Il coraggio che ci serve
eBook - ePub

Il coraggio che ci serve

  1. 434 pagine
  2. Italian
  3. ePUB (disponibile sull'app)
  4. Disponibile su iOS e Android
eBook - ePub

Il coraggio che ci serve

Dettagli del libro
Anteprima del libro
Indice dei contenuti
Citazioni

Informazioni sul libro

La pubblicazione de La Rabbia e l'Orgoglio, dopo l'11 settembre, generò un dibattito senza precedenti, divenendo subito un caso mondiale, accolto con clamore sia in Italia che all'estero. Due anni dopo usciva La Forza della Ragione che, ripartendo dai temi sollevati dal primo libro, approfondiva il rapporto tra Occidente e Islam con la veemenza propria della scrittrice fiorentina. Per la prima volta in un volume unico i due libri che hanno mostrato le contraddizioni di quell'Occidente che si sentiva al sicuro da tutto, e che invece assisteva al crollo delle proprie certezze. Due testi imprescindibili per comprendere gli eventi che hanno deciso il corso degli anni a venire. Con la visione profetica della sua scrittura e la forza delle sue parole la Fallaci non può lasciare indifferenti, e scuote le coscienze di tutti noi.

Domande frequenti

È semplicissimo: basta accedere alla sezione Account nelle Impostazioni e cliccare su "Annulla abbonamento". Dopo la cancellazione, l'abbonamento rimarrà attivo per il periodo rimanente già pagato. Per maggiori informazioni, clicca qui
Al momento è possibile scaricare tramite l'app tutti i nostri libri ePub mobile-friendly. Anche la maggior parte dei nostri PDF è scaricabile e stiamo lavorando per rendere disponibile quanto prima il download di tutti gli altri file. Per maggiori informazioni, clicca qui
Entrambi i piani ti danno accesso illimitato alla libreria e a tutte le funzionalità di Perlego. Le uniche differenze sono il prezzo e il periodo di abbonamento: con il piano annuale risparmierai circa il 30% rispetto a 12 rate con quello mensile.
Perlego è un servizio di abbonamento a testi accademici, che ti permette di accedere a un'intera libreria online a un prezzo inferiore rispetto a quello che pagheresti per acquistare un singolo libro al mese. Con oltre 1 milione di testi suddivisi in più di 1.000 categorie, troverai sicuramente ciò che fa per te! Per maggiori informazioni, clicca qui.
Cerca l'icona Sintesi vocale nel prossimo libro che leggerai per verificare se è possibile riprodurre l'audio. Questo strumento permette di leggere il testo a voce alta, evidenziandolo man mano che la lettura procede. Puoi aumentare o diminuire la velocità della sintesi vocale, oppure sospendere la riproduzione. Per maggiori informazioni, clicca qui.
Sì, puoi accedere a Il coraggio che ci serve di Oriana Fallaci in formato PDF e/o ePub, così come ad altri libri molto apprezzati nelle sezioni relative a Storia e Donne nella storia. Scopri oltre 1 milione di libri disponibili nel nostro catalogo.

Informazioni

Editore
BUR
Anno
2018
ISBN
9788858695050
Argomento
Storia

LA FORZA DELLA RAGIONE

Ai Lettori

Tre mesi fa dedicai questo libro ai morti di Madrid. Da allora l’elenco degli occidentali assassinati dai nemici della nostra civiltà s’è molto arricchito. Quella dedica va dunque estesa.
La estendo a Nick Berg, l’agnello decapitato col coltello della macellazione halal dalle Brigate Verdi di Maometto. Una delle barbare bande che i falsi pacifisti cioè i collaborazionisti, i traditori, rispettano e sostengono e definiscono “guerriglieri della Resistenza irachena”. La estendo a Paul Johnson, l’ingegnere decapitato nel medesimo modo a Riad dalla squadra saudita di Al Qaida. La estendo a Kim Sun, l’interprete sudcoreano decapitato nel medesimo modo dalla medesima gente. La estendo al giornalista Daniel Pearl, una delle prime vittime della loro ferocia, anche lui decapitato. La estendo a tutti gli altri cittadini americani, inglesi, canadesi, danesi, francesi, polacchi, tedeschi, giapponesi, russi, coreani, turchi, ogni giorno rapiti in Iraq e spesso sgozzati come maiali poi abbandonati sul ciglio d’una strada come spazzatura. La estendo ai Marines i cui cadaveri vengono mutilati, straziati, poi esibiti a pezzi mentre la marmaglia devota a Bin Laden e a Saddam Hussein esulta di gioia e divertimento. E tutto questo senza che i falsi pacifisti esprimano lo sdegno espresso dalle persone civili per le nequizie avvenute nel carcere di Abu Graib.
La estendo a tutte le creature che i figli di Allah massacrano con i loro kamikaze, i loro attentati, la estendo a tutte le future vittime della loro ferocia. La estendo ovviamente ai nostri morti di Nassiriya, ai soldati italiani che i professionisti del cinismo e della menzogna chiamano “truppe di occupazione”. La estendo al marò Matteo Vanzan, caduto difendendo la sua caserma attaccata. La estendo al cuoco Antonio Amato, dalle barbare bande ucciso perché esercitava il suo mite mestiere in Arabia Saudita. La estendo all’ex fornaio Fabrizio Quattrocchi che umiliando la codardia dei traditori nostrani affrontò i suoi carnefici dicendo: «Ora vi faccio vedere come muore un italiano». E il cui corpo venne abbandonato ai cani che lo divorarono fino a renderlo irriconoscibile. Quel Fabrizio Quattrocchi al quale, per le sue idee politiche, idee da me combattute tutta la vita ma con cui non pochi deputati siedono in Parlamento, le nostre pavide istituzioni negarono i funerali di Stato e perfino la camera ardente che in Campidoglio viene offerta ai defunti attori del cinema. Quell’eroico figlio del popolo alle cui esequie il presidente della Repubblica e il sindaco diessino della sua città non parteciparono. I familiari dei tre ostaggi catturati insieme a lui, nemmeno. Qualche rappresentante della Sinistra, lo stesso. Sicché ciò che doveva essere il ringraziamento della Patria finì gestito dai mammasantissima dell’altra sponda.
La estendo anche agli ottocentomila italiani che nonostante il tacito veto delle mortadelle al potere in questi tre mesi hanno comprato il libro e mi hanno letto alla luce del sole. Non nel buio delle catacombe, del vile silenzio che nasce dal terrorismo intellettuale, della paura con cui il nuovo fascismo dipinto di rosso o di nero o di verde o di bianco o di arcobaleno lava i cervelli e spenge le coscienze. La estendo a chiunque in buona fede vegeti nella cecità, nella sordizie, nell’ignoranza, nell’indifferenza ma è pronto a svegliarsi per ritrovare un po’ di buon senso. Un po’ di ragione. Con la ragione, un po’ di coraggio. Col coraggio, un po’ di dignità.
Cosa di cui avremo molto bisogno. Sempre più bisogno perché la guerra che ci è stata dichiarata monta di ora in ora. E ci aspettano giorni ancora più duri.
Oriana Fallaci
giugno 2004
«Dilagano i Danai per la città sepolta nel torpore e attraverso le porte spalancate accolgono altre truppe che si uniscono ai complici drappelli.»
(Virgilio, Eneide. L’incendio di Troia)

PROLOGO

Uomo piccante e mordace, esperto in difficili Scienze e dai giovani colti assai amato, dall’istesso Papa Giovanni ammirato e stimato ma dai nemici invidiosi assai odiato, nel 1327 Messer Francesco da Ascoli meglio noto come Mastro Cecco scrisse un polemico saggio che chiamò «Sfera Armillare». Saggio ove parlando de’ tempi suoi sostenea cose tanto malgradite all’Inquisizione quanto care al popolo savio e ai savi allievi della Scuola Filosofica da lui aperta in Firenze. E giacché ciò non piacea al Duca di Calabria che oltre ad esser Signore della città era il primogenito di Roberto d’Angiò re di Napoli, e ancor meno piacea al suo primo ministro che oltre ad essere Monaco Conventuale era vescovo d’Aversa, il reo fue arrestato. Fue portato nelle carceri fiorentine del Sant’Uffizio e assegnato a tal Fra’ Accursio dell’Ordine de’ Predicatori, per apostolica incombenza Grande Inquisitore della Provincia Toscana. Da gente che non volea o non dovea o non potea intenderne le proposizioni la «Sfera Armillare» fue adunque esaminata e giudicata libro empio, profano, indecente, abbietto, contrario alla fede ortodossa, composto a suggerimento del Diavolo, infetto della più perniciosa eresia. E quale iniquo stregone Mastro Cecco venne sottoposto per vari mesi alle più rigorose torture nonché pungolato a riconoscere le sue colpe e abiurare i suoi errori. Ma invano. Ad ogni sevizia ei rispondea che non trattavasi di colpe o errori. Che quelle cose le avea dette, le avea scritte, le avea insegnate, perché eran vere e perché ci credea.
Fue così che il 20 settembre 1328 lo portarono alla Chiesa di Santa Croce per l’occasione apparata a lutto. Lo misero sopra un eminente palco a bella posta eretto e alla presenza d’un volgo innumerevole, di innumerevoli autorità, innumerevoli dottori e consultori del Sant’Uffizio, gli lessero il compendio del processo. Gli elencaron tutte le empietà del polemico saggio e di nuovo gli chiesero se volesse pentirsi, abiurare, salvare in extremis la vita. Ma di nuovo ei rifiutò. Di nuovo rispose che quelle cose le avea dette, le avea scritte, le avea insegnate perché erano vere, perché ci credea. E allora Fra’ Accursio lo dichiarò eretico recidivo nonché irriducibile, una ruina per sé e per gli altri, una mala pianta da estirpare. Invocata la grazia di Dio e dello Spirito Santo lo condannò ad essere bruciato vivo assieme col malefico libretto più gli altri colpevoli scritti che avea dato alle stampe. Poi ordinò che le copie in possesso dei cittadini gli fossero tosto recapitate per venir distrutte entro quindici dì, aggiunse che chiunque le avesse tenute o financo occultate sarebbe stato colpito da scomunica nonché punito con castighi corporali spirituali pecuniari, e fece scendere il reo dal palco. Gli fece indossare il crudele sambenito ossia la veste coi diavoli dipinti. Gli fece mettere in capo una farsesca mitra a pan di zucchero e scalzo lo consegnò a Messer Jacopo da Brescia, esecutore di Giustizia e vicario del Braccio Secolare.
La sentenzia fue eseguita dopo la sfilata del corteo previsto per ogni supplizio, e si svolse fuori di Porta alla Croce ove era stato innalzato un lungo palo nonché gran quantità di legname. Sul legname, tutte le copie della «Sfera Armillare» e degli altri volumi che s’eran potuti rintracciare. Con somma intrepidezza, sdegnosamente compiangendo l’ignoranza e la bigotteria e la tartuferia e il manco della Ragione dentro cui la sua epoca vivea, Mastro Cecco si lasciò legare al palo. E in breve tempo bruciò. Si incenerì come carta assieme ai suoi libri. Ma il suo pensiero rimase.
(Nota d’Autore. Racconto ricostruito sulle cronache dell’Inquisizione in Toscana redatte dall’abate Modesto Rastrelli e nel 1782 pubblicate dall’editore Anton Giuseppe Pagani in Firenze. Il linguaggio riproduce lo stile dell’abate che a sua volta si esprimeva con termini in uso al tempo di Mastro Cecco ma validi ancor oggi. Anche i fatti, del resto, sono in sostanza gli stessi).
Sono trascorsi oltre due anni dal giorno in cui come una Cassandra che parla al vento pubblicai La Rabbia e l’Orgoglio. Quel grido di dolore che i Fra’ Accursio definirono empio, profano, indecente, abbietto, contrario alla fede ortodossa, composto a suggerimento del Diavolo, infetto della più perniciosa eresia. Quel j’accuse che m’inghiottì come la Sfera Armillare aveva inghiottito Mastro Cecco. (Colpevole, anche lui, d’aver detto che la Terra è rotonda. Cioè d’aver stampato le verità che l’ignoranza e la bigotteria e la tartuferia e il manco di Ragione non vogliono mai udire). Oh, a me gli sgherri del Sant’Uffizio non hanno inflitto il tipo di sevizie con cui nel 1327 e nel 1328 straziarono lui. Sebbene in piazza Santa Croce sia stata esposta a pubblico oltraggio, Messer Jacopo da Brescia non mi ha dato alle fiamme (o non ancora) assieme al malefico-libretto e agli altri miei colpevoli scritti. L’Inquisizione s’è fatta furba, si sa. Oggi dichiara d’esser contro la pena di morte, alle torture del corpo preferisce quelle dell’anima, e invece delle tenaglie o delle corde o delle mannaie usa ordigni incruenti. I giornali, la radio, la Tv, l’editoria. Invece delle carceri gestite dal Sant’Uffizio, gli stadi e le piazze e i cortei che approfittandosi della libertà uccidono la Libertà. Invece delle tonache col cappuccio, i djellaba e i chador e le tute degli arcobalenisti che si definiscono pacifisti, nonché i completi grigi e le cravatte dei loro burattinai. (Deputati, senatori, scrittori, sindacalisti, giornalisti, banchieri, accademici, prelati. I membri del Sant’Uffizio, insomma. I Fra’ Accursio al servizio del Potere alleato con un anti-Potere che è il vero Potere). In parole diverse, ha cambiato volto. Ma la sua essenza è rimasta inalterata. E se scrivi che la Terra è rotonda, sta’ certo: diventi subito un fuorilegge. Un Barabba, un Mastro Cecco.
So che a dirlo posso apparire ingrata. E in un certo senso lo sono. L’inferno che quel Sant’Uffizio rovesciò sulla mia Sfera Armillare mi ha portato anche tanto amore. Rispetto, gratitudine, amore. In Francia, ad esempio, un sito aperto con la sigla «thankyouoriana» accumulò in un anno cinquantaseimila messaggi di ringraziamento provenienti anche da paesi nei quali non ero stata tradotta nella lingua locale. Dalla Bosnia, ad esempio. Dal Marocco, dalla Nigeria, dall’Iran. (Thankyouoriana firmati soprattutto da donne mussulmane che vivono sotto il giogo della Sharia, inutile sottolinearlo). A Mosca il direttore d’una fabbrica di prodotti chimici ne fece un’abusiva traduzione (in Russia non era stato ancora pubblicato) e con questa una serie di letture ad alta voce per i suoi impiegati, i suoi operai. In America alcuni giornali mi dedicarono elogi quasi imbarazzanti. Il «New York Post» mi definì, ad esempio, «l’eccezione di un’epoca in cui onestà e chiarezza morale non sono più considerate virtù preziose». E allo stesso giornale un lettore di Miami scrisse: «Il libro della Fallaci mi ricorda lo “Step by Step” (il Passo a Passo) di Winston Churchill. Cioè l’appello col quale Churchill rimproverò all’Europa l’inerzia che mostrava verso Hitler e Mussolini» (e a causa del quale i suoi avversari laburisti gli dettero di guerrafondaio, aggiungo io). Uno di New York aggiunse: «A quel che sembra, l’unico intelletto eloquente che l’Europa abbia prodotto dacché Winston Churchill tenne il famoso discorso sulla Cortina di Ferro è la Fallaci. Il suo giudizio sull’Islam radicale è ineccepibile». Quanto alle lettere affettuose dei francesi, dei tedeschi, degli spagnoli, degli olandesi, degli ungheresi, degli scandinavi, non le conto più. E quelle degli italiani riempiono cinque scatoloni. Una, non lo dimenticherò mai, dice: «Grazie d’avermi aiutato a capire le cose che pensavo senza rendermi conto che le pensavo». Un’altra dice: «Due anni fa mi lasciai influenzare dal linciaggio che le cicale avevano scatenato contro di Lei. Insomma Le detti torto. Ma fui ingiusto. I fatti Le hanno dato, Le danno, ragione. Ed ora anch’io brucio di rabbia e d’orgoglio». Ma ciò non mi consola. O non nella misura in cui dovrebbe. Perché se penso a chi la pensa come me, l’orizzonte s’allarga. E le vittime dell’ignoranza, della bigotteria, della tartuferia, del manco-di-Ragione diventano una moltitudine. Ben più di quante il Sant’Uffizio del passato ne sacrificò. L’Inquisizione non colpisce gli scrittori e basta. Il fraccursismo è un modo di vivere, ormai. Un modo di giudicare. E nelle cattive democrazie fiorisce con particolare facilità. In Italia, dove partorì il suo figlio prediletto e cioè il fascismo, con particolare virulenza. Guardati attorno: in ogni casa, ogni ufficio, ogni scuola, ogni fabbrica, ogni luogo di lavoro o di studio c’è un Mastro Cecco o una Mastra Cecca che in un modo o nell’altro e in una maniera o nell’altra subisce le sevizie che in questi due anni ho subìto io.
Quali sevizie? Bè, elencarle mi ripugna. Rinnova la nausea e rischia di trasformare il discorso in un caso personale. Ma, se le taccio, chi non sa non capisce. Quindi, e sia pure a volo d’uccello, ecco qua. Promesse di morte, per incominciare. Urlate o sussurrate, telefonate o scritte o stampate. Quest’ultime, su lerci libelli diffusi nelle comunità islamiche e che oltre a diffamare la memoria del mio amatissimo padre (le offese ai defunti sono oltretutto proibite per legge) spronano i fratelli-mussulmani a uccidermi in nome del Corano. (Per l’esattezza, in nome di quattro versetti dai quali risulta che, prima di venir giustiziata, una cagna-infedele del mio tipo deve essere spogliata ed esposta a indicibili offese). Ributtanti articoli nei quali le diffamazioni colpiscono un altro uomo da me molto amato ed anche lui morto, Alekos Panagulis. Cocenti ingiurie pubblicate con uguale compiacimento da giornali di Destra e di Sinistra. «Or-Jena Fallaci», «Talibana Fallaci», «Fuck-you-Fallaci». (Su un giornale di Estrema Sinistra, il «Fuck-you-Fallaci» a lettere cubitali ed estese sull’intera pagina). Oscenità scritte sui muri delle strade («Oriana puttana») e sui cartelli degli arcobalenisti che si definiscono pacifisti. Striscioni dove vengo invitata a disintegrarmi col prossimo shuttle che scoppia al rientro nell’atmosfera. Conduttori televisivi che durante la trasmissione dipingono grotteschi baffi sulla mia fotografia e poi, da veri gentiluomini, se ne vantano annunciando che domani ripeteranno l’audace gesto… Senatori e senatrici che nelle mie idee vedono un disturbo neurologico dovuto alla mia non verde età e che in puro stile bolscevico suggeriscono di chiudermi in una clinica psichiatrica. Imitatrici senza intelligenza e senza civiltà che calzando un elmetto uguale a quello da me portato in Vietnam mi danno di guerrafondaia o irridono la mia malattia con botta e risposta crudeli. «Ti venisse un cancro!» «Ce l’ho già.» Spregevolezza, questa, avvenuta nel novembre del 2002 ossia quando l’anti-Potere che è il vero Potere fece la Marcia su Firenze. (Voglio dire il mussolinesco spettacolo di forza durante il quale i cosiddetti pacifisti avevan promesso di imbrattare con vernice indelebile i monumenti, le opere d’arte, sicché dalle cosiddette autorità ero riuscita a ottenere che l’accesso al Centro Storico gli fosse proibito e poi avevo scritto un articolo per invitare i fiorentini a esprimere il loro sdegno abbassando le saracinesche o chiudendo le finestre). Del resto fu proprio in quell’occasione che, seicentosettantaquattro anni dopo il rogo di Mastro Cecco, risuonò in Firenze il grido: «Bruciamo i suoi libri, facciamo un falò coi suoi libri». Fu proprio dinanzi alla basilica di Santa Croce, ed esattamente sul sagrato dove Fra’ Accursio aveva letto la condanna a morte di Mastro Cecco, che fui esposta al pubblico oltraggio. Istigato, questo, da un vecchio giullare della Repubblica di Salò. Cioè da un fascista rosso che prima d’essere fascista rosso era stato fascista nero quindi alleato dei nazisti che nel 1934, a Berlino, bruciavano i libri degli avversari. Ma qui devo fare una parentesi che riguarda la parola più tradita, più offesa, più violata del mondo. La parola “pace”. Nonché la parola più riverita, più ossequiata, più glorificata. La parola “guerra”.
Parentesi. Signori pacifisti, (ma data la vostra marziale bellicosità dovrei dire signori bellicisti), che cosa intendete quando parlate di pace? Un utopistico mondo nel quale tutti si vogliono bene come sarebbe piaciuto a Gesù che però tanto pacifista non era? («Non crediate ch’io sia venuto a portare la pace sulla Terra. Io non sono venuto a portare la pace. Io sono venuto a portare una spada. Sono venuto a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera», Vangelo di san Matteo, capitolo 10, versi 34-35). E che cosa intendete quando parlate di guerra? Solo la guerra fatta coi carri armati, i cannoni, gli elicotteri, i bombardieri, o anche la guerra fatta con l’esplosivo dei kamikaze in grado d’uccidere tremilacinquecento persone per volta? Lo chiedo anzitutto ai preti e ai prelati della Chiesa cattolica, una chiesa che su questa faccenda è la prima a tenere due pesi e due misure. Che, roghi degli eretici a parte, ci ha insozzato per secoli con le sue guerre. Che di papi guerrieri cioè usi ad ammazzare come Maometto ne ha avuti a bizzeffe. E che con le sue lacrime di coccodrillo, le sue encicliche Pacem in Terris, ora pretende di rifarsi una verginità che neanche i chirurghi plastici di Hollywood riuscirebbero a procurarle. Ma soprattutto lo chiedo agli ipocriti che le bandiere arcobaleno non le sventolan mai per condannare chi la guerra la fa con gli esplosivi dei kamikaze o con le bombe telecomandate dei terroristi non disposti a morire. Lo chiedo ai parolai che in buona o cattiva fede la colpa della guerra la rovesciano sugli americani e basta, sugli israeliani e basta. E che senza saperlo (perché sono pure ignoranti) plagiano l’insensatezza di Kant.
Nel 1795 Emanuele Kant pubblicò un demagogico saggio dal titolo Progetto per la Pace Perpetua. Demagogico perché, senza alcun rispetto per la storia dell’Uomo e pei fatti che aveva sotto gli occhi, sosteneva che a scatenare le guerre sono le monarchie e basta. Ergo, soltanto le repubbliche posson portare la pace. E proprio nel 1795 la Francia repubblicana, la Francia della Rivoluzione Francese, la Francia che aveva ghigliottinato Louis XVI e Marie Antoinette quindi abolito la monarchia, stava combattendo contro le monarchie d’Austria e di Prussia una guerra che tre anni prima lei stessa aveva dichiarato. Stava combattendo anche la guerra in Vandea cioè la fratricida vendetta che la Rivoluzione aveva scatenato contro i cattolici e i monarchici (per lo più contadini o boscaioli, bada bene) della Vandea. E a Parigi l’uomo che in nome del Liberté-Égalité-Fraternité avrebbe portato la guerra in tutte le contrade d’Europa più in Egitto più in Russia, cioè l’allora super-repubblicano Napoleone Bonaparte, debuttava per conto del Direttorio nel mestiere di generale cioè reprimeva l’insurrezione filomonarchica. Perbacco, è da allora che gli opportunisti scopiazzano il pacifismo a senso unico di Kant e intanto ricorrono alla guerra con sfacciata disinvoltura. Magari sbandierando il Sol dell’Avvenir. Perché una rivoluzione è una guerra, cari miei. Una guerra civile cioè ancor più crudele d’una guerra normale, e nella storia dell’Uomo tutte le rivoluzioni sono state guerre civili. Tanto per andar sul recente, pensa a quella che chiamiamo Rivoluzione Russa o a quella che chiamiamo Rivoluzione Cinese. Pensa alla Guerra Civile in Spagna. Pensa alla guerra in Vietnam che in ogni senso fu una guerra civile, e chi non lo ammette è un disonesto o un cretino. Pensa alla guerra in Cambogia che fu esattamente lo stesso. Pensa alle carneficine con cui i paesi africani si autodistruggono da decenni. Pensa infine alla guerra civile (moralmente una guerra civile) che buona parte degli occidentali conducono contro l’Occidente…
Platone dice che la guerra esiste ed esisterà sempre perché nasce dalle passioni umane. Che ad essa non ci si sottrae perché è insita nella natura umana cioè nella nostra tendenza alla collera ed alla prepotenza, nella nostra ansia d’affermarci ed esercitare predominio anzi supremazia. E senza dubbio dice una cosa giusta. A pensarci bene, ogni nostro gesto è un atto di guerra. Ogni nostra azione quotidiana è una forma di guerra che esercitiamo contro qualcuno o qualcosa. La rivalità professionale e politica, ad esempio, è una forma di guerra. La contesa elettorale è una forma di guerra. La competizione in tutti i suoi aspetti è una forma di guerra. Le gare sportive sono una forma di guerra. E certi sport sono un’autentica guerra. Incluso il gioco del calcio che non ho mai amato perché guardare quei ventidue giovanotti che si ruban la palla e per rubarsela si prendono a gomitate pedate stincate, si fanno male, mi disturba profondamente. E non parlarmi del pugilato o peggio ancora del wrestling. Lo spettacolo di due uomini che si picchiano, si spaccano il naso e la bocca, si slogano le braccia e le gambe, si torcono il collo, m’inorridisce. Tuttavia Platone sbaglia a dire che la guerra nasce dalle passioni umane, che la guerra la fanno gli uomini e basta. Un leone che insegue una gazzella, la addenta alla gola, la sbrana, compie un atto di guerra. Un uccellino che piomba su un verme, lo afferra col becco, lo divora vivo, compie un atto di guerra. Un pesce che mangia un altro pesce, un insetto che mangia un altro insetto, un gamete che rincorre un altro gamete, compie un atto di guerra. E un’ortica che invade un campo di grano, lo stesso. Un’edera che avvolge un albero, lo soffoca, idem. La guerra non è una maledizione insita nella nostra natura: è una maledizione insita nella Vita. Non ci si sottrae alla guerra perché la guerra fa parte della Vita. Ciò è mostruoso, ne convengo. Così mostruoso che il mio ateismo deriva principalmente da questo. Cioè dal mio rifiuto d’accettare l’idea d’un Dio che ha inventato un mondo dove la Vita uccide la Vita, mangia la Vita. Un mondo dove per sopravvivere bisogna uccidere e mangiare altri esseri viventi, siano essi un pollo o un’arsella o un pomodoro. Se tale esigenza l’avesse concepita davvero Dio creatore, dico, si tratterebbe d’un Dio ben cattivo.
Però non credo nemmeno al masochismo del porgere l’altra guancia. E se un’ortica m’invade, se un’edera mi soffoca, se un insetto mi avvelena, se un leone mi morde, se un essere umano mi attacca, io combatto. Accetto la guerra, faccio la guerra. La faccio con l’arma che m’appartiene, che porto sempre con me, che uso senza riserve e senza timidezze, è vero. Ossia l’arma incruenta dei pensieri espressi attraverso la parola scritta, attraverso le idee e i principii che ci distinguono dagli animali e dai v...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il coraggio che ci serve
  4. La Rabbia e l’Orgoglio
  5. LA RABBIA E L’ORGOGLIO
  6. APPENDICE
  7. La Forza della Ragione
  8. LA FORZA DELLA RAGIONE
  9. APPENDICE
  10. THE FORCE OF REASON. DOCUMENTI ORIGINALI
  11. Copyright