Ore 6.15
È sempre buio quando mi sveglio, ho un orologio corporeo che interrompe il mio sonno prima che sorga il sole. Mi succede fin da quando ero ragazzo e negli anni di solitudine ho dormito sempre meno. Da questo punto di vista, ora che Monique riposa accanto a me nulla è cambiato.
Quando lei non era ancora entrata nella mia vita scendevo subito dal letto, facevo la doccia, mi vestivo, andavo in cucina a mettere il caffè sul fuoco.
Ricordo che dopo la nostra prima notte mi alzai senza minimamente pensare che avrei potuto disturbarla e me ne andai diritto sotto la doccia. È verosimile che parlassi da solo, forse canticchiavo o fischiettavo, di certo ero felice. L’acqua scrosciava, questo lo ricordo bene. Improvvisamente me la vidi in piedi davanti ai vetri della doccia. Aveva due occhi come fanali. Fermai il getto dell’acqua.
«Vidal, il est cinq heures du matin et je veux dormir. S’il te plaît, chut!»
Dal tono della voce e da come mi guardava allucinata intuii che si stava domandando se quel tizio lì, Tonelli, non fosse per caso uno degli errori della sua vita, da superare subito. Capii immediatamente che, se volevo Monique, qualcosa doveva cambiare nella mia vita.
«Scusami, non succederà più!» le risposi. Ero sincero e ho mantenuto la promessa, ci tenevo già a questa signora che era entrata improvvisamente nella mia vita.
Da allora sono passati quattro mesi e se lei, di fatto, vive qui da me, vuol dire che ho imparato a conoscere e rispettare anche i suoi ritmi biologici.
Adesso infatti resto sempre un po’ a letto, con lei che dorme ancora: ne ascolto il respiro, avverto quel suo tenue profumo d’arancia e i movimenti del suo corpo. Questo piccolo spazio temporale è diventato fin da subito l’occasione per riflettere su quanto la mia vita, in poco tempo, sia cambiata. Per opposto, con naturalezza, mi spingo a cercare di capire a che cosa non posso e non voglio rinunciare. La lista non è lunga, varia comunque di poco ogni mattina ma ha punti fermi importanti. Ci sto ragionando anche in questo momento e so che durerà al massimo una decina di minuti, poi i suoni che giungono dall’esterno prenderanno il sopravvento. Lascio infatti sempre un po’ aperta la finestra più distante dal nostro letto, con i balconi solamente accostati. D’inverno è uno spiraglio, d’estate la spalanco. Temevo che lei mi imponesse di chiuderla, ma fino a oggi non me l’ha chiesto, per ora la temperatura in camera non è mai scesa troppo. Ho bisogno che entri un po’ d’aria, senza mi sembra di soffocare. C’è poi un altro motivo che mi rende necessario tenere aperta quella finestra. Prima ancora di guardar fuori, ascoltando i rumori che giungono dal parco e dalla roggia, so già che tempo fa, se il cielo è sgombro o piove, se c’è freddo e quanto, se fa caldo oppure no. Una fra le cose che mi ha insegnato mio padre, e di cui gli sono più grato, è che per capire il tempo atmosferico bisogna ascoltare. Fu proprio il silenzio a convincermi definitivamente a comperare questa casa in pieno centro città, che confina col grande parco dei conti di Porcia, da cui è separata solo da una bella roggia d’acqua sorgiva, sempre pulita.
L’ascolto mattutino dei rumori della natura e quel mio ragionare su quale sia il tempo che mi aspetta fuori casa è proprio una di quelle cose a cui sento di non poter rinunciare.
Da alcuni mesi, però, il respiro di Monique entra in competizione con gli altri suoni e devo essere ancor più attento di prima, perché quel suo corpo e il desiderio che suscita in me inevitabilmente turbano ogni altra mia sensibilità.
Oggi ho intuito che la notte ci ha portati vicino allo zero termico ma non sotto. Dev’essere rimasta una forte umidità nell’aria: le cince sono attive, i merli litigano fra loro, l’acqua non trova ancora ghiaccio a ottundere la sua musica. Avremo una giornata senza nuvole ma, in mattinata, il cielo sarà velato da leggere nebbie e solo nelle ore centrali potremo vedere il sole. Poi, al tramonto, la forte umidità riprenderà il sopravvento, la luce dei lampioni si spezzerà contro miriadi di goccioline d’acqua. Tutto allora sarà destinato a sembrare soffuso, triste, quasi immateriale e impalpabile. Ma già domani dovrebbe fare freddo e forse un vento da Est annuncerà l’inverno e ci darà quel clima rigido e secco che piace a me.
Bene, è arrivato il momento, scosto piano il piumone e mi alzo senza disturbarla. Stacco il cellulare che tengo in carica sul mio comodino. Purtroppo per lavoro sono sempre reperibile e devo averlo costantemente a portata di mano. Esco dalla camera che ora è diventata nostra e chiudo la porta, per garantirle più silenzio possibile. La sera lascio sempre i vestiti in un’altra stanza, dove ho trasferito tutto il mio guardaroba, per non svegliarla. Ora uso il piccolo bagno al pianoterra, vicino alla cucina. Già mentre scendo le scale penso alla giornata che mi aspetta, con troppi impegni burocratici e organizzativi.
Facendo il punto sul lavoro la mia mente viaggia verso Katia. Che storia c’è stata fra noi! Adesso ha cinquantacinque anni, cinque meno di me. Anche lei è una donna bella e interessante. Divorziata, vive da sola ma non ne è felice e già dopo pochi mesi dall’arrivo in questura a Pordenone mi aveva puntato. Ho tenuto duro, perché allora non ero ancora pronto a condividere la mia vita con un’altra donna. Inoltre ho sempre considerato un grave errore accostare lavoro e sentimenti. Si crea un corto circuito molto negativo e non voglio che mi succeda. Così per alcuni anni siamo andati avanti con lei che mi invitava e io che rifiutavo, ma ci sono sempre stati fra noi rispetto e ironia. Infine è stata promossa questore a Bari. Sinceramente, assunta una così pesante responsabilità, m’aspettavo che mi dimenticasse.
Agli inizi di giugno sono andato a Bari per un fine settimana e abbiamo finalmente fatto l’amore. È stato molto bello e ne era felicissima, mi sembrava appagata. Anch’io ho provato quella sensazione, mi sentirei stupido se non accettassi le cose per come sono. Fra giugno e inizio luglio l’ho raggiunta altre due volte ed è stato sempre come la prima.
Ho voluto essere subito chiaro con Katia.
«Sei la prima donna questore di una città importante» le dissi mentre facevamo colazione a casa sua, nel centro storico di Bari. «Hai ancora almeno dodici anni di lavoro e girerai l’Italia. Alla fine vedrai che ti daranno una responsabilità a Roma. Sai troppo bene che io, da Pordenone, non mi muoverò. Sono legato a quel pezzo di mondo che va da Chioggia a Lussino e alla gente che ci vive. Quando andrai in pensione, avrò settantadue anni. Allora ne parleremo, se ti verrà voglia di condividere ogni tuo giorno con quel vecchio Vidal Tonelli, ammesso che sia ancora vivo.»
Mi fermai per un secondo. Katia non parlò, così ripresi.
«Mi hai raccontato del tuo matrimonio finito male. Io invece ne ho avuto uno vero e felice. Non ne desidero un altro, nella mia mente sarebbe comunque un surrogato. Fra noi ci possono essere affetto e condivisione, aiuto e sostegno reciproco. E passione, perché il tuo corpo mi attrae molto e per ora ho energie sufficienti per desiderarlo e, spero, per corrispondere al tuo desiderio. Ma se nei giorni che verranno, qui a Bari o altrove, ti sentirai sola, puoi cercarmi o anche accettare la compagnia di altri. Sentiti libera, come dev’essere una donna con la tua esperienza. Così sono pure io e, se dovessi incrociare una persona interessante, la cercherò. C’è un limite: qualsiasi altro mio eventuale incontro non deve ostacolare la nostra relazione. Non deve impedirmi di venirti a trovare o a te di salire a Pordenone. Ogni eventuale altra cosa deve lasciarci stare bene assieme, liberamente e apertamente. Questi sono i limiti che vorrei pormi e che ti propongo. Vanno bene anche per te?» le domandai.
Finì di bere una tazza di caffè, la tenne fra le mani, la guardò, poi alzò gli occhi su di me, che stavo seduto a un tavolo e la osservavo. Sorrise.
«Forse c’è un po’ troppo raziocinio, ma ti conosco, questo è il tuo modo di vivere. Va bene, chiedo solo d’essere libera di volerti bene e sarò felice se me ne vorrai anche tu.»
«Sì» le risposi. Mi alzai, le andai incontro, ci sciogliemmo in un abbraccio.
Poi un’altra, improvvisamente, è entrata nella mia vita e io mi sono subito chiesto se avrei dovuto dirlo a Katia. A metà luglio è successa una cosa che, a pensarci, è banale. Monique mi ha detto che le ferie nelle prime due settimane d’agosto le avrebbe fatte col marito in Provenza, a casa d’amici. Inoltre qualche giorno voleva dedicarlo ai figli, perciò per noi due restava una settimana, alla fine del mese o anche dopo, quando volevo. Andava bene per me? Proprio quella mattina Katia mi aveva telefonato per dirmi che mi riservava le prime due settimane di agosto, voleva sapere se ero d’accordo e dove preferivo che andassimo. Imbarazzato, avevo preso tempo. Il giorno dopo l’ho chiamata: «Per le date ho visto che non c’è problema. Direi che anche la Puglia va benissimo, trova tu un posto bello oppure immagina un viaggio».
Insomma, ho cominciato a gestire una mia nuova vita, ma senza sentirmi diviso, non sono entrato in confusione, ho evitato ridicole bugie. Devo dire che sono stato molto aiutato dal fatto che una abita a Bari e l’altra a Pordenone, dove lavora nella direzione di FriulAdria, una nostra banca controllata da Crédit Agricole. Monique ha casa a Lione, il marito lavora per il ministero degli Esteri francese ed è sempre in giro per il mondo, e i due figli, già cresciuti, vivono uno a Parigi e l’altra a Madrid. All’inizio, a essere sincero, ero incerto su quale giudizio dare di me stesso. Poi mi sono detto “Vivi, Tonelli. Vivi ora e più intensamente che puoi. Negli ultimi tre anni, in due occasioni, hanno tentato di ammazzarti e, dopo Silvia, hai perso anche una ragazza a cui volevi molto bene. Cosa aspetti? Vivi, non hai più molto tempo davanti a te…”.
È quello che faccio.
L’ultimo sabato di luglio Monique e io siamo andati assieme all’aeroporto di Venezia con la mia Golf. Le...