L'ombra del campione (Nero Rizzoli)
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L'ombra del campione (Nero Rizzoli)

  1. 210 pagine
  2. Italian
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L'ombra del campione (Nero Rizzoli)

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NERO RIZZOLI È LA BUSSOLA DEL NOIR FIRMATA RIZZOLI. C'era una volta la Milano della ligéra, la città popolata dai contrabbandieri, dai maestri del borseggio e dagli artisti dello scasso: balordi intenti in malefatte più che in misfatti, persi nell'eterno "guardie e ladri" con i "ghisa" e la "madama".
Corre l'anno 1928 e da Roma Benito Mussolini, duce del fascismo, dichiara guerra ai duri meneghini. Intanto, nella regia questura in piazza San Fedele è di stanza un poliziotto che legge Platone e va pazzo per la cassoeula. Lo chiamano il "poeta del crimine".
Nelle spire della scighera, la spessa bruma che punge i visi e gela i cuori, torna il commissario Carlo De Vincenzi, già protagonista dei gialli di culto firmati, a cavallo tra i Trenta e i Quaranta, dallo scrittore Augusto De Angelis. Al poliziotto tocca fare i conti con l'anima più profonda della Capitale morale: quella che trema ai boati di bombe attribuite agli anarchici e sogna dietro alle magie del suo Peppìn, l'eroe dell'Ambrosiana, registrato all'anagrafe col nome di Meazza Giuseppe.
Sarà il commissario a svelare i misteri che aleggiano intorno alla vita del campione, mentre dovrà vedersela con i piccoli, grandi enigmi di una malavita stracotta come la busecca e romantica come un riflesso al tramonto sull'acqua dei Navigli.
>Con questa sofisticata commedia noir, Luca Crovi esegue un dribbling magistrale celebrando una leggenda del genere, un'icona dello sport più amato dagli italiani e il fascino di una Milano smarrita nella nebbia del passato.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2018
ISBN
9788858694138

La leggenda di san Vittore

A l’è possibil finì a San Vittur domaa per on barilott de pés?
Com’era possibile finire dietro le sbarre per un furto da nulla come quello?
Eppure lo avevano beccato in flagrante al Verzee mentre cercava di scappare con una botte di acciughe sotto sale.
E tac, lo avevano messo dentro.
Il barile era talmente ingombrante che non aveva potuto occultarlo in nessun modo. Ed era stato arrestato davanti a decine di testimoni.
Ma varda ti se l’è possibil finì a San Vittur inscì.
Il Pierino continuava a chiedersi perché era capitato proprio a lui di trovarsi in una situazione del genere. Aveva cercato di spiegarlo in tutte le salse ai matusa che l’avevano rinchiuso al Due: quella era davvero la prima volta. La prima volta che finiva al carcere di San Vittore.
Era stata la fame a spingerlo. La fame, sì. La fame.
E adesso chi ghe l’andava a di’ all’ost de l’Ortiga? al quale aveva promesso le maledette acciughe. Piccoli pesci che l’oste avrebbe servito fritti, insieme alla polenta, nella sua bettola ubicata in una zona dell’ex comune di Lambrate che solo a partire dal 1923 era stata inglobata nella Gran Milan. Un luogo denso di orti selvaggi accanto al fiume Lambro dove nel tempo era cresciuta una mala erba: quella della ligéra. A Milano tutti sapevano bene che certi ceffi si potevano incrociare solo all’Ortica, al Bottonuto, all’Isola o in porta Ticinese. Alla marmaglia composta da gente di diversa estrazione apparteneva, volente o nolente, il Pierino Grassi a cui era toccata in sorte ona bruta gatta de pelà.
Una rogna che adesso doveva grattarsi tutto da solo.
Ci aveva messo un po’ ad adocchiare il barile di pesci sotto sale nel mezzo della confusione che regnava al Verzee. Lì al mercato del Verziere, in mezzo a venditori di rane e gamberi e ai verduree che esibivano verdure e frutta, spiccava il banco sul quale erano deposti i barili dell’ancioatt. Le massaie erano solite comprare acciughe e sardine ma anche tonno in scatola.
Il Pierino Grassi aveva ciondolato per un po’. Su e giù, su e giù, in attesa che l’uomo della Val Maira si allontanasse dal carretto e dal prezioso tesoro sotto sale. E quel maledetto acciugaio piemontese lo aveva fatto penare un bel po’. Il Pierino era scattato quando l’ancioatt si era diretto verso il vespasiano adiacente alla palazzina in largo Marinai d’Italia che ospitava una parte delle merci del mercato. Fin dal 1911 il Verziere era stato spostato in quei luoghi per risolvere problemi di circolazione e di ordine pubblico. Veloce come una faina, il Pierino si era avvicinato al barile e tac l’aveva caricato su una carriola, sgraffignata la mattina stessa in un cantiere aperto di corso XXII Marzo, che aveva oggià in un cantun. Purtroppo il carico era inscì pesant de spezzaa la s’cena d’on magutt. E il Pierino non aveva mai lavorato come muratore, non aveva una schiena così forte da sopportare un peso simile e non aveva mai posseduto una particolare attitudine per i lavori manuali: tanto meno per quelli che richiedevano un grande sforzo fisico.
E quando se l’era data a gambe, visto che non era nemmeno un gran corridore, ghe la faseva puu. Non ce la faceva proprio a trasportare quel peso così ingombrante. Passare con una carriola in mezzo a tutta quella confusione non era un’impresa semplice. Era facile borlaa giò. Cadere per terra perdendo il prezioso carico.
E così patatrac l’aveva fatto lui. Il peggio però doveva ancora venire. L’acciugaio, una volta uscito dal vespasiano, dove aveva cambiato l’acqua alle olive, si era subito accorto del furto e si era messo a inseguire el lader urlandogli dietro in dialetto piemontese.
Pierino nella fretta della fuga era andato a sbattere contro la pancia di un corpulento ghisa che gli aveva sbarrato la strada.
Va a dà via i ciapp!
Quella non era davvero la sua giornata.
Il ghisa si era premurato di prendere il Grassi per un’orecchia e lo aveva trascinato a forza via dal mercato.
L’acciugaio avrebbe voluto riempirlo di sganassoni ma il ghisa gli aveva suggerito di preoccuparsi del barile.
Che delitto lasciare tutte quelle acciughe spiaccicate lì!
Davanti alla vista di quel ben di dio spatasciato in terra il ghisa si era davvero arrabbiato e aveva rifilato un bel paio di schiaffoni al Pierino che a malapena era rimasto in piedi. «Disgraziaa, pelandron d’on pelandron!»
Riprendendolo per l’orecchia aveva iniziato a trascinarlo lungo la via finché non avevano raggiunto la fermata del tram. I curiosi lo videro caricare il Pierino su una vettura. Con naturalezza, senza mollare la presa sul ladro, il ghisa aveva pagato la corsa per entrambi al bigliettaio appollaiato sul sedile adiacente a una delle porte.
Il Grassi non aveva mai amato quegli omaccioni impettiti che amministravano la giustizia per le strade di Milano e portavano in testa un lungo cappello che ricordava i tubi di ghisa delle stufe e le grondaie delle case. Non voleva avere nulla a che spartire con loro, ma il destino aveva deciso diversamente. Costretto a sedersi su una delle panche di legno al centro del tram, si era sentito osservato da tutti i passeggeri. E di fianco a lui stava seduto l’enorme ghisa che continuava a tenerlo per un’orecchia.
L’orgoglio del Pierino gli aveva impedito di scoppiare in lacrime a causa del dolore provocato dalla morsa a tenaglia del ligio ufficiale del Corpo dei metropolitani di Pubblica sicurezza. Era dal 1920 che questi uomini scelti agivano con le più diverse mansioni. Pierino sapeva benissimo che venivano selezionati non solo per la stazza ma anche per le capacità atletiche. Per star dietro a certi manigoldi serviva gente forte e capace di correre. Alcuni di loro andavano a cavallo, altri eccellevano nel nuoto (abilità utile quando bisognava tuffarsi nelle acque dei Navigli), altri ancora cominciavano persino a usare le moto con dimestichezza.
Il percorso del Pierino Grassi sino alla questura di piazza San Fedele era stato breve. Sperava che tutto si sarebbe chiuso in fretta, magari solo con qualche rimprovero ad alta voce, altri due o tre manrovesci e una minaccia. Del resto non aveva proprio fatto in tempo a rubare il barile di acciughe. Lo avevano acciuffato quasi subito.
Ma non era andata così.
Da San Fedele era finito dritto a San Vittur.
La sua, aveva detto il prefetto Vincenzo Pericoli, presente in questura quella mattina, doveva essere una punizione esemplare. Un segnale chiaro: il mercato del Verziere era una zona che i malnatt dovevano evitare.
E così, poche ore dopo il Pierino Grassi si era visto rinchiudere in cella dalla guardia Antonio Cerruti.
Fu solo allora che scoppiò in lacrime.
«Guarda che piangere qui non serve a nessuno!» gli disse il secondino.
«Sì, sì, ma l’è possibil finì al Duu domaa per on barilott de pés
«Ue’, pirla, si finisce dentro anche per meno in questo periodo. L’altro giorno una sciura ha passato la notte al fresco solo per aver rubato un sacco di micche dal prestinee di Santa Redegonda. Il panettiere non aveva neanche sporto denuncia ma l’hanno punita lo stesso dopo aver ritrovato il sacco nella sua abitazione di via del Cappello, dove vive con quattro figli. Ufficialmente è senza marito e si arrangia come può portandosi qualche cliente in casa. Neanche san Satiro che ha la gesa proprio là di fronte le ha concesso la grazia. Da Roma sono arrivate normative precise del capo della polizia per il rispetto dell’ordine pubblico. Prima è toccato a quelli del Bottonuto subire una prima rigirata e adesso pure al Verziere hanno deciso di intervenire per allontanare i malnatt
Anche al Cerruti non piaceva quel nuovo modo di gestire la città imposto dal regime. E quelli stavano davvero diventando tempi pesanti per pulè e malnatt.
Lui di solito non dava confidenza ai detenuti. Ma la storia di quel povero ragazzo finito dentro per aver cercato di rubare un barile di acciughe lo aveva colpito. E Pierino, passate le lacrime, lo aveva sorpreso perché sembrava saperla lunga su San Vittore. Più lunga di lui.
Il Grassi aveva confessato che per un po’ si era guadagnato qualche danee facendo pacchi proprio per i detenuti. I parenti li ordinavano nel bar davanti al carcere. E i pacchi potevano contenere vestiti, scarpe, cibo, sigarette e qualsiasi cosa servisse ai pensionanti del Due in piazza Filangieri.
Ogni volta che Pierino ne aveva preparato uno aveva scoperto qualcosa di più sulla vita degli ospiti del carcere. E fra le tante storie che aveva sentito c’era anche la leggenda del santo che proteggeva quelle mura e chi ci stava rinchiuso dentro. Che strano san Vittore, il protettore dei detenuti ma soprattutto degli evasi. Un santo capace di vigilare al tempo stesso su Milano e Marsiglia. A lui si rivolgevano gli innocenti dietro le sbarre, a lui i condannati in attesa di giudizio.
«Vittore l’era un negher» spiegò Pierino all’Antonio Cerruti.
«Cosa?»
«Si t’è capì ben Cerruti, san Vittur l’era un negher e se l’avessi incontrato per strada lo avresti ciamaa Africa perché era scuro di pelle e originario della Mauretania.»
«E tu come lo sai?»
«Me l’ha raccontato anche mia zia che è portinaia al Sempione.»
«Pure sant’Agostino era nero di pelle, me l’ha detto il commissario De Vincenzi una volta che l’ho riaccompagnato in questura. Aveva una copia de Le confessioni sottobraccio e mi ha colpito che un poliziotto come lui girasse con un libro del genere.»
«Buono quello. Sui Navigli lo chiamano il poeta di San Fedele.»
«Il poeta?»
«Sì, perché è l’unico sbirro a Milano che ricama poesie sui crimini e i criminali. Ma el capiss nagòtt
«... ma non ha risolto un sacco di casi importanti?»
«Io so solo che gli piace mangiare la cassoeula a sbafo.»
«Che intendi?»
«Se lo avessi visto trangugiare costine, verze e cotiche, mi capiresti.»
«Quand’è che hai mangiato con lui?»
«L’ho incrociato un paio di volte nella portineria di mia zia e posso assicurarti che non si tira indietro se si tratta di mangiare. Né lui né i suoi allegri compagni.»
«Pensavo che il commissario passasse in San Fedele tutto il suo tempo…»
«Sì, sì, un poeta del crimine bravo più con la forchetta che con la pistol...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. L’ombra del campione
  4. Dedica
  5. La leggenda di san Vittore
  6. El Balila
  7. Perché Socrate non evase di prigione
  8. La prima cassoeula non si scorda mai
  9. In tram
  10. La Gioconda e l’odore della morte
  11. La pistola
  12. La scighera
  13. La ligéra
  14. Un briciul
  15. Un chitarrista sorridente
  16. Il Capitano Nero
  17. Scuola di ladri
  18. Una gomma rubata e un giaccone giallo
  19. La biblioteca dell’uomo col cappuccio
  20. La sciura Maria
  21. La torta di michelach
  22. L’arrivo del re
  23. Dal balcone
  24. I fatti della caserma Mario Pagano
  25. La grande anima di Milano
  26. Le prime indagini
  27. In trippa veritas
  28. La lettera nerazzurra
  29. Un mestiere fatto di attese
  30. Le prime scarpe
  31. I pali rubati
  32. La terza lettera
  33. Un passo indietro
  34. Finale di partita
  35. Note meneghine
  36. Copyright