Il 27 agosto 1944 era una splendida domenica d’estate in Normandia. Da un campo di Saint-Symphorien-les-Bruyères, a sudovest di Évreux, giungevano i rumori attutiti di una partita di cricket. Lì vicino, tra gli alberi di pere, si provvedeva alla riparazione dei carri armati Sherman dello “Sherwood Rangers Yeomanry”,1 reduci dai combattimenti nella sacca di Falaise, uno degli episodi conclusivi della battaglia di Normandia. Mazze, palline, parastinchi e paletti erano stati caricati a bordo di uno dei camion per i rifornimenti. «Che non si dica che abbiamo invaso il continente senza le attrezzature adeguate!» scriverà uno dei giocatori.2
Di norma il reggimento veniva avvertito dell’inizio delle operazioni con ventiquattr’ore di anticipo; quel giorno, tuttavia, appena dopo pranzo giunse l’ordine di mettersi in movimento entro un’ora. Settanta minuti dopo, i mezzi corazzati si dirigevano verso la Senna, che la prima formazione britannica – la 43ª divisione “Wessex” – aveva attraversato a Vernon il giorno prima. Le truppe britanniche erano piuttosto indispettite del fatto che la 3ª armata dell’esercito degli Stati Uniti, comandata dal generale George C. Patton, avesse superato il fiume sei giorni prima di loro.
Il 29 agosto l’esercito alleato, composto di quasi un milione di uomini, procedette dalle teste di ponte a est della Senna verso il Belgio e il confine con la Germania. La battaglia di Normandia era vinta, e l’esercito tedesco era stato costretto a una ritirata caotica. «Lungo le principali vie di rifornimento» scrisse un ufficiale americano nel suo diario «i segni dei nostri bombardamenti aerei contro il nemico sono evidenti. Le strade sono piene di autocarri distrutti, in un contorto ammasso di lamiere; di tanto in tanto si incontra un camion bruciato, sventrato come un bue, con il suo carico di taniche sparpagliato in terra, o un treno merci accartocciato lungo la ferrovia.»3
Per la cavalleria britannica, l’inseguimento del nemico era iniziato. Dalla torretta del suo carro, il tenente generale Brian Horrocks, comandante del XXX corpo d’armata, era pronto a lanciarsi nell’impresa. «Era il tipo di guerra che preferivo» avrebbe scritto alcuni anni dopo. «A chi non sarebbe piaciuto?» Con più di seicento carri armati – tra Sherman, Churchill e Cromwell – la divisione corazzata della Guardia, l’11ª divisione corazzata e l’8ª brigata corazzata lanciarono l’offensiva lungo una linea di ottanta chilometri, «falciando le linee di difesa nelle retrovie nemiche come una mietitrebbia in un campo di granoturco», per usare le parole di Horrocks.4
Il territorio tra la Senna e la Somme era «molto regolare, con grandi distese, privo di rilievi e percorso da buone strade».5 L’insidioso bocage della Normandia, inframmezzato da siepi, recinzioni e fossati, era ormai dietro di loro. Lo “Sherwood Rangers” adottò lo schieramento già sperimentato durante la campagna del Nordafrica: uno squadrone di Sherman in prima linea, il contingente di comando subito dietro, e due plotoni di fucilieri sui fianchi. «Avanzare ad alta velocità su un terreno battuto e pianeggiante, in uno splendido mattino, sapendo che i tedeschi stavano battendo in ritirata: era a dir poco eccitante» scrisse un comandante dello squadrone di cavalleria. «Tutti erano di ottimo umore. Era come partecipare a una corsa a ostacoli in mezzo ai campi.»6
Quando i soldati entravano in un centro abitato, le campane delle chiese suonavano a distesa. Quasi ogni casa era ornata di festoni rossi, bianchi e blu, i colori della bandiera francese. Gli abitanti dei piccoli paesi, felici perché la Normandia era scampata alla distruzione, li accoglievano donando loro frutta e bottiglie di vino. I membri della Resistenza, con le loro fasce al braccio e le lunghe barbe, si arrampicavano sui veicoli di testa per indicare la strada ai liberatori. A bordo di un’autoblindo Staghound, un ufficiale di stato maggiore assegnato alla divisione corazzata della Guardia in notò «la loro strana dotazione di armi, che brandivano più per esultanza che per difesa».7
Di tanto in tanto un carro armato finiva il carburante e doveva fermarsi a bordo strada finché non veniva raggiunto da uno degli autocarri del reggimento, da dove venivano passate le taniche ai membri dell’equipaggio in piedi sul mezzo. Talvolta scoppiavano occasionali scontri a fuoco, brevi e intensi, quando qualche gruppo di tedeschi, sorpreso dall’avanzata degli Alleati, rifiutava di arrendersi. L’eliminazione di queste sacche di resistenza era definita «disinfestazione».8
Nel pomeriggio del 30 agosto, ritenendo che l’avanzata non fosse abbastanza rapida, Horrocks ordinò al maggior generale «Pip» Roberts, comandante dell’11ª divisione corazzata, di raggiungere Amiens durante la notte e liberare entro l’alba la città e i ponti sulla Somme. I carristi, seppur esausti, riuscirono a raggiungere i ponti, e gli autocarri arrivarono alle prime luci dell’alba con una brigata di fanteria per assumere il controllo della città. Horrocks era già pronto a congratularsi con Roberts per l’impresa, ma questi aveva un’altra importante notizia da comunicare al suo comandante: «Ho una sorpresa per lei, generale».9 Fece condurre al suo cospetto un ufficiale tedesco con l’uniforme nera delle divisioni panzer. L’uomo non era rasato e il suo volto era sfregiato da una vecchia ferita che aveva riportato nella Prima guerra mondiale, che gli aveva portato via quasi tutto il naso. Nel mostrare il prigioniero, Roberts «sembrava un allevatore orgoglioso del proprio toro da esposizione».10 Il suo trofeo era Heinrich Eberbach, generale delle truppe corazzate e comandante della 7ª armata dell’esercito tedesco, che era stato sorpreso nel suo letto.
Il giorno successivo, il 1° settembre, cadeva il quinto anniversario dell’invasione tedesca della Polonia, l’evento che aveva segnato l’inizio della guerra in Europa. Per una strana coincidenza, i due comandanti degli eserciti alleati impegnati nella campagna di Normandia si trovavano nei rispettivi quartier generali a posare per dei ritratti.
Circonfuso dalla sfolgorante luce della vittoria, dopo la trionfale carica sulla Senna dell’armata di Patton, il tenente generale statunitense Omar N. Bradley si trovava nei pressi di Chartres e fu ritratto da Cathleen Mann, moglie del marchese di Queensberry. In quella calda giornata potevano almeno ristorarsi con dei gradevoli drink freddi; Bradley, infatti, aveva appena ricevuto un frigorifero, dono del capo delle forze alleate, il generale Dwight D. Eisenhower, con allegato il messaggio: «Che diavolo, sono stufo di bere del whisky caldo ogni volta che vengo nel vostro quartier generale!».11
Il feldmaresciallo britannico Sir Bernard Montgomery si stava facendo ritrarre dal pittore scozzese James Gunn, indossando il suo tipico abbigliamento: maglione grigio con collo alto, pantaloni di velluto a coste e basco nero con due distintivi. Il suo quartier generale strategico, compresa la celebre roulotte, si trovava nel parco del castello di Dangu, a metà strada tra Rouen e Parigi. Nonostante le congratulazioni ricevute quella mattina per la promozione a feldmaresciallo, Montgomery era di pessimo umore, tanto che si rifiutò di incontrare il suo ospite, il duca di Dangu, e i membri della Resistenza locale.12 Tutte le sue speranze di condurre personalmente un’offensiva comune verso la Germania settentrionale si erano volatilizzate, perché Eisenhower aveva preso il suo posto come comandante in capo delle forze di terra. Bradley non era più un suo subordinato, ma un pari grado. E secondo Montgomery, il rifiuto di Eisenhower di concentrare le forze metteva a repentaglio la possibilità di una vittoria.
Gli alti ufficiali statunitensi, d’altro canto, erano ancor più infuriati per la promozione di Montgomery, ormai diventato un generale a cinque stelle, mentre Eisenhower, il suo superiore, ne aveva solamente quattro. Quel giorno il generale Patton, la cui 3ª armata era ormai vicina a Verdun, nella parte più orientale della Francia, scrisse alla moglie: «Questa storia del feldmaresciallo, a Bradley e a me, dà veramente fastidio».13 Perfino alcuni alti ufficiali britannici ritenevano che il contentino di Winston Churchill a beneficio di «Monty» e della stampa britannica, per mistificare quella che di fatto era una retrocessione, fosse stato un grave errore. L’ammiraglio Sir Bertram Ramsay, comandante in capo delle forze navali alleate, scrisse nel suo diario: «Monty è diventato feldmaresciallo. Cosa davvero stupefacente, e questo mi secca più di quanto possa dire. Deduco che il primo ministro abbia preso autonomamente questa decisione. È una vera idiozia, e sono sicuro che Eisenhower e gli americani lo riterranno molto offensivo».14
Il giorno seguente, sabato 2 settembre, Patton, Eisenhower e il tenente generale Courtney H. Hodges, comandante della 1ª armata statunitense, si incontrarono nel quartier generale del XII gruppo d’armate di Bradley. Lady Queensberry aveva ormai rimesso via i suoi pennelli. Secondo l’aiutante di Bradley, Hodges appariva «come al solito, composto e dignitoso nella sua uniforme da combattimento», mentre Patton «dava nell’occhio con i suoi bottoni d’ottone e la sua grande automobile».15 In quella riunione si doveva discutere di strategie e del grande problema dei rifornimenti. La sorprendente rapidità della loro avanzata comportava la necessità di maggiori approvvigionamenti rispetto a quelli – pur di notevole entità – trasportati dalla flotta statunitense. Quella mattina, Patton disse a Bradley: «Mi faccia arrivare quattrocentomila galloni di benzina e fra due giorni saremo in Germania».16
Bradley gli assicurò il proprio appoggio. Era deciso a far sì che tutte le forze aeree disponibili si concentrassero sul rifornire l’armata di Patton, tanto che si era opposto al piano di portare in avanti le forze aviotrasportate per velocizzare l’avanzata degli Alleati. Patton, che voleva a tutti i costi «sfondare in un lampo la linea Sigfrido»,17 aveva già iniziato a ingraziarsi i piloti addetti al trasporto merci, donando loro delle casse di champagne confiscato. Purtroppo non bastava ancora. Eisenhower non aveva intenzione di cedere. Inoltre era assillato dalle pressanti richieste di Montgomery, che voleva tutti i rifornimenti per i suoi uomini, in modo da sferrare una grande offensiva a nord.
La diplomazia richiedeva che il comando supremo mantenesse il maggiore equilibrio possibile tra le opposte richieste dei due gruppi d’armate. Eisenhower adottò quindi una «strategia di ampio fronte», che tuttavia non soddisfece nessun comandante.18 Il suo capo di stato maggiore, il tenente generale Walter Bedell Smith, nel dopoguerra tornò a riflettere sui problemi che Eisenhower aveva avuto con Montgomery e Bradley. «È stupefacente» disse «come valorosi comandanti riescano ad autodistruggersi a causa delle aspettative generate dalla loro estrema popolarità. Finiscono per trasformarsi in primedonne.» Perfino Bradley, apparentemente modesto, «godeva di una certa popolarità, e ci furono dei problemi anche con lui».19
L’incapacità di Eisenhower di mediare tra le posizioni contrastanti di Montgomery e Bradley peggiorò ulteriormente a seguito di un incidente in cui rimase coinvolto. Quel pomeriggio, dopo aver lasciato il quartier generale del XII gruppo d’armate vicino a Chartres, Eisenhower fu ricondotto al suo posto di comando a Granville, sulla costa atlantica della Normandia. La scelta di un luogo così lontano e arretrato rispetto al fronte, che avanzava rapidamente nella direzione opposta, era un grave errore; dal punto di vista delle comunicazioni, a detta di Bradley, sarebbe stato meglio se fosse rimasto a Londra. Sulla rotta per Granville il velivolo su cui viaggiava ebbe dei problemi e fu costretto ad atterrare su una spiaggia. Qui Eisenhower, che aveva già un ginocchio malandato, si lesionò anche l’altro cercando di aiutare il pilota a raddrizzare l’apparecchio ribaltato. Fu confinato a letto con una gamba ingessata subito prima dell’incontro previsto con Bradley e Montgomery. Dovette restare immobile per un’intera settimana, settimana che si sarebbe rivelata cruciale.
La sera del 2 settembre, Horrocks giunse al quartier generale della divisione corazzata della Guardia a Douai. Era irritato: aveva dovuto tener fermi i suoi uomini per tutto il giorno, in modo da agevolare il lancio di truppe aviotrasportate su Tournai. Ma l’operazione era stata annullata all’ultimo momento, sia a causa del maltempo sia perché il XIX corpo d’armata statunitense aveva già raggiunto le aree obiettivo del lancio. Così, con una certa teatrale eleganza, Horrocks annunciò agli ufficiali lì riuniti che il loro obiettivo del giorno seguente era Bruxelles, circa centodieci chilometri più avanti. Si avvertì un sospiro di compiaciuto stupore. Horrocks ordinò inoltre all’11ª divisione corazzata di Roberts di muoversi immediatamente verso il grande porto di Anversa, come previsto dall’operazione Sabot.
Con la Guardia gallese preceduta dai mezzi corazzati del 2° reggimento di cavalleria “Household” a destra e dal reggimento fanteria dei Granatieri della Guardia a sinistra, «lo spirito di competizione era irresistibile e nulla quel giorno avrebbe potuto fermarci» annotò un ufficiale.20 Si aprirono le scommesse su chi sarebbe arrivato per primo a Bruxelles. «Les jeux sont faits, rien ne va plus!»: alle sei del mattino riecheggiava la frase del croupier della roulette, mentre i due contingenti si mettevano in marcia. La riserva della Guardia irlandese seguì alcune ore dopo. «È stato il nostro spostamento più lungo: centotrenta chilometri in tredici ore» fu scritto nel diario di guerra del 2° battaglione (corazzato).21 Ma per alcuni reparti l’impetuosa av...