I meandri del fiume Lavinius attraversavano le terre a settentrione e nei pressi di Mutina aveva formato una dozzina di isolette, da semplici ammassi rocciosi dove cresceva un unico albero fino a isolotti dalla vegetazione densa circondati dalla corrente e tagliati fuori dal mondo.
Ottaviano guardò al di là dell’acqua il punto dove Marco Antonio lo stava aspettando. Nessuno dei due si fidava completamente dell’altro, il che faceva dell’isoletta un luogo d’incontro perfetto. Sulla sponda opposta due legioni della Gallia attendevano pazientemente in formazione quadrata, ma non sarebbero state in grado di intervenire se Ottaviano avesse avuto intenzione di tradire, proprio come la Settima Victrix e la Nona Macedonia non avrebbero potuto aiutare Ottaviano se Marco Antonio avesse avuto intenzione di ucciderlo.
Anche solo arrivare a quel punto era stato una specie di danza elaborata, con le due parti che si scambiavano messaggi e promesse, entrambe garantendosi reciprocamente l’incolumità; ma la realtà comportava sempre un azzardo finale. Ottaviano guardò Agrippa e Mecenate, i quali avevano già perlustrato l’isola alla ricerca di un soldato in agguato o di trappole di qualunque specie. “Non si esagera mai nella cautela” pensava Ottaviano. Trasse un respiro profondo osservando dubbioso la barca che dondolava sul fiume.
«Se abbiamo sbagliato qualcosa, se non dovesse finire bene, credo che preferirei andare incontro alla morte sapendo con certezza che Marco Antonio non aspetterà molto a seguirmi» disse. «I miei ordini sono questi: se sarò ucciso non dovrà lasciare vivo quest’isola.»
Calcolò le distanze, constatando che Marco Antonio aveva scelto un punto fuori dalla portata delle lance.
«Fate venire gli archi scorpioni e disponeteli in modo che le squadre possano mirare al di là del fiume.»
Le sue legioni avevano già montato le massicce armi il giorno precedente e Ottaviano provò un certo sollievo nel vederle trasportare dai buoi per essere puntate sull’isola. Sull’altra sponda si stava facendo lo stesso e Ottaviano si chiese che cosa si dovesse provare nell’udire lo scatto delle corde mentre gli archi facevano volare i dardi di ferro al di sopra dell’acqua.
«Siete pronti?» domandò agli amici.
Agrippa rispose salendo rumorosamente nell’imbarcazione e controllando le cime con uno strattone, mentre Mecenate si strinse nelle spalle, lo sguardo fisso sulle figure in attesa sull’altra riva.
«Hai fatto tutto quanto potevi fare. Se è una trappola, non uscirà vivo di qui, è una promessa la mia.»
«A meno che non sia lui quello là» suggerì Agrippa sistemandosi nella barca. «Quell’omone con l’armatura potrebbe essere solo un ufficiale messo lì per attirarci in un posto dove possiamo essere colpiti con catapulte e archi.»
«Sempre il solito ottimista» commentò Mecenate.
Tuttavia, imbarcandosi a sua volta, preferì rimanere in piedi, afferrandosi saldamente alla prua, pronto a saltare in acqua. I quattro rematori erano già ai loro posti, tutti soldati veterani con le armi pronte ai loro piedi in modo da poterle prendere in un istante. Come un sol uomo, alzarono lo sguardo su Ottaviano, il quale fece un cenno di assenso.
«Su,» disse «andiamo a vedere che cosa vuole.» Salito in barca, sedette appoggiato alla sponda di legno, gli occhi già puntati sulla loro destinazione. «Scosta o rema o non so che altro comando sia quello giusto» disse.
Agrippa sembrava inquieto ma i rematori si allontanarono dalla riva facendo ruotare nella corrente l’imbarcazione, che si diresse rapidamente verso l’isoletta grazie alla spinta poderosa delle quattro pale. Ottaviano scoprì che si stava divertendo e Agrippa, vedendo la sua espressione allegra, sorrise: «C’è una magia nelle piccole imbarcazioni, vero? Ma le galere sono ancora meglio».
Il sorriso di Ottaviano svanì al pensiero della potente flotta che era scomparsa da Brundisium; il suo collega console, Pedius, aveva proposto una votazione per rimuovere Sextus Pompeius dal suo incarico ma questo non aveva riportato indietro le navi.
«Quando avrò finito qui» disse «avrò bisogno di una mia flotta.»
«Tu sei nella tua flotta in questo momento» replicò Mecenate allegramente.
Ottaviano sbuffò con disprezzo. «Ho riflettuto a questo proposito. Prima o poi dovrò affrontare Sextus Pompeius. Senza il controllo dei mari, non saremo mai in grado di portare le legioni contro Cassio e Bruto.»
Agrippa annuì, accarezzandosi il mento.
«Ti costerà una fortuna. Sextus ha, diciamo duecento galere? Per costruirne anche solo la metà dovresti spendere dieci milioni di sesterzi. Senza parlare del tempo che occorrerebbe per addestrare i legionari.»
«A che serve trattare con Marco Antonio se non posso allontanarmi da Roma per via dei pirati? Troverò il denaro… e anche gli uomini. Hai mano libera, Agrippa. Costruiscimi una flotta.»
Raggiunta l’isoletta, i tre passeggeri sbarcarono e senza dire una parola i rematori si accinsero a indossare le pesanti armature, che li avrebbero fatti annegare se le avessero avute addosso poco prima e fossero finiti in acqua. Ottaviano attese impaziente, accarezzando l’elsa del gladio.
Marco Antonio scese con passo noncurante verso il punto di sbarco, osservando quei preparativi con aria divertita o almeno così sembrava. Aveva un aspetto sano e forte, alto quasi quanto Agrippa e con il fisico atletico del soldato nonostante gli anni.
«Benvenuto, console» salutò. «Ne hai fatta di strada da quando ero io a portare quel titolo! Come ti ho scritto, la tua sicurezza qui è garantita dal mio onore. Ci incontriamo in pace, come in un armistizio. Vorrei presentarti i miei compagni, perciò vuoi venire con me?»
L’uomo che Ottaviano aveva visto cavalcare velocemente verso la Gallia non aveva l’aria di essere intimorito dai soldati al seguito di Ottaviano, sembrava anzi tranquillissimo, come un patrizio romano che si godesse un pomeriggio sul fiume. Ottaviano sorrise divertito e stette al gioco.
«Certamente», gli rispose, «abbiamo molte cose di cui parlare.»
«Ora che finalmente si è deciso a starci a sentire» borbottò Mecenate.
Il gruppetto di sei uomini seguì Marco Antonio fino a una tenda e ad alcuni tavoli sistemati sull’erba. Da quel lato dell’isoletta Ottaviano poteva vedere molto più chiaramente le legioni della Gallia sulla sponda opposta e non era certamente un caso che in quel punto il fiume fosse più stretto. Una dozzina di scorpioni e due centurie di arcieri lo stavano osservando a loro volta, pronti a reagire al primo accenno di un tradimento. Stranamente a Ottaviano fece piacere essere considerato una potenziale minaccia, non voleva essere l’unico a sentirsi le viscere annodate per l’ansietà.
Come padrone di casa Marco Antonio si mostrava estremamente accogliente. Si accorse che Ottaviano stava guardando i legionari fermi sull’attenti.
«Sono tempi difficili, Cesare, non è così? Lo pensava anche Lepido quando sono arrivato in Gallia e gli sono grato per aver ceduto il comando a un console di Roma senza sentirsi minacciato.»
«A un ex console di Roma» osservò Ottaviano istintivamente ma, vedendo che Antonio corrugava la fronte, si affrettò a soggiungere: «Un uomo che Giulio Cesare chiamava amico e, spero, un alleato in questi tempi difficili».
«Come dici tu. Io trovo che più legioni si hanno più è facile trovare alleati» replicò Antonio scoppiando in una gran risata. «Lepido, permettimi di presentarti il nuovo Cesare e console.»
L’uomo che Antonio stava sospingendo con una mano sulla spalla sembrava sbigottito e terribilmente a disagio. Ottaviano non conosceva personalmente Lepido, sapeva soltanto che era stato prefetto della Gallia, nominato da Cesare dopo il suo ritorno dall’Oriente. A prima vista Lepido non sembrava una figura imponente, leggermente curvo com’era, cosa che lo faceva sembrare, unitamente ai capelli folti ma completamente bianchi, uno studioso anziché un ufficiale veterano. Gli avevano rotto il naso più volte e in qualche battaglia passata era stato ferito malamente all’orecchio, ridotto a poco più di un lembo di cartilagine rossastro e di forma strana. Al confronto Ottaviano sentiva la sua giovane età come un punto di forza anziché di debolezza.
«Sono onorato di conoscerti, Cesare» gli disse Lepido. La voce profonda e ferma rivelava qualcosa dell’uomo che si nascondeva dietro l’aspetto esteriore da anziano.
Ottaviano gli strinse il braccio teso: «E io sono onorato di conoscervi entrambi, signori. Come console di Roma suppongo di avere il grado più elevato. Vogliamo sederci?».
Indicò con un gesto il lungo tavolo, dirigendosi là senza aspettare che Marco Antonio li guidasse, seguito subito da Mecenate e Agrippa che presero posizione alle sue spalle mentre Ottaviano si metteva a capotavola.
Marco Antonio parve irritato, ma accettò la situazione di buon grado sedendosi di fronte a Ottaviano, con Lepido al fianco. Altri quattro uomini stavano là in piedi, abbastanza lontani da non rappresentare un’ovvia minaccia anche se il loro scopo era chiaro. Ottaviano lanciò un’occhiata ai rematori che avevano preso posizione alle sue spalle di fronte agli altri. Erano due gruppi ben distinti che si fronteggiavano, creando nuovamente tensione. Antonio appoggiò gli avambracci sul tavolo.
«Devo cominciare?» esordì, continuando subito, prima che qualcuno potesse prendere la parola. «La mia proposta è semplice. In Gallia ho quindici legioni al mio comando, con Lepido. Tu ne hai otto, Cesare, e ti aspetta un anno consolare. Tu vuoi le forze necessarie per sconfiggere i Liberatores e io voglio rango e potere a Roma anziché finire nella lontana Gallia. Dovremmo riuscire a trovare un’intesa, non credi?»
Dentro di sé Ottaviano ringraziò la franchezza romana: in questo almeno era in sintonia con Marco Antonio, condividendo il suo disprezzo per le elucubrazioni del senato.
«Qual è il posto del prefetto Lepidus in questo?» domandò senza mostrare nessuna reazione alla proposta di Antonio.
«Lepido e io parliamo come se fossimo una persona sola» affermò Antonio prima che Lepidus potesse aprire bocca. «Roma ha già conosciuto un triumvirato. Io propongo che ci spartiamo il potere tra noi allo scopo di colpire i Liberatores in Oriente. Non credo che tu possa riuscirci senza le mie legioni, Cesare.»
Ottaviano aveva le vertigini. L’offerta era buona, se si fosse potuto fidare; lo stesso Cesare con Crasso e Pompeo aveva creato il primo triumvirato; non aveva bisogno di ricordare come fosse finita per due di loro. Guardò a lungo negli occhi Marco Antonio, scorgendovi tensione. In apparenza l’ex console era in una posizione di forza ma qualcosa lo stava inquietando e Ottaviano cercò le parole giuste per fargli dire che cos’era.
«Per rendere la cosa legale io dovrei essere riconosciuto dal senato» disse. «E questo posso ottenerlo. Ho abbastanza clienti tra i senatori da poter vincere a ogni votazione.»
Mentre Marco Antonio cominciava a distendersi, Ottaviano alzò lo sguardo sulle legioni alle sue spalle, accampate sulla riva del fiume.
«Però mi rendo conto che guadagno ben poco da tutto questo. Sono console, con un senato che non osa contraddirmi, ma ci sono nemici da affrontare e io non posso arruolare nuove legioni.»
Antonio scosse il capo. «Stando ai rapporti che ricevo dalla Siria e dalla Grecia tu non ne hai il tempo, Cesare. Se aspetterai di essere pronto, Bruto e Cassio saranno troppo forti quando ti scontrerai con loro. Ciò che ti offro io è la forza per distruggerli prima che lo siano diventati.»
Ottaviano rifletté profondamente sotto lo sguardo attento dei due uomini. L’autorità dei consoli era limitata nonostante l’apparenza di potere che essi avevano. Una dittatura temporanea come proponeva Antonio lo avrebbe posto al di sopra e la di là della legge, durante gli anni cruciali in cui avrebbe costruito la sua flotta e il suo esercito. Ma ancora non era riuscito a scoprire il punto debole di Marco Antonio, il punto debole che lo aveva indotto a negoziare e questo pensiero lo infastidiva. Di nuovo guardò le legioni sulla riva del fiume.
«Come riesci a pagare i tuoi uomini?» gli domandò con fare noncurante.
«Non li pago» rispose Antonio, tirando fuori le parole a fatica. «Parte del nostro accordo deve includere i fondi necessari a pagare le legioni al mio comando.»
Ottaviano fischiò sottovoce. Quindici legioni ammontavano a settantacinquemila uomini, con altri ventimila civili al seguito, più o meno; Ottaviano si chiese da quanto tempo non venivano pagati. La povertà era una padrona severa e Marco Antonio aveva bisogno di lui o perlomeno dei fondi esistenti a Roma e nel testamento di Cesare.
Ottaviano sorrise con più calore ai due uomini che gli stavano di fronte.
«Credo di capire la questione, signori. Ma quale specie di idiota sarei se accettassi di combattere contro Cassio e Bruto e perdessi la Gallia per mancanza di truppe in quelle regioni?»
Antonio scacciò l’obiezione con un gesto.
«La Gallia è in pace da anni. Cesare aveva spezzato la spina dorsale delle tribù e ucciso i loro capi. Non ci sono più Alti Re per seguire Vercingetorige. Ora c’è soltanto un migliaio di famiglie litigiose e così sarà ancora per generazioni. Ma non porterò via tutti i romani, per qualche stagione lascerò due o tre legioni per le guarnigioni dei forti. Se i galli dovessero ribellarsi, lo saprei molto presto e loro sanno che cosa aspettarsi in quel caso.»
Ottaviano lo guardò dubbioso, domandandosi se non avesse esagerato: l’ultima cosa che voleva era dover combattere su due fronti. Marco Antonio faceva un gioco pericoloso spogliando la Gallia, anche se ciò gli permetteva di imbastire delle trattative.
Dopo un lungo istante carico di tensione sotto lo sguardo scrutatore degli altri due, fece segno di sì: «Molto bene, signori. Vedo che avete avuto il tempo di riflettere sul modo in cui un simile triumvirato potrebbe funzionare. Ditemi che cosa avete pensato e io considererò ciò che è meglio per Roma».
Tre giorni di negoziati avevano lasciato esausto Marco Antonio, mentre Ottaviano sembrava fresco come il primo momento in cui si era seduto al tavolo delle trattative. Ogni giorno all’alba si presentava nello stesso posto dell’isola che era stata già controllata da Mecenate e da Lepido. Nessuna traccia di inganno e Ottaviano aveva la sensazione che l’accordo potesse funzionare davvero. Ciò nonostante esaminava e discuteva su ogni punto con grande energia, mentre gli altri due erano ormai sfiniti.
Ottaviano si offrì di far approvare una legge che rendesse legale il loro accordo e in cambio Antonio gli promise il controllo assoluto della Sicilia, della Sardegna e di tutta l’Africa, Egitto compreso. Er...