Il medioevo in parlamento
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Il medioevo in parlamento

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Il medioevo in parlamento

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I rapporti tra politica e scienza non sono mai stati facili, ma negli ultimi anni, complici il populismo diffuso e una comunicazione distorta, il divario si è allargato, giungendo spesso fino a negare le ragioni della seconda a favore della prima: su Stamina, sui vaccini, sulla sperimentazione animale e molto altro. Ma la scienza non è democratica, e su questi temi l'opinione comune non si può sostituire alla competenza degli esperti, né le ragioni elettorali alla ricerca scientifica. Lo sostiene con sempre maggior forza la comunità scientifica, impegnata a salvaguardare le ragioni della conoscenza, e lo afferma anche Elena Fattori, senatrice del Movimento 5 Stelle, che spesso ha proclamato con forza le proprie convinzioni ? "Stamina non esiste", "La sperimentazione animale è parte integrante della ricerca scientifica", "Ho espresso un indignato voto contrario" (sullo slittamento dell'obbligo vaccinale) - trovandosi anche in contrasto con una porzione del suo partito. Oggi in questo libro Elena Fattori ricostruisce con chiarezza e onestà il suo percorso, alla luce della sua vita personale e della sua esperienza di scienziata e parlamentare, svelando i retroscena del dibattito politico sui temi scientifici e chiarendo la sua posizione (e la sua opposizione) sulle campagne antiscientifiche che proliferano in Parlamento, a tutela degli interessi della società contro chi vorrebbe riportarla al medioevo. Un intervento sincero, provocatorio e senza filtri di una voce critica che mette la conoscenza e la verità prima di tutto.

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Informazioni

Anno
2019
ISBN
9788858696309
1.

La piccola Sofia, il caso Stamina

La piccola Sofia

La sera il televisore in sala è sempre acceso. Nella confusione della routine familiare la piccola Sofia fa la sua apparizione a casa nostra il 5 marzo 2013 sul programma Le Iene. La trasmissione inizia con il conduttore Giulio Golia che manda in diretta una telefonata di Adriano Celentano che invita a «seppellire di messaggi questo ministro della Salute perché condanna senza pietà una bambina di tre anni». Parole pesantissime contro l’allora titolare del dicastero nel governo Monti, Renato Balduzzi, che attirano subito l’attenzione dello spettatore. Celentano accoglie l’appello della mamma che irrompe in diretta nazionale: «Non è immaginabile avere un dispiacere così». La piccola Sofia da Firenze è affetta da leucodistrofia metacromatica, malattia genetica neurodegenerativa sempre fatale, caratterizzata dall’accumulo di particolari sostanze, i solfatidi, nel sistema nervoso e nei reni. Malattia estremamente crudele perché a esordio nella tarda infanzia, quindi il bimbo sembra sanissimo e comincia a dare segni della patologia solo dopo qualche tempo, nel suo caso a un anno e mezzo di età. Partono dei video della bimba ancora sana che corre per casa chiamando la mamma con voce squillante. Un giorno però, racconta la signora, la piccolina ha cominciato a zoppicare, di lì a sei mesi si è completamente paralizzata e dopo un anno ha perso la vista. Una bimba dalla bellezza struggente ormai immobile e con gli occhi chiusi tra le braccia della madre. Mora e dalla carnagione olivastra, assomiglia un po’ alla mia prima figlia, Erica, e sapere, come dice la Tv, che è condannata da una malattia senza speranza fa stringere il cuore e provoca un senso di smarrimento profondo.
A questa testimonianza dolorosa se ne aggiungono altre: i genitori di Gioele di Marsala e di Celeste di Venezia, affetti da Sma1, l’atrofia muscolare spinale di livello 1, la più grave. Per queste malattie la medicina ufficiale, dice Giulio Golia, non ha nessuna terapia. Le famiglie si sono ribellate perciò all’unica crudele soluzione che viene loro proposta dai medici: un accompagnamento dolce alla morte. La novità strabiliante è che è stata offerta una speranza inedita: una terapia compassionevole a base di cellule staminali. Così i pazienti iniziano una cura sperimentale messa a punto dalla Stamina Foundation del dottor Davide Vannoni e somministrata da una struttura pubblica, gli Spedali Civili di Brescia. Per i bambini le cose cambiano, un miglioramento lieve, dicono i genitori, ma evidente. Il Pm Raffaele Guariniello però ha messo sotto indagine Vannoni e le cure compassionevoli, dopo una visita dei Nas ai laboratori, vengono bloccate dall’Aifa (l’Agenzia italiana del farmaco) e dal ministero della Salute perché potenzialmente pericolose. I genitori non ci stanno e fanno ricorso al Tar e i giudici danno ragione alle famiglie in ventidue casi su ventisei, non considerando valido il blocco. Sofia è uno dei casi isolati che non possono continuare le infusioni, la mamma lancia perciò un appello: «La legge e la salute sono uguali per tutti» e le infusioni devono riprendere anche se il ministero e l’Aifa le considerano pericolose per la salute, dichiara. Celentano si indigna: «Mi domando se le iene, quelle vere, non siano alla Sanità». Altri personaggi si uniscono all’appello: Leonardo Pieraccioni, Gina Lollobrigida, Fiorello. Il mondo dello spettacolo vuole Stamina.
Sono storie terribili che mi colpiscono in profondità ma, come spesso accade, in questi casi si tende a rimuovere la tristezza per non soffrire troppo, pensando «vedrai che si risolverà». La routine continua, le immagini cambiano, la famiglia chiede attenzioni, non c’è tempo di approfondire nelle vite concitate di molti di noi. Sebbene avessi gli strumenti per capire la storia della piccola Sofia, visto che avevo passato buona parte della mia vita in un laboratorio di biologia molecolare, in quel momento avevo altro da fare e comunque, pensavo, non ci potevo fare nulla. Il centro di ricerca dove lavoravo aveva chiuso e avevo trovato impiego in un laboratorio erboristico. In altri tempi, coi colleghi, avremmo discusso di quella storia e avremmo approfondito, ma in quel periodo non frequentavo una comunità scientifica né avevo a disposizione banche dati o motori di ricerca per indagare per cui, nonostante il disagio, non diedi seguito alla vicenda.
Non sapevo che di lì a poco invece la sorte della piccola Sofia e di altri bimbi malati come lei sarebbe dipesa da me e che Stamina, la cura miracolosa menzionata in Tv, sarebbe diventata per me una piccola ossessione di vita.
La mia esistenza tranquilla era stata messa infatti completamente sottosopra pochi giorni prima dalla mia “surreale” elezione a senatore della Repubblica, il 23 febbraio 2013. Dopo la chiusura del centro di ricerca dove avevo lavorato per vent’anni, a metà 2009 mi ero ritrovata a casa per la prima volta nella mia vita frenetica. Avevo dedicato gran parte dell’esistenza e delle energie allo studio e alla ricerca, entrando in laboratorio a vent’anni, passandoci gran parte della giornata (spesso anche i giorni festivi) per uscirne improvvisamente a 43 anni, con tre figli. Una storia semplice: l’azienda americana che finanziava i laboratori aveva deciso di delocalizzare in Cina e in India, cosa che fece senza troppi patemi in pochi mesi. La sensazione fu quella di essere catapultati da un treno in corsa nel bel mezzo della campagna solo con i bagagli a mano e senza una bussola. Inizialmente mi sentii persa, provai a vedere se ci fossero altri treni su cui ripartire per il viaggio nel mondo della ricerca, ma trovare un altro lavoro nel 2009, a 43 anni e con tre figli di cui uno, l’ultimo, con seri problemi di salute, era pressoché impossibile. Aver ricoperto il ruolo di rappresentante Cgil durante la chiusura, con tutti i piccoli e grandi scontri che questo comporta, non aveva aiutato a essere riassunta dall’azienda riconvertita in laboratorio servizi per conto terzi. Il direttore del vecchio Istituto mi aveva comunicato con grande e affettuosa franchezza prima di congedarci: «Lo sai vevo che non tvovevai più lavoro? Ti sei bvuciata col sindacato, pevché non ti stendi sulla Pontina così alzi l’attenzione sulla faccenda?». Aveva l’erre moscia ed era serio e sincero, non stava minacciando né irretendo. Nel mondo della scienza a volte si è un po’ algidi e ci si comunica la realtà con grande franchezza e senza troppi giri di parole. Voleva veramente sollevare l’attenzione sulla questione per vari motivi legati al passaggio di consegne, e il coinvolgimento dei media avrebbe aiutato, ma io non avevo voglia di sdraiarmi sulla pericolosa strada che unisce Pomezia a Roma.
Così, senza grandi speranze di riprendere la vita da ricercatrice, provai a farmi interessare la “campagna” in cui ero stata catapultata: i fiori, le farfalle, l’aria, il tempo che scorre più lento, ovvero la vita casalinga. Pur nel grande impegno che mi davano i miei tre figli di tre, otto e tredici anni, la giornata passava lenta e senza grandi occupazioni a cui agganciare la mente abituata a progettare, valutare, estrapolare anche in tempi piuttosto concitati. Mi dedicavo perciò a calcolare l’orario in cui sorgeva il sole, l’inclinazione dei raggi e le zone di luce e di ombra delle varie parti della casa per sapere dove mettere ad asciugare i panni a un determinato orario. Compravo giornali di ogni tipo e leggevo dalla prima all’ultima pagina, per cui ero aggiornata sugli eventi nazionali dei quali non mi ero mai occupata negli anni chiusa in laboratorio, e analizzavo con attenzione tutte le bollette con tanti numeri interessanti che mi consentivano di fare calcoli e non perdere l’allenamento e, incidentalmente, di far quadrare i conti di un solo stipendio piuttosto strettino per cinque persone.
Fu da una bolletta che partì in maniera del tutto imprevedibile la mia carriera politica. Era quella dell’acqua che, sotto alla cifra da pagare, in caratteri minuscoli, vietava la somministrazione a bimbi al di sotto dei dodici anni e la sconsigliava per quelli dai dodici ai diciotto. Insomma pagavo un’acqua che i miei figli non potevano bere! Da una ricerca capii che l’acqua della mia zona conteneva livelli elevati di arsenico e fluoro, in deroga a una direttiva europea che ne fissava i limiti per la tutela della salute umana. La situazione si protraeva da vari anni e alcune Regioni italiane avevano chiesto diverse deroghe nel tentativo di risolvere la situazione. Da quel giorno cominciai a contattare le varie istituzioni locali per capire cosa stessero facendo per riqualificare la qualità delle acque potabili e come intendessero gestire l’approvvigionamento nelle scuole, visto che la situazione non era stata pubblicizzata né erano stati presi provvedimenti nelle strutture dove pranzavano i più piccini. Iniziai una raccolta firme nelle scuole e incrociai i comitati per l’acqua pubblica. Partimmo poi con la raccolta firme per il referendum in collaborazione con il Meetup Amici di Beppe Grillo del mio paese, che si era impegnato nella questione. Nel frattempo avevo trovato un lavoro part-time in un laboratorio erboristico che mi consentiva di passare una porzione di giornata in un luogo sicuramente diverso da quello ipertecnologico a cui ero stata abituata, ma pur sempre in mezzo a centrifughe, pipette, camera calda, beute e cilindri e una grande quantità di sostanze profumate e colorate.
Nel dicembre 2012, all’inizio del caso Stamina, ero intenta con la mia collega Franca a sperimentare nuove tisane natalizie. La sperimentazione delle tisane è in assoluto tra le più fantastiche attività che mi è capitato di svolgere e consisteva nel preparare tisane con quantità variabili di cannella, liquirizia e cardamomo, assaggiarle e scegliere la versione Natale 2012. Il marito di Franca, per allietarci nell’operazione, ci portava la pizza bianca, così da non essere costrette a ingurgitare infusi a stomaco vuoto. Avevo importato in erboristeria la modalità di gestione del libro di laboratorio che avevo imparato negli anni passati, con tracciabilità di ogni tipo di protocollo sperimentale, operatori coinvolti, orari di inizio e fine, conclusione e commenti. Ammetto che fosse un po’ esagerato per delle tisane e altri preparati erboristici, ma piaceva moltissimo al titolare. La radio sempre accesa ci informava della questione Stamina e con Franca un po’ ne avevamo parlato mentre lavoravamo con una sincronia e una collaborazione senza bisogno di parole che raramente ho sperimentato. Non abbiamo mai avuto bisogno di dirci «Tu fai questo e io quest’altro» perché avevamo un modo di interagire efficace e silenzioso, interrotto solo dai ragionamenti sulle questioni che provenivano dalla radio tra cui, appunto, la storia di una bambina che poteva essere salvata da una nuova cura.
Tra erboristeria, attivismo, volontariato, famiglia e qualche lezione di yoga che impartivo la sera avevo creato un piccolo mondo decisamente interessante e quello rimane nei miei ricordi come uno dei periodi più belli e sereni della vita. Mi candidai persino con una lista del Movimento 5 Stelle alle elezioni comunali nel 2011, il che mi consentì di partecipare alle Parlamentarie dell’autunno 2012, selezione online dei candidati del Movimento in cui, in maniera del tutto imprevedibile, fui votata da qualche centinaio di persone sul blog e mi ritrovai in lista al Senato.
Ai tempi in cui la storia della piccola Sofia cominciava ad assurgere agli onori della cronaca, ovvero inizio 2013, ero quindi nel bel mezzo di una piacevolissima campagna elettorale che si dipanava nelle case di quelli che sarebbero poi diventati deputati, senatori, parlamentari europei, sindaci, consiglieri regionali o comunali. Ma a quel tempo eravamo solo attivisti e volontari che ritenevano del tutto improbabile superare il 7-8 per cento e prendevamo la cosa molto alla leggera. Sinceramente, la gran parte di noi pensava che non avrebbe mai messo piede in Parlamento e si valutava che solo i capilista sarebbero stati eletti, Marta Grande e Federica Daga per la Camera, Fabiola Anitori per il Senato. Le riunioni dei laziali si svolgevano per lo più a casa di Carla Ruocco, dove Alessandro Di Battista cercava di inventarsi idee brillanti a costo zero per colpire la fantasia degli elettori. Del tipo: «A rega’, che ne dite se ci vestiamo tutti di bianco a simboleggiare la purezza dei candidati? Però dobbiamo pure fare qualcosa da mangiare sennò non ci si fila nessuno. Chi ha l’attestato Haccp?». In alternativa eravamo a casa di Dario Tamburrano, che sarebbe diventato di lì a poco parlamentare europeo, dove organizzammo anche una lezione sull’Europa e una sulla Cassa depositi e prestiti con l’intervento di esperti. Un’immagine simpatica nei miei ricordi di quel periodo è quella di un volantinaggio a Velletri in occasione di un “No Slot Day”, a una rotatoria cittadina, con Alessandro Di Battista con la sua giacchetta da peruviano. Cercavamo di convincere i passanti dell’importanza della lotta contro le slot machine e il gioco d’azzardo ma non venivamo considerati granché, così ogni tanto Alessandro provava a bussare sui finestrini delle macchine in coda: «Ehi, le interessa il problema delle slot?» ma gli automobilisti nel migliore dei casi lo ignoravano. Oggi immagino che avrebbe un altro tipo di riscontro ma allora eravamo così, semplici e sconosciuti.

Stamina non esiste

Tutto questo finì il 23 febbraio 2013. Eravamo intenti allo spoglio in una sezione di un seggio di Genzano e il grido “Movimento 5 Stelle!” risuonò fino al 30 per cento delle schede scrutinate, realizzando quello tsunami di voti e quel botto che Napolitano disse di non aver sentito. Io lo sentii molto bene ma al momento rimossi la questione perché era troppo grande per accettarla. Mi ritrovai nella scuola dove si svolgevano le votazioni circondata da persone che si assiepavano per farmi le congratulazioni. «Auguri senatrice» ma io rispondevo: «Non sono senatrice, non sono entrata». Mi chiamò persino la Bbc che non ho la più pallida idea di come avesse avuto il mio telefono, anche se poi mi sono abituata al fatto che tutti i giornalisti che ti vogliono parlare per qualche motivo trovano il tuo numero, non si capisce come. «Congratulation for the election.» «I’ve not been elected» e chiusi la comunicazione.
Andai a casa seguita da festeggiamenti e congratulazioni ma non lo dissi ai miei genitori per due giorni. Un caso psicanalitico di rimozione, immagino. Mia madre mi chiamò perché sentì il mio nome in Tv, ovviamente indignata perché non le avevo comunicato la grande notizia. Poi mi chiamò il Senato per le procedure di registrazione, dopo di che dovetti fare i conti con una realtà molto più grande di me e ammettere che ero entrata a far parte di una storia che non avevo minimamente programmato o sognato, in nessun modo. La prima cosa che provai fu un peso sullo stomaco per quei milioni di italiani che mi avevano affidato qualcosa di preziosissimo, ovvero la loro fiducia, e mi sentivo del tutto inadeguata per reggere quel peso.
Nei giorni seguenti mi misi a studiare. Comprai un libro di diritto costituzionale per capire in cosa consistesse esattamente il mestiere che ero chiamata a fare. Non mi ricordavo assolutamente nulla dei miseri studi di educazione civica del liceo, quindi dovetti rileggere che eravamo una repubblica parlamentare bicamerale perfetta, con 330 membri al Senato che sarebbero stati i miei colleghi e 660 alla Camera. In quel periodo i giornalisti cercavano di mettere in difficoltà i neoeletti del Movimento 5 Stelle facendo domande sugli articoli della Costituzione, per cui ne comprai una piccina da tenere sempre con me, stile Bignami, da aprire al bisogno se intuivo che potesse capitare una domanda insidiosa. Non uscivo senza Costituzione e se la dimenticavo tornavo a casa, un po’ come facevo con il piccolo dizionario di inglese che mi portavo sempre dietro quando ero negli Usa, senza il quale mi sentivo persa. Imparai che il Senato si trovava a palazzo Madama, tracciai il percorso su Google Maps, modalità mezzi pubblici: treno Lanuvio-Roma poi autobus 70, fermata corso Rinascimento e a piedi fino a Palazzo Madama.
Dopo i vari adempimenti, le registrazioni, le elezioni dell’ufficio di presidenza del Senato, diverse riunioni dei senatori M5S e riunioni congiunte deputati-senatori, la prima seduta del Senato, il 15 marzo 2013. Dieci giorni dopo, il 25 marzo, il Consiglio dei ministri adottò il decreto-legge n. 24 recante disposizioni urgenti in materia sanitaria che, all’articolo 2, autorizzava la prosecuzione dei trattamenti Stamina già avviati o autorizzati dai giudici e così la questione approdò in Commissione speciale insieme a vari altri decreti in scadenza. A inizio legislatura, senza un nuovo governo, non si possono formare le commissioni permanenti nelle quali vengono discussi temi specifici e ogni decreto-legge, prima di approdare in aula per la conversione in legge, viene affrontato da un’unica commissione denominata per l’appunto “speciale”. Come M5S ci eravamo perciò divisi in gruppi per competenze: la questione Stamina toccò a me, Paola Taverna e Sergio Puglia. Il tempo a disposizione per approfondire la questione era veramente pochissimo – il decreto Balduzzi verrà infatti approvato con modifiche dalla Commissione speciale il 10 aprile, in appena sedici giorni –; inoltre il nostro gruppo politico era costituito da cinquantacinque persone che non si erano mai conosciute prima e avevano oggettive difficoltà organizzative. La cosa più ovvia che mi venne in mente fu perciò, banalmente, di telefonare agli scienziati che avevo conosciuto negli anni precedenti che pensavo avrebbero potuto aiutarci.
Il primo che riuscii a contattare fu Fulvio Mavilio, allora direttore di Genethon, il 29 marzo 2013. Lo avevo incontrato in vari congressi sulla terapia genica, quindi accettò di raccontarci la sua visione in una telefonata in viva voce con Paola Taverna e Serenella Fucksia, che poi sarebbero diventate con me membri della Commissione sanità.
Secondo l’opinione di Fulvio, che riportammo per e-mail ai colleghi della Camera, il metodo Stamina molto probabilmente era da considerarsi un falso ideologico. Le cellule isolate, sostenne, per quanto si poteva intuire in mancanza di dati pubblicati, non erano staminali – che devono essere caratterizzate per marker di superficie e selezionate – ma stromali del midollo. Queste cellule non sono dannose, anzi, probabilmente danno un effetto transitorio benefico antiinfiammatorio e trofico, anche se non curativo. D’altra parte, disse ancora, la cura con cellule staminali può essere una sperimentazione clinica, e in questo caso bisogna presentare un disegno sperimentale, ottenere dei risultati preliminari, produrre seguendo le Gmp (Good Manufacturing Practices, buone pratiche di fabbricazione) e ottenere l’autorizzazione dall’Aifa e dall’Istituto superiore della sanità. In alternativa, può essere una cura compassionevole, che ha due caratteristiche: è puntuale (ogni trattamento va autorizzato) e individuale (paziente-specifico) e ha una sua normativa precisa che include l’autorizzazione da parte di un comitato etico ospedaliero o, in casi controversi, del ministro della Salute. Autorizzare un trattamento al di fuori di queste due categorie, concludeva, avrebbe costituito un precedente normativo di deregulation pericoloso a causa degli interessi economici coinvolti nel settore.
L’altro scienziato che riuscii a contattare fu Paolo Bianco, professore alla Sapienza, che si stava spendendo sui giornali sulla questione. Paolo lo conoscevo da tempi immemorabili, era uno scienziato brillantissimo e competente e avevo seguito vari seminari tenuti da lui sulla terapia genica. A dire il vero, era stato l’unico che dopo il licenziamento mi aveva offerto un lavoro temporaneo nel suo laboratorio. Lo avevo incontrato per questo l’anno precedente, all’Istituto di ricerca a Castel Romano e, nonostante ci conoscessimo e ci stimassimo molto, volle farmi qualche domanda trabocchetto, raccontandomi un complicato incrocio di topi transgenici con genotipi dominanti e recessivi per vedere se lo stavo a sentire e se sarei stata in grado di seguire le sue colonie di topi. Terminò chiedendomi: «Come sarà il fenotipo topo che deriva da questo incrocio?». Non era difficile a quel tempo per me rispondere alla domanda, ora avrei qualche difficoltà, venivo da un ventennio di incroci tra t...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. 1. La piccola Sofia, il caso Stamina
  4. 2. No Vivisection, salviamo gli animali invece delle persone
  5. 3. Vaccini, come una verità scientifica divenne favola
  6. 4. E vissero tutti felici e contenti?
  7. Copyright