Nuove perle a nuovi porci
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Nuove perle a nuovi porci

  1. 272 pagine
  2. Italian
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Nuove perle a nuovi porci

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Informazioni sul libro

Uscito nel settembre 2009, Perle ai porci fu un caso editoriale. Dotato di un'esilarante penna al vetriolo, il suo geniale autore - un docente della scuola pubblica italiana nascosto sotto lo pseudonimo di Gianmarco Perboni - raccontava in modo politicamente scorretto ma, ahinoi, tremendamente realistico le proprie esperienze di insegnante, tutte da ridere (per non piangere). Non risparmiava nessuno: studenti, colleghi, dirigenti, ministri. E naturalmente genitori. Da allora Perboni ha continuato la sua carriera in cattedra, mantenendo segreta la propria vera identità, e adesso ci offre un nuovo irresistibile spaccato di vita scolastica. Molte cose sono rimaste le stesse, a partire dalla crassa ignoranza (più grave dire "l'asina goga" o il "muro di Dublino"?) e dalla scoraggiante stolidità ("Debussy visse fino alla sua morte") di molti studenti. Ma tante altre sono cambiate. In peggio. Le nuove tecnologie si sono rivelate inutili (cd utilizzati come specchietti per il trucco) o addirittura perniciose come i gruppi whatsapp di genitori che pesano gli zaini dei ragazzi per poi organizzare una sedizione. E vogliamo parlare dei rischi che corre un povero prof che abbia l'ingenuità di mettersi su Facebook? Poi ci sono i danni provocati da chi - ministro o privato cittadino -, pur non avendo mai passato un'ora a insegnare, suggerisce, rigorosamente in inglese, trovate demenziali come la flipped classroom. Ovvero la classe capovolta: un gran casino. Giorno dopo giorno, questo nuovo diario di Perboni ci fa entrare nelle aule italiane e ridere a crepapelle, pur con amarezza, perché le vivide e realistiche scenette raccontate dall'autore svelano in quali condizioni di colpevole trascuratezza versi il sistema educativo del nostro Paese. Potrà da questo libro scaturire qualche concreta proposta di miglioramento?

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2018
ISBN
9788858694206

Marzo

4 marzo

Ci sono alcune cose che a scuola non esistono. La prima è la riservatezza.
Occorre perciò prestare molta attenzione quando, per qualunque motivo, non si è lucidi e si corre il rischio di parlare più del dovuto, come nell’episodio che mi riferisce un collega.
Questa mattina Berardi è entrato in classe alla prima ora e ha commesso un errore madornale: ha confessato agli studenti di avere mal di testa e li ha pregati di essere silenziosi. Subito si è alzata la mano di Bettini, per chiedere in tono finto-premuroso: «Che ha fatto, professore?».
Berardi ha commesso un secondo errore, ancora più imperdonabile: dire la verità. Invece di trincerarsi dietro a un normale: «Pensa agli affari tuoi», ha risposto: «Ero a cena fuori ieri sera e ho bevuto un bicchiere di troppo».
Passaggi successivi: Bettini, non appena la professoressa Pancani mette piede in classe all’ora seguente, la informa che il professor Berardi aveva dei chiari postumi da sbronza. Pancani non manca di riferire alla collega e amica Lomazzo che Berardi si è presentato in classe stravolto in seguito a una notte brava. Lomazzo poi…
Appena due ore e mezzo dopo l’improvvida confessione, Pierotti ha raggiunto Berardi alla macchina del caffè e, battendogli amichevolmente una mano sulla spalla, lo ha apostrofato così: «La prossima volta che esci con qualche mignottone, ricordati del tuo vecchio amico, che poi sarei io, e andiamo a divertirci insieme!».

5 marzo

Fra le tante circolari che giungono (in doppia versione, dematerializzata e cartacea) e che cerco il più possibile di ignorare, ne noto una che, come ormai da diversi anni a questa parte, cerca reclute per il CLIL (un acronimo in più non può far male), vale a dire per l’insegnamento in lingua straniera di una materia curricolare.
Appongo la mia solita firma distratta e noto la faccia perplessa della collega Panozzi che sta leggendo una comunicazione appena consegnatale da una custode. Sento odor di consulenza e cerco di defilarmi ma non faccio in tempo a raggiungere la porta.
«Perboni, aiuto!»
Lo sapevo.
«Qui dicono che sono stata selezionata per il CLIL e che l’anno prossimo dovrò tenere delle ore di insegnamento di scienze in inglese.»
«Bene. Brava.»
«Brava un corno!» Panozzi non usa parolacce. «Come faccio?»
«Ti faranno seguire un corso, ti prepareranno…»
«Col cazzo!» Ecco, appunto, come volevasi dimostrare. «Qui dicono che risulto già sufficientemente qualificata.»
«Allora è colpa tua. Avrai commesso un errore.»
«Ma che dici? Quale errore?»
«Pensaci bene. Un questionario, un formulario, una circolare…»
«Mah, non saprei… qualche tempo fa mi ricordo di un’indagine sulle competenze extracurricolari che dovevamo compilare tutti…»
Quel tutti non include me. Da secoli non riconsegno un questionario compilato. Di nessun tipo. Non appena le custodi me lo depositano in mano, attendo che abbiano girato l’angolo e lo butto nella carta straccia. Se dopo qualche tempo tornano alla carica, idem. Quando mi chiedono se l’ho riconsegnato, mento. Se devo firmare di averlo compilato, firmo il falso.
Quanto accade adesso a Panozzi è la migliore giustificazione del mio comportamento.
«Ti sei fregata con le tue mani. Hai indicato la frequenza di un qualsiasi corso di lingua?»
«Anni fa all’Arci organizzarono un corso di inglese e io volevo un po’ rinfrescare le mie conoscenze…»
Non infierisco e non faccio notare a Panozzi che appartiene a quella larga schiera di persone che non si rendono conto di vivere in Italia.
Ora, insegnare è difficile in ogni caso.
Insegnare in una lingua che non sia la propria è un’impresa non impossibile ma comunque ardua.
Un paese normale che decida di introdurre l’insegnamento di una disciplina in lingua straniera cosa dovrebbe fare?
Essenzialmente due cose. In primo luogo potenziare l’insegnamento della lingua straniera stessa, per evitare che gli studenti rischino di non capire due volte: né la materia né la lingua. In seconda battuta formare adeguatamente gli insegnanti, vale a dire spedirli all’estero (a spese dello Stato, si capisce) per un periodo congruo, affinché acquisiscano quella scioltezza e quella padronanza linguistica indispensabili all’insegnamento.
Purtroppo non siamo in un Paese normale, bensì in Italia. Il CLIL è così organizzato: potenziamento della lingua straniera zero, formazione degli insegnanti doppio zero. C’è un insegnante di scienze che una volta ha frequentato un corso serale di inglese a un circolo Arci? Benissimo: il CLIL tocca a lui. Con buona pace dell’inglese e delle scienze.
«E ora?» Panozzi mi guarda come un naufrago osserverebbe una nave in avvicinamento.
Eh no! Va bene cacciarsi nei guai, ma che poi debba essere io a tirartene fuori non se ne parla. Almeno non gratis.
«Senti, devo proprio andare. Se non ricordo male, in uno dei miei libri c’era una soluzione a un caso simile al tuo. Così su due piedi, non saprei dirti in quale. Tu comprali tutti, così non sbagli.»

6 marzo

Non seguo molto la televisione, perciò non so da quanti anni esista il Grande Fratello. So però che ogni volta che sento i ragazzi a scuola che ne parlano, non posso fare a meno di intervenire per chiedere se qualcuno conosca George Orwell e il suo romanzo 1984.
Nessuno.
Mai.
Mi diverto allora a chiedere perché pensano che la trasmissione si intitoli così.
Alcune risposte:
«Perché sono una grande famiglia.»
«Perché si vogliono bene come fratelli.»
«Perché ce l’hanno grande. Il fratello, intendo.» Con successiva mimica che spiegava bene cosa si intendesse con fratello.
«Perché è come se si trovassero in un orfanotrofio.»
Racconto allora a grandi linee la storia di 1984 e chi fosse in realtà il Grande Fratello.
Una volta una ragazza mi ha guardato fisso e poi mi ha detto: «Certo che ne ha di fantasia lei! Perché non scrive un libro?».

10 marzo

Fa ancora freddo, nonostante sia quasi primavera. Entro nell’edificio scolastico insieme alla mandria di studenti infagottati, che in genere preferiscono bivaccare fuori del portone fino all’ultimo secondo prima del suono della campanella, ma che adesso il gelo fuori stagione sospinge dentro in cerca di un po’ di tepore.
Vedo arrancare davanti a me uno che non riconosco per lo spesso strato di indumenti che lo ricopre, e che potrebbe essere chiunque.
Uno studente medio medio.
Nel senso di esemplare tipico del frequentante di scuola media. Invece di proseguire verso la sala insegnanti, provo ad andargli dietro, per vivere in presa diretta una giornata fra i banchi. Il tizio in questione si chiama Geronda Alberto ma potrebbe benissimo essere Zardi Jonathan o Favri Roberto. Tutti sono medi medi.
Non appena arrivato in classe il medio medio si libera dello zaino, lasciandolo cadere per terra come un sacco di patate, poi toglie sciarpa e piumino perché già si è accalorato. Il percorso nel corridoio è stato infatti accompagnato dalle abituali spinte date e ricevute dai compagni.
Prima ora: geografia. Il nostro non distingue la Basilicata dalla Lapponia e ha accolto incredulo la notizia che la Terra è rotonda e non piatta come appare. Si siede soltanto dopo la quindicesima volta che l’insegnante ha invitato la classe all’ordine e al silenzio. Non appena inizia la spiegazione è colto da un piacevole torpore, allunga le gambe sotto il banco e si svacca contro lo schienale. È più forte di lui: la voce degli insegnanti che spiegano lo narcotizza.
Se è fortunato, arriva indenne al suono della campanella. Succede però che l’insegnante di turno noti la sua smaccata ignavia e lo richiami all’obbligo di lavorare. Allora, con sul volto la disperazione del condannato che sale al patibolo, estrae dallo zaino libro e quaderno e li dispone sul banco. Se non giungono altre sollecitazioni eviterà di aprirli, altrimenti con gesti stanchi eseguirà pure quell’invisa operazione. Seguire, leggere o addirittura prendere appunti sono attività che neppure prende in considerazione.
Bene o male l’ora termina e il medio medio va a piazzarsi sulla porta, in attesa dell’arrivo dell’insegnante successivo. Non appena la professoressa di musica è in vista, le va incontro chiedendole il permesso di andare in bagno. Conosce per consumata esperienza quali siano gli insegnanti con i quali può permettersi lunghe assenze dalla classe senza incorrere in punizioni. Non appena giunto in bagno estrae il cellulare, lo accende e per un buon quarto d’ora si dedica a Clash Royale.
Per rientrare in classe attende un momento in cui sente i compagni suonare lo strumento: se è in corso un’esercitazione, l’insegnante non la interromperà per rimproverarlo dell’assenza prolungata e, una volta terminata, magari non ci penserà più.
Giunge finalmente il momento della ricreazione. La sua già evidente tendenza all’obesità viene potentemente rafforzata con un’iniezione di merendine spazzatura e bevande insalubri sufficienti a uccidere un reparto di diabetici. L’interazione con i compagni avviene ancora in modo prevalentemente fisico, poiché si trova più a suo agio con gli spintoni che con le parole. I contatti con le ragazze sono cauti: qualche ormone ha già i...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Prologo di un anno scolastico
  4. Settembre
  5. Pausa perla
  6. Ottobre
  7. Pausa perla
  8. Novembre
  9. Dicembre
  10. Pausa perla
  11. Gennaio
  12. Pausa perla
  13. Febbraio
  14. Pausa perla
  15. Marzo
  16. Pausa perla
  17. Aprile
  18. Pausa perla (vernacolare)
  19. Maggio
  20. Pausa perla
  21. Giugno
  22. Perla d’esame
  23. La scuola? Ci penso io
  24. Copyright