Les italiens
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Les italiens

  1. 252 pagine
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Informazioni sul libro

Un ufficio della polizia di Parigi viene devastato dall'attacco di un cecchino e la Brigata Criminale ne esce decimata: tre agenti e una donna rimangono a terra in un lago di sangue. La squadra colpita è quella di "les italiens", un gruppo di agenti di origine italiana al comando del commissario Jean-Pierre Mordenti. Ma chi può odiarli tanto da attaccare al cuore del quartiere della polizia? E perché? Una vendetta, forse, o un complotto? Coinvolto in una feroce caccia all'uomo e costretto a fuggire da un gruppo di sicari senza scrupoli attraverso una Parigi assolata, Mordenti dovrà trovare con i suoi uomini il bandolo della matassa, tra poliziotti corrotti, poteri forti e una giovane pittrice da proteggere e salvare. Fino a quando, in un crescendo di suspense, inseguimenti e doppi giochi, la verità emergerà mettendo in discussione tutte le loro convinzioni.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2019
ISBN
9788858696101

Tre

Titolo: «Cecchino spara sul Palazzo di Giustizia». Catenaccio: «Una decina di colpi attraverso una finestra. Uccisi tre poliziotti e una donna». Occhiello: «La Cité in stato d’assedio. Il ministro: “Il cuore della Repubblica colpito a tradimento”».
«Le Monde» ci dava dentro.
Questa mattina, verso le nove, un cecchino armato con un fucile di precisione ha sparato diversi colpi contro una finestra della Brigata Criminale al Palazzo di Giustizia. Nell’ufficio si trovavano in quel momento sei persone, cinque agenti di polizia e una donna. I capitani Gaston Brunazzi e Bernard Livi sono stati uccisi sul colpo. Il brigadiere Hervé Delpeche, ferito da un proiettile di fucile, è morto durante il trasporto in ospedale. Il brigadiere capo Fabio Martini è stato colpito gravemente al gomito e potrebbe perdere il braccio. È tuttora ricoverato all’Hôtel-Dieu in terapia intensiva. Anche Dauphine Quillard, la donna che si trovava negli uffici della brigata, è morta per le ferite riportate. Altri due poliziotti sono usciti indenni dalla sparatoria. Il cecchino ha tirato da un appartamento al sesto piano del quai des Grands-Augustins dopo averne sequestrata la padrona di casa. Il capo della polizia eccetera, eccetera, gravissimo attentato alla giustizia eccetera, eccetera, ha detto il ministro eccetera, eccetera.
Il resto erano solo un mucchio di cazzate.
Bush Jr. stava per mandare qualche altro migliaio di marines a fare da bersaglio in Iraq. L’America Latina, invece, era in procinto di diventare rossa, ma di un rosso un poco sbiadito, e Lafontaine faceva del suo meglio per dare alla Francia una bella pitturata di nero. Il congresso del partito lo avrebbe incoronato «duce» entro una decina di giorni.
Anche i cinesi erano inquieti e si dedicavano con la consueta minuzia alla conquista dell’Africa nera.
Eccetera, eccetera, eccetera.
C’era ancora un po’ di luce e l’avenue d’Italie non era nemmeno troppo congestionata. Ho piegato il giornale e l’ho buttato sul sedile posteriore. Mi sono messo su un fianco e ho fissato il mio autista en travesti. Era concentrato sulla guida. Superati i cinque minuti di timidezza si era messo a guidare la mia auto con una certa perizia. Sembrava pure che si stesse divertendo.
«Perché mi stai fissando?» ha detto senza distogliere lo sguardo dalla strada. «Non hai mai visto una donna?»
«Ne ho viste parecchie, ma non mi capita tutti i giorni di trovarmi in macchina una come te.»
«Così bella, vuoi dire?» ha detto increspando le labbra in un sorriso sarcastico.
«Sì, certo, così bella.» Ho sbadigliato.
Era un tipo piuttosto sveglio. Probabilmente camminare sulla corda aguzzava l’ingegno. Hey honey, take a walk on the wild side.
Un paio di sbirri che conoscevo erano finocchi e questo non gli impediva di fare il loro lavoro come chiunque altro. Magari meglio. La sensazione di fastidio che provavo ad averli vicino si era ridotta con il tempo, ma alla brigata continuavano a chiamarli les pédales. Questi ambienti chiusi possono essere difficili, a volte.
Quando te le trovi davanti, le checche, sapendo che lo sono, non riesci mica ad avere un atteggiamento del tutto normale. Qualcosa ti spingerebbe a farlo, a trattarle come gli altri. Ma non è possibile, perché continui a pensarci su, te le vedi mentre si baciano o mentre scopano ansimando su un letto. Vedi questi corpi pelosi, avvinghiati come grossi animali sbuffanti e sudati, che si arrampicano l’uno sull’altro. Voglio dire, abbiamo idee diverse, sensibilità differenti, una diversa visione del mondo, non c’è niente da fare. Io per la mia strada e quelli per la loro, come i binari del treno. Non è molto carino, lo so, ma vivi e lascia vivere.
Un bus si è messo di traverso per allontanarsi dalla fermata e ha scatenato un putiferio di clacson. Se vi serve un tipo nervoso, è in una coda di pendolari che tornano a casa dal lavoro che dovete cercarlo.
«La gente ti accetta?» ho chiesto. «Voglio dire, sono solo io che ho delle difficoltà o cosa?»
Mi ha dato un’occhiata, sempre con quel sorriso sulle labbra che mi faceva girare un po’ i coglioni.
«Alla gente non piacciono molto i diversi. Non ama che si esca dal tracciato o che si mescolino le parti. Ha paura di chi confonde la percezione delle cose.»
«Be’, per me è difficile vederti come una donna, una donna reale, intendo. Anche se il tuo aspetto è più che femminile, ci sono cose che non si riescono a dare per scontate.»
«Non è un buon motivo per non lasciarmi il mio spazio nel mondo. Faccio la mia vita senza dare fastidio a nessuno. Se non ti piaccio non mi guardare, non è così difficile. Del resto ho sempre pensato che questa faccenda dell’aspetto, quello che noi chiamiamo passare, sia una questione piuttosto ambigua.»
«Che vuol dire passare?» ho chiesto.
«Quando una di noi ritiene di poter uscire di casa ed essere più o meno scambiata per una donna si definisce passabile, e in questo c’è tantissima ambiguità. Passare comporta la percezione che gli altri hanno di te, e non ciò che noi pensiamo di essere. Per questo odio quando mi dicono che sono passabile
«Pensi di esserlo?»
«Non tocca a me decidere» ha fatto spallucce, «ma non voglio nemmeno che questo condizioni la mia vita. Non mi sognerei mai di prendere a schiaffi un’altra persona perché se ne va in giro con un taglio di capelli che non mi piace. Vorrei che la gente non mi giudicasse in continuazione.»
«Intendi gli sguardi, le risatine o quello che gli altri pensano di te?»
«Se mi importasse davvero di queste cose» ha detto fermandosi a un semaforo, «non potrei nemmeno uscire di casa.» Si è voltato verso di me. «All’inizio, in effetti, era così. Le mie prime uscite mi agghiacciavano. Pensavo, dio, mi noteranno? Vedevo sguardi normali e li interpretavo come giudizi. Magari lo erano anche ma, alla lunga, che cosa importa?»
Siamo ripartiti. «Poi, un bel giorno, ho capito quanto fosse assurdo. Non potevo continuare a vivere preoccupandomi di quello che gli altri pensano di me. E così è stato.»
«Tutti ci comportiamo così» ho borbottato, «in una maniera o nell’altra. Siamo convinti che la gente abbia delle aspettative su di noi e cerchiamo di accontentarla.»
«E non lo trovi assurdo?» ha detto sorpreso. «Sarebbe come se un artista scrivesse una recensione sul proprio lavoro… Che senso avrebbe?»
Abbiamo imboccato la périphérique fondendoci al serpente pigro e luminoso di auto che non aveva testa né coda e andava chissà dove.
Moët ha fatto un sospiro. «Tutto quello che posso fare è continuare per la mia strada. È la sola cosa che mi interessa.» Mi ha guardato con un sorrisetto. «Quindi non do mai per scontato di essere passabile, ma in pubblico mi comporto come se fossi la donna più bella del mondo. È una corda tesa, molto sottile, sulla quale bisogna camminare tenendosi in equilibrio con grazia. Ma senza dimenticare che puoi sempre cascare.»
«E pensi che funzioni davvero? Potrebbe servirti solo a essere ignorato.»
Mi ha fissato per un paio di secondi mettendo a rischio l’incolumità della mia Karmann Ghia. «Sarebbe sufficiente una cosa» ha detto riportando lo sguardo sulla strada, «che la persona che mi parla si rivolgesse a me al femminile.»
«Touché, ma non è così semplice. Non sempre si pensa a quello che si dice.»
«Mi piacerebbe che tu non dovessi pensarci, ma ti sopporterò così come sei.»
«Io invece non ti sopporto proprio.»
«Lo so» ha detto ridendo, «ma se non lo fai il tuo capo t’inchiappetta.»
Abbiamo passato la Porte d’Orléans proseguendo in direzione dell’Oceano Atlantico. È incredibile come possa essere brutta la periferia della città più bella del mondo.
Si vive in bianco e nero, da queste parti. Quel che non è cemento lo dipingono di grigio. E dove non ci sono tubi del riscaldamento ne mettono di finti. Sembrava di passare attraverso un vecchio videogioco, con i parallelepipedi al posto delle case.
Ho preso l’incartamento di Coccioni dal sedile posteriore e mi sono messo a leggere alla luce del crepuscolo. La balistica confermava quello che aveva già detto Servandoni. Calibro 7.62 X 51 NATO. Il bossolo era stato esaminato con la consueta perizia. Del resto anche i sassi sanno che quando si progetta un’arma, alle parti con funzione attiva nello sparo si assegna quasi sempre una disposizione metrica, spaziale e morfologica ben definita. Il che, in parole povere, significa che tutte le armi di una certa marca, ce ne fossero anche dieci milioni, lasciano sul bossolo segni assolutamente identici, nella stessa posizione. Alla balistica – dove, come fra i marinai, tutto ha il proprio nome – li chiamano «segni di repere». Sono lasciati dal percussore, dall’estrattore, dalla culatta, da questo, da quello e da quest’altro.
Siccome durante la deflagrazione esistono delle variabili, è tuttavia possibile che sparando cinque colpi con la stessa arma si ottengano cinque bossoli che a causa di anomalie non sembrano avere la stessa provenienza. Per questo i ragazzi della balistica avevano esaminato anche i proiettili hollow point recuperati dal muro e dai cadaveri. In seguito all’esame era stata stilata una breve lista di fucili che potevano essere stati usati dal cecchino.
L’ultimo grido nel bum bum.
Secondo De Clock, l’ex Legione Straniera che dirigeva il settore balistico della madama, l’arma più probabile era un Heckler & Koch PSG-1 di fabbricazione tedesca. Un oggettino di gran lusso che non si trova certo in stock al Bazar de l’Hôtel de Ville.
Seguiva una conferenza sulla ricostruzione delle traiettorie e sulle dinamiche. Dal momento che ero stato in prima fila durante lo spettacolo, queste cose mi interessavano di meno.
Moët guidava con tranquillità. A mano a mano che scorrevano le uscite, il numero di veicoli attorno a noi diminuiva.
«Dove diavolo mi stai portando?» ho chiesto allarmato. «Siamo ancora in Francia?»
«Dalle parti di Saint-Cloud. Il posto si chiama Ville-d’Avray.»
«Ti credo sull...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Les italiens
  4. Uno
  5. Due
  6. Tre
  7. Quattro
  8. Cinque
  9. Sei
  10. Sette
  11. Otto
  12. Nove
  13. Dieci
  14. Undici
  15. Dodici
  16. Tredici
  17. Quattordici
  18. Quindici
  19. Sedici
  20. Ringraziamenti
  21. Copyright