La paura e la ragione
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La paura e la ragione

  1. 400 pagine
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La paura e la ragione

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Dopo il crollo dell'Unione Sovietica e dei regimi comunisti europei abbiamo pensato che la vittoria della democrazia fosse definitiva e che il nuovo millennio avrebbe portato con sé un futuro di pace mondiale. Non è andata così. Dalla Russia di Putin, l'autoritarismo si sta espandendo in Europa e in America e, oggi, l'Occidente assiste a un impensabile ritorno di tendenze nazionaliste e populiste la cui origine è da ricercarsi nel collasso delle istituzioni democratiche. In questo suo nuovo libro, Timothy Snyder spiega i motivi che hanno provocato il crollo della democrazia in Russia, e come Putin non solo abbia ripreso e adattato idee fasciste, ma sia riuscito a esportarle in Occidente. Nell'epoca dei social network e delle fake news non è stato difficile per bot e troll pilotati da Mosca influenzare le opinioni pubbliche facendo leva sul malessere serpeggiante in una società disillusa dall'economia in crisi. Dall'invasione dell'Ucraina all'annessione della Crimea, dalla Brexit alla manipolazione delle elezioni americane ai bombardamenti in Siria, Snyder ripercorre i principali eventi che in questo decennio hanno condotto allo stallo delle democrazie, convinto che la paura di un ritorno ai genocidi di cui siamo stati testimoni nel passato possa essere sconfitta solo dalla ragione della società liberale fedele ai principi di uguaglianza e solidarietà. Perché «l'individualità, la resistenza, la collaborazione, la novità, l'onestà e la giustizia non sono semplici luoghi comuni o preferenze, bensì fatti della storia».

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Informazioni

1

Individualismo o totalitarismo (2011)

Con la legge la nostra terra si leverà in alto, ma perirà con l’illegalità.
Saga di Njáll, circa 1280
Sovrano è chi decide sullo stato d’eccezione.
CARL SCHMITT, 1922
La politica dell’inevitabilità è l’idea che non ci siano idee. I suoi sostenitori negano l’importanza delle idee, dimostrando soltanto di essere sotto l’influsso di un’idea potente. Il cliché di questa politica è che «non ci sono alternative». Accettare questa teoria equivale a negare la responsabilità individuale di capire la storia e innescare un cambiamento. La vita diventa un viaggio semicosciente verso una tomba precontrassegnata in un terreno preacquistato.
L’eternità sorge dall’inevitabilità come un fantasma da un cadavere.1 La versione capitalista della politica dell’inevitabilità, il mercato come sostituto della linea politica, genera disuguaglianze economiche che minano la fede nel progresso. Quando la mobilità sociale si blocca, l’inevitabilità cede il passo all’eternità, e la democrazia all’oligarchia. Un oligarca che racconta la storia di un passato innocente, magari con l’aiuto di idee fasciste, offre una protezione fasulla a persone afflitte da un dolore reale. La convinzione che la tecnologia sia al servizio della libertà spiana la strada al suo spettacolo. Mentre la distrazione soppianta la concentrazione, il futuro si dissolve nelle frustrazioni del presente e l’eternità diventa la vita di tutti i giorni. L’oligarca entra nella politica reale da un mondo di finzione e governa invocando il mito e la crisi dell’industria manifatturiera. Negli anni Duemiladieci un uomo di questo tipo, Vladimir Putin, ne ha accompagnato un altro, Donald Trump, dalla finzione al potere.
La Russia ha raggiunto per prima la politica dell’eternità, e i leader russi hanno protetto se stessi e la propria ricchezza esportandola. L’oligarca capo, Vladimir Putin, ha scelto come guida il filosofo fascista Ivan Il’in. Nel 1953 il poeta Czesław Miłosz scrisse che «solo alla metà del XX secolo gli abitanti di molti Paesi europei sono arrivati a capire, di solito attraverso la sofferenza, che i libri di filosofia complessi e difficili hanno un influsso diretto sul loro destino».2 Alcuni dei libri di filosofia che contano oggi furono scritti da Il’in, scomparso l’anno dopo che Miłosz aveva buttato giù queste righe. La ripresa di Ivan Il’in da parte della Russia ufficiale negli anni Novanta e Duemila donò alla sua produzione una seconda vita sotto forma di fascismo adattato per rendere possibile l’oligarchia, sotto forma di idee specifiche che hanno aiutato i leader a passare dall’inevitabilità all’eternità.
Il fascismo degli anni Venti e Trenta, l’epoca di Il’in, aveva tre caratteristiche principali: celebrava la volontà e la violenza sopra la ragione e la legge; proponeva un leader che avesse un legame mistico con il popolo; definiva la globalizzazione un complotto anziché una serie di problemi. Tornato oggi in auge in condizioni di disuguaglianza sotto forma di politica dell’eternità, esso è utile agli oligarchi per dirottare le transizioni dalla discussione pubblica verso la fiction politica, dalle elezioni significative verso una finta democrazia, dal principio di legalità verso regimi personalisti.3
La storia continua sempre, e le alternative si presentano sempre. Il’in è una di loro. Non è l’unico pensatore fascista a essere stato ripreso nel nostro secolo, ma è il più importante. È una guida sulla strada sempre più buia verso la mancanza di libertà, che conduce dall’inevitabilità all’eternità. Studiando le sue idee e il suo influsso, possiamo guardare lungo questa strada, cercando luci e uscite. È questo che significa ragionare storicamente: chiedersi come le idee del passato possano contare nel presente, confrontando l’epoca della globalizzazione di Il’in con la nostra, rendendosi conto che, ieri come oggi, le possibilità erano reali ed erano più di due. Il successore naturale del velo dell’inevitabilità è il sudario dell’eternità, ma ci sono alternative che vanno trovate prima che quest’ultimo scivoli via. Se accettiamo l’eternità, sacrifichiamo l’individualità e diciamo addio alla possibilità. L’eternità è un’altra idea secondo cui non ci sono idee.
Quando l’Unione Sovietica crollò, nel 1991, i politici americani dell’inevitabilità proclamarono la fine della storia, mentre alcuni russi cercarono nuove autorità in un passato imperiale. Quando l’URSS fu fondata nel 1922, ereditò quasi tutto il territorio dell’Impero russo. I possedimenti dello zar erano stati i più vasti del mondo, estesi da ovest a est dal centro dell’Europa alle coste del Pacifico, e da nord a sud dall’Artide all’Asia centrale. Benché la Russia fosse perlopiù un Paese di contadini e di nomadi, le classi medie e gli intellettuali si domandarono, all’inizio del XX secolo, come un impero governato da un autocrate potesse diventare più moderno e più giusto.
Ivan Il’in, nato in una famiglia nobile nel 1883, da giovane fu il tipico rappresentante della sua generazione.4 Nel primo decennio del Novecento, sognava che la Russia si trasformasse in uno Stato governato dalle leggi. Dopo la catastrofe della Prima guerra mondiale e l’esperienza della Rivoluzione bolscevica nel 1917, diventò un controrivoluzionario, un difensore dei metodi violenti contro la rivoluzione e, con il tempo, l’artefice di un fascismo cristiano volto a sconfiggere il bolscevismo. Nel 1922, qualche mese prima della fondazione dell’Unione Sovietica, fu esiliato dalla patria. Scrivendo a Berlino, propose un programma agli oppositori della nuova URSS, denominati Bianchi. Erano uomini che avevano combattuto contro l’Armata Rossa dei bolscevichi durante la lunga e cruenta guerra civile russa e poi, come Il’in, erano dovuti emigrare in Europa per ragioni politiche. In seguito, Il’in formulò i suoi scritti come guida per i leader russi che sarebbero saliti al potere dopo la fine dell’Unione Sovietica. Morì nel 1954.
Dopo che una nuova Federazione russa era emersa dalla defunta URSS nel 1991, il suo breve libro I nostri compiti iniziò a circolare in nuove edizioni russe, la sua opera omnia fu data alle stampe e le sue idee conquistarono potenti sostenitori.5 Il’in era morto nell’oblio in Svizzera; Putin organizzò una risepoltura a Mosca, nel 2005. I documenti personali del filosofo erano arrivati alla Michigan State University; Putin mandò un emissario a recuperarli nel 2006. Ormai Putin citava Il’in durante i discorsi presidenziali annuali all’assemblea generale del parlamento russo. Si trattava di interventi importanti, scritti di suo pugno. Negli anni Duemiladieci, Putin ha fatto affidamento sull’autorevolezza di Il’in per spiegare perché la Russia dovesse indebolire l’Unione Europea e invadere l’Ucraina. Quando gli hanno chiesto di fare il nome di uno storico, ha definito il filosofo la massima autorità sul passato.
La classe politica russa ha seguito il suo esempio. Il suo responsabile della propaganda, Vladislav Surkov, ha adattato le idee di Il’in al mondo dei media moderni.6 Ha orchestrato l’ascesa di Putin al potere e ha supervisionato il consolidamento dei media che ha garantito il suo dominio apparentemente eterno. Dmitrij Medvedev, il capo formale del partito politico di Putin, ha raccomandato Il’in alla gioventù russa. Al filosofo si sono ispirati anche i leader dei finti partiti all’opposizione, i comunisti e i liberaldemocratici (di estrema destra), che hanno contribuito alla creazione del simulacro di democrazia da lui consigliato. Il’in è stato menzionato dal capo della corte costituzionale proprio mentre era in ascesa la sua idea secondo cui la legge significava amore per il leader. È stato citato dai governatori regionali quando la Russia è diventata lo Stato centralizzato di cui egli perorò la causa. All’inizio del 2014, i membri del partito al governo e tutti i funzionari pubblici russi ricevettero dal Cremlino una raccolta delle sue pubblicazioni politiche. Nel 2017, la televisione russa commemorò il centenario della Rivoluzione bolscevica con un film che presentava Il’in come un’autorità morale.
Questo filosofo era un politico dell’eternità. Il suo pensiero prevalse quando la versione capitalista della politica dell’inevitabilità crollò nella Russia degli anni Novanta e Duemila. Il suo influsso ha toccato l’apice quando la Russia, negli anni Duemiladieci, è diventata una cleptocrazia organizzata e le disuguaglianze interne hanno raggiunto proporzioni incredibili. L’attacco russo all’Unione Europea e agli Stati Uniti rivelò, prendendole di mira, certe virtù politiche che il filosofo aveva ignorato o disprezzato: l’individualismo, la successione, l’integrazione, la novità, la verità, l’uguaglianza.7
Il’in propose per la prima volta le sue idee ai russi un secolo fa, dopo la Rivoluzione russa. Tuttavia, è diventato un filosofo del nostro tempo. Nessun pensatore del XX secolo è stato riabilitato in così grande stile nel XXI, né ha avuto un’influenza così profonda sulla politica mondiale. Se ciò è passato inosservato, è perché siamo schiavi dell’inevitabilità: crediamo che le idee non contino. Ragionare storicamente significa accettare che l’ignoto possa essere significativo e impegnarsi per renderlo noto.
La nostra politica dell’inevitabilità richiama quella dell’epoca di Il’in. Come il periodo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio dei Duemiladieci, anche quello dalla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento all’inizio dei Dieci del Novecento fu un’era di globalizzazione. La saggezza convenzionale di entrambe le fasi riteneva che la crescita stimolata dalle esportazioni avrebbe prodotto una politica illuminata e posto fine al fanatismo. Questo ottimismo si sgretolò durante la Prima guerra mondiale e durante le successive rivoluzioni e controrivoluzioni. Il’in fu un primo esempio di questa tendenza. Giovane sostenitore del principio di legalità, si spostò verso l’estrema destra pur ammirando le tattiche che aveva osservato nell’estrema sinistra. L’ex sinistroide Benito Mussolini guidò i fascisti nella marcia su Roma poco dopo che Il’in era stato espulso dalla Russia; il filosofo scorse nel duce una speranza per il mondo corrotto.8
Il’in considerava il fascismo la politica del mondo a venire.9 Durante l’esilio, negli anni Venti, temeva che gli italiani arrivassero al fascismo prima dei russi. Si consolò con l’idea che i Bianchi fossero stati la fonte d’ispirazione per il colpo di stato mussoliniano: «Il movimento bianco è, come tale, più profondo e più ampio del fascismo [italiano]». La profondità e l’ampiezza, spiega Il’in, vengono dall’adozione del genere di cristianesimo che impone il sacrificio del sangue dei nemici di Dio. Credendo, negli anni Venti, che i Bianchi potessero ancora conquistare il potere, si rivolse loro chiamandoli «Miei fratelli bianchi, fascisti».
Il’in restò altrettanto colpito da Adolf Hitler.10 Pur visitando l’Italia e passando le vacanze in Svizzera, tra il 1922 e il 1938 visse a Berlino, dove lavorò per un istituto culturale finanziato dal governo. Sua madre era tedesca ed egli si sottopose alla psicoanalisi con Freud in tedesco, studiò la filosofia tedesca e scrisse in tedesco con la stessa padronanza e frequenza con cui scrisse in russo. Durante il lavoro revisionava e scriveva studi critici sulla politica sovietica (Un mondo sull’orlo dell’abisso in tedesco e Il veleno del bolscevismo in russo, per esempio, solo nel 1931). Considerava Hitler un difensore della civiltà contro il bolscevismo: il Führer, scrive, «ha reso un enorme servigio a tutta l’Europa» impedendo ulteriori rivoluzioni sul modello russo. Osserva soddisfatto che l’antisemitismo hitleriano deriva dall’ideologia dei Bianchi russi. Lamenta che «l’Europa non comprende il movimento nazionalsocialista». Il nazismo, continua, è soprattutto uno «spirito» cui i russi devono prendere parte.
Nel 1938 Il’in lasciò la Germania per la Svizzera, dove visse fino alla morte, nel 1954.11 Lì ricevette un aiuto economico dalla moglie di un uomo d’affari tedesco-americano e guadagnò anche qualche soldo tenendo conferenze pubbliche in tedesco. L’essenza di questi interventi, afferma uno studioso svizzero, è che la Russia dovrebbe essere intesa non come minaccia comunista presente, bensì come salvezza cristiana futura. Secondo Il’in, il comunismo fu inflitto alla povera Russia dall’Occidente in declino. Un giorno la Russia libererà se stessa e gli altri con l’aiuto del fascismo cristiano. Un critico svizzero definì i suoi libri «nazionali nel senso che si oppongono all’intero Occidente».
Le idee politiche di Il’in non cambiarono quando scoppiò la Seconda guerra mondiale.12 I suoi contatti in Svizzera erano uomini dell’estrema destra: Rudolf Grob credeva che la Svizzera avrebbe dovuto imitare la Germania nazista; Theophil Spoerri apparteneva a un gruppo che mise al bando ebrei e massoni; Albert Riedweg era un avvocato di destra il cui fratello Franz fu il più illustre cittadino svizzero nella macchina di sterminio nazista. Franz Riedweg sposò la figlia del ministro tedesco della Guerra ed entrò nelle SS. Partecipò alle invasioni della Polonia, della Francia e dell’Unione Sovietica, l’ultima delle quali fu, secondo Il’in, un esperimento bolscevico durante il quale i nazisti avrebbero potuto liberare i russi.
Quando, nel 1945, l’URSS vinse la guerra ed estese il suo impero verso ovest, il filosofo cominciò a scrivere per le future generazioni di russi.13 Paragonò la propria produzione al gesto di accendere una piccola lanterna in una fitta oscurità. Con quella fiammella, i leader russi degli anni Duemiladieci hanno provocato una conflagrazione.
Il’in fu coerente. La sua prima grande opera filosofica, scritta in russo (1916), fu anche l’ultima, nella traduzione tedesca rivista (1946).14
L’unico bene nell’universo, sostiene, è stata la totalità di Dio prima della creazione. Quando Dio creò il mondo, mandò in frantumi l’unica e totale verità, ossia Se stesso. Il’in divide il mondo nel «categorico», la dimensione perduta di quel singolo concetto perfetto, e nello «storico», la vita umana con i suoi fatti e le sue passioni. Per lui, la tragedia dell’esistenza è che i fatti non si possono riassemblare nella totalità di Dio né le passioni nel Suo scopo. Il pensatore romeno Emil M. Cioran, a sua volta un propugnatore del fascismo cristiano, spiega questo concetto: prima della storia, Dio è perfetto ed eterno; una volta che dà inizio alla storia, sembra «frenetico, incline a commettere un errore dopo l’altro». Come dice Il’in: «Quando Dio sprofondò nell’esistenza empirica, fu privato della sua unità armoniosa, della ragione logica e dello scopo organizzativo».15
Per lui, il mondo umano dei fatti e delle passioni è assurdo. Egli trova immorale che un fatto possa essere compreso nel suo contesto storico: «Il mondo dell’esistenza empirica non si può giustificare teologicamente». Le passioni sono malvage. Durante la creazione, Dio commise l’errore di dare libero sfogo alla «perfida natura del sensuale». Cedette a un impulso «romantico» creando esseri, cioè noi, spinti dal sesso. Così «il contenuto romantico del mondo supera la forma razionale del pensiero, e il pensiero cede il posto allo scopo irrazionale», l’amore fisico. Dio ci abbandonò nel «relativismo spirituale e morale».16
Condannando Dio, Il’in responsabilizza la filosofia, o almeno un filosofo: se stesso. Conserva la visione di una «totalità» divina che esisteva prima della creazione del mondo, ma si considera l’unico capace di rivelare come si possa riconquistarla. Avendo tolto di mezzo Dio, può dare giudizi su ciò che è e su ciò che dovrebbe essere. C’è un mondo divino che in qualche modo deve essere redento, e questo compito sacro ricadrà sugli uomini che, grazie a lui e ai suoi libri, conoscono la propria situazione.
È una visione...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La paura e la ragione
  4. Prologo
  5. 1. Individualismo o totalitarismo
  6. 2. Successione o fallimento
  7. 3. Integrazione o impero
  8. 4. Novità o eternità
  9. 5. Verità o menzogne
  10. 6. Uguaglianza o oligarchia
  11. Epilogo
  12. Ringraziamenti
  13. Note
  14. Indice