Il volo del corvo timido
eBook - ePub

Il volo del corvo timido

  1. 192 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il volo del corvo timido

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

«Con quest'ultima perla abbiamo chiuso la nostra collana» scrive Nives Meroi tornando a Kathmandu dopo aver completato con l'Annapurna la salita di tutti e quattordici gli ottomila della Terra. Sempre in cordata con il marito Romano, sempre con uno stile leggero ed essenziale, senza bombole d'ossigeno né climbing sherpa. Il loro percorso non è stato solo un inno alla bellezza dei paesaggi sconfinati, ma anche un itinerario di crescita e consapevolezza. Ogni cima ha segnato un passaggio - soprattutto il Kangchendzonga, con la malattia e la guarigione di Romano - e ha portato un insegnamento, come quest'ultima, l'Annapurna. Nives e Romano sono partiti senza sapere che avrebbero affrontato un cammino di cambiamento: pensavano di escludere l'elicottero ma ne hanno fatto uso, credevano di salire solo in coppia e hanno dovuto aprirsi a una cordata allargata, con due cileni e due spagnoli, molto diversi da loro. Eppure, «proprio lì dove gli opposti si sono incontrati, si è sprigionata l'energia per resistere insieme alle bufere, agli ostacoli, fino a sparigliare le carte di una partita che sembrava persa». Solo mettendosi ciascuno in gioco con la propria esperienza (Romano a ricercare il tracciato ideale, i cileni con la forza gagliarda della giovinezza…), e ponendo tutti quanti in dubbio le proprie presunte certezze (cosa è essenziale? cosa superfluo?), hanno potuto compiere un'impresa che altrimenti sarebbe stata impossibile. Una scalata d'altri tempi, fatta di rispetto per la montagna e fiducia negli altri, a dimostrazione che in natura non esiste forza più formidabile dell'alleanza tra persone, della solidarietà e della collaborazione. Un atto di ribellione all'individualismo del nostro tempo cinico. Quasi un'utopia che prende forma.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Il volo del corvo timido di Nives Meroi in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Crescita personale e Viaggi. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2019
ISBN
9788858695869
Categoria
Viaggi

La scrittura della montagna

1° aprile 2017, ore 9
È dalle 7.30 che siamo parcheggiati qui, nel campetto da calcio del paese di Tatopani. Ammucchiato in mezzo al prato c’è il nostro materiale: bidoni, sacconi, tende, gerle di viveri e attrezzatura da cucina.
Bhakta e Sonam, il cuoco e il suo aiutante, sono al lavoro per preparare i carichi. Noi due ciondoliamo, impazienti e un po’ annoiati. Sprofondata sopra un saccone, con lo sguardo basso, io fisso i fili d’erba. Sono confusa e un po’ nervosa, qualcosa sta girando storto. Chissà quale paranoia mi sto inventando…
Siamo arrivati qui il 29 marzo, dopo ore di sobbalzi in jeep lungo la carrozzabile che dai tremilasettecento metri di Muktinath, ai piedi del Thorong La, scende fino a Pokhara, il più importante centro turistico del Paese.
Il panorama correva fuori dal finestrino e a stento riconoscevo i villaggi della vallata che solo qualche anno fa avevamo attraversato a piedi. Tutto diverso, un mondo cambiato a velocità vertiginosa. “Per fortuna ci sono le montagne” avevo pensato. “Loro sono così da prima che cominciasse la nostra storia, e saranno così anche quando noi specie umana avremo tolto il disturbo.”
Neanche Tatopani me lo ricordavo così, anonimo villaggio dell’Annapurna Circuit, «famoso per le sorgenti d’acqua calda frequentate da turisti e da locali».
Da qui mancano solo tre giorni di cammino per arrivare al campo base, ma Nima – il titolare della nostra agenzia – ha detto che lungo il percorso c’è ancora molta neve; troppa per i portatori.
Bisogna salire in elicottero.
Ieri il cielo era nuvoloso, con scrosci di pioggia, e siamo dovuti rimanere qui. Per passare il tempo abbiamo fatto e rifatto vasche per il paese. Ci accompagnava una gentile cagnetta bianca; per la strada scodinzolava e salutava chi le era simpatico e digrignava i denti agli antipatici. Nei negozietti lungo la via abbiamo comprato qualche bottiglietta di Coca-Cola da portare su, in parete, e un pezzo di sapone.
Nella bottega dell’orafo ho approfittato per far riparare la catenina. In quel bugigattolo con le pareti rivestite di fogli di giornale, seduti a terra a gambe incrociate, l’artigiano e il suo aiutante riparano e creano bracciali e collane. Stregati, Romano e io siamo stati lì a guardarlo lavorare con pinze e saldatore, le dita dei piedi usate a mo’ di morsa per bloccare le maglie della catenina. Sembrava un incantatore di serpenti. L’economia dei gesti, i pochi e semplici strumenti, la bellezza del verbo «aggiustare» che qui, forse ultimo baluardo, non ha perso il suo valore. Per duecento rupie ha sostituito l’anello rotto, l’ha saldato con l’argento e me l’ha anche lucidata tutta.
Insieme alla cagnetta abbiamo fatto un giro alla piscina termale in fondo al villaggio, e poi al campetto da calcio dove c’era Sonam, l’aiuto cuoco, a far la guardia al nostro materiale. Gli abbiamo dato il cambio perché potesse salire al lodge a mangiare.
A sera il tempo è migliorato, e ci hanno confermato che oggi arriverà l’elicottero.
Sulla carrozzabile soprastante il campetto, alcuni abitanti del villaggio si sono riuniti a crocchio per assistere allo spettacolo, come se aspettassero l’arrivo della diligenza.
Soltanto un anno fa, al Makalu, eravamo noi che guardavamo sdegnati i clienti delle “commerciali” che ormai si muovono così «per ridurre al minimo la parte noiosa della spedizione». Allora era stato facile sparare sentenze sulla facoltosa americana che di elicotteri ne aveva noleggiati addirittura due: uno per tornare a Kathmandu e l’altro per volteggiarle intorno a filmare la sua salita a bordo e il lungo volo verso la capitale. Adesso, noi stiamo facendo lo stesso.
E vallo a spiegare che in realtà saremmo voluti arrivare a piedi al campo base. Oltretutto ci siamo quasi arrivati…
Figlio del suo tempo, anche per l’alpinismo oggi l’imperativo è essere vincenti e soprattutto – professionisti e dilettanti – incanalati nell’onda inarrestabile della comunicazione mediatica.
Alla ricerca febbrile del successo e con la paura viscerale del fallimento, viviamo ossessionati dagli exploit. Per farcela abbiamo due vie: o alzare ogni volta l’asticella delle performance – sempre più sportive – oppure trasformare salite “normali” in imprese spettacolari nonostante l’uso – e spesso l’abuso – di bombole d’ossigeno, corde fisse, climbing sherpa, elicotteri: tutto ciò che può servire in nome del risultato.
Ed ecco allora il fiorire, accanto alle vere imprese, di exploit gonfiati ed eufemismi per imbellettare la mediocrità e dare una parvenza di solidità all’aria fritta.
Nostalgici fuori moda, io e Romano abbiamo scelto un alpinismo il più possibile leggero ed essenziale: in piccoli gruppi autonomi – spesso noi due soli – senza bombole d’ossigeno, senza portatori d’alta quota, con il campo “in spalla” e le corde fisse solo se necessario.
Non un alpinismo estremo – per quello bisognerebbe essere professionisti, allenarsi e dedicarvisi in maniera esclusiva – e nemmeno turismo d’alta quota; perché in questo tempo vorace noi scegliamo l’economia come valore primo e, spogliati da ogni aiuto esterno e tecnologico, rinunciamo alle certezze.
Nessuno ce lo impone: abbiamo deciso noi la nostra disciplina; perché il modo, il come farlo, conta più del risultato. Quando il fine vale più dei mezzi diventa valida qualunque scorciatoia, ma per noi no, il fine non giustifica i mezzi.
Un alpinismo onesto, lo definirei.
«A piedi non si va, e non ci sono alternative» ribadisce Nima. Discorso chiuso.
È proprio vero: mai dire mai. La fiducia nella nostra lealtà è l’idea più naturale e la più ingenua che abbiamo; ma, a sparare giudizi sugli altri, possiamo star tranquilli che prima o poi ci rimbalzeranno dritti in faccia. E non senza danno.
Forse è questo che m’innervosisce, mentre i paesani stanno lì in attesa dello spettacolo. So bene che non gliene frega niente di me e che la questione non è di vitale importanza, ma l’avere infranto la nostra regola mi fa sentire additata.
Alle 9 scattiamo come centometristi: da fondovalle sale il rombo di un elicottero. Nero dai pattini alla coda, sembra un pipistrello. Con una stretta virata si appoggia a terra in un vortice di aria e polvere.
Falso allarme, non è il nostro.
A bordo c’è una coppia che, dopo una sosta di rifornimento carburante, salirà al campo base per una cerimonia in ricordo del figlio, morto sotto una valanga qualche anno fa.
Passa mezz’ora e di nuovo un falso allarme; questa volta è un trasporto di materiale per il villaggio.
Voli turistici, voli cargo, voli di soccorso: i cieli nepalesi sono trafficati come autostrade. Comprensibile, vista la scarsità e la precarietà della rete viaria; ma per noi villeggianti che senso ha? Vogliamo l’ebbrezza delle terre lontane, senza perdere troppo tempo e con il minor dispendio energetico possibile. Al campo base dell’Everest, nella stagione passata, ci hanno raccontato di decine di voli giornalieri.
E, ahimé, fra questi adesso ci siamo anche noi!
Terminato di sistemare i carichi, Bhakta e Sonam si sono seduti a riposare.
Bhakta lo conosciamo da quand’era un ragazzino brufoloso; era il 2008 ed eravamo al Manaslu. Allora era lui a far da aiutante a Prem, cuoco e amico di tante spedizioni, morto nell’immane tragedia del terremoto del 2015.
Da quella prima volta ci siamo ritrovati su altre due montagne: al Kangchendzonga nel 2012 e al Makalu lo scorso anno.
Negli anni, oltre ad aver sconfitto l’acne, ha imparato il mestiere e fatto carriera: ora è lui il capo. Ray-Ban e mani piantate sui fianchi, gira lo sguardo flemmatico a controllare che tutto sia in ordine.
È uno di pochi convenevoli, e quando ha un attimo di tempo libero ascolta musica e smanetta col telefonino. Si vede che gli vanno strette le regole dei vecchi: si rivolge a noi chiamandoci per nome e rottamando la maniera dei colleghi anziani che ancora usano didi e dai, “sorella” e “fratello maggiore”.
Sonam lo conosciamo adesso. Piccolo e robustino, ha i capelli scuri e il viso senza rughe; difficile dargli un’età, forse è intorno alla trentina. È alla sua prima esperienza da kitchen-boy, l’aiutante cuoco addetto alla manovalanza. Andare a prendere l’acqua, pelar patate, lavare i piatti, servire a tavola: questi sono alcuni dei suoi compiti.
Dai modi gentili, non ha la confidenza e la sicurezza di Bhakta, e nemmeno dimestichezza con usi e costumi in spedizione; non sapendo come fare, quando si rivolge a me con un sorriso timido mi chiama “Sir”.
Poco dopo le 11 ha inizio lo spettacolo.
Con un’intrepida virata arriva l’elicottero e, nel turbinio di aria e polvere, carica i nostri due della brigata di cucina. Dopo un quarto d’ora è già di ritorno, adesso è la volta del materiale. Per ultimi tocca a noi.
Con un balzo l’elicottero è sopra il villaggio.
Vola alto sui pendii intarsiati di terrazze, seguendo il corso del torrente che gira tortuoso per il fondovalle; poi prosegue a est, lungo una valletta dalle ripide pareti boscose.
Il tempo di lanciare uno sguardo al pilota e il paesaggio è già cambiato; adesso a dominare è il grigio ocra delle morene, punteggiato qua e là dall’azzurro slavato dei laghetti di ghiaccio.
E finalmente, eccola: l’Annapurna.
Lo sguardo si spalanca sul bianco smisurato della montagna. Riconosciamo il fiume tormentato di ghiaccio che sgorga ai suoi piedi. Poi il plateau a cinquemila metri, inciso di crepacci come la tela di un ragno. Più su la seraccata ridondante di rocce e ghiacci che sale ai settemila metri della Falce. E, infine, il lungo pendio regolare che sfocia nel bianco delle nuvole.
Uno spettacolo emozionante.
Con i suoi 8091 metri, questa montagna è la decima fra le più alte della Terra, ma è una delle più complesse e pericolose. Fu il primo ottomila a essere conquistato – nel 1950, dalla memorabile spedizione francese guidata da Maurice Herzog – ma a tutt’oggi conta poche salite e un gran numero di persone morte nel tentativo di farlo.
Secondo l’Himalayan Database, la Bibbia virtuale per gli “himalaysti”, fino all’autunno del 2016 in duecentocinquantacinque ne hanno raggiunto la cima, e settantuno vi hanno perso la vita.
Dal 1953, anno della prima salita, in cima all’Everest – la montagna più alta della Terra – di persone ne sono arrivate oltre settemilaseicento e quasi duecentonovanta sono morte. È vero che con 8848 metri di altezza il Tetto del Mondo è la vetta più ambita, la vetrina più alta della Terra. In fin dei conti, come dice Romano: «Se uno vuol farsi notare basta che faccia l’alpinista, o l’esploratore, o qualunque attività somigli a qualcosa di avventuroso». Quindi stare sulla cima più alta che esiste è pur sempre un buon modo per farsi notare da un gran numero di nostri simili.
Ma una differenza così abissale la dice lunga sul caratteraccio dell’Annapurna e sulla sua fama funesta: una montagna complessa, pericolosa, e per questo non addomesticabile per il turismo d’alta quota. Almeno finora.
«Uh, hai visto?» Romano è elettrizzato, continua a sgomitare e indicarmi di qua e di là.
È vero che volevamo arrivare coi nostri piedi al campo base, ma è così entusiasta di volare che ha gli occhi sgranati di un moccioso col giocattolo nuovo.
A lui piacciono i motori e la tecnologia, ma soprattutto gli piace sognare; e «se in sogno voli con la mente, in elicottero lo fai per davvero!».
Per spiegarsi meglio aggiunge: «Non come l’aereo, che ti sposta da un aeroporto all’altro. In elicottero sei libero di andare proprio là dove ti porta lo sguardo».
Immobile al suo fianco, io sono un pesce fuor d’acqua.
Nel frastuono della ferraglia muovo soltanto gli o...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. L’ultima dea
  4. La scrittura della montagna: 1° aprile 2017, ore 9
  5. L’era dell’impazienza: 2 aprile, campo base
  6. Il superfluo e l’indispensabile: 3 e 5 aprile
  7. Sospesa come dentro una bolla: 8 aprile
  8. La banda dei gracchi: 9 aprile
  9. L’invisibile porta d’accesso all’Annapurna: 10-11 aprile
  10. Non siamo più soli: 12 aprile
  11. Il vento della paura: 16 aprile
  12. Il corvo timido: 17-18 aprile
  13. Turisti d’alta quota: 20 aprile
  14. Avanti in mezzo alla neve: 24-26 aprile
  15. Altri sei giorni al campo base: 27 aprile-2 maggio
  16. Gli alpinisti, gente strana: 27 aprile-2 maggio
  17. Respinti in malo modo: 3-4 maggio
  18. Attesa e ancora attesa: 5-6 maggio
  19. La nostra scalata d’altri tempi : 7-10 maggio
  20. Verso la cima: 11 maggio
  21. L’ultima prova: 12-13 maggio
  22. A ringraziare la dea: 14 maggio
  23. Kathmandu: 19 maggio
  24. Inserto fotografico
  25. TATOPANI
  26. 1° APRILE, CAMPO BASE
  27. PRIME SCALATE
  28. QUINTA SALITA: 24-26 APRILE
  29. SESTA SALITA E CAMPO BASE: 1-3 MAGGIO
  30. 8 MAGGIO: DA CAMPO 1 A QUOTA 6350
  31. 8 E 9 MAGGIO: DA 6350 A 6780 CIRCA
  32. 10 MAGGIO: DA 6780 A 7150 CIRCA
  33. 11 MAGGIO: VERSO LA CIMA
  34. 12 MAGGIO: DISCESA
  35. Copyright