Il ponte delle emozioni
Esiste una parte di noi che resta talvolta nascosta, una parte intima e cui spesso non diamo la dovuta attenzione, ma che il nostro Io più profondo esprime come costante. Sto parlando delle emozioni. Comprenderle – e dare il giusto peso a quella che chiamo l’intelligenza del cuore – è centrale per la vita di ognuno; non possiamo dirci pienamente umani finché non siamo certi di aver esplorato a fondo ogni aspetto di noi stessi: la sfera razionale, quella istintuale e soprattutto quella emozionale. È dunque da qui che deve iniziare il nostro cammino di miglioramento, la presa di coscienza che ci porterà a rimodellare la nostra stessa esistenza. E il primo passo consiste nel chiederci: cosa sono le emozioni? Quali caratteristiche hanno? Qual è il loro potere?
Partiamo allora da un’immagine che ci permetta di inquadrare il ruolo fondamentale che esse giocano nella nostra vita.
Le emozioni sono il ponte
tra i nostri pensieri e le nostre azioni.
C’è infatti un collegamento tra ciò che il pensiero può produrre, a livello di identificazione e di visualizzazione creativa del futuro, e le azioni che siamo in grado di compiere, i gesti che mostrano la nostra capacità di osservare il mondo mutare intorno a noi e di cambiare con esso. È una cosa di cui facciamo esperienza nella quotidianità, e che influisce sul nostro universo interiore: se il pensiero ha delle «flessioni», può capitare che le nostre azioni non rispecchino ciò che davvero vorremmo. Il nucleo centrale che permette a queste due parti di comunicare tra loro e allinearsi – rendendoci capaci di un’esistenza a tutto tondo, integrale, veritiera, ma soprattutto soddisfacente e gratificante – sono proprio le emozioni.
Il nostro essere nel presente, qui e ora, è reale e pieno solo quando esprimiamo, qui e ora, le emozioni «giuste», quelle che desideriamo coltivare. Quando invece esse non corrispondono a ciò che vorremmo, dobbiamo fare una pausa, una sosta, prendere un respiro profondo e chiederci: «Perché mi trovo in questo stato?».
Per giungere a comprendere davvero ciò che ci anima dal profondo, però, è importante evidenziare fin da subito alcune caratteristiche fondamentali delle emozioni.
Emozioni per contribuire
Albert Einstein – uomo d’intensa emotività, anche se è divenuto celebre soprattutto per l’intelletto sopraffino – diceva: «Cento volte al giorno ricordo a me stesso che la mia vita, interiore ed esteriore, è basata sulla fatica di altri uomini viventi e del passato, e che io devo fare il massimo sforzo per dare nella stessa misura in cui ho ricevuto». È meraviglioso che proprio questo signore della fisica, capace di formulare la teoria della relatività, intuire la curvatura dello spaziotempo e farci riflettere su come passato e futuro siano uniti nel presente, parli qui di un valore che è impegno di vita: dare per quanto si è ricevuto, e magari anche solo un grammo in più. Fornire il nostro contributo, in una catena di accrescimento che porta nuova linfa a noi stessi e al contesto in cui ci muoviamo. Si tratta di un pensiero profondamente umano. Il punto è capire che dobbiamo rinnovarci per rinnovare il mondo, e realizzare che tale impegno è il nostro destino, la nostra destinazione e il nostro lascito.
Se bene orientate, le emozioni possono diventare proprio uno strumento di miglioramento, di rinnovamento per noi stessi e, di riflesso, per tutto ciò che ci circonda. Il nostro obiettivo è dunque imparare a sfruttarle come forza di crescita.
La visione del cuore
Le emozioni sono connesse a una capacità specifica: quella di «vedere». Esse ci offrono una visione più profonda di noi stessi e di quanto ci accade intorno, ma se sono negative possono anche portare alla «cecità». E capita fin troppo spesso che non siano né positive né proattive, ma devastanti: la rabbia, l’ira, il senso di superiorità, la violenza, l’odio, la spinta a mentire… O, più semplicemente, il non sapere che posizione occupiamo, il sentirci fuori posto e scoprirci perciò senza potere, inabili, dunque privi di vitalità. «Vitalità»: una parola straordinaria, che ha come radice la vita stessa.
Quando sono queste emozioni a occupare il nostro quotidiano, accade qualche cosa di terribile: tutto si oscura, diventa buio. Alcuni sostengono che la loro esistenza «diventa piccola»; è una bella immagine, perché ci dice che nel pensiero, nella visione, si ha la sensazione di essere intrappolati, rinchiusi.
Fortunatamente, non è sempre così. Conosciamo bene anche altre emozioni: quelle legate all’amore, alla maternità, alla paternità, al sentirsi importanti per qualcuno, al sapere che senza di noi qualcosa non potrebbe manifestarsi, non potrebbe crescere. Conosciamo la compassione, il senso di partecipazione, la gioia, la gratitudine nel riconoscere un dono che ci è stato fatto… Queste sono emozioni che ampliano la nostra visione del mondo, dell’esistenza, e possono portarci a vivere appieno le nostre potenzialità, realizzando il nostro destino.
Un’esistenza appassionata
Esistono dunque due grandi sfere emotive, due grandi dimensioni che potremmo inquadrare in modo intuitivo sfruttando segni che tutti conosciamo: «più» e «meno».
Quando siamo preda delle emozioni meno, l’infinita bellezza dell’universo si contrae di fronte a noi, e la nostra visione – che determina la qualità delle azioni che compiamo – si fa angusta, ristretta, potremmo dire «insufficiente». Simili emozioni ci impediscono di connetterci con quanto abbiamo intorno, e con quanto abbiamo dentro. Non solo ci escludono dal mondo, ed escludono il mondo da noi, ma ci escludono dal nostro Io più profondo.
Ci rendono, insomma, doppiamente orfani:
orfani del mondo e di noi stessi.
All’altro lato dello spettro si collocano le emozioni più, che ci aprono, allargano i nostri confini. Esse ci conducono all’incontro con noi stessi, rendendoci più sensibili a quanto si agita nel nostro profondo e, di riflesso, anche a ciò che accade nel mondo. Ci permettono di imparare da quanto si verifica intorno a noi. Le emozioni più sono quelle che ci consentono di apprendere, di «prendere con noi». Prendere cosa? Tutto, anche il meno.
In questa relazione diretta tra l’ascolto di ciò che accade dentro e l’ascolto di ciò che accade intorno, scopriamo di avere un compito. Quale?
Fare da mediatori, diventare un «centro».
Non è una questione di matematica, non si tratta di calcolare il punto mediano tra gli opposti o individuare il baricentro perfetto; anzi, si tratta piuttosto di essere squilibrati, di spingersi un po’ oltre, verso l’altro e il suo universo, per comprenderlo e aiutarlo a vedere in modo diverso grazie ai nostri occhi. Superare i confini di un’emotività angusta e sbilanciarci verso l’altro, infatti, arricchisce noi in primis, e apre le porte a nuove visioni condivise.
Comprendere le emozioni e dare spazio a quelle positive significa far sì che le tre dimensioni della nostra esistenza – corpo, cuore e mente, realtà che ognuno di noi sperimenta e conosce – collaborino. Lo sappiamo: non è scontato che accada. Ma quando succede si produce una sorta di plusvalore, una «nuova sensibilità». La nostra vita si fa appassionata.
Vivere appassionatamente è comprendere
le emozioni. Comprendere le emozioni
è ricordarsi di sé.
Il cuore di una simile esistenza – ciò che ci permette di restare motivati, mantenere acceso l’entusiasmo e spingerci verso il mondo – è dunque la capacità di rimanere il più a lungo possibile nella parte giusta dello spettro, dal lato giusto della linea che divide emozioni positive e negative; restare là dove siamo più produttivi, più interattivi. Capaci non solo d’incontrare la vita, ma di interagire con essa; capaci non solo di vedere che il cambiamento è possibile, ma di diventarne promotori; capaci di generare, di stimolare la crescita in noi e in tutto ciò che ci circonda.
Comprendere le emozioni ci conduce dunque ad ascoltarci, a riscoprirci, a realizzare che il cuore ha una sua intelligenza, e tutto ciò ci rende capaci di rispondere in modo nuovo alle sfide della vita. Perché più sensibili alla vita stessa; perché in grado di conoscerla, riconoscerla e accoglierla, interagendo con essa in modo più ampio e profondo. In modo così ampio e profondo che la nostra dimensione interiore – fatta di volontà, aspirazioni e capacità – emerge anziché farsi soffocare dai tumulti e dalle identificazioni con una quotidianità schiacciante. Non dobbiamo permettere agli eventi, che a volte si susseguono in modo caotico e frenetico, di opprimerci, di farci scordare il nostro Io più profondo, di coprire la nostra voce interiore tanto da obbligarla a urlare il suo disagio per ricordarci cosa vogliamo davvero. Non dobbiamo costringerci in quell’angolo dove, per identificazione, continuiamo a rispondere senza aver davvero compreso la domanda.
Il prodigio della nominalizzazione
Stiamo gettando le basi di un percorso che ci porterà alla riscoperta del nostro universo interiore e, di riflesso, del mondo che ci circonda, ma prima di procedere oltre è bene fermarci ancora un po’ sulla domanda fondamentale che ci ha guidati sin qui: cosa sono esattamente le emozioni? Ora che abbiamo iniziato a inquadrarne caratteristiche e importanza, possiamo tentare una definizione più accurata.
Le emozioni sono un ponte percettivo, che
permette all’essere umano una risposta adattativa
a situazioni ed eventi importanti per il benessere
dell’organismo.
Il loro insorgere porta sempre a un cambiamento rapido – tanto interiore quanto esteriore – e diretto all’azione. Il ruolo che svolgono nella nostra vita, nel nostro quotidiano, è quello di cuscinetto tra ciò che accade e la risposta a quell’evento.
«Ciò che accade», però, è sempre filtrato dalla nostra visione. Quindi è più corretto parlare di ciò che pensiamo o crediamo stia accadendo, ciò che comprendiamo dell’evento. Quante volte ci siamo detti: «Ah, ma non avevo capito»? E in quanti casi quello che non avevamo capito ha deviato l’intero corso della nostra esistenza? Se avessi capito che non mi stava accusando, ma mi stava proponendo… Se avessi capito che non mi stava respingendo, ma mi stava attirando… Se la mia confusione interiore non avesse coperto la sua domanda, la sua richiesta, la sua volontà di raggiungermi… Se avessi compreso che in quel momento non c’era nulla da fare, dovevo semplicemente godere l’attimo… Se fossi stato capace di dirmi: «Rilassati, andrà tutto bene, anche in questa circostanza dolorosa o difficile»… Se fossi riuscito a fermare la risposta meccanica, automatica; se avessi per un attimo sospeso il giudizio; se avessi rinunciato alla violenza e all’accusa…
Ebbene, se esiste un’altra dimensione d’interazione con le emozioni, deve vederci capaci di compiere scelte diverse da quelle prese fino a adesso.
Ripercorrere i vecchi sentieri
non ci porterà a scoprire nulla di nuovo.
Al contrario, lasciarci incuriosire da percorsi mai considerati potrebbe condurci a scoperte inaspettate, e a nuove emozioni.
È come se ci trovassimo idealmente davanti a un bivio. Da un lato c’è la solita via, il solito modo d’interagire e rispondere alle sollecitazioni, quello in cui non sempre il nostro comportamento è guidato dalla comprensione. Chiediamoci: «Quanto interagisco con la vita e quanto, invece, rispondo a essa in modo meccanico? Quanto sono proattivo e quanto reattivo? Quanto sono comprensivo e quanto respingente?». Se ci si dà una risposta onesta, qualunque essa sia, allora si è pronti per considerare l’altra strada.
Da un lato possiamo continuare a reagire, dall’altro possiamo intraprendere un percorso diverso, che ci porterà a essere proattivi e a vivere appassionatamente. Una meta di cui magari non ci eravamo nemmeno mai accorti, che notiamo ora per la prima volta, mentre ne parliamo e la consideriamo. Questa è la forza della nominalizzazione.
Quando incominciamo a dare un nome
alle cose, esse diventano concrete,
si materializzano, compaiono sulla scena
davanti ai nostri occhi.
Sembra quasi un prodigio, cui ne segue subito un altro: ciò che abbiamo evocato dandogli un nome inizia a chiamarci in causa, a coinvolgerci. Da comparse dell’esistenza diventiamo protagonisti, responsabili del risultato finale dell’opera. Impegnandoci, potremo strappare un appagante applauso al «pubblico»; prima, però, dobbiamo cogliere l’importanza di quel ruolo, di quel pubblico, di quel meraviglioso applauso. Dobbiamo comprendere quanto bene possa fare alla nostra vita. Altrimenti, tutto ciò che le nostre azioni susciteranno sarà un silenzio perplesso. Anche se attraverso delle metafore, stiamo ancora parlando di emozioni: l’emozione del coinvolgimento, l’emozione della responsabilità, l’emozione del sentirsi importanti perché consapevoli di essere parte di un evento che non solo incide su di noi, ma coinvolge qualcosa di più grande, il quadro ...