L'uomo che dorme (Nero Rizzoli)
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L'uomo che dorme (Nero Rizzoli)

  1. 280 pagine
  2. Italian
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L'uomo che dorme (Nero Rizzoli)

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NERO RIZZOLI È LA BUSSOLA DEL NOIR FIRMATA RIZZOLI. Da un po' di tempo, Antonio Costanza ha preso la vita contromano: non per scelta e nemmeno per ostinazione. A quarant'anni, è vittima di un'indolenza che niente riesce a scalfire, neppure i brutali omicidi di due prostitute. Non sarebbe troppo grave se Antonio fosse solo Antonio. Invece è anche il dottor Costanza, psichiatra e consulente del Tribunale per i crimini violenti. Uno che se la vede con disadattati cronici, finti pazzi e bastardi veri. Così, quando l'ombra di un serial killer si allunga su Salerno, città sospesa tra vecchi sapori di provincia e vanità da metropoli sul mare, Antonio fa l'impossibile per non essere coinvolto.
Vagamente sociopatico e teneramente narcisista, se ne resta ripiegato in un guscio di piccole fobie, appresso alle scelte dell'ex compagna e a un rapporto complicato con il figlio. La sveglia però sta suonando, tanto più che di mezzo ci si mette una giornalista dal sorriso favoloso.Il sonno della svogliatezza è finito e al dottor Costanza toccherà sondare la mente omicida di uomini che odiano le donne, trascinato in un caso in cui la Legge sembra incapace di fare giustizia. Corrado De Rosa attinge alla sua esperienza di psichiatra, perito in vicende giudiziarie eccellenti, per costruire una commedia nera dal tono amaro e scanzonato. La dedica a una generazione a tratti infantile, maldestra in amore, che è cresciuta con i Lego rimanendo incastrata tra i mattoncini colorati delle possibilità e le macerie del disincanto.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2018
ISBN
9788858692561
SECONDA PARTE

10

«Sono Saverio Fotino, Federico Mastrangelo lavorava al mio negozio. So che è stato ricoverato. Posso parlargli?»
«Ora sta riposando» rispose Dora mentre preparava la lista delle medicine da richiedere alla farmacia dell’ospedale.
«E come sta?»
«Purtroppo non posso darle informazioni.»
Saverio chiese di un medico e l’infermiera digitò l’interno.
Appena squillò il telefono, Antonio prese la cornetta per passarla a Teresa Capone. Credeva che fosse Gambardella con qualche richiesta insulsa delle sue, non aveva voglia di ascoltarlo.
La linea era disturbata. «Non volevo licenziarlo, giuro» farfugliava Saverio. «Ma mi avrebbero minacciato di nuovo.»
«Adesso si calmi» rispose la dottoressa. «Con chi parlo?»
«Sono Fotino. Federico lavorava al banco dei salumi del mio negozio di alimentari. È sempre stato perfetto. Poi gli ho detto che non poteva lavorare più ed è andato fuori di testa. Avevo anche consigliato a Rosaria di portarlo da uno psicologo.»
Antonio guardò la cartella: Ciccio Carducci non l’aveva aggiornata e le notizie risalivano alla notte del ricovero. Teresa liquidò il signor Saverio, riattaccò e chiese a Dora di incontrare i familiari di Federico.
Quando Rosaria entrò in reparto, accompagnata da Emilio, le sue mani roteavano come pale eoliche: «Dottore, non ci giriamo intorno: mio figlio è vittima di un’ingiustizia».
Emilio la supplicò di non gridare, Antonio provò a farla riflettere: «Signora, Federico l’ho ricoverato io l’altra notte. Se continua a dirci solo questo, non capiremo se possiamo aiutarlo e soprattutto come».
«Voi, proprio voi volete aiutarlo? Voi che me l’avete sequestrato.» Poi la donna scoppiò a piangere e a raccontare tra i singhiozzi.
La storia era iniziata un anno prima.
Litigioso, irrequieto, tenuto a distanza dai coetanei, due bocciature, studi abbandonati e lavoretti occasionali, Federico navigava a vista, in una vita senza desideri, tra molta marijuana e nessuna fidanzata. Così si era lasciato scappare gli anni della giovinezza, fin quando il padre non aveva avuto un incidente d’auto e se n’era andato dopo una settimana di coma.
Era ora di lavorare sul serio, senza capricci. Federico si era rimboccato le maniche e aveva provato a darsi da fare.
«Me lo mandavano sempre a casa, quei mascalzoni.»
Una volta l’avevano licenziato perché dicevano che era poco accomodante con i clienti, un’altra perché era troppo distratto. Diffidente e sospettoso, certo di essere incompreso, aveva lavorato come cameriere, addetto alle pulizie di una catena di negozi e magazziniere. Lo aveva scaricato anche don Alfonso, il barbiere amico del padre, che non ne poteva più della maleducazione del ragazzo.
In un barlume di consapevolezza, Rosaria ammise: «Per la verità, pensai che se l’aveva cacciato pure don Alfonso, forse Federico era ’nu poco guasto».
Antonio colse nelle parole della donna la consapevolezza di una madre che vede il figlio frantumarsi in mille pezzi. Gli venne in mente Luca, come si sarebbe comportato lui se avesse avuto lo stesso problema con suo figlio?
Ci aveva pensato tante volte senza mai trovare la risposta. Come gli accadeva quando si impantanava in un ragionamento, cercò di adottare qualche strategia per rimanere a galla e si concentrò su quello che gli era capitato di buono negli ultimi giorni.
Scorse la rubrica fino al nome di Laura Santamaria e digitò: “Ciao, come stai?”.
Se ne pentì dopo un secondo: messaggio scialbo.
«Chiesi aiuto a Saverio» continuò Rosaria, «aveva bisogno di personale per il banco dei salumi e Federico mio iniziò in primavera. Si comportò benissimo.» Mentre la donna lanciava un bacio in aria con la mano per sottolineare la bravura del figlio, Osvaldo Gambardella si affacciò nella stanza dopo aver bussato con due inconfondibili, flebili tocchi, a distanza di qualche secondo uno dall’altro. Ad Antonio dava sui nervi, s’immaginava che quella doppietta moscia lasciasse un’impronta sulla porta come la bava di lumaca.
Teresa chiese al primario di tornare dopo e pregò Rosaria di riprendere il racconto.
«Federico serviva, suggeriva i prodotti da scegliere, scherzava con tutti. Non era mai stato così tranquillo, non saltò neanche un giorno di lavoro. Poi, all’improvviso, Saverio l’ha cacciato e mio figlio è asciut’ pazzo
«E perché l’avrebbe cacciato?» Antonio d’istinto si rivolse a Emilio, e ammise a malincuore che Pierangelo De Lorenzo aveva ragione: la storia della famiglia Mastrangelo non aveva né capo né coda.
Rosaria impedì al figlio di intervenire ripetendo come un disco rotto: «L’ha cacciato e iss’ è asciut’ pazzo… L’hanno mortificato ed è asciut’ pazzoè asciut’ pazzo, è asciut’ pazzo».
Emilio provò ad abbracciarla, Teresa Capone cercava le frasi giuste per consolare quella madre disperata. Antonio come al solito rimase senza parole: davanti a una donna che piangeva perdeva ogni punto di riferimento e non sapeva come comportarsi.
Si rese conto che comunque erano arrivati a un punto di non ritorno, congedò Rosaria ed Emilio e compose il numero dell’infermeria: «Dora, vorrei visitare Federico. Lo accompagni in stanza medici?». Capiva che non era abbastanza, ma era il suo modo per aiutare la famiglia Mastrangelo. A esplorare sentimenti era una capra, però con i pazienti ci sapeva fare.
«È stato sveglio tutta la notte, adesso dorme. Lo chiamo?»
«Allora lascialo riposare, ci parlo dopo. Per favore, rintraccia di nuovo il signor Fotino. Controlla quando sono di turno e chiedigli se può raggiungerci per un colloquio.»
Appena riattaccò il telefono, echeggiarono ancora alla porta i due tocchi di Gambardella, che si materializzò un attimo dopo. Per essere tornato, doveva trattarsi di qualcosa di importante. Aveva gli occhi cerchiati di chi ha passato una notte in bianco.
«L’azienda ha stabilito nuove regole per le prescrizioni dei farmaci» esordì il primario. «Siamo chiamati a un duro lavoro per stare nei costi.»
Passò ad Antonio e Teresa un plico di fogli pieno di timbri, era l’elenco dei farmaci che si potevano prescrivere in ospedale.
Laura non risponde al messaggio…
«Ma sono pochissimi» obiettò Antonio.
«Gli sprechi sono dappertutto» replicò Gambardella. «Aiutiamo la Direzione, e vedrete che verremo ricompensati. Poi siamo sicuri che le medicine mancanti siano davvero indispensabili? Prenda Troisi, Costanza. Non ha bisogno di terapie così moderne.»
Antonio delle ricompense dell’azienda se ne fregava, voleva solo lavorare in modo dignitoso. Preferiva visitare che firmare carte, fare turni faticosi che partecipare a riunioni in cui c’era sempre qualcuno pronto a dire cose che non sapeva a persone che non le volevano sapere. Su di lui, le manfrine sulla riconoscenza dei capi erano appetibili quanto un disco di heavy metal per un appassionato di canto gregoriano. Però colse la stoccata di Osvaldo Gambardella, non aveva ancora dimesso Vincenzo.
«Almeno scriviamo una lettera di protesta per queste ridicole regole?»
Il primario ignorò le parole di Antonio. Del resto non avrebbe mai sostenuto nulla di lontanamente somigliante a una protesta contro i superiori. Era di quei dirigenti che tra i tagli imposti dall’alto e i problemi sacrosanti, prospettati dai colleghi, avrebbe preso le difese dei superiori, senza vacillare.
Mentre usciva dalla stanza, tornò sui suoi passi. «Ah, stamattina è arrivato un fax urgentissimo dal carcere. Dobbiamo rispondere che siamo disponibili ad accogliere un tale Vito Senatore.» I rapporti con le Istituzioni prima di tutto.
«Chi?» domandò Antonio.
«Un povero detenuto che ha bisogno di un ricovero.»
Senatore? Io, questo cognome qui, me lo ricordo…
Aveva la pendrive inserita nel computer e aprì la cartella delle perizie. Scorse tra i file finché non trovò quello che cercava.
E che cazzo.
«Ma chi, il macellaio?»
Gambardella scrollò le spalle, Antonio fissò il foglio che aveva fra le mani. «C’è scritta la data di nascita?»
Era proprio lui.
«Evidentemente il signor Senatore in carcere non può ricevere le terapie di cui ha bisogno.»
«Invece qui sì. Nel posto in cui possiamo prescrivere solo farmaci del secolo scorso? L’ho visitato qualche anno fa, è uno che finge.»
Gambardella era un capo incapace di comandare. Non aveva le palle per gridare e nemmeno era in grado di dire sì o no. Però in una cosa era un fuoriclasse: se capiva che una sua direttiva era invisa a qualcuno, l’avrebbe trasformata in una questione di principio perché doveva averla sempre vinta. Guardò Antonio e finse stupore: «Carissimo dottor Costanza, perché è così inquieto? Non si preoccupi, mi rendo conto che è pieno di lavoro. Capone, che dice, vogliamo preparare questa breve nota?».
«Non ci penso proprio.» Teresa non sopportava i medici che davano del “lei” ai colleghi.
«Allora provvederò io personalmente. Buon lavoro.» Socchiuse la porta e si dileguò.
«Questo è davvero stronzo» commentò Antonio.
«Io ho cambiato sette primari, ho litigato solo con lui» gli fece eco la collega.
«Che faccia aveva stamattina? Hai notato?»
«Uno straccio. Però sai che a volte mi sembra un uomo triste?»
«L’inclinazione alla pietà ti gioca brutti scherzi.» Per Antonio la fede religiosa di Teresa lasciava troppo spazio alla misericordia. Lui odiava il primario e si ricordava troppo bene di Vito Senatore: l’aveva visitato quattro anni prima per verificare che fosse compatibile con il carcere.
«Mi sfugge perché era dentro.» Fece scorrere il mouse sulla perizia. «Ah sì, usura. L’avvocato sosteneva che soffrisse di una grave psicosi. Quando mi presentai, mi rispose di far tacere il nano che era nella stanza e che gli ordinava di ammazzarsi.»
Teresa non aveva mai voluto occuparsi di perizie.
«Nessuna malattia prima di entrare in carcere, nessuno in famiglia che soffriva di disturbi psichici, nessun tentato suicidio in passato, nessun fattore di rischio suicidario eccetto il carcere. Tu l’hai mai visto uno con un esordio psicotico a cinquantasei anni?»
La Capone non lo interruppe, lo ascoltava nauseata.
«Ovviamente non c’era nessun pericolo di vita, ma un mese dopo un altro medico scrisse che Senatore aveva bisogno di un ricovero urgente in ospedale e successivamente di essere trasferito in una comunità terapeutica.»
«Ma chi era ’sto cretino?»
«Lasciamo perdere…»
«Cioè, dico: era compiacente o soltanto sprovveduto?»
«Non l’ho mai capito. Fatto sta che Gambardella lo vuole trasferire qui.»
Antonio aggiornò le cartelle e il suo cellulare riprese vita. Insieme a quello, anche l’umore.
“Volevi sapere se ho la febbre o volevi salutarmi? Sono appena uscita da una conferenza stampa in Questura. La prostituta uccisa, ti ricordi? Tu che fai?”
Brava, bravissima Laura. Bella e bionda sono concetti incompatibili con la simpatia, invece…
“Fingo di lavorare e penso a un messaggio meno cretino di ‘Ciao, come stai?’”.
“Stasera passi dal Caffè Scorretto?”
“Certo. Ci vediamo lì verso le nove?”
Quella sera c’era la festa dei quarant’anni di Roberto Polverino, Antonio ci sarebbe andato con Elvezio.
“Ok, a dopo.”
«Tonino, dov’eri il 2 dicembre?»
Vittorio Costanza era in cucina.
«Non lo so, papà. Che è successo?»
«Ricordati!»
Antonio conosceva il tono: doveva essere una contravvenzione. «Se è arrivata una multa, per favore vai alla Posta e pa...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. L’uomo che dorme
  4. PRIMA PARTE
  5. SECONDA PARTE
  6. TERZA PARTE