TERZA PARTE
LA VITA NELL’UNIVERSO
10
Immortalità
| La prospettiva degli eoni necessari ad attraversare la galassia non è certo in grado di scoraggiare degli esseri immortali. |
| SIR MARTIN REES, astronomo reale d’Inghilterra |
Il film Adaline – L’eterna giovinezza racconta di una donna nata nel 1908 che, perdendo il controllo della sua auto durante una tempesta di neve, finisce in un lago ghiacciato e muore assiderata: all’improvviso, però, un fulmine la riporta in vita, e questo singolare evento modifica il suo DNA. Da quel momento in poi, Adaline smette misteriosamente di invecchiare.
La donna rimane quindi giovane mentre le sue amiche e i suoi amanti subiscono normalmente il trascorrere del tempo. Inevitabilmente, le voci e i sospetti iniziano a rincorrersi, così che Adaline è costretta a lasciare la città. Anziché godersi la sua eterna giovinezza, si ritira dalla società in una solitudine quasi assoluta: per lei l’immortalità non è un dono, ma una maledizione.
Nel finale ha un altro incidente d’auto e muore una seconda volta. Nell’ambulanza, lo shock elettrico provocato dal defibrillatore non si limita a riportarla in vita, ma inverte gli effetti genetici del fulmine, facendola tornare mortale. Invece di piangere per la perdita della propria immortalità, si rallegra quando, l’anno dopo, scopre allo specchio i suoi primi capelli bianchi.
Mentre Adaline è felice di potersi lasciare alle spalle la promessa dell’immortalità, la scienza si sta oggi muovendo nella direzione opposta, facendo passi da gigante nella comprensione dei meccanismi dell’invecchiamento. Coloro che si occupano dell’esplorazione dello spazio profondo seguono con interesse queste ricerche, in quanto la distanza che separa le stelle è talmente grande che potrebbero volerci secoli prima che un’astronave giunga a destinazione. Pertanto, la costruzione di una nave spaziale, l’attraversamento effettivo dello spazio e la colonizzazione di lontani pianeti è un processo che potrebbe richiedere diverse generazioni. Per sopravvivere al viaggio dovremmo creare delle navi multigenerazionali, mettere i nostri astronauti e i nostri coloni in animazione sospesa, utilizzare dei cloni oppure prolungare la durata delle vite dei passeggeri. Esaminiamo ora questi diversi modi in cui gli esseri umani potrebbero affrontare il loro viaggio verso le stelle.
Astronavi multigenerazionali
Supponiamo che nello spazio sia stato scoperto un gemello della Terra, con un’atmosfera di ossigeno/azoto, acqua allo stato liquido, un nucleo roccioso e dimensioni grossomodo corrispondenti a quelle del nostro pianeta. Sembrerebbe un candidato ideale per la colonizzazione. Poi, però, ci rendiamo conto che questo gemello si trova a cento anni luce dalla Terra; ciò significa che un’astronave, usando magari dei propulsori a fusione o ad antimateria, impiegherebbe duecento anni per raggiungerlo.
Ora, se una generazione corrisponde all’incirca a vent’anni, ne consegue che sulla nostra nave spaziale nasceranno dieci generazioni di esseri umani, che vedranno in essa l’unica casa che abbiano mai conosciuto.
Anche se questo pensiero potrebbe sembrare scoraggiante, tenete conto che nel Medioevo gli architetti progettavano grandiose cattedrali pur sapendo che non sarebbero vissuti abbastanza a lungo per vedere il loro capolavoro completato; sapevano che, forse, sarebbero stati i loro nipoti a celebrarne l’inaugurazione.
Inoltre, tenete presente che durante la Grande diaspora – quando gli uomini, circa settantacinquemila anni fa, iniziarono a lasciare l’Africa per andare alla ricerca di una nuova casa – i nostri antenati si rendevano conto che sarebbero forse occorse numerose generazioni prima di giungere alla meta.
Pertanto, il concetto di un viaggio multigenerazionale non è nuovo.
Tuttavia, se viaggiamo a bordo di un’astronave, ci sono dei problemi che vanno affrontati. In primo luogo, la popolazione andrà scelta con molta cura, con almeno duecento individui per nave, al fine di mantenere dei livelli di procreazione sostenibili. Occorrerà monitorare il numero di persone in modo che la popolazione rimanga stabile e non dia fondo alle scorte. La più piccola deviazione in questo senso potrebbe portare, nel giro di dieci generazioni, a disastrosi problemi di sovrappopolazione o sottopopolazione, che metterebbero a repentaglio l’intera missione. Così, per mantenere sotto controllo il numero dei passeggeri durante il viaggio potrebbe essere necessaria l’adozione di una varietà di metodi, tra cui la clonazione, l’inseminazione artificiale e la fecondazione in provetta.
In secondo luogo, occorrerà monitorare con attenzione anche le risorse. Il cibo e i rifiuti dovranno essere costantemente riciclati; non si potrà gettar via nulla.
E c’è poi il problema della noia. Per esempio, le persone che vivono su piccole isole si lamentano spesso della «febbre dell’isola», un’intensa sensazione di claustrofobia accompagnata dal bruciante desiderio di lasciare quel fazzoletto di terra per esplorare nuovi mondi. Una soluzione consisterebbe nel ricorrere alla realtà virtuale per creare fantastici mondi immaginari attraverso l’uso di avanzate simulazioni computerizzate. Un’altra possibilità è quella di creare obiettivi, sfide, compiti e lavori per i passeggeri, in modo che le loro vite abbiano sempre una direzione e uno scopo.
Inoltre, a bordo delle navi dovranno essere prese delle decisioni, come quelle relative all’assegnazione delle risorse e degli incarichi. Occorrerà istituire un organo democraticamente eletto che abbia il compito di supervisionare giorno per giorno l’attività della nave. Ciò lascia però aperta la possibilità che un’eventuale generazione futura non voglia più portare a termine la missione originaria, o che un carismatico demagogo prenda il potere e la sovverta.
C’è comunque un modo per eliminare molti di questi problemi: il ricorso all’animazione sospesa.
Congelamento e vitrificazione
Nel film 2001: Odissea nello spazio, tre dei cinque astronauti dell’equipaggio di una gigantesca nave spaziale in viaggio verso Giove vengono tenuti in uno stato di ibernazione dentro le loro capsule. Dato che le loro funzioni corporee sono ridotte a zero, si possono evitare tutte le complicazioni associate alle navi multigenerazionali: in questo modo, chi pianifica la missione non deve preoccuparsi dell’eventualità che gli astronauti consumino troppe risorse o della necessità di mantenere stabili i livelli di popolazione.
Ma è davvero possibile?
Chiunque abbia vissuto in regioni dell’estremo Nord durante l’inverno sa che pesci e rane possono rimanere congelati nel ghiaccio per poi emergere dal loro stato, come se nulla fosse successo, all’arrivo della primavera e del disgelo.
In genere, ci aspetteremmo che il processo di congelamento uccida questi animali. Con l’abbassamento della temperatura del sangue, infatti, vengono a formarsi dei cristalli di ghiaccio che si espandono sia all’interno delle cellule (provocando infine la rottura delle loro membrane), sia al loro esterno (rischiando così di schiacciarle e romperle). Madre Natura ha risolto questo problema ricorrendo a una soluzione semplice: una sostanza antigelo. In inverno, noi mettiamo l’antigelo nei radiatori delle nostre auto per abbassare il punto di congelamento dell’acqua; allo stesso modo, Madre Natura usa il glucosio per lo stesso scopo, abbassando così il punto di congelamento del sangue. Pertanto, anche se l’animale è congelato all’interno di un blocco di ghiaccio, il sangue nelle sue vene è ancora liquido e consente il mantenimento delle funzioni corporee di base.
Una concentrazione così alta di glucosio nel sangue sarebbe però tossica per gli esseri umani e ne provocherebbe la morte. Gli scienziati hanno quindi condotto una serie di esperimenti sul cosiddetto processo di «vitrificazione», nel quale viene usata una combinazione di altre sostanze chimiche per abbassare il punto di congelamento in modo che i cristalli di ghiaccio non si formino. Per quanto l’idea possa suonare intrigante, finora i risultati sono stati deludenti. La vitrificazione presenta spesso effetti collaterali negativi. Gli agenti chimici usati nei laboratori sono in molti casi velenosi, e talvolta letali. Fino a oggi, non abbiamo nessun caso di una persona che sia stata congelata e quindi scongelata con successo, tornando a essere viva e vegeta; siamo pertanto ancora molto lontani dall’effettiva possibilità di ricorrere all’animazione sospesa. (Ciò non ha comunque trattenuto alcuni imprenditori dal pubblicizzare prematuramente questa tecnica come un modo per ingannare la morte, affermando che le persone affette da una malattia fatale possono far congelare i loro corpi – dietro lauto compenso – perché vengano poi rianimati tra qualche decennio, quando la scienza ci permetterà di curare le loro patologie. Non abbiamo però la benché minima prova sperimentale che tale processo funzioni.) La speranza degli scienziati è che, col tempo, queste questioni tecniche possano essere risolte.
Così, almeno sulla carta, l’animazione sospesa potrebbe essere il modo ideale per superare molti dei problemi legati ai viaggi di lunghissima durata. Anche se oggi non è ancora una strada percorribile, in futuro potrebbe diventare uno dei metodi principali per sopravvivere alle missioni interstellari.
Tuttavia, l’animazione sospesa comporta un ulteriore problema. Qualora si dovesse verificare un’emergenza imprevista, come l’impatto con un asteroide, potrebbe essere richiesto un intervento umano per sistemare i danni. I robot potrebbero essere attivati per le riparazioni iniziali, ma di fronte a un’emergenza abbastanza grave sarebbero necessari l’esperienza e il giudizio degli uomini. Così, qualche ingegnere a bordo potrebbe dover essere rianimato; ma se l’intervento fosse urgente e il processo di rianimazione dovesse durare troppo a lungo, le conseguenze sarebbero potenzialmente fatali. Questo è il punto debole del sistema: forse una piccola società multigenerazionale di ingegneri dovrebbe rimanere sveglia e pronta a intervenire durante l’intero viaggio.
Mandare dei cloni
Un ulteriore modo per colonizzare la galassia consiste nell’inviare nello spazio degli embrioni con il nostro DNA, nella speranza che un giorno possano essere fatti sviluppare presso una qualche destinazione remota.1 Una soluzione ancora più radicale sarebbe quella di mandare il codice genetico stesso, che verrebbe infine usato per creare nuovi esseri umani. (Si tratta del metodo menzionato nel film L’uomo d’acciaio: poco prima che il pianeta natale di Superman, Krypton, esploda, i kryptoniani – una razza molto avanzata – riescono a sequenziare il DNA dell’intera popolazione. Il piano prevede di inviare queste informazioni su un pianeta come la Terra, dove il codice genetico potrebbe essere usato per creare dei cloni dei kryptoniani originali. L’unico problema è che ciò potrebbe comportare la conquista della Terra e l’eliminazione dei suoi abitanti, che hanno avuto la sfortuna di trovarsi sulla loro strada.)
L’approccio della clonazione presenta alcuni vantaggi. Limitandoci a trapiantare il DNA, non avremmo bisogno di gigantesche navi spaziali con enormi ambienti artificiali di tipo terrestre e sistemi di supporto vitale; anche solo una normale astronave a razzo basterebbe a trasportare grandi vasche di embrioni umani. Non sorprende che gli scrittori di fantascienza abbiano immaginato che un processo del genere abbia avuto luogo eoni fa, quando una qualche specie preumana potrebbe aver diffuso il proprio DNA nel nostro settore della galassia rendendo così possibile l’emergere della nostra specie.
Questa proposta comporta però anche diversi inconvenienti. Fino a oggi, nessun essere umano è mai stato clonato; anzi, di fatto non è mai stato clonato con successo neanche un generico primate. La tecnologia non è ancora abbastanza avanzata da permetterci di creare cloni umani, anche se questo traguardo verrà forse raggiunto in futuro. In tal caso, è possibile che vengano progettati dei robot con il compito di far sviluppare i cloni e prendersi cura di loro.
Ma la cosa più importante è che gli esseri che potremmo creare attraverso questo processo sarebbero geneticamente identici a noi, ma non avrebbero comunque i nostri ricordi o la nostra personalità. Sarebbero una specie di foglio bianco. Al momento, il trasferimento dell’intera memoria e della personalità di un individuo supera di gran lunga le nostre capacità; anche in questo caso, occorreranno sviluppi tecnologici il cui raggiungimento (sempre ammesso che sia possibile) richiederà decenni o addirittura secoli.
Ma anche senza ricorrere all’ibernazione o alla clonazione, c’è forse un altro modo per viaggiare fino alle stelle: rallentare – o magari arrestare del tutto – il processo d’invecchiamento.
La ricerca dell’immortalità
La ricerca della vita eterna è uno dei temi più antichi e ricorrenti nella letteratura umana. Risale addirittura all’Epopea di Gilgameš, un poema scritto quasi cinquemila anni fa che racconta le imprese di un guerriero sumero impegnato in una nobile ricerca. Strada facendo vive molte avventure e fa numerosi incontri, tra cui uno con un individuo che, come Noè, ha assistito al Diluvio universale. L’obiettivo di questo lungo viaggio è quello di trovare il segreto dell’immortalità. Nella Bibbia, Dio scaccia Adamo ed Eva dal giardino dell’Eden dopo che questi gli hanno disobbedito mangiando il frutto dell’albero della conoscenza: è infuriato perché avrebbero potuto usare tale conoscenza per prendere anche il frutto dell’albero della vita e diventare immortali.
La nostra ossessione per l’immortalità dura da sempre. Per gran parte della storia umana, spesso i neonati morivano durante il parto, e i fortunati che sopravvivevano erano perlopiù condannati a condurre un’esistenza di fame e stenti. Le epidemie si diffondevano a macchia d’olio perché le persone erano solite gettare i loro rifiuti fuori dalla finestra. Villaggi e città puzzavano, in quanto non c’erano dei sistemi fognari come li conosciamo oggi. Gli ospedali, dove esistevano, erano posti in cui i poveri andavano a morire; erano destinati ad accogliere i malati indigenti, dato che i ricchi potevano permettersi dei medici privati. Questi ultimi, però, erano di fatto poco più che ciarlatani, così che anche i ricchi soccombevano alle malattie. (Un dottore del Midwest degli Stati Uniti che teneva un diario delle sue visite giornaliere ai pazienti confessò che, di fatto, nella sua borsa c’erano solo due cose che funzionavano: il seghetto per tagliare gli arti feriti e infetti e la morfina per attenuare il dolore dell’amputazione. Tutto il resto era olio di serpente.)
Nel 1900, l’aspettativa di vita ufficiale negli Stati Uniti era di quarantanove anni. Poi, però, due rivoluzioni l’hanno allungata di decenni. La prima è stata il miglioramento delle misure igieniche, con la distribuzione di acqua pulita e la diffusione dei sistemi fognari; queste innovazioni hanno contribuito a eliminare alcune delle peggiori epidemie, aggiungendo circa quindici anni alla nostra aspettativa di vita.
La seconda rivoluzione riguarda la medicina. Oggi diamo spesso per scontata la vittoria su tutta una serie di antiche malattie – come la tubercolosi, il vaiolo, il morbillo, la poliomielite, la pertosse eccetera – che facevano vivere nel terrore i nostri antenati. Di fatto questi morbi, però, sono stati in gran parte sconfitti solo nel periodo postbellico grazie agli antibiotici e ai vaccini, cosa che ha allungato la nostra aspettativa di vita di un’altra decade. E, nel frattempo, la reputazione degli ospedali è cambiata in modo radicale: non sono più posti dove i poveri vanno a morire, ma centri dove le malattie vengono realmente curate.
È quindi possibile che, arrivati a questo punto, la scienza moderna scopra i segreti del processo d’invecchiamento e riesca così a rallentare – o magari addirittura a fermare – il nostro orologio biologico, allungando verso l’infinito la nostra aspettativa di vita?
Come si è detto, la ricerca dell’immortalità non è certo una prerogativa della modernità, ma la novità sta nel fatto che oggi ha attirato l’attenzione delle persone più ricche del pianeta. In effetti, ci sono imprenditori della Silicon Valley che stanno investendo milioni per sconfiggere il processo d’invecchiamento; non contenti di aver collegato tutto il mondo con le loro tecnologie, si sono dati ora lo scopo di vivere per sempre. Sergej Brin, cofondatore di Google, spera nientemeno che di «curare la morte»; e la Calico, da lui guidata, potrebbe infine investire miliardi per affrontare questo problema in una partnership con l’azienda farmaceutica AbbVie. L...