Le mie risposte alle grandi domande
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Le mie risposte alle grandi domande

  1. 208 pagine
  2. Italian
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Le mie risposte alle grandi domande

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Per tutta la vita, Stephen Hawking si è dedicato a indagare il mondo attraverso la lente della fisica, maneggiando concetti complicatissimi in bilico tra scienza e filosofia: dalla natura dei buchi neri all'origine del tempo, fino alla ricerca di un senso per la nostra esperienza su questo sperduto pianeta, ai confini di una remota galassia sospesa nell'impressionante vastità del cosmo. Ma, mentre sfidava con acume e coraggio i misteri dell'universo, si è anche speso per raccontare a tutti noi le sue intuizioni, per renderle comprensibili e farle diventare un bagaglio culturale condiviso. E, sensibile tanto al fascino della natura quanto ai problemi dell'uomo, ha scritto libri di divulgazione diventati bestseller nonostante la difficoltà degli argomenti trattati. In questo volume, risponde alle grandi domande - scientifiche ed esistenziali - che hanno accompagnato non solo la sua vita, ma buona parte della storia della nostra civiltà. Come è iniziato tutto quanto? È possibile viaggiare nel tempo? Possiamo predire il futuro? Esiste un Dio? Ci sono altre forme di vita intelligente nell'universo? Riuscirà l'homo sapiens a sopravvivere sulla Terra, e a non distruggere il suo pianeta natale? Colonizzeremo mai lo spazio? Quesiti affascinanti e immortali, affrontati con il piglio dello scienziato geniale, la chiarezza dell'insuperabile divulgatore e lo spirito del grande uomo, affinché nessuno si senta perso davanti ai misteri dell'esistenza. In fondo, come diceva l'autore, neanche «i buchi neri sono le prigioni eterne che pensavamo. Se vi sentite intrappolati in un buco nero, non mollate, c'è sempre una via di uscita».

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2018
ISBN
9788858695036
Categoria
Cosmology
1

Esiste un Dio?

Oggi la scienza sta rispondendo a sempre più domande che, un tempo, erano appannaggio della religione, nella quale, per secoli, si è cercato di trovare la spiegazione agli interrogativi che ognuno di noi si pone: perché siamo qui? Da dove veniamo? Nel lontano passato, la risposta era quasi sempre la stessa: tutto era visto come opera degli dei. Il mondo era un posto che incuteva terrore e, di conseguenza, anche gli uomini più forti e temprati, come i Vichinghi, ricorrevano alla fede in esseri soprannaturali per spiegare fenomeni naturali come i fulmini, le tempeste o le eclissi. Oggi la scienza ci offre risposte migliori e più coerenti, ciononostante le persone si aggrapperanno sempre alla religione, perché quest’ultima dà loro conforto e perché non si fidano della scienza, o non la capiscono.
Qualche anno fa, «The Times» pubblicò in prima pagina un articolo intitolato Hawking sostiene che Dio non ha creato l’universo. Era corredato da un disegno (fatto da Michelangelo) di un Dio dall’aria minacciosa, accanto al quale avevano messo una mia foto con un sorrisetto compiaciuto, come se tra noi due ci fosse una specie di duello. Io, però, non ce l’ho affatto con Dio. Non voglio che si pensi che il mio lavoro miri a dimostrare o confutare l’esistenza di Dio: il mio obiettivo è trovare una cornice razionale che ci permetta di comprendere l’universo che ci circonda.
Per secoli si è creduto che i disabili, come me, fossero vittime di una maledizione divina. Be’, suppongo sia possibile che io abbia fatto arrabbiare qualcuno, lassù, ma preferisco comunque pensare che tutte le cose possano essere spiegate in un altro modo, attraverso le leggi di natura. Chi crede nella scienza, come il sottoscritto, crede che il mondo sia governato da una serie di leggi immutabili. Certo, qualcuno potrebbe affermare che tali leggi sono opera di Dio, ma questa tesi contribuisce più a dare una definizione di Dio che non una prova della sua esistenza.
Verso il 300 a.C., il filosofo Aristarco, affascinato dalle eclissi, in particolare quelle lunari, ebbe il coraggio di chiedersi se fossero davvero causate dagli dei. È stato un autentico pioniere: studiando con attenzione il cielo giunse all’audace conclusione che il fenomeno, in realtà, non era un evento divino ma il semplice passaggio dell’ombra della Terra sulla Luna. Dopo questa scoperta, iniziò a studiare ciò che succedeva sopra la sua testa e riuscì a ricavarne dei diagrammi che illustravano l’effettiva relazione tra il Sole, la Terra e la Luna. Da lì si spinse a trarre conclusioni ancora più ragguardevoli: dedusse che la Terra non era il centro dell’universo, come tutti pensavano, ma che orbitava invece intorno al Sole. Di fatto, questo schema eliocentrico permette la spiegazione di tutte le eclissi: quando la Luna proietta la propria ombra sulla Terra, si verifica un’eclisse solare, mentre quando è la Terra a coprire con la propria ombra la Luna, abbiamo un’eclisse lunare. Ma Aristarco non si fermò: arrivò infatti a ipotizzare che le stelle non fossero delle fessure nella volta celeste, come credevano i suoi contemporanei, ma altri soli come il nostro, soltanto molto più lontani. Rendersi conto che l’universo è una macchina governata da principi o leggi che possono essere compresi dalla mente umana deve essere stata un’illuminazione sconvolgente per lui.
La scoperta di tali leggi è stata, a mio avviso, la più grande conquista dell’umanità: saranno infatti proprio le leggi di natura – come le chiamiamo oggi – a dirci se c’è bisogno o meno di un Dio per spiegare l’universo. Le leggi di natura descrivono il funzionamento delle cose nel passato, nel presente e nel futuro. Nel tennis, per esempio, la pallina va sempre esattamente dove dico che andrà. E in una semplice partita intervengono molte altre leggi a governare tutto ciò che accade, dal modo in cui la forza impressa al colpo viene prodotta nei muscoli dei giocatori alla velocità con cui l’erba cresce sotto i loro piedi. Ma la cosa davvero importante è che queste leggi fisiche, oltre a essere immutabili, sono universali: non si applicano solo al volo di una pallina, ma anche al moto di un pianeta e a tutto ciò che avviene nel cosmo. A differenza delle leggi fatte dagli uomini, quelle di natura non possono essere infrante; è per questo che sono così potenti e, se considerate dal punto di vista della religione, controverse.
Se, come faccio io, accettate che le leggi di natura siano fisse, non ci vuole poi molto a chiedersi: quindi qual è il ruolo di Dio? È in questo quesito che, in buona parte, risiede il dissidio tra scienza e religione, e anche se le mie opinioni hanno conquistato i titoli dei giornali, si tratta di un conflitto antico. Potremmo anche definire Dio come la personificazione delle leggi di natura, eppure non è così che lo intendono la maggioranza dei credenti, per i quali, invece, Dio è un essere simile a noi, con il quale è possibile stabilire un rapporto personale. Quando però guardiamo la vastità dell’universo e riflettiamo su come sia insignificante e accidentale la vita umana al suo interno, questa posizione sembra ben poco plausibile.
Io uso il termine «Dio» in un senso impersonale, come faceva Einstein, per indicare le leggi di natura. Perciò da questo punto di vista, conoscere la mente di Dio significa conoscere le leggi di natura. La mia predizione è che, entro la fine di questo secolo, arriveremo a conoscere la mente di Dio.
L’unico tema su cui la religione può ancora oggi avanzare pretese è quello relativo all’origine dell’universo. Anche qui, tuttavia, la scienza sta facendo progressi, e dovrebbe presto fornirci una risposta definitiva alla domanda su come è nato il cosmo. Quando, in un mio libro, mi chiedevo se sia stato Dio a crearlo, ho suscitato un polverone. In molti non accettavano che uno scienziato si esprimesse in materia di religione. Io non ho il benché minimo desiderio di dire agli altri in cosa devono credere, ma per quanto mi riguarda chiedersi se Dio esiste è una domanda del tutto legittima per la scienza: in fin dei conti, è difficile pensare a un mistero più importante o più fondamentale di quello su chi o che cosa abbia creato e controlli l’universo.
In accordo con le leggi della scienza, io ritengo che l’universo si sia spontaneamente creato dal nulla. L’assunto di base della scienza è il determinismo scientifico: dato lo stato dell’universo in un particolare momento, le leggi della scienza determinano la sua evoluzione. Queste leggi potrebbero essere state stabilite da Dio, o forse no, ma sta di fatto che nemmeno lui può poi contravvenirvi, altrimenti non sarebbero leggi. Dio avrebbe dunque la libertà di scegliere lo stato iniziale dell’universo, ma con ogni probabilità anche questo potrebbe essere regolato da una serie di leggi. Di conseguenza, Dio non avrebbe alcuna libertà.
Nonostante la complessità e la varietà dell’universo, di fatto per crearne uno abbiamo bisogno soltanto di tre ingredienti. Immaginiamo di poterli elencare in una sorta di ricettario cosmico. Quali sono? Il primo è la materia, ossia le cose che possiedono una massa. La materia ci circonda ovunque, dalla terra sotto i nostri piedi alle distese dello spazio: polvere, rocce, ghiaccio, liquidi, enormi nubi di gas, gigantesche spirali di stelle ognuna delle quali contiene miliardi di soli e si estende per distanze incredibili.
La seconda cosa che ci serve è l’energia. Senza bisogno di rifletterci, sappiamo tutti che cos’è l’energia. La incontriamo ogni giorno. Vi basta alzare lo sguardo verso il Sole per sentirla sul volto: l’energia prodotta da una stella distante 150 milioni di chilometri. L’energia permea l’universo, alimentando i processi che lo rendono un posto dinamico, in perenne cambiamento.
Ora che abbiamo la materia e l’energia, il terzo ingrediente che ci serve per costruire un universo è lo spazio. Un sacco di spazio. Dell’universo si può dire quel che si vuole – che è meraviglioso, bello, violento... – ma non certo che è angusto. Dovunque guardiamo vediamo spazio, spazio e ancora spazio, che si distende in ogni direzione. Ce n’è abbastanza da farci girare la testa. Quindi, da dove vengono tutta questa materia, questa energia e questo spazio? Fino al Ventesimo secolo, non ne avevamo idea.
La risposta è giunta dalle intuizioni di un singolo uomo, probabilmente il più grande scienziato di tutti i tempi: Albert Einstein. Purtroppo non sono mai riuscito a incontrarlo, dato che avevo solo tredici anni quando è morto. Einstein ha compreso una cosa straordinaria: che due dei principali ingredienti necessari per creare un universo – la massa e l’energia – sono in sostanza la medesima cosa, come due facce della stessa medaglia. La sua famosa equazione E = mc2 significa, semplicemente, che la massa può essere considerata come una specie di energia, e viceversa. Così, invece di tre ingredienti, ora possiamo dire che l’universo ne ha soltanto due: l’energia e lo spazio. E da dove vengono? La risposta è stata trovata dopo decenni di ricerche scientifiche: lo spazio e l’energia sono emersi spontaneamente in un evento oggi chiamato «Big Bang».
Al momento del Big Bang ha avuto origine un intero universo. Si è gonfiato come un palloncino quando ci soffiamo dentro. Ma la domanda resta: da dove sono venuti tutta questa energia e questo spazio? Come ha fatto un intero universo pieno di energia, con la straordinaria vastità del suo spazio e di tutto ciò che contiene, ad apparire semplicemente dal nulla?
Per alcuni, è qui che torna in gioco Dio: è stato lui, dicono, a creare l’energia e lo spazio. Il Big Bang sarebbe dunque l’attimo della creazione. La scienza, però, ci presenta le cose in modo diverso. A rischio di espormi a ulteriori critiche, io penso che noi oggi siamo in grado di comprendere molto meglio i fenomeni naturali che terrorizzavano i Vichinghi. Possiamo anche spingerci oltre la meravigliosa simmetria di energia e materia scoperta da Einstein. Possiamo usare le leggi di natura per indagare le autentiche origini dell’universo e scoprire se l’esistenza di Dio sia davvero l’unico modo per spiegarlo.
Sono cresciuto nell’Inghilterra del secondo dopoguerra, in un periodo di austerità in cui ci sentivamo ripetere che nulla si ottiene per nulla. Eppure oggi, dopo una vita di ricerche, sono arrivato a pensare che, di fatto, per nulla possiamo ottenere addirittura un universo.
Il grande mistero al cuore del Big Bang è spiegare come sia possibile che un intero universo di spazio ed energia, di dimensioni inimmaginabili, possa materializzarsi dal nulla. Il segreto sta in uno dei fatti più strani che riguardano il nostro cosmo: le leggi della fisica richiedono l’esistenza di una cosa chiamata «energia negativa».
Per darvi un’idea di questo strano ma cruciale concetto, permettetemi di fare una semplice analogia. Immaginate che un uomo voglia costruire una collina su un terreno pianeggiante. La collina rappresenta l’universo. Per realizzarla, l’uomo scava una buca e usa la terra che ne ha estratto. Com’è ovvio, però, in questo modo non sta creando solo una collina, ma anche una buca, che rappresenta di fatto una versione negativa della collina stessa. Il materiale che era contenuto nella buca è ora diventato la collina, così i conti tornano perfettamente. Questo è il principio che sta dietro a ciò che è avvenuto all’inizio dell’universo.
Quando il Big Bang ha prodotto un’enorme quantità di energia positiva, ha prodotto allo stesso tempo la medesima quantità di energia negativa; in questo modo, il positivo e il negativo si azzerano sempre a vicenda. È un’altra legge di natura.
Ma dov’è finita oggi tutta questa energia negativa? Si trova nel terzo ingrediente del nostro ricettario cosmico, ossia nello spazio. Potrebbe suonarvi strano, lo so, ma stando alle leggi di natura che riguardano la gravità e il moto – leggi che sono tra le più vecchie nella scienza – lo spazio stesso è un deposito di energia negativa, grande abbastanza da far tornare i conti.
Ammetto che è un concetto un po’ difficile da afferrare, a meno che non abbiate una certa dimestichezza con la matematica, ma vi assicuro che è così. L’infinita rete di miliardi e miliardi di galassie, ognuna delle quali attira le altre con la propria gravità, agisce come un gigantesco dispositivo di immagazzinamento. L’universo è come un’enorme batteria di energia negativa. Il lato positivo delle cose – la massa e l’energia che vediamo oggi – è come la collina; la buca corrispondente – il lato negativo delle cose – è sparsa nello spazio.
Cosa comporta quindi tutto questo in merito alla nostra domanda sull’esistenza di un Dio? Be’, se l’universo, nel suo complesso, ammonta a nulla, non occorre un Dio per crearlo. L’universo costituisce l’esempio principe di un pasto gratis.
Sapendo che l’energia positiva e quella negativa si azzerano a vicenda, tutto ciò che ci resta da fare è determinare che cosa – o «chi», azzarderei – abbia innescato l’intero processo. Cosa potrebbe aver determinato la spontanea comparsa di un universo? Di primo acchito, sembra una questione sconcertante: in fin dei conti, nella nostra vita quotidiana le cose non appaiono così, dal nulla. Non possiamo schioccare le dita e far apparire un caffè quando lo desideriamo; se vogliamo berlo, dobbiamo prepararlo a partire da altre cose, come i chicchi di caffè, l’acqua e magari un po’ di latte e di zucchero. Se però immaginiamo di entrare in una tazza di caffè, scendendo sempre più giù, dalle particelle del latte fino al livello atomico e quindi a quello subatomico, ci ritroveremo in un mondo dove far apparire qualcosa dal nulla è possibile, almeno per un breve intervallo di tempo. Questo perché, su tale scala, le particelle come i protoni si comportano in accordo con quelle leggi di natura che chiamiamo «meccanica quantistica» e possono davvero comparire casualmente, restare lì per un po’ e quindi sparire di nuovo, per poi ricomparire da qualche altra parte.
Visto che all’inizio, come sappiamo, l’universo era molto piccolo – forse più di un protone – non dovrebbe stupirci l’idea che a un certo punto possa essere semplicemente emerso, senza violare le leggi di natura a noi note. A partire da quel momento, enormi quantità di energia si sono liberate con l’espansione dello spazio, che offriva un posto dove immagazzinare tutta l’energia negativa necessaria per far quadrare i conti. A tal proposito, di nuovo può riaffiorare la domanda critica: è stato Dio a creare le leggi quantistiche che hanno permesso il verificarsi del Big Bang? In poche parole, c’è stato bisogno di un creatore divino per porre le condizioni per la grande esplosione del Big Bang? Non vorrei urtare la sensibilità delle persone di fede, ma ritengo che la scienza ci offra una spiegazione più convincente.
La nostra esperienza quotidiana ci induce a pensare che tutto ciò che accade dev’essere causato da qualcosa che è avvenuto prima, cosicché ci risulta naturale credere che qualcosa o qualcuno – magari Dio – possa aver «creato» l’universo. Se però consideriamo quest’ultimo nel suo complesso, le cose non stanno necessariamente così. Lasciate che mi spieghi. Immaginate un fiume che scende da una montagna. Da cosa ha tratto origine il fiume? Be’, forse dalla pioggia caduta in precedenza sui monti. E che cosa ha causato la pioggia? Una risposta sensata potrebbe essere: il Sole, che risplendendo sull’oceano ha fatto sollevare in cielo il vapore acqueo da cui si sono formate le nubi. Va bene, ma allora che cosa ha fatto sì che il Sole risplendesse? Se guardiamo al suo interno, osserveremo la reazione nota come «fusione nucleare», nella quale gli atomi di idrogeno si uniscono per formare l’elio liberando, nel processo, grandi quantità di energia. Okay, e da dove viene l’idrogeno? Risposta: dal Big Bang. E questo è il punto cruciale: le leggi di natura ci dicono che non soltanto l’universo potrebbe essere nato senza alcun intervento esterno, come un protone, e senza che ciò richiedesse nulla in termini di energia, ma ci dicono anche che è possibile che il Big Bang non sia stato causato proprio da nulla. Niente.
La spiegazione si trova nelle teorie di Einstein e nelle sue intuizioni su come, nell’universo, spazio e tempo siano fondamentalmente intrecciati. Nell’istante del Big Bang è accaduto qualcosa di straordinario: il tempo stesso ha iniziato a esistere.
Per comprendere quest’idea, che può suscitarci un po’ di sconcerto, considerate un buco nero che fluttua nello spazio. Un buco nero tipico è una stella talmente massiva da essere collassata su se stessa. È un oggetto così enorme che neppure la luce è in grado di sfuggire alla sua gravità, e questo è il motivo per cui è quasi completamente nero. La sua attrazione gravitazionale è così forte che non piega e distorce soltanto la luce, ma anche il tempo. Immaginate, per esempio, che un orologio venga risucchiato al suo interno. Già mentre si avvicina al buco nero, l’orologio inizia a rallentare. Il tempo stesso comincia a rallentare. Quando poi entra nel buco nero (ipotizzando, certo, che sia in grado di sopportare le forze gravitazionali), di fatto si ferma. E non perché è rotto, ma perché dentro il buco nero il tempo non esiste. Ecco, questo è esattamente ciò che è avvenuto all’inizio dell’universo.
Nel corso degli ultimi cento anni abbiamo fatto incredibili progressi nella nostra comprensione dell’universo. Oggi conosciamo le leggi che governano ciò che avviene in tutte le condizioni, eccetto le più estreme, come l’origine dell’universo o i buchi neri. Il ruolo giocato dal tempo all’inizio dell’universo costituisce, secondo me, la chiave ultima per rimuovere la necessità di un grande progettista e dimostrarci che l’universo si è creato da solo, e come.
Man mano che viaggiamo all’indietro nel tempo verso il momento del Big Bang, l’universo diventa via via più piccolo, finché non si riduce a uno spazio talmente ridotto da essere, di fatto, un buco nero infinitamente piccolo e infinitamente denso. E, come per gli odierni buchi neri che fluttuano nello spazio, anche per quel buco nero le leggi di natura stabiliscono qualcosa di straordinario: il tempo deve fermarsi. Non possiamo individuare un tempo precedente il Big Bang per il semplice fatto che prima di esso non esisteva alcun tempo. Abbiamo infine trovato qualcosa che non ha una causa, perché non c’è un tempo precedente in cui tale causa possa esistere. Per me, l’assenza di un tempo nel quale un ipotetico creatore dell’universo possa essere esistito esclude la possibilità stessa che un creatore ci sia stato.
Chi cerca delle risposte alle grandi domande – sul perché siamo qui, per esempio –, non si aspetta che siano facili ed è quindi preparato a sforzarsi un po’ per capirle. Quando la gente mi chiede se l’universo sia ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Le mie risposte alle grandi domande
  4. Introduzione del professor Kip S. Thorne
  5. Perché dobbiamo porci le grandi domande
  6. 1. Esiste un Dio?
  7. 2. Come è iniziato tutto?
  8. 3. Nell’universo ci sono altre forme di vita intelligenti?
  9. 4. Possiamo predire il futuro?
  10. 5. Cosa c’è dentro un buco nero?
  11. 6. È possibile viaggiare nel tempo?
  12. 7. Riusciremo a sopravvivere sulla Terra?
  13. 8. Dovremmo colonizzare lo spazio?
  14. 9. L’intelligenza artificiale surclasserà la nostra?
  15. 10. Come possiamo plasmare il futuro?
  16. Postfazione di Lucy Hawking
  17. Ringraziamenti
  18. Copyright