A piedi nudi su Marte
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A piedi nudi su Marte

  1. 288 pagine
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A piedi nudi su Marte

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Questo libro narra la storia leggendaria di come una piccola, meravigliosa e complicata specie, nata su un puntino di roccia e acqua, intorno a una normalissima stella tra centinaia di miliardi di altre stelle, in una galassia tra centinaia di miliardi di altre galassie nell'universo, abbia alzato lo sguardo oltre l'orizzonte e abbia deciso di partire per scoprire ciò che aveva intorno. Senza pensare ai mille pericoli che avrebbe incontrato, senza avere idea di quali sfide avrebbe dovuto affrontare, ma con il cuore pieno di curiosità, passione, ingegno e tanto coraggio. Questa specie siamo noi umani (lo so, non è esattamente il colpo di scena del secolo!). In A piedi nudi su Marte vi accompagnerò alla scoperta della storia dell'esplorazione spaziale del Sistema solare e, in particolare, del Sole e dei pianeti rocciosi, partendo dalla nostra Terra. Giovane e brillante divulgatore, Adrian Fartade ha conquistato il pubblico del web con la sua passione contagiosa per l'astronomia. Scrivendo nel suo personalissimo linguaggio scoppiettante - che, per rendere accessibili rigorosi concetti scientifici, ci porta a immaginare gatti su Mercurio e calzini perduti su Marte -, Fartade in queste pagine ci fa innamorare dell'avventura dell'esplorazione spaziale. Il Sole, Mercurio, Venere, la Luna e Marte ci appariranno come scenari mozzafiato dove vorremmo andare in vacanza, con valli, mari e crateri meravigliosi, albe e tramonti da capogiro, e con mille fenomeni scientifici sorprendenti da studiare. E anche la Terra ci sembrerà diversa da quella che pensavamo di conoscere...

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2018
ISBN
9788858693049
Capitolo 6: Marte

DOVE SONO I MIEI CALZINI?

Èla mattina di giovedì 16 luglio1965 e mentre alla radio passano (I can’t get no) Satisfaction dei Beatles (lo so, lo so, è dei Rolling Stones, volevo vedere se eravate attenti) voi state riordinando alcuni scatoloni in attesa che arrivi l’ora di pranzo. Il vostro lavoro nella cartolibreria non è quello che sognavate da piccoli, ma vi dà soddisfazione permettendovi di passare molto tempo da soli a leggere. Fuori è tutto calmo e si prospetta un’altra banale e quieta giornata quando, improvvisamente, qualcuno entra sbattendo la porta. Mentre lo guardate arrabbiati per i modi bruschi e per avervi buttato giù i cartelloni pubblicitari, il disturbatore vi chiede, cercando di prendere fiato, dei gessetti in una scala di grigi. Che richiesta assurda, gli rispondete stizziti. I gessetti sono materiale per cartolibrerie da due soldi, mica per quelle specializzate. Così gli spiegate che non tenete quella “roba”, ma che avete dei meravigliosi pastelli Rembrandt a colori. Il tipo, vestito in camicia bianca e occhiali spessi, vi risponde di fretta e con uno sguardo a metà tra l’entusiasta e il preoccupato, dicendovi che andranno bene anche i pastelli. Dopo aver incassato il conto lo vedete correre via, lasciandovi con mille domande e un altro lungo, anonimo giovedì davanti.
Il nostro eroe misterioso si chiama Richard “Dick” Grumm, ed è a capo di un team che si occupa dei nastri di registrazione delle sonde robotiche della NASA. In particolare, Dick lavora nel team della sonda Mariner 4, costruita e gestita da uno dei più avanzati laboratori al mondo: il Jet Propulsion Laboratory (JPL) della NASA che, proprio quel giovedì 15 luglio 1965, stava raccogliendo le prime foto della superficie di Marte mai scattate a una distanza così ravvicinata. Immaginatevi per un attimo come doveva essere stare in quella stanza e vedere, bit dopo bit, materializzarsi le foto di un mondo così discusso e citato dalla fantascienza. Nessuno sapeva cosa aspettarsi e c’era un’altissima probabilità che qualcosa andasse storto da un momento all’altro. Il fatto è che Marte, per quanto fossero interessanti anche tutti gli altri pianeti, nel tempo aveva catturato la nostra immaginazione più di qualsiasi altro mondo del Sistema solare. Chiunque aveva sentito parlare di marziani o dell’ambiente estremo del pianeta rosso.
La sonda spaziale Mariner 4 nel 1964, un anno prima del lancio.
La sonda spaziale Mariner 4 nel 1964, un anno prima del lancio.
Tuttavia, le nostre migliori osservazioni risalivano ancora a mappe disegnate in base a osservazioni con telescopi costruiti negli ultimi anni dell’Ottocento, o primi Novecento. Era come cercare di farsi un’idea della casa dove andare a vivere in base al disegno di un bambino dell’asilo. Anche volendo però, dalla Terra era difficile fare di meglio. Ora una sonda robotica fatta con le nostre mani era letteralmente a poche migliaia di chilometri dal pianeta. Le foto, se fossero giunte a casa senza problemi, sarebbero finite nei libri di storia, e ancor di più, potevano contenere la risposta alla più importante delle domande: dove spariscono i calzini dopo essere passati in lavatrice? E poi, visto che ci siamo... esistono altre forme di vita? Saranno esseri intelligenti? Li usano anche loro i calzini? A parte gli scherzi (più o meno), in quel momento non avevamo idea se su Marte ci fosse o meno la vita, o se ci fosse mai stata in passato. Una buona fetta della comunità scientifica riteneva probabile che potessero esserci almeno forme di vita elementari, se non qualcosa di più. I più temerari si erano immaginati grandi civiltà mentre i più disfattisti resti di culture decadute. Restava però una sola certezza: non avevamo certezze.
Tornato alla sede del JPL, Grumm fa un lungo percorso nascosto per evitare i fiumi di giornalisti da una parte e la distesa di sacchi a pelo in cui i suoi colleghi avevano dormito dall’altra: lo aspettavano con gli sguardi stanchi ed emozionati come bambini rimasti svegli tutta la notte per beccare Babbo Natale mentre scende dal camino con i regali.
Fino a quel momento tutti e sei i tentativi di missioni marziane, sia da parte degli americani sia dei sovietici, erano andati in fumo e persino la gemella di questa sonda, la Mariner 3 lanciata poco prima, aveva smesso di funzionare all’improvviso durante il viaggio, molto prima dell’arrivo sopra il pianeta rosso. Dopo anni di lavoro e speranze poteva capitare di perdere il contatto in qualsiasi momento senza neanche sapere cosa non avesse funzionato. I dati però stavano continuando ad arrivare al Jet Propulsion Laboratory dove alcuni dei più potenti computer disponibili al mondo scalpitavano dalla voglia di macinare quei bit e tradurli in immagini.
Bastavano giusto quelle dieci o dodici ore in cui fare una passeggiata, prendere un caffè, scambiare due chiacchiere, morire di ansia. Ovviamente nulla di tutto questo, salvo l’ansia, poteva essere nei pensieri degli scienziati e tecnici del JPL in quel momento. Fuori i giornalisti bussavano a porte e finestre chiedendo novità, animati dalla stessa curiosità degli scienziati ma privi della conoscenza dei lunghissimi processi che rendevano superflua ogni loro insistenza.
Ma la curiosità è in grado di trovare una soluzione a tutto e così gli scienziati si misero a stampare su lunghi pezzi di carta i numeri che, nel codice utilizzato, corrispondevano a bianco, nero e grigi intermedi: in pratica stavano disegnando a mano l’immagine senza aspettare il lavoro del computer. Ancora oggi conserviamo dei video dell’evento ripreso dai giornalisti, oltre all’immagine finale, che è una delle mie preferite di tutta la storia dell’esplorazione spaziale, non tanto per la qualità quanto per quello che racconta di noi umani e della nostra innata curiosità: è esposta al JPL ed è fonte d’ispirazione per tutti i nuovi scienziati e ingegneri desiderosi di lavorare lì. Prima di dedicarci però alla risposta che la sonda diede al mistero dei marziani e dei calzini, facciamo un passo indietro per vedere come siamo arrivati fino a questo punto.
Il disegno fatto a mano dagli ingegneri e dai tecnici del JPL in attesa delle prime immagini in arrivo dalla sonda Mariner 4 nel 1965.
Il disegno fatto a mano dagli ingegneri e dai tecnici del JPL in attesa delle prime immagini in arrivo dalla sonda Mariner 4 nel 1965.

MARTE IL ROSSO

La presenza nel cielo di un puntino rosso luminosissimo che, rispetto alle stelle fisse, non solo si muoveva ma a un certo punto iniziava a indietreggiare e poi proseguire di nuovo, non era certo sfuggita agli umani già nell’antichità. Per esempio, nel 1279 a.C. venne disegnato un oggetto rosso nel cielo sul tetto della tomba del faraone Seti I, figlio del famoso Ramses I e padre di Ramses II (lo so, anch’io penso che pure lui poteva chiamarsi Ramses, ma era stato per anni sommo sacerdote di Seth e si vede che si era affezionato). Il fatto che la sua luce fosse rossa, ha fatto sì che venisse associato al sangue e a divinità violente come quelle della guerra. Un esempio è Ares della mitologia greca, o appunto Marte. Uno dei miei miti preferiti è quello di Mangala, della tradizione induista, dove la divinità associata a Marte nasce, almeno in una delle versioni, dal sudore di Shiva!
Tra l’invenzione di un mito e l’altro, però, gli antichi avevano iniziato a tenere traccia, in modo sempre più dettagliato, del movimento degli astri, Marte incluso, cominciando a notare alcuni cicli e schemi. I babilonesi, per esempio, inventarono anche complessi metodi aritmetici per calcolare il movimento di Marte, scoprendo quarantadue passaggi attraverso tutti i segni dello zodiaco ogni settantanove anni. Queste osservazioni permisero ai greci di fare calcoli molto più dettagliati sulla posizione e sulla natura dei pianeti. Ipparco, per esempio, propose anche una soluzione al moto retrogrado di Marte: forse, oltre a girare intorno alla Terra, Marte si muoveva anche intorno a un cerchio chiamato epiciclo. Quest’idea, come sappiamo, finì poi per essere usata anche da Tolomeo che creò un modello del Sistema solare che durò per oltre mille anni, con la Terra al centro di tutto l’universo. Nemmeno canzoni come Yellow Submarine dei Beatles hanno mai avuto un successo simile.
Per andare oltre, serviva una rivoluzione (eccovi servita una battuta sul moto terrestre intorno al Sole), ed è proprio quella che arrivò tra fine Cinquecento e inizio Seicento quando Copernico spostò la Terra in posizone più defilata, a 150 milioni di km dal Sole. Anche la posizione di Marte cambiò e finalmente non servì più farlo girare a caso nel vuoto con l’espediente degli epicicli.

FUORI DALLE ORBITE

Ah! Direte voi esultando soddisfatti: finalmente sono stati risolti i problemi riguardo all’orbita marziana. E invece no, miei cari Padawan (per i meno “colti”, trattasi degli apprendisti Jedi nell’universo di Star Wars. In questo caso voi siete apprendisti di storia dell’esplorazione spaziale)! Restava ancora un problema: secondo il modello copernicano le orbite dei pianeti erano circolari, ma per Marte quell’orbita non funzionava. A notarlo fu il giovane assistente del celebre nobiluomo e astronomo danese Ticone Brahe, Giovanni Keplero, famoso per la sua bravura nei calcoli, oltre che per i suoi baffi straordinari. Ha passato anni a cercare in tutti i modi di far funzionare le orbite circolari, essendo il cerchio una figura perfetta, ma ha sempre fallito finché non ha sostituito i cerchi con le ellissi, con il Sole in uno dei due fuochi. Se vi ricordate il suo nome è perché alle superiori qualche professore ha provato in tutti i modi a insegnarvi le leggi dei moti planetari. Bene, ora sapete perché era così importante e perché Marte giocò un ruolo così centrale nella storia dell’astronomia. I suoi lavori furono pubblicati in una saga bestseller intitolata Epitome astronomie copernicanae, uscita tra 1615 e 1621 e non ancora trasformata in una serie tv. In questo nuovo modello Marte passava certe volte più vicino e certe altre più lontano dal Sole, cambiando anche velocità: sarà Newton a spiegare come, con la sua legge di gravitazione universale, e sarà poi Einstein a spiegare, perché, con la teoria della relatività.
Nello stesso periodo, però, un’altra grande invenzione stava sconvolgendo il mondo dell’astronomia: il telescopio. Galileo lo usò per osservare Marte cercando di capire se aveva fasi come Venere, ma non riuscì a vedere niente di decisivo, data la scarsità dei primi prototipi. Un passo avanti lo fecero due astronomi italiani, Giovanni Battista Riccioli e il suo studente Francesco Maria Grimaldi, che notarono macchie sulla superficie del pianeta. Questo era importante perché significava poter misurare la durata di un giorno marziano, calcolando il tempo che le macchie impiegavano a ricomparire nella stessa posizione. Le mappe però non erano ancora precise quindi era più una forma sublime di tortura che uno studio scientifico. Soltanto nel 1666 fu possibile farlo davvero grazie a Giovanni Cassini, uno dei Jedi più leggendari della storia dell’astronomia. Utilizzando la mappa delle macchie marziane, stimò che la rotazione del pianeta fosse di circa ventiquattro ore e quaranta minuti, quindi molto simile a quella della Terra! Giusto qualche minuto extra in cui dormire la notte. Non male!
A questo punto dobbiamo condensare ben due secoli di scoperte che, al meglio delle mie possibilità (e sono tutt’altro che bravo con la sintesi, quindi apprezzate lo sforzo), posso riassumervi dicendo che i telescopi diventavano sempre migliori e con essi le mappe che a loro volta permettevano di avere stime ancor più precise sulla distanza, la grandezza, l’orbita e la rotazione di Marte. Osservazioni migliori permisero poi di scoprire anche la presenza delle calotte polari, la variazione del Polo sud e la presenza dell’atmosfera. Questo aiutò anche a immaginare forme di vita.

LOST IN TRANSLATION

Riprendiamo la nostra storia nel 1877, anno in cui Alexander Graham Bell inaugura la prima linea telefonica, Tolstoj pubblica Anna Karenina e viene messo in scena il primo spettacolo al mondo con la performance di un uomo cannone! Lo stesso anno, negli USA, un astronomo di nome Asaph Hall fa una scoperta straordinaria: Marte ha due lune! Anche se rimarranno soltanto puntini fino all’arrivo delle sonde spaziali, quei due satelliti marziani catturano comunque l’immaginazione, anche perché molto prima di lui Jonathan Swift aveva raccontato, in uno dei viaggi di Gulliver a Laputa, che gli astronomi di quel mondo avevano trovato due lune intorno a Marte! Coincidenze? Sì, in realtà sì. Semplicemente aveva pensato che se Venere non ha lune, e la Terra ne ha una e Giove ben quattro, aveva senso immaginarne due per Marte, che si trova nel mezzo. Coincidenze appunto. Le due lune vengono chiamate con i nomi più coccolosi e teneri possibili per un pianeta dedicato alla guerra: Fobos (paura) e Deimo (terrore).
Lo stesso anno l’astronomo Giovanni Schiaparelli, famoso per aver scoperto che le piogge di stelle sono associate al passaggio di comete, inizia a lavorare a una delle più dettagliate e meticolose mappe di Marte mai realizzate, segnandosi tratto per tratto tutte le lunghe e strane linee che osserva sul pianeta rosso. Li chiama canali perché li associa ai letti dei fiumi, e dà loro nomi di corsi d’acqua famosi. Ma con la traduzione inglese alcuni diventano canals e sono interpretati come canali artificiali, scavati forse da una misteriosa civiltà marziana, per portare acqua dalle calotte polari ricche di ghiaccio fino alle città nelle aride regioni equatoriali. Lo so, oggi sembra folle, ma all’epoca sapevamo così poco di Marte che un’idea del genere poteva avere senso. Una cosa però era certa: nessuno sapeva spiegarsi le linee che vedevamo e tanto meno come mai macchie scure comparivano e scomparivano da una stagione all’altra. Scartando l’idea delle civiltà aliene, sembrava comunque plausibile che ci fossero distese di vegetazione che colonizzavano le regioni fredde durante la primavera/estate, un po’ come succede con le regioni artiche sulla Terra.
Mappe di Marte disegnate da Giovanni Schiaparelli tra il 1877 e il 1888.
Mappe di Marte disegnate da Giovanni Schiaparelli tra il 1877 e il 1888.
Vi ricordate il 1957? Quell’anno ha inizio la corsa allo spazio e in URSS troviamo lo Yoda dell’ingegneria aerospaziale: Sergej Korolëv. Korolëv coltiva il sogno di lanciare missioni verso Marte. Mentre sta preparando il lancio dello Sputnik si immagina come potrebbe raggiungere Marte con sonde, e mentre progetta il volo di Jurij Gagarin in orbita terrestre immagina un futuro in cui lanciare umani direttamente verso Marte, senza nemmeno passare per la Luna. Il pianeta rosso era nei sogni di tutti ed era considerato l’obiettivo più grande dell’umanità, permettendo di espanderci su due pianeti. Anche soltanto leggere “specie multi-planetaria” fa venire la pelle d’oca. Purtroppo per i sogni di Korolëv, i razzi andavano a cherosene e ossigeno liquido e non a speranze e desideri. Quello che non sapeva è che l’URSS andava incontro a una delle più grandi epopee di sfighe dell’intera storia dell’esplorazione spaziale, lanciando più sonde verso Marte di tutti gli altri Paesi del mondo e riuscendo a ritagliarsi pochissimi successi, spesso parziali.
Questo non significa però che le altre nazioni avessero avuto solo successi, anzi! Considerate che, fino a oggi (inizio 2018), sono state lanciate nella direzione di Marte ben quarantasette missioni spaziali di cui soltanto ventitré hanno avuto esito positivo.
Per riuscire a coprire tutto questo panorama di missioni, evitando allo stesso tempo di far concorrenza a Guerra e Pace di Manzoni (tranquilli, è solo una battuta: Dostoevskij è uno dei miei scrittori preferiti, non lo confonderei mai), ho deciso di dividerlo e fare una trilogia, che ora va tanto di moda al cinema. Ogni fase comprende missioni di un certo periodo storico, più o meno accomunate in termini di design, tecnologie e obiettivi scientifici. Non vi svelo in anticipo quali sono le fasi così non vi rovino la sorpresa. L’ultima premessa che vi faccio prima di iniziare è che ci sono periodicamente delle pause di un paio di anni tra un lancio e l’altro di nuove missioni. Non è che le agenzie spaziali vadano in letargo, ma aspettano le cosiddette “finestre di lancio”, cioè ...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. A PIEDI NUDI SU MARTE
  4. INTRODUZIONE
  5. TERRA
  6. LUNA
  7. VENERE
  8. MERCURIO
  9. SOLE
  10. MARTE
  11. RINGRAZIAMENTI
  12. BIBLIOGRAFIA
  13. CREDITI FOTOGRAFICI