Dis-educazione
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  1. 240 pagine
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Dis-educazione

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Nonostante sia diffusa l'idea che nelle scuole statunitensi, come in quelle dei Paesi occidentali, si insegnino i valori democratici, ci troviamo di fronte un modello di insegnamento che non solo non incoraggia, ma impedisce di sviluppare il pensiero critico e indipendente, di ragionare liberamente su ciò che si nasconde dietro la rappresentazione del mondo offerta dal potere. Di rado è consentito agli studenti di «trovare da soli la verità», mostrando loro come farlo. Più spesso ci si aspetta che i ragazzi imparino attraverso un trasferimento di conoscenze: un approccio strumentale all'istruzione, la cui efficacia è misurata da esami che prevedono risposte corrette e risposte errate, predeterminate secondo i criteri stabiliti dalla cultura dominante. Le scuole non sono dunque luoghi democratici, ma istituzioni che svolgono un ruolo di controllo e di coercizione. In questa illuminante raccolta di saggi, Noam Chomsky rivela, con una serie documentata e puntuale di esempi tratti dalla storia recente, come gli Stati Uniti siano riusciti a rivendicare continuamente la loro superiorità morale proprio allontanando gli osservatori e i cittadini da una comprensione critica e globale degli eventi. E con la nota passione che da cinquant'anni sostiene le sue ricerche sui sistemi di potere e la sua competenza di studioso della comunicazione, fornisce gli strumenti utili a fare di studenti e insegnanti degli «agenti della storia» alla costante ricerca della verità, per rendere questo mondo meno discriminatorio e più giusto.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788858522011
1

Oltre un’istruzione addomesticante: un dialogoa

DONALDO MACEDO: Qualche anno fa sono stato colpito dal caso di uno studente di dodici anni della Boston Latin School, David Spritzler, che rischiava un’azione disciplinare per essersi rifiutato di recitare il Giuramento di fedeltà, considerandolo «un’esortazione ipocrita al patriottismo» in quanto non «esistono libertà e giustizia per tutti».
La domanda che vorrei farle è: perché un bambino di dodici anni riusciva a cogliere l’ipocrisia contenuta nel Giuramento di fedeltà, mentre il suo insegnante e i suoi dirigenti scolastici non ci riuscivano? Trovo incredibile che dei professori, che per la natura stessa del loro lavoro dovrebbero considerarsi degli intellettuali, non siano in grado o si rifiutino deliberatamente di vedere una cosa così evidente per un individuo così giovane.
NOAM CHOMSKY: Non è difficile da capire. Quello che lei ha appena descritto è un segno del profondo livello di indottrinamento che ha luogo nelle nostre scuole, e che rende una persona istruita incapace di capire pensieri elementari che qualunque dodicenne è in grado di comprendere.
Trovo sconvolgente che un insegnante e un preside con un alto grado di istruzione siano disposti a sacrificare il contenuto del Giuramento di fedeltà per imporre l’obbedienza, pretendendo che uno studente lo reciti.
Io non lo trovo affatto sconvolgente. Anzi, ciò che è accaduto a David Spritzler è precisamente ciò che ci si aspetta dalla scuola, che è istituzione fatta per indottrinare e imporre l’obbedienza. Invece di creare persone con un pensiero indipendente, nel corso della storia la scuola ha sempre giocato un ruolo istituzionale nel sistema di controllo e coercizione. E una volta che hai ricevuto una buona istruzione, sei già integrato in una struttura di potere, la quale, a sua volta, ti ricompensa generosamente. Prendiamo Harvard, per esempio. Lì non impari solo la matematica. Impari anche ciò che ci si aspetta da te come laureato di Harvard, quale comportamento devi adottare e quali domande non devi fare. Impari a cogliere ogni sfumatura in un cocktail party, a vestirti in modo appropriato e a sviluppare l’accento di Harvard.
E anche a crearti dei contatti nell’ambito di una specifica struttura di classe, e a conoscere gli obiettivi, le mete e gli interessi della classe dominante.
Sì. In questo caso c’è una netta differenza tra Harvard e il MIT. Anche se si può tranquillamente definire il MIT un’istituzione conservatrice, è molto più aperto di Harvard. C’è un detto su Cambridge che riassume questa differenza: Harvard forma le persone che governano il mondo, il MIT forma quelle che lo fanno funzionare. Di conseguenza, al MIT ci si preoccupa molto meno del controllo ideologico, e c’è più spazio per il pensiero indipendente. La mia situazione lì ne è la prova. Non ho mai subito interferenze nel mio lavoro e nel mio attivismo politico. Con ciò non voglio dire che il MIT sia un fulcro di attivismo politico. Ricopre pur sempre il suo ruolo istituzionale di nascondere gran parte della verità sul mondo o sulla società. Se insegnasse la verità, non potrebbe sopravvivere a lungo.
Dato che non insegna la verità sul mondo, la scuola deve puntare a martellare gli studenti con la propaganda sulla democrazia. Se la scuola fosse davvero democratica, non ci sarebbe bisogno di bombardare gli studenti con delle banalità sulla democrazia. Basterebbe agire e comportarsi in modo democratico, e noi sappiamo che ciò non accade. Di solito, più si sente la necessità di parlare degli ideali della democrazia, meno democratico è il sistema.
Lo sanno bene quelli che fanno politica, e a volte non cercano nemmeno di nasconderlo. La Commissione trilaterale ha definito la scuola «istituzione» responsabile dell’«indottrinamento dei giovani». L’indottrinamento è necessario perché in linea di massima l’istruzione è progettata per sostenere gli interessi del segmento dominante della società, di coloro che detengono ricchezza e potere. Fin dalle prime fasi del tuo percorso scolastico vieni educato a comprendere la necessità di sostenere la struttura di potere, in primo luogo le grandi imprese, il mondo degli affari. La lezione che impari nella socializzazione attraverso l’istruzione è che se non sostieni gli interessi di coloro che detengono ricchezza e potere non sopravvivi a lungo. Vieni semplicemente estromesso dal sistema o emarginato. E la scuola riesce a “indottrinare i giovani” – per usare l’espressione della Commissione trilaterale – perché opera in una cornice propagandistica che ha l’effetto di distorcere o sopprimere le idee e le informazioni indesiderate.
Come fanno gli intellettuali che operano in questa cornice propagandistica a passarla liscia, pur essendo complici delle falsità che diffondono al servizio dei poteri forti?
Non è che la “passino liscia”. Di fatto svolgono il servizio che le istituzioni per cui lavorano si aspettano da loro, e soddisfano volontariamente, magari inconsciamente, le richieste del sistema dottrinale. È come se tu incaricassi un falegname di fare un determinato lavoro, e a lavoro ultimato gli chiedessi come ha fatto a passarla liscia. Lui ha fatto semplicemente ciò che ci si aspettava da lui. Ebbene, gli intellettuali forniscono un servizio molto simile. Fanno ciò che ci si aspetta che facciano, fornendo una descrizione della realtà che abbia una precisione accettabile, conforme agli interessi di coloro che detengono ricchezza e potere: le persone che possiedono le istituzioni che chiamiamo scuola e di fatto possiedono la società nel suo complesso.
È chiaro che storicamente gli intellettuali hanno svolto un ruolo vergognoso a sostegno del sistema dottrinale. Data la loro posizione ben poco onorevole, possono essere considerati degli intellettuali nel vero senso della parola? Spesso lei ha fatto riferimento ad alcuni professori di Harvard chiamandoli “commissari”. Anch’io trovo che questo termine sia più appropriato di quello di intellettuali, data la loro complicità con la struttura di potere e il loro ruolo funzionale a supporto di “valori di civiltà” che in molti casi hanno prodotto esattamente l’opposto: sofferenza umana, genocidio, schiavitù e sfruttamento delle masse.
Storicamente è stato più o meno così. Ai tempi della Bibbia, gli intellettuali che in seguito furono definiti “falsi profeti” lavoravano a favore di specifici interessi dei potenti. Sappiamo che all’epoca c’erano degli intellettuali dissidenti che avevano una visione alternativa del mondo, quelli che poi furono chiamati “profeti”, traduzione dubbia di una parola oscura. Ebbene, quegli intellettuali furono emarginati, torturati o mandati in esilio. Le cose non sono cambiate granché ai giorni nostri. Gli intellettuali che dissentono sono ancora emarginati nella maggior parte delle società, e in posti come il Salvador vengono semplicemente massacrati. È quel che è successo all’arcivescovo Romero e ai sei intellettuali gesuiti uccisi da truppe d’élite addestrate, armate e finanziate [dagli Stati Uniti] con i soldi delle nostre tasse. Un gesuita salvadoregno ha giustamente osservato nel suo diario che, per esempio, nel suo paese Václav Havel (l’ex prigioniero politico diventato presidente della Cecoslovacchia) non sarebbe stato messo in galera; sarebbe stato fatto a pezzi e abbandonato sul ciglio della strada. Václav Havel, che è diventato il dissidente prediletto dall’Occidente, ha generosamente ripagato i suoi sostenitori occidentali tenendo un discorso al Congresso degli Stati Uniti poche settimane dopo l’omicidio dei sei gesuiti in Salvador. Invece di esprimere solidarietà verso i dissidenti come lui in Salvador, ha lodato e glorificato il Congresso come «difensore della libertà». Lo scandalo è così palese da non aver bisogno di alcun commento.
Basta un semplice test per dimostrare l’enormità di questo scandalo. Supponiamo, per esempio, che un comunista americano di colore vada in quella che allora era l’Unione Sovietica poco dopo l’assassinio di sei importanti intellettuali cechi da parte di forze di sicurezza addestrate e armate dai russi. Supponiamo che vada alla Duma e ne faccia l’elogio come “difensore della libertà”. La reazione negli Stati Uniti tra politici e intellettuali sarebbe immediata e prevedibile. L’uomo sarebbe accusato di avere appoggiato un regime criminale. Gli intellettuali statunitensi dovrebbero domandarsi perché sono andati in estasi di fronte all’incredibile performance di Havel, che è del tutto paragonabile a questa storia immaginaria.
Quanti intellettuali americani hanno letto gli scritti dei loro omologhi del Centro America assassinati da eserciti che agivano su delega degli Stati Uniti? Quanti conoscono Dom Hélder Câmara, il vescovo brasiliano che difendeva la causa dei poveri nel suo paese? Il fatto che la maggior parte di loro sarebbe in difficoltà anche solo a nominare qualche dissidente delle brutali dittature in America Latina e altrove, dittature che noi appoggiamo e di cui addestriamo gli eserciti, la dice lunga sulla nostra cultura intellettuale. I fatti che danno fastidio al sistema dottrinale vengono sommariamente tralasciati come se non esistessero. Sono soppressi, punto e basta.
Questa costruzione sociale basata sul “non vedere” è tipica di quegli intellettuali che Paulo Freire descrisse come educatori che rivendicando un atteggiamento scientifico «cercano di nascondersi in quella che considerano la neutralità della ricerca scientifica, senza badare all’uso che si fa delle [loro] scoperte, addirittura senza darsi la pena di capire per chi o per quali interessi [stiano] lavorando»1. In nome dell’obiettività questi intellettuali, secondo Freire, «tendono a trattare [la] società che studiano come se non ne facessero parte. Nella [loro] celebrata imparzialità, [tendono ad] accostarsi a questo mondo come se indossassero “guanti e mascherina” per non contaminarlo o esserne contaminati»2. Mi permetto di aggiungere che questi intellettuali non indossano solo “guanti e mascherina”, ma anche dei paraocchi che impediscono loro di vedere ciò che è evidente.
Non sono del tutto d’accordo con questa critica postmoderna e questo attacco all’obiettività. Noi non dobbiamo rifiutare l’obiettività. Anzi, dobbiamo fare di tutto per integrarla nella nostra ricerca della verità.
Non sto dicendo il contrario. La mia critica non vuole essere un rifiuto dell’obiettività. Ma è necessario interrogarsi sull’obiettività utilizzata da molti intellettuali come copertura per evitare di incorporare nelle loro analisi dei fattori scomodi che possono smascherare la loro complicità nella soppressione della verità al servizio dell’ideologia dominante.
Sì. Il pretesto dell’obiettività come mezzo per distorcere e disinformare a beneficio del sistema dottrinale va condannato con forza. È una posizione molto più facile da adottare nelle scienze sociali, perché i vincoli imposti dal mondo esterno ai ricercatori sono molto più labili. La comprensione è molto più superficiale, e i problemi da affrontare sono molto più oscuri e complessi. Di conseguenza è molto più facile ignorare tutto ciò che non vuoi sentire.
C’è una netta differenza tra le scienze esatte e le scienze sociali. Nelle scienze naturali, i fatti che accadono in natura impediscono a un ricercatore di ignorare con tanta disinvoltura ciò che contrasta con le sue convinzioni, ed è più difficile che gli errori si perpetuino. Dato che nelle scienze esatte gli esperimenti possono essere ripetuti, gli errori si scoprono facilmente. C’è una disciplina interna che guida l’impresa intellettuale. Tuttavia, è chiaro che non c’è alcuna garanzia che anche l’indagine più seria conduca alla verità.
Torniamo al punto iniziale: la scuola rifugge da verità importanti. È responsabilità intellettuale degli insegnanti – o di qualunque persona onesta, se è per questo – cercare di dire la verità. Su questo non si discute. È un imperativo morale cercare di dire la verità come meglio possiamo, sulle cose che contano, al pubblico giusto. È una perdita di tempo dire la verità al potere, nel senso letterale del termine, e spesso questo tentativo può essere una forma di autocompiacimento. Secondo me è una perdita di tempo e uno sforzo inutile dire la verità a Henry Kissinger, o all’amministratore delegato di AT&T, o ad altri soggetti che esercitano il potere in istituzioni coercitive: di solito la conoscono già. Mi spiego meglio. Se e quando le persone che esercitano il potere in un ruolo istituzionale si dissociano da quel contesto istituzionale e diventano esseri umani, agenti morali, possono essere avvicinati come chiunque altro. Ma è inutile rivolgersi a loro in quanto soggetti che detengono il potere. È una perdita di tempo. Dire la verità al potere è inutile tanto quanto dirla ai peggiori tiranni e criminali, che restano comunque degli esseri umani, per quanto atroci siano i loro atti. Dire la verità al potere non è una vocazione particolarmente onorevole.
Bisogna cercare un pubblico che conti. Nel caso dell’insegnamento sono gli studenti, che non dovrebbero essere visti semplicemente come un pubblico, ma come parte di una comunità di intenti alla quale si vorrebbe partecipare in modo costruttivo. Bisogna parlare non a qualcuno ma con qualcuno. Questa è una attitudine propria di ogni bravo insegnante, e dovrebbe esserlo anche per qualunque scrittore e intellettuale. Un bravo insegnante sa che il modo migliore per aiutare gli studenti è metterli in condizione di trovare da soli la verità. Gli studenti non apprendono per mezzo di un mero trasferimento di conoscenze, assorbite tramite memorizzazione meccanica e poi rigurgitate. Il vero insegnamento passa attraverso la scoperta della verità, non attraverso l’imposizione di una verità ufficiale. Questo non porta mai allo sviluppo di un pensiero critico e indipendente. È dovere di ogni insegnante aiutare gli studenti a scoprire la verità e non sopprimere le informazioni e le opinioni potenzialmente imbarazzanti per le persone ricche e potenti che creano, progettano e attuano le politiche scolastiche.
Vediamo più in dettaglio cosa significa insegnare la verità e cosa significa per la gente distinguere le bugie dalle verità. Secondo me non ci vuole nient’altro che buonsenso, lo stesso che ci consente di assumere una posizione critica verso i sistemi di propaganda delle nazioni che consideriamo nostre nemiche. Prima ho detto che i più importanti intellettuali americani non sarebbero in grado di fare il nome di nessuno dei noti dissidenti di regimi dittatoriali che ricadono nella nostra sfera di controllo, per esempio il Salvador. Eppure quegli stessi intellettuali non avrebbero il minimo problema a stilare una lunga lista di dissidenti dell’ex Unione Sovietica. E non avrebbero il minimo problema a distinguere le bugie dalla verità e a riconoscere le distorsioni e le aberrazioni che sono utilizzate per nascondere la verità alla popolazione in regimi nemici. Le capacità critiche che usano per smascherare le falsità propagandate in quelle che chiamano stati “canaglia” vengono meno quando si tratta di criticare il nostro governo e le dittature che sostiene. Nel corso della storia le classi colte hanno per lo più supportato l’apparato di propaganda, e quando le deviazioni dalla purezza dottrinale vengono soppresse o marginalizzate, di solito la macchina della propaganda gode di un grande successo. Hitler e Stalin lo avevano capito molto bene, e ancora oggi sia le società chiuse sia quelle aperte ricercano e ricompensano la complicità della classe colta.
La classe colta è stata definita una “classe specializzata”, un piccolo gruppo di persone che analizzano, eseguono, prendono decisioni e muovono i fili nei sistemi politici, economici e ideologici. In genere la classe specializzata è una piccola percentuale della popolazione, e va protetta dalla massa che Walter Lippmann chiamava il “gregge smarrito”. Questa classe specializzata svolge le “funzioni esecutive”, il che significa che si occupa di pensare, pianificare e comprendere gli “interessi comuni”, termine con cui essa intende gli interessi del mondo degli affari. Nella nostra democrazia la grande maggioranza delle persone, il “gregge smarrito”, dev’essere “spettatore”, non “partecipante all’azione”, secondo il credo democratico liberale che Lippmann descrive chiaramente. Di tanto in tanto, nella nostra democrazia ai membri del “gregge smarrito” si permette di partecipare alla convalida di un leader attraverso quelle che vengono chiamate “elezioni”. Ma una volta appoggiato questo o quel membro della classe specializzata, devono farsi indietro e ridiventare spettatori.
Quando il “gregge smarrito” tenta di essere qualcosa di più che “spettatore”, quando la gente tenta di partecipare alle azioni democratiche, la classe specializzata reagisce a quella che definisce una “crisi della democrazia”. Ecco perché le élite odiano tanto gli anni Sessanta, quando gruppi di persone storicamente emarginate cominciarono a organizzarsi e a mettere in discussione le politiche della classe specializzata, soprattutto la guerra del Vietnam ma anche la politica sociale interna.
Un modo di controllare il “gregge smarrito” è adottare la concezione della scuola come istituzione responsabile dell’“indottrinamento dei giovani” formulata dalla Commissione trilaterale. Ai membri del “gregge smarrito” devono essere fatti profondamente assimilare i valori e gli interessi che riguardano i privati e il connubio stato-affari. Chi assimila i precetti dell’ideologia dominante e dimostra la sua fedeltà al sistema dottrinale può entrare a far parte della classe specializzata. Gli altri membri del “gregge smarrito” vanno tenuti sotto controllo, fuori dalla mischia, e devono sempre rimanere, nella migliore delle ipotesi, spettatori dell’azione, distratti dalle questioni davvero importanti. La classe colta pensa che siano troppo stupidi per badare ai propri affari, e ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. DIS-EDUCAZIONE
  4. Introduzione. (Donaldo Macedo)
  5. 1. Oltre un’istruzione addomesticante: un dialogo
  6. 2. Democrazia e istruzione
  7. 3. L’arte dell’“ingegneria storica”
  8. 4. Democrazia di mercato in un ordine neoliberale: dottrine e realtà
  9. 5. Smascherare una pedagogia delle menzogne: un dibattito con John Silber
  10. Copyright