Lo sguardo dall’alto: i padroni del discorso
Ogni lotta culturale si profila sempre anche nella forma di una lotta per la ridefinizione dei concetti e delle grammatiche. Ogni battaglia è persa in partenza, quando le mappe concettuali con cui ci si orienta sono obsolete, non più in grado di cartografare il territorio nel frattempo mutato, o, ancora, quando sono quelle fornite dal nemico stesso.
Pur con i suoi limiti, spesso anche macroscopici, il marxismo ha saputo, nel Novecento, delineare una «lingua comune» (una κoινή, per impiegare il venerando vocabolo greco) dei dominati, una grammatica unitaria dell’ostilità ragionata. Mediante la costituzione di una controegemonia alternativa rispetto a quella organica al potere del capitale, ha prospettato un lessico condiviso e antagonista rispetto a quello dominante; un lessico in grado non solo di edificare una visione altra tanto del presente, quanto dell’eventuale futuro liberato, ma anche di svelare le incoerenze e le contraddizioni delle mappe concettuali del campo opposto.
Un tempo il biclassismo e l’antagonismo tra Servo e Signore si rispecchiavano, in effetti, nella consapevolezza dei dominati circa la propria condizione e circa i propri interessi, diametralmente opposti rispetto a quelli dei dominanti. Con la grammatica dei Manoscritti economico-filosofici del 1844 di Marx,1 lo stesso lavoro che produce ricchezza, beni spirituali e palazzi per il Signore genera, per il Servo, miseria, cretinismo e tuguri indecorosi. La prospettiva e gli interessi delle due parti in contrasto non possono essere tra loro armonizzati, giacché rimandano a una conflittualità irrisolvibile, se non attraverso il prevalere di uno dei due orizzonti culturali e politici.
La société à la dérive2 del tecnocapitale è – oggi più di ieri – asimmetrica, spaccata secondo l’hegeliana dicotomia tra Servo precarizzato e Signore globalista. Ogni tentativo di presentare una visione universale che mantenga tale ordine è, per ciò stesso, ideologico: occulta il conflitto e l’inconciliabilità degli interessi degli oppressi con quelli degli oppressori.3
Per questo, le grammatiche oggi dominanti, presentando l’assetto vigente (globalizzazione, precarietà, aziendalizzazione del mondo della vita) come favorente l’interesse generale, operano secondo dinamiche ideologiche di indebita giustificazione dell’interesse particolare della power élite globalista ai danni della massa nazionale-popolare, precarizzata e riplebeizzata.4 Come sapeva Gramsci,5 una teoria può, a giusto titolo, definirsi rivoluzionaria solo allorché riesce a porsi come elemento di separazione in due campi privi di possibile conciliazione: ossia quando prospetta un’imago del mondo irriducibile a quella egemonica e contrastante rispetto a essa. Tra le molteplici tragedie che attraversano l’epoca schiusasi con la fine, pur provvisoria, dell’utopia (Berlino, 9 novembre 1989), figura anche l’eclissi del campo plurale delle teorie agonalmente contrapposte; eclissi da cui prende forma «il piano inclinato del capitale»6 senza più ostacoli, senza più resistenze, senza più striature. Come più estesamente si è mostrato altrove,7 il Signore global-elitario domina oggi a livello materiale e culturale, grazie alle prestazioni dei suoi oratores di riferimento (ceto intellettuale, clero giornalistico e accademico, opinionisti mediatici, pretoriani della condition postmoderne, pedagoghi del mondialismo livellatore, aedi del cosmopolitismo liberale, eccetera).8 Per parte sua, il Servo nazionale-popolare subisce il conflitto ridefinito come massacro sul piano materiale e culturale: introietta e accetta la visione del mondo favorita dall’élite mondialista e santificante l’ordine dominante, che prevede la permanente schiavitù della massa damnata composta dall’eterogeneo blocco degli sconfitti della globalizzazione.9
Con il Weltdualismus, si è, in pari tempo, estinto il dualismo delle prospettive e delle immagini del mondo. In suo luogo, si è venuto costituendo quello che, con diritto, è stato definito il pensiero unico politicamente corretto (ed eticamente corrotto) e che già Marcuse aveva etichettato come «pensiero a una dimensione».10 È il nuovo ordine mentale di completamento del nuovo assetto mondiale. Esso coincide, nella sua essenza, con le produzioni superstrutturali che santificano il dominio dei dominanti, delegittimano la sollevazione antagonistica dei dominati e, di più, incentivano questi ultimi a aderire al progetto che li vede subalterni.
Il nuovo ordine mondiale – il global order,11 come anche è stato battezzato – produce, a propria immagine e somiglianza, un nuovo paradigma mentale di completamento superstrutturale. Per attuarsi, il mondialismo capitalistico necessita non solo degli elementi materiali (macchine a vapore, rete internet, ferrovie, eccetera), ma anche di quelli immateriali (visioni del mondo, ideologie, grammatiche, parole interdette, eccetera).12
In balia del pensiero unico, il mondo della comunicazione – l’information age tematizzata da Castells –13 si fonda sempre più, dopo il 1989, sull’uniformazione dei termini, sull’ipersemplificazione dei contenuti, sull’aggiramento della complessità e sull’adesione al dogma del politicamente corretto.14
È secondo questa chiave ermeneutica che si spiega il passaggio dal «pensiero dominante» dell’epoca precedente al «pensiero unico» successivo al crollo del Muro di Berlino e alla divisione del mondo secondo il principio del cuius regio, eius oeconomia. Ai tempi del Weltdualismus, prima che si imponesse il nuovo ordine out of equilibrium,15 le idee delle classi dominanti erano, indubbiamente, egemoniche: ma c’era lo spazio per un pensiero dissidente e antiadattivo, che perimetrava uno spazio cognitivo contrapposto a quello egemonico e in grado di far brillare le contraddizioni del mondo a morfologia cosmomercatistica.
Con l’implosione del socialismo reale e il trionfo planetario del capitalismo, le idee dominanti sono divenute, di fatto, le sole: hanno saturato l’immaginario dei dominati, divenuti afasici. Essi hanno smarrito un proprio vocabolario in grado di illuminare le contraddizioni patite quotidianamente. La perdita della lingua è perdita della coscienza e, dunque, della realtà.16
Insomma, con il Muro di Berlino è rovinosamente crollata l’idea della politica come «luogo di una scelta tra modelli di società possibili».17 Si sono registrate, insieme con la caduta del socialismo reale, l’eclissi della socialdemocrazia18 in Occidente e la disponibilità di immagini alternative del reale. Ciò avvalora il teorema di Adorno, secondo cui, «parallelamente alla regressione della società, ha luogo una regressione del pensiero su di essa».19 È impossibile il gesto del prendre la parole, quando non si ha più nulla da dire, quando cioè si è stati privati di un proprio discorso, di una propria prospettiva e di un proprio orizzonte di significazione.
Sotto questo profilo, la classe dominante ha imparato la lezione dalle sollevazioni dei dominati nel corso del «secolo breve»: e ha metabolizzato – ora disinnescandole, ora volgendole a proprio vantaggio – le prospettive di Marx sul carattere delle idee dominanti e di Gramsci sull’egemonia. Il giovane Marx scriveva che la violenza materiale della società classista deve, certo, essere abbattuta «dalla forza materiale» (durch materielle Gewalt),20 ma che anche la teoria diviene forza materiale, se si impadronisce delle masse e quindi assume una valenza egemonica.21
La classe dominante, dopo il tornante del 1989, è riuscita a fare sì che la propria teoria di giustificazione dell’ordine global-capitalistico si impadronisse delle masse: le ha incluse nel suo progetto egemonico, proprio mentre – per ironia della storia – le stava disintegrando, come mai prima d’allora, sul piano materiale.22
L’ordinamento del mondo, che fino al 1989 era duale e diviso ermeticamente dal Muro di Berlino, ha rapidamente preso a disporsi in forma unipolare e unitaria.23 Al mondo monopolare corrisponde sempre più marcatamente un pensiero monopolare che lo santifica e, insieme, sanziona, diffama, dardeggia e perseguita ogni tentativo di pensare ed essere altrimenti.24 Ne segue, more geometrico, la dittatura della parola unica e dell’immagine unica, ossia del discorso del Signore e dell’immagine del mondo come mercato planetario con scorrimento illimitato delle merci e delle persone mercificate.
Lungo il piano inclinato, che conduce dalla fine del comunismo storico novecentesco al nostro presente compiutamente alienato, si è venuto istituendo quel nuovo ordine mondiale classista planetario dell’egoismo liberale, de facto coincidente con il dominio del capitale su scala globale, ormai non più contrastato dal suo nemico storico.25
È questa l’essenza del nuovo scenario post-1989, ossia del nuovo imperialismo americano-centrico del mondialismo dei mercati.
Imperialismo che, sotto copertura ideologica umanitaria, delegittima, non senza fare ricorso all’interventismo militare, ogni realtà non omologata rispetto a esso, e trova infine la propria costellazione ideologica di riferimento nell’universalismo apolide del capitale, nella volontà di potenza della tecnica, nei valori illuministici umanitari e nel disordinato ordine dei mercati speculativi.26
È su queste basi che la globalizzazione si è venuta imponendo come la cornice ideologica di riferimento per la classe globale dominante. È nel suo spazio reale e simbolico che si è istituito il nuovo dominio della global class egemonica e di quello «sguardo cosmopolitico»27 (kosmopolitische Blick) che, in realtà, coincide con la cattiva universalizzazione ideologica della prospettiva dei dominanti.
Ed è, dunque, dalla decostruzione di questa ideologia che deve, di necessità, prendere le mosse una teoria che aspiri a porsi rivoluzionaria nell’accezione di Gramsci.
Politicamente corretto ed eticamente corrotto