. Enobarbo ci ha assicurato che ha sempre mantenuto la posizione con coraggio, e non solo: a quanto pare, la sua resistenza contro i catafratti lo ha convertito in una specie di eroe agli occhi dei legionari. Gracco tornerà da questa campagna coperto di onori, più potente di quando è partito» concluse con rammarico.
«Non importa» replicò Publio. «Può darsi che ritorni più forte, ma anche noi avremo un grande trionfo, Lucio. Il Senato non potrà negarcelo, non dopo aver messo in fuga l’intero esercito di Antioco. Gracco sarà anche diventato più potente di prima, ma noi, fratello, noi due, ora siamo intoccabili.»
Un bagliore speciale, un brillio vivido e intenso nelle pupille di Publio riempì Lucio di orgoglio e di forza.
«Hai ragione, fratello. Poche famiglie hanno procurato a Roma tante vittorie e conquiste come la nostra.»
«Esatto, Lucio. Esatto. Ora siamo i più potenti di tutti. Non m’importa di Gracco. Forse l’Asia è servita almeno a fargli capire che non dovrà mai più avvicinarsi a mia figlia.»
«Sì, credo che questo lo abbia capito.»
«E il ragazzo?» domandò Publio levandosi una coperta di dosso e come chi chiede qualcosa per distrazione, come se la risposta non fosse di vitale importanza.
«Silano ha assicurato che ha combattuto valorosamente, anche se insieme a un piccolo gruppo di folli ha tentato di aprire una breccia nella falange nemica e Silano stesso si è trovato costretto ad accorrere a salvarlo. Però ha combattuto coraggiosamente.» A Lucio dispiacque aver pronunciato quelle frasi in una maniera che poteva aver messo in cattiva luce il nipote. Da come gli era uscita di bocca, il ragazzo passava per un mentecatto, ma ormai era tardi per correggersi.
«Avventato come sempre» disse Publio con il volto serio e le labbra serrate, riflettendo un istante prima di continuare. «Prima si lascia catturare dal nemico, poi si mette di nuovo in pericolo durante la battaglia. Lucio, il ragazzo mi ha profondamente deluso in questa campagna.» Una pausa più lunga accompagnò il silenzio del fratello, fino a che Publio aggiunse le sue ultime considerazioni. «Se non fosse stato figlio mio, Annibale o i Siriani lo avrebbero ammazzato e Silano non avrebbe rischiato tanto per salvargli la vita. Se non fosse stato figlio mio, sarebbe morto due volte.» E sospirò scrollando la testa, afflitto.
Lucio pensò di ribattere ricordando al fratello che lui stesso, il grande Africanus, era stato salvato da Lelio in passato, presso il fiume Tesino, ma poi decise che era meglio non aprire una discussione mentre Publio era ancora convalescente. Ci sarebbe stato tempo durante il viaggio di ritorno per parlare del giovane Publio.
Proprio in quel momento imbarazzante per entrambi, entrò la giovane Aretè portando dei panni puliti inumiditi di acqua fresca con cui lavare il generale; nel vedere che Publio non era solo, la ragazza si voltò immediatamente per uscire di nuovo dalla tenda.
«Non andartene» ordinò Scipione con fermezza, e la giovane schiava tornò indietro, si situò di fronte al letto del generale, si inginocchiò e cominciò a strofinargli i panni sulle braccia mentre i due uomini riprendevano a parlare.
«Bene, questo è tutto, fratello» continuò Lucio. «Ho anticipato le legioni, ma presto saranno qui, a Elea, e allora potremo organizzare il viaggio di ritorno il più rapidamente possibile. Le negoziazioni di pace con Antioco sono cominciate. Non dubito che accetterà di ritirarsi oltre la catena montuosa del Tauro con ciò che gli rimane del suo esercito. Per dimostrare le sue buone intenzioni ci ha fatto pervenire uno scrigno contenente cinquecento talenti d’oro, come anticipo dei futuri pagamenti d’indennizzo per le spese di guerra» disse mentre osservava il modo gentile con cui la ragazza passava quei panni sulle braccia nude del fratello. Non lo stava semplicemente lavando. Quelle erano carezze, e a Lucio, pur non essendo un uomo esperto delle relazioni tra uomo e donna, apparve evidente che tra Publio e quella giovane e bella schiava era nato qualcosa che andava oltre una semplice e fugace infatuazione e che quel sentimento avrebbe potuto perdurare minando la tranquillità nella casa degli Scipioni. Emilia non avrebbe gradito il prolungamento di quella relazione, ma Lucio non voleva immischiarsi e tacque. Avrebbe preferito non essere testimone di ciò che stava succedendo, non essere costretto a nasconderlo a Emilia quando questa avrebbe chiesto notizie, come sempre faceva, di quella lunga campagna.
Nell’accorgersi dello sguardo di Lucio, Publio intuì l’imbarazzo del fratello ma rispettò la sua discrezione e il suo silenzio. Non chiedeva altro. Piuttosto, preferì tornare su Antioco prima che l’altro lasciasse la tenda.
«Quei cinquecento talenti d’oro… ce li terremo noi. Li considero parte del bottino della battaglia, non un risarcimento di guerra. Ce li siamo meritati, fratello.»
Lucio assentì, senza pensare nemmeno per un momento alle conseguenze che quella decisione avrebbe potuto avere, non dopo una vittoria t...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. LA FINE DI SCIPIONE
  4. Nota dell’editore
  5. Informazioni per il lettore
  6. Dramatis personae
  7. LIBRO I. LA BATTAGLIA DI MAGNESIA
  8. LIBRO II. IL PROCESSO A SCIPIONE
  9. LIBRO III. IL CREPUSCOLO DEI GENERALI
  10. LIBRO IV. LA MORTE DEGLI EROI
  11. EPILOGO
  12. APPENDICI
  13. Ringraziamenti
  14. Copyright