L'uomo delle castagne
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L'uomo delle castagne

  1. 576 pagine
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L'uomo delle castagne

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Troppe cornacchie dietro il trattore. Saltellano freneticamente intorno a qualcosa di bianco, pallido e informe. Un maiale. Gli occhi spenti, il corpo che freme e si agita, come se provasse a spaventare le cornacchie, appollaiate a mangiare da un grosso foro di arma da fuoco sulla sua nuca. Un navigato agente di polizia, a una settimana dalla pensione, si ferma davanti alla fattoria di un vecchio conoscente, nei dintorni di Copenaghen. Qualcosa non va. Un maiale morto lasciato lì. Non si fa così, in campagna. Apre la porta d'ingresso, socchiusa, con due dita, come nei film. Per vedere una cosa che non avrebbe mai voluto vedere: sangue, un cadavere mutilato, altri corpi da scavalcare. Cammina fino all'ultima stanza, dove centinaia di omini fatti di castagne e fiammiferi - infantili, incompleti, deformi - lo guardano ciechi. Stravolto, si chiude la porta alle spalle, senza sapere che l'assassino lo sta fissando. Così si annuncia, spaventosa, la storia dell'Uomo delle castagne, un thriller di grande livello, il primo romanzo di Søren Sveistrup, autore della serie tv The Killing - il cult mondiale che ha appassionato milioni di spettatori - e sceneggiatore dell'Uomo di neve, il film tratto dal romanzo di Jo Nesbø. Un'invenzione narrativa complessa, un assassino disumano che si muove nel fondo di questo libro con una cupezza senza eguali, un'indagine condotta con angosciata bravura da due detective - uomo e donna, lui e lei - costretti a scendere mille gradini per comprendere come un'ossessione perfetta può deviare la mente di un individuo. Nemmeno Hitchcock. Perché poi un grande thriller nasce soltanto da un magnete, un chiavistello del male che attira, che vi attira inesorabilmente là, nella stanza degli omini che dondolano. Un capitolo vi lascerà il gusto di essere su una pista possibile e il seguente vi dirà di cambiare strada. Perché l'Uomo delle castagne ha pensato a tutto e ricorda ogni cosa.
Gli altri, finti innocenti, hanno dimenticato.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2019
ISBN
9788858695630

Martedì 20 ottobre

79

Thulin trotterella sotto la pioggia e intanto cerca le indicazioni. Ha i piedi fradici e quando finalmente trova il cartello con su scritto 37C vede che indica nella direzione opposta a quella in cui stava andando.
È mattino presto e ha da poco lasciato la figlia a scuola. Non è passato molto tempo dall’operazione a Urbanplanen e non sapeva che anche Hess abitasse in un complesso popolare, ma per qualche motivo non è sorpresa. Sguardi amichevoli ma attenti di donne col niqab e il velo in testa le dicono che è stata notata, e mentre si guarda in giro in cerca della strada giusta, le saltano di nuovo i nervi al pensiero che Hess non sia rintracciabile quando la città è a soqquadro.
Per quasi quattro giorni i media si sono scatenati con reportage dalle scene dei delitti, da Christiansborg, dalla centrale di polizia e dall’Istituto di medicina legale. C’erano i ritratti delle tre vittime e di Martin Ricks, morto nella ghiaia degli orti urbani. C’erano le interviste ai testimoni, ai vicini, ai parenti. C’erano le dichiarazioni degli esperti e dei critici degli esperti, e c’erano quelle dei poliziotti, primo fra tutti Nylander, che era comparso ripetutamente davanti ai microfoni, spesso durante servizi in cui le sue affermazioni s’inframmezzavano a quelle del ministro della Giustizia. In aggiunta, c’era la storia di Rosa Hartung, che aveva perduto la figlia e ora veniva torturata dal dubbio che in galera ci fosse la persona sbagliata; e poi le redazioni avevano capito di non potersi ripetere all’infinito ed erano passate alle congetture su come e quando avrebbe avuto luogo il nuovo orrore.
Hess e Thulin non avevano dormito molto, dopo quel venerdì. Lo shock per gli omicidi negli orti aveva lasciato il posto al lavoro di routine, al continuo chiedere e bussare alle porte, alla raccolta di dati su Urbanplanen e sull’associazione Hængekøjen H/F e all’interpretazione dei rapporti familiari e affettivi di Jessie Kvium. La figlia di sei anni, che fortunatamente non aveva fatto in tempo a vedere la madre morta, era stata sottoposta a esami approfonditi e i medici avevano riscontrato segni di trascuratezza, di malnutrizione e anche di maltrattamenti. Lo psicologo che le aveva parlato per aiutarla a elaborare il dolore per la morte della madre aveva affermato di essere impressionato dalla capacità della bambina di esprimere a parole la sua perdita. A dispetto delle premesse, le sue condizioni lasciavano ben sperare e la bambina era stata presa in consegna dai nonni di Esbjerg, che se ne sarebbero occupati più che volentieri, ma che, d’altra parte, dovevano aspettare che le autorità competenti si esprimessero, a loro favore oppure no. Grazie all’intervento di Thulin la piccola e i nonni non erano stati assediati dai media, che peraltro preferivano di gran lunga raccontare le ultime novità sull’Uomo delle castagne.
Thulin odiava quando la stampa dava eccessiva importanza al colpevole. In questo caso specifico, poi, era certa che generare il panico fosse proprio ciò a cui puntava il loro uomo, che probabilmente si sentiva persino spronato dalla gran quantità di parole che venivano usate per lui. Ma la mitizzazione della stampa era difficile da arginare, quando gli esami della Scientifica e un’enorme quantità di interrogatori non avevano portato a nessuna svolta. Genz e i suoi avevano lavorato giorno e notte a ciclo continuo, ma senza ottenere alcun risultato utile. Non erano riusciti nemmeno ad associare un cellulare all’SMS invato a Nikolaj Møller, né c’era verso di capire chi potesse aver spiato Jessie Kvium, a Urbanplanen e quel giorno al centro commerciale, perché dai nastri delle telecamere di sorveglianza continuava a non emergere un bel niente. Quel tizio non aveva lasciato la minima traccia, come nei casi di Laura Kjær e Anne Sejer-Lassen.
Però il medico legale poteva dire con certezza che Jessie Kvium era morta intorno all’una e venti. Le amputazioni erano avvenute con lo stesso strumento usato negli altri due omicidi, così come si sapeva che la donna era in vita quando erano state eseguite. Almeno per quanto riguardava l’amputazione delle mani. L’altra certezza era che l’impronta digitale sull’omino di castagne, che questa volta era stato trovato nella bocca della vittima, apparteneva a Kristine Hartung. E poi, naturalmente, c’era accordo sul fatto che le segnalazioni anonime riguardanti le tre donne uccise erano state scritte dalla stessa persona. Ma gli uffici pubblici e i vari assistenti sociali non avevano fornito nessun aiuto determinante e le tre mail e i loro labirintici giri tra i server non davano alcuna indicazione sul vero mittente. A riprova che brancolavano nel buio, Nylander aveva messo sotto sorveglianza un gruppetto di donne segnalate in via anonima, e la sua unità era al livello di allerta massimo.
L’atmosfera nella centrale di polizia rifletteva appieno quel pessimo periodo. Come investigatore, Martin Ricks probabilmente non era un fulmine, ma con solo un paio di giorni di assenza in sei anni di servizio era una componente fissa, come le mazze chiodate ai lati dell’ingresso. Inoltre era fidanzato, cosa che aveva sorpreso la maggior parte dei colleghi. In centrale, il giorno prima, alle 12, avevano osservato un minuto di silenzio, un silenzio che era stato assordante. Alcuni colleghi avevano pianto e sull’indagine si era riversato quell’accanimento che nasce spontaneamente quando un agente cade in servizio.
Per Hess e Thulin il più grande interrogativo restava il depistaggio la notte dell’omicidio. L’assassino era a conoscenza della loro trappola. Thulin non sapeva come, ma doveva essere così. In più, era andato agli orti urbani, cosa che aveva senso solo se sapeva già che Jessie Kvium e la figlia ci avevano passato una settimana durante l’estate. Il messaggio a Nikolaj Møller era stato inviato prima degli omicidi, per la precisione alle 00:37, da un cellulare con una scheda ricaricabile non registrata, da una posizione all’interno degli orti, e quella parte era, se possibile, ancora più inquietante. Il loro uomo sapeva che con quel messaggio avrebbe attirato il marito infedele a Urbanplanen, nelle braccia della polizia, e per Thulin era la dimostrazione che quel tizio voleva farli sentire ridicoli battendoli al loro stesso gioco. Proprio come aveva fatto con il messaggio al cellulare di Laura Kjær dopo la sua morte. Se a tutto questo si aggiungeva il vicolo cieco in cui li avevano condotti le indagini, non c’era era da stupirsi che la situazione fosse esplosa, la sera prima, durante un confronto con Nylander.
«Di che diavolo hai paura?! Perché non possiamo interrogare Rosa Hartung?»
Hess insisteva a dire che gli omicidi erano in qualche modo collegati al ministro degli Affari sociali e al caso di sua figlia.
«Non ha senso indagare su uno senza l’altro. Le tre impronte digitali sui tre omini di castagne sono di una chiarezza allarmante. E non finirà qui: prima mancava una mano, poi mancavano due mani, poi due mani e un piede. Cosa credi che abbia in serbo per la prossima vittima? È lampante: Rosa Hartung è la chiave oppure è l’obiettivo!»
Ma Nylander aveva mantenuto la calma e sostenuto che il ministro era già stato sentito e che aveva altre cose di cui occuparsi.
«Quali altre cose? Non possono essere più importanti di questa!»
«Calmati, Hess.»
«Ho fatto solo una domanda.»
«Secondo l’Intelligence nelle ultime due settimane è diventata un bersaglio.»
«Che cosa?!»
«E tu non hai ritenuto opportuno farcelo sapere?» era intervenuta Thulin.
«No, perché non può aver niente a che fare con gli omicidi! L’ultima minaccia gliel’hanno lasciata sul cofano dell’auto ministeriale e risale a lunedì 12 ottobre, quando doveva essere in corso l’aggressione a Anne Sejer-Lassen.»
La riunione non aveva fatto altro che esacerbare gli animi. Hess e Nylander se n’erano andati lasciando Thulin a combattere con la sensazione che quell’esito fosse sintomatico dello stato in cui versavano le indagini.
Finalmente si è tolta da sotto la pioggia e ora cammina lungo il ballatoio coperto in fondo al quale troverà il 37C. Una quantità di barattoli di vernice, lacca e detergente industriale è disseminata ai lati della porta, e in mezzo a quel casino spicca un aggeggio che potrebbe essere una levigatrice per pavimenti. Thulin bussa con impazienza, ma naturalmente non risponde nessuno.
«È a te che ha telefonato per i pavimenti?»
Thulin guarda il minuto pakistano che si è appena materializzato sul ballatoio insieme a un bambinetto dagli occhi scuri che gli sta aggrappato a una gamba. L’uomo indossa una mantellina impermeabile di un arancione acceso, come se fosse pronto per un giro a Guantánamo, ma i guanti da giardino e i sacchi della spazzatura rivelano che probabilmente deve solo occuparsi di raccogliere le foglie secche.
«Va bene, basta che fai un buon lavoro. Quello è un imbranato che si crede Bob Aggiustatutto. Ma si sbaglia di grosso. Conosci Bob Aggiustatutto?»
«Be’…»
«Vuole vendere l’appartamento. Questo posto non fa per lui. Ma prima deve dargli una sistemata. Gli va bene che ha trovato me per un’imbiancata, visto che non sa la differenza tra una vanga e un pennello, ma per il pavimento deve arrangiarsi. Basta che non sia lui a farlo.»
«Nemmeno io.»
Per liberarsi dell’uomo Thulin gli mostra il distintivo, ma lui rimane solo un po’ sorpreso e sta lì a guardarla mentre bussa di nuovo.
«Quindi non sei qui per l’appartamento? Allora siamo punto e a capo.»
«No, non sono qui per questo. Sai se Bob Aggiustatutto è in casa?»
«Guarda tu stessa. Non chiude mai a chiave.»
Il pakistano sposta di lato Thulin e spinge la porta, che è un po’ incastrata, e la spalanca.
«Anche questo è un problema. Chi lascerebbe la porta aperta a Odinparken? Gliel’ho detto, ma lui dice che non c’è niente da rubare, perciò non gli importa, ma… Allahu Akbar!»
Il pakistano è rimasto senza parole. Thulin capisce perché. Non c’è molto nella stanza pervasa dall’odore di vernice fresca. Un tavolo, due sedie, un pacchetto di sigarette, un cellulare, del cibo da asporto e alcuni barattoli di vernice e dei pennelli sul pavimento coperto di giornali. Probabilmente Hess non ci passa molto tempo. Comunque sia, Thulin ha l’impressione che ovunque abiti, a L’Aia o in qualsiasi altro posto, l’arredamento non cambi di molto. Ma non sono i mobili a catturare lo sguardo… sono le pareti.
Foglietti, foto, ritagli di giornale e, tra loro, parole e lettere, disegnano direttamente sul muro una grande, labirintica ragnatela che occupa due pareti verniciate di fresco. Un pennarello rosso insiste nell’unire i diversi appunti con linee serpeggianti e segni. Pare iniziare in un angolo, con l’omicidio di Laura Kjær, per poi allargarsi agli altri omicidi, incluso quello di Martin Ricks, disseminando il percorso di omini di castagne, nomi di persone coinvolte e scene del crimine con tanto di foto e dati. I foglietti, di fatto, sono scontrini sgualciti o pezzi strappati da un cartone della pizza. Da una foto di giornale di Rosa Hartung con su scribacchiato il giorno in cui ha ripreso a lavorare parte un tratto di pennarello che porta all’omicidio di Laura Kjær, e lo stesso accade con una miriade di altre linee che si moltiplicano in imprevedibili collegamenti fino a una colonna, a parte, dove è scritto «Christiansborg: minacce, PET». In cima a tutto c’è una vecchia foto di giornale della dodicenne Kristine Hartung, e all’interno di uno spazio delimitato con il pennarello, in maiuscolo, il nome di Linus Bekker. Anche qui, scritte sulla parete, ci sono numerose annotazioni, per lo più illeggibili: Hess deve aver faticato ad arrivare fin lassù, anche con l’aiuto della piccola scala che è lì accanto.
Thulin osserva la gigantesca ragnatela con scarso entusiasmo. Quando era andato via, la sera prima, Hess era di pessimo umore, e visto che quella mattina era irrintracciabile, Thulin non sapeva cosa pensare. Ciò che aveva davanti agli occhi le diceva chiaro e tondo che il collega non si era dato per vinto. D’altro canto, però, doveva anche riconoscere che quella sembrava l’opera di un folle. Magari era iniziata per poter avere un quadro completo, ma poi era degenerata, e anche per un esperto di crittografia o un Nobel per la matematica sarebbe stato arduo leggerci qualcosa di diverso da una predisposizione per l’ossessione o persino una devianza psichiatrica.
L’uomo in arancione accanto a lei, nel frattempo, si è lanciato in una serie d’imprecazioni in pakistano che raggiungono il culmine nell’istante in cui Hess compare sulla porta. È affannato e completamente zuppo per la pioggia, indossa solo una maglietta, dei pantaloncini e le scarpe da corsa, e il corpo e il fiato fumano nell’aria fredda. Appare sorprendentemente muscoloso e asciutto, ma è chiaro che non è in buona forma.
«Che cosa ti dice il cervello? Avevo appena verniciato tutto!»
«Lo rivernicio. E comunque avevi detto che servivano due mani.»
Thulin guarda Hess, che appoggia la mano sinistra allo stipite dell’ingresso, e nota che nella destra ha una cartella arrotolata.
«Gliel’avevo già data la seconda mano. Gliene ho già date tre!»
Il bimbo dagli occhi scuri si è stancato di aspettare suo p...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. L’uomo delle castagne
  4. Martedì 31 ottobre 1989
  5. Lunedì 5 ottobre, oggi
  6. Martedì 6 ottobre
  7. Lunedì 12 ottobre
  8. Martedì 13 ottobre
  9. Venerdì 16 ottobre
  10. Martedì 20 ottobre
  11. Venerdì 30 ottobre
  12. Martedì 3 novembre
  13. Mercoledì 4 novembre
  14. Copyright