Il viaggiatore
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Il viaggiatore

  1. 288 pagine
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Informazioni sul libro

Pubblicato per la prima volta in Inghilterra nel 1939, Il viaggiatore cade nell'oblio per ottanta anni. Nel 2018 diventa un caso letterario internazionale. Otto Silbermann sta negoziando con un conoscente la vendita del suo elegante appartamento di Berlino quando alla porta di casa risuona un colpo secco seguito da un ordine: «Apri, ebreo» intima una voce. È il 10 novembre 1938, il giorno dopo la Notte dei Cristalli: i pogrom organizzati dal regime nazionalsocialista sono iniziati e Silbermann, ricco e stimato commerciante ebreo tedesco, sguscia fuori dalla porta di servizio, incontrando il suo destino di fuggiasco. «Berlino - Amburgo, pensò. Amburgo - Berlino. Berlino - Dortmund. Dortmund - Aquisgrana. Aquisgrana - Dortmund. E forse sarà sempre così. Adesso sono un viaggiatore. In realtà sono già emigrato, sono emigrato nelle ferrovie del Reich.» Succede proprio questo, Silbermann trascorre una settimana intera sui treni, sa di essere in trappola, ma non gli è possibile fermarsi o smettere di cercare un riparo. Esule in patria, uomo sopraffatto, emblema di tutte le anime rifiutate costrette a soccombere al meccanismo della paura, ora è nient'altro che un «insulto con due gambe». Il viaggiatore è il quadro, realizzato con drammatica lucidità, delle conseguenze della Kristallnacht, il romanzo di un giovanissimo scrittore - Ulrich Boschwitz aveva poco più di vent'anni - che ebbe il dono tragico della preveggenza e descrisse in presa diretta il crollo di ogni legge di umana convivenza. Prima di ogni letteratura sull'Olocausto e prima ancora di ogni Diario, questa è la prima testimonianza letteraria sull'inizio della catastrofe europea del Novecento.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2019
ISBN
9788858695777

1

Becker si alzò, spense il sigaro nel portacenere, si abbottonò la giacca e poi, con fare protettivo, mise la mano destra sulla spalla di Silbermann. «Allora, Otto, stammi bene. Penso che domani sarò già di ritorno a Berlino. Se dovesse succedere qualcosa, telefonami ad Amburgo, d’accordo?»
Silbermann annuì. «Però tu fammi un piacere» lo pregò, «non andare di nuovo a giocare, sei troppo fortunato in amore. E poi i soldi che perdi sono… nostri.»
Becker rise infastidito. «Perché non dici che sono tuoi?» chiese. «Ho mai…»
«No, questo no» si affrettò a interromperlo Silbermann. «Stavo solo scherzando, lo sai. Comunque, che sei un incosciente è vero. Quando cominci a giocare non ti ferma più nessuno, figuriamoci dopo aver incassato un assegno così…»
Silbermann lasciò la frase a metà e poi riprese in tono più tranquillo.
«Ho piena fiducia in te. In fin dei conti sei una persona ragionevole. In ogni caso, ogni marco che lasci sul tavolo da gioco è uno spreco. Ora che siamo soci, i soldi che perdi è come se fossero i miei, e questo non mi piace affatto.»
Il viso largo e bonario di Becker, che per un attimo si era adombrato, tornò a rasserenarsi.
«È inutile girarci intorno, Otto» disse tranquillo. «Se perdo, ovviamente perdo soldi tuoi, perché io non ho il becco di un quattrino.» Ridacchiò.
«Siamo soci» ripeté Silbermann con enfasi.
«Certo» disse Becker tornando serio. «E allora perché mi parli come se fossi ancora un tuo dipendente?»
«Ti ho offeso?» chiese Silbermann. Nel tono della domanda, una lieve ironia si mescolava a un leggero spavento.
«Sciocchezze» lo tranquillizzò Becker. «Due vecchi amici come noi! Tre anni sul fronte occidentale, vent’anni di lavoro, fiducia, solidarietà: amico mio, impossibile che tu mi offenda, al massimo puoi innervosirmi un po’.»
E gli rimise una mano sulla spalla.
«Otto» spiegò con tono solenne. «In questi tempi incerti, in questo mondo confuso, si può fare affidamento su una cosa sola: l’amicizia, la vera amicizia tra uomini! E tu, vecchio mio, lasciatelo dire, tu sì che sei un uomo; un uomo tedesco, non un ebreo.»
«E invece sì, sono proprio un ebreo» disse Silbermann, che conosceva la propensione di Becker per le espressioni vigorose quanto indelicate e temeva che, con quella sua parlantina rude e gioviale, avrebbe perso il treno. Ma Becker aveva uno dei suoi minuti di fervore sentimentale e non intendeva lasciarsi sottrarre neanche un secondo.
«Voglio dirti un’altra cosa» annunciò senza badare al nervosismo dell’amico, al quale già fin troppe volte aveva aperto il cuore: «Io sono nazionalsocialista. Dio mi è testimone che non ti ho mai fatto credere il contrario. Se tu fossi un ebreo come gli altri, un ebreo nel vero senso della parola, voglio dire, magari avrei continuato ad amministrare la tua azienda, ma non sarei mai diventato tuo socio! Io non sono un goi esemplare, me ne guarderei bene, tuttavia sono convinto che in te si nasconda un ariano. Marne, Yser, Somme, quante ne abbiamo passate noi due insieme! Nessuno può venire a raccontarmi che tu…».
«Gustav, così finisci per perdere il treno!» lo interruppe Silbermann, guardandosi intorno alla ricerca di un cameriere.
«Chi se ne frega del treno.» Becker si rimise a sedere dichiarando infervorato: «Voglio farmi un’altra birra con te».
«Per quanto mi riguarda, puoi continuare a bere nella carrozza ristorante» replicò con disappunto l’altro, battendo il pugno sul tavolo. «Ora devo presentarmi all’udienza.»
Becker sbuffò risentito. «Come vuoi tu» rispose, poi aggiunse conciliante: «Se fossi antisemita, difficilmente accetterei senza fiatare questo tono da caserma. Anzi, non lo accetto proprio! Da nessuno! Tranne te».
Si alzò di nuovo e ridendo prese la ventiquattrore poggiata sul tavolo. «E uno così pretende di essere un ebreo.» Scosse la testa con finto stupore, salutò un’altra volta Silbermann con un cenno e uscì dalla sala d’attesa della prima classe.
L’amico lo seguì con lo sguardo. E constatò preoccupato che, camminando, Becker barcollava leggermente, urtava contro i tavoli e si teneva in piedi a fatica, come sempre quando era sbronzo fradicio.
Non fa per lui, pensò Silbermann. Avrebbe dovuto continuare a fare l’amministratore. È stato un amministratore affidabile, onesto e discreto, un ottimo dipendente. Ma la fortuna non fa per lui. Speriamo solo che non finisca per mandare l’affare a gambe all’aria. E che non vada a giocare!
«La fortuna ha fatto di lui un incapace» mormorò preoccupato.
Il cameriere arrivò solo allora, un bel pezzo dopo che l’aveva cercato invano con gli occhi.
«Questo posto serve ad aspettare i treni o i camerieri?» chiese con sarcasmo Silbermann, che provava una profonda avversione per la negligenza ed era di umore poco socievole.
«Mi scusi» rispose il cameriere, «un signore seduto in seconda classe era convinto di avere di fronte un ebreo e si è lamentato. Ma non era un ebreo, era un sudamericano, e dato che so un po’ di spagnolo, hanno chiamato me.»
«Va bene, va bene.»
Silbermann si alzò. Le labbra si strinsero in una linea sottile e l’altro fu colpito dallo sguardo severo degli occhi grigi.
Il cameriere tentò di sdrammatizzare. «Non era davvero un ebreo» garantì. Pensava che il cliente fosse un nazionalsocialista particolarmente ligio.
«Queste cose non mi interessano. Il treno per Amburgo è già partito?»
Il cameriere guardò l’orologio appeso sull’uscita per i binari.
«Diciannove e venti» pensò ad alta voce, «il treno per Magdeburgo è in partenza proprio adesso. Il treno per Amburgo parte alle diciannove e ventiquattro. Se si sbriga, riesce ancora a prenderlo. Piacerebbe anche a me correre prima o poi dietro a un treno, ma noialtri…»
Passò il tovagliolo sul tavolo per togliere un po’ di briciole.
«La cosa migliore» disse poi riprendendo l’argomento «sarebbe imporre agli ebrei di portare una fascia gialla intorno al braccio. Perlomeno non si confonderebbero con noi.»
Silbermann lo squadrò. «Lei è davvero così crudele?» chiese piano pentendosi di quelle parole già mentre le pronunciava.
Il cameriere lo guardò come se non avesse capito bene. Era evidentemente sorpreso, ma non insospettito, visto che Silbermann non aveva nessuna delle caratteristiche somatiche che, secondo la dottrina degli studiosi della razza, contraddistinguevano un ebreo.
«A me importa poco» fece l’uomo con aria guardinga. «Ma per gli altri sarebbe un bene. Mio cognato, per esempio, dall’aspetto sembra un po’ un ebreo, ovvio che è un ariano, ma ora non può fare un passo senza doverlo spiegare e dimostrare ogni volta. Alla lunga sarebbe una seccatura per chiunque.»
«Sì, certo che sarebbe una seccatura» concordò Silbermann. Poi pagò il conto e se ne andò.
Da non credere, pensò, semplicemente da non credere.
Uscito dalla stazione, salì su un taxi per tornare a casa. Le strade erano affollate, e notò molte uniformi. Gli strilloni sbandieravano a gran voce i titoli dei giornali che a Silbermann sembravano andare a ruba. Per un attimo aveva preso in considerazione l’idea di comprarne uno anche lui, ma poi aveva rinunciato pensando che le notizie, con ogni probabilità pessime e quasi certamente avverse, sarebbe venuto a saperle comunque di lì a poco.
Dopo una breve corsa, il taxi si arrestò davanti al palazzo dove abitava lui. Ferma sulle scale, la signora Friedrichs, la moglie del portiere, lo salutò garbatamente, e in un certo senso Silbermann fu contento che la donna non avesse cambiato atteggiamento nei suoi confronti. Mentre saliva le scale di marmo coperte da una passatoia di moquette rossa si accorse per l’ennesima volta – negli ultimi tempi quei pensieri erano diventati una consuetudine – di quella sua esistenza quasi irreale.
Vivo come se non fossi ebreo, pensò con stupore. In questo momento sono un cittadino minacciato, è vero, ma sono ancora ricco e finora nessuno mi ha torto un capello. Com’è possibile? Abito in un moderno appartamento di sei stanze. Gli altri mi parlano e mi trattano come se fossi uno di loro al cento per cento. Potrei anche avere dei rimorsi di coscienza e insieme la voglia di spiattellare chiaro e tondo la verità, che sono ebreo, e da ieri un diverso, a tutti quei bugiardi che continuano a fare come se fossi ancora quello che ero. E cos’ero? Anzi, cosa sono? Cosa sono io in realtà? Un insulto con due gambe, che non dà a vedere di essere un insulto!
Non ho più diritti, e molti fanno come se li avessi ancora solo per abitudine o per educazione. Tutta la mia esistenza si basa sulla cattiva memoria di gente che in fondo vuole distruggerla. Mi hanno dimenticato; sono già stato degradato a essere abietto, solo che non è stato ancora reso pubblico.
Silbermann si levò il cappello e, vedendo la moglie del Consigliere segreto Zänkel uscire di casa, la salutò con un «Buongiorno, mia cara signora».
«Come va?» chiese lei cortese.
«Tutto sommato bene. E lei?»
«Mi accontento, grazie. Come può stare una vecchia signora come me.»
Gli porse la mano per salutarlo. «Immagino siano tempi duri per lei» aggiunse con rammarico, «tempi orribili.»
Silbermann si limitò a rispondere con un sorrisetto gentile, cauto e insieme pensieroso, né di critica né di approvazione. «Ci hanno assegnato un ruolo strano» disse infine. «Tutto sommato…»
«Ma deve ammettere che questa è anche una grande epoca» cercò di rincuorarlo lei. «Sta subendo un’ingiustizia, è vero, ma proprio per questo dovrebbe continuare a pensare in modo giusto e comprensivo.»
«Non è chiedere un po’ troppo, mia cara signora?» ribatté Silbermann. «Tanto più che ho proprio smesso di pensare. È un’abitudine che ho abbandonato completamente. Così è più facile sopportare tutto.»
«A lei nessuno farà del male» gli garantì lei, battendo con forza sul gradino l’ombrello che impugnava saldamente nella destra, come se volesse dargli a intendere che non avrebbe permesso a chicchessia di toccarlo con un dito. Poi gli fece un cenno d’incoraggiamento e si avviò.
Appena entrato in casa, Silbermann domandò subito alla cameriera se il signor Findler fosse già arrivato. Lei rispose di sì e lui, dopo essersi tolto in fretta cappello e capotto, entrò nello studio dove l’ospite lo stava aspettando.
Theo Findler era in piedi davanti a un quadro e lo guardava interdetto. Quando sentì aprire la porta, si girò di scatto e rivolse un sorriso all’uomo che stava entrando.
«Ecco!» fece corrugando la fronte in solchi profondi e, immaginava lui, significativi. «Amico mio, come sta? Cominciavo a temere che le fosse successo qualcosa. Non si può mai sapere… Ha riflettuto bene sulla mia ultima offerta? E come sta sua moglie? Oggi non l’ho ancora vista. E così Becker è partito per Amburgo.»
Poi Findler prese fiato, quello era solo l’inizio del suo monologo.
«Siete gente brava e capace, tutti e due! Con voi c’è solo da imparare. Becker ha una...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il viaggiatore
  4. 1
  5. 2
  6. 3
  7. 4
  8. 5
  9. 6
  10. 7
  11. 8
  12. 9
  13. 10
  14. 11
  15. Postfazione del curatore
  16. Copyright