Un futuro da Dio
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Un futuro da Dio

  1. 160 pagine
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Un futuro da Dio

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Di cosa parliamo quando parliamo di progresso? Ci stiamo evolvendo verso una catastrofe o verso la libertà? Oppure siamo bloccati nel processo evolutivo dai nostri bisogni materiali? Come potrebbe essere un mondo in cui il progresso si sia fermato? In realtà, ci rassicura Edoardo Boncinelli, "siamo ancora abbastanza lontani da una presunta fine del progresso", ma è proprio per questo che "abbiamo il dovere di capire quello che sta succedendo, con la mente aperta e senza farci confondere da timori e paure". Dallo sfregare due pietre insieme per ottenere una scintilla fino all'esplorazione dello spazio, dalle questioni di fede alle teorie di Darwin, dai disegni primitivi nelle grotte allo studio sulle mutazioni genetiche, Boncinelli racconta con straordinaria chiarezza l'origine della nostra specie e i fenomeni che hanno rivoluzionato la storia dell'umanità. Soffermandosi in particolare sulla straordinaria abilità dell'animale umano di interessarsi anche ad attività che non sono strettamente necessarie dal punto di vista biologico. "Potremmo pensare che se la vita ha un fine - e secondo me non ce l'ha - potrebbe essere quello di renderci sempre più liberi dai nostri bisogni biologici, liberi di compiere quei gesti gratuiti che ci danno piacere, che da un lato sembrano futili, ma dall'altro sono quelli che ci rendono umani." Poiché il nostro scopo va ricercato ancora prima delle nostre origini, ancora prima dei sapiens e del Big Bang tra le stelle di cui siamo fatti. E verso le stelle conduce il nostro cammino.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2018
ISBN
9788858692707
PRIMA PARTE

Il concetto di progresso

La parola «progresso» significa «passo avanti» o, per meglio dire, «serie di passi avanti», senza esplicitare la direzione dell’avanzamento, né la sua destinazione finale. E ciò rappresenta già un piccolo grande problema. Su cosa possiamo contare per mettere a fuoco questo punto? Come al solito, sulla considerazione del passato, sulla valutazione del presente e su una stima/anticipazione del futuro, immediato o più lontano.
Anche il passato è in verità diviso in due domini. C’è un passato più remoto in cui non è successo quasi niente, o che siamo in grado di seguire non proprio da vicino, e un passato più recente del quale abbiamo una più precisa cognizione, se non un’esperienza diretta. Un’altra caratteristica della nostra informazione riguardo al tempo remoto è che allora il ritmo del progresso era più lento e «sicuro», mentre qualcuno considera il progresso degli ultimi tempi troppo veloce e perciò più difficile da accettare con serenità. È anche per questo che di recente è cambiato il nostro giudizio sul progresso, anche materiale. Abbiamo perso la prospettiva, la memoria e la lucidità. Nelle chiacchiere, ovviamente, perché nei fatti sono tutti smaniosi di ricavare sempre più vantaggi dal progresso materiale. Sotto sotto qualcuno pretende addirittura l’immortalità!
In fondo, l’idea di progresso è tutta basata su paragoni e confronti fra ieri e oggi o fra l’altro ieri e ieri. A meno di improvvisi eventi clamorosi, infatti, il procedere del progresso è lento ma continuo o quasi continuo, e lo si può notare solo in seguito al raffronto fra circostanze che si susseguono nel tempo, sia straordinarie sia ordinarie.
Per progresso, quindi, intendiamo una serie di cambiamenti, provocati dall’umanità o dalla natura nel suo insieme, che per qualche motivo si confanno al concetto di pro-, cioè «avanti», senza avere necessariamente uno scopo definito.
L’idea di progresso, o perlomeno l’uso massiccio della parola, ha origine nel Settecento, nell’epoca dei Lumi, e nasce in quella culla francese insieme ad altre due parole: sviluppo (développement) ed evoluzione (évolution). Tre concetti che vanno spesso di pari passo, ma che tuttavia sono molto diversi. Il termine «sviluppo», infatti, viene da «svolgere» e indica una serie di cambiamenti direzionati. Si può parlare di sviluppo di un embrione, di un animale, di una città, di un progetto. La biologia dello sviluppo, per esempio, materia di cui mi sono occupato nella mia carriera di scienziato, studia appunto il percorso degli esseri viventi che da una cellula arrivano alla loro destinazione finale di esseri adulti. Nell’idea di sviluppo sono comprese almeno due assunzioni: quella della inevitabilità del corso degli eventi e quella di una loro precisa finalità. Genericamente parlando, uno sviluppo non può che andare a buon fine ed è proprio questo che dà senso allo sviluppo stesso, chiunque ne abbia definito il percorso.
Distinguiamo uno sviluppo biologico, uno personale, uno economico e uno sociale. Lo sviluppo biologico individuale non è affatto libero. Si deve passare da una cellula, la cellula-uovo fecondata da uno spermatozoo, a un sacchetto di cellule quasi identiche l’una all’altra, poi all’embrione, al neonato, all’infante, al bambino, all’adolescente e infine all’adulto. Se non ci sono incidenti di percorso, questa è la traiettoria degli eventi. È tutto programmato e quasi imposto. Sembra proprio lo srotolamento di un piano predeterminato, anche se esiste qualche grado di libertà. Sebbene si tratti con molta probabilità del prototipo di sviluppo, quello biologico non è un buon esempio di sviluppo in senso socio-culturale.
Molto più libero, e quindi interessante, è lo sviluppo personale di un individuo. A questo contribuiscono diversi fattori: biologici, psicologici, motivazionali e culturali. Lo sviluppo si presenta quindi come la sintesi e la combinazione di una serie di spinte e controspinte che si succedono nel tempo e sulla cui azione possiamo dare un giudizio essenzialmente soggettivo. Nessuno attribuisce in genere grande importanza allo sviluppo personale di un singolo, ma i meccanismi implicati non sono molto diversi da quelli che sottostanno ad analoghi fenomeni collettivi, anzi ne sono delle buone sinossi in miniatura.
Lo sviluppo sociale e politico di una comunità, piccola o grande, in luoghi e tempi diversi, è invece l’emblema dei processi non vincolati e dall’esito aperto, che forse costituiscono l’esempio più probante di vicende collettive che riguardano le società nel tempo, inclusa quella nella quale viviamo. Se isoliamo lo sviluppo economico da tutto il resto, abbiamo poi un quadro di eventi materiali effetto di scelte ed eventi decisionali che segnano l’andamento della capacità d’acquisto, e più di recente delle quotazioni di mercato degli individui di tali comunità. In sintesi, siamo quasi certi che esiste uno sviluppo sociale, ma il suo andamento è abbastanza imprevedibile, se non erratico.
Etimologicamente vicino allo sviluppo c’è il termine évolution, e infatti anche in questo caso la sua radice semantica è quella di «svolgere» qualcosa che era arrotolato o appallottolato. La parola «evoluzione», nel linguaggio quotidiano, a volte è considerata sinonimo di sviluppo, e da centocinquant’anni a questa parte è stata monopolizzata dalla biologia, poiché la teoria della trasmutazione delle specie, come la chiamò all’inizio Charles Darwin, è stata poi ribattezzata teoria dell’evoluzione biologica. Così, i cambiamenti genetici che avvengono nelle specie animali e vegetali nei secoli e nei millenni oggi vengono in genere riassunti nell’idea di evoluzione, anche se si può usare questo termine per riferirsi ad altre cose: l’evoluzione di un problema, di una situazione, di un ragionamento. Sebbene nell’accezione di Darwin non sia mai stata presente, la parola «evoluzione» contiene una dose di direzionalità, e quando diciamo che gli animali evolvono, spesso implichiamo che lo facciano verso il meglio.
Perché ragioniamo così? Perché, guardando noi stessi, ci consideriamo gli esseri più riusciti dell’universo e a un cambiamento che parte dalle amebe e arriva all’essere umano diamo una valenza tutta positiva. Una valenza positiva che un simile cambiamento, invece, di per sé non possiede, né storicamente né biologicamente, poiché nel corso dei quattro miliardi di anni dell’evoluzione biologica alcune cose sono andate avanti – dal nostro punto di vista – altre indietro e altre ancora non si sono mosse affatto. I batteri, per esempio, che costituiscono la stragrande maggioranza degli esseri viventi della Terra, sono rimasti più o meno com’erano tre miliardi di anni fa. Mentre animali che non erano parassiti sono diventati parassiti, compiendo un passo indietro – sempre dal nostro punto di vista.
Dalla prospettiva della biologia, dunque, l’evoluzione non è assolutamente connessa all’idea di miglioramento, nonostante questa associazione dei termini si dia spesso per scontata, senza peraltro aver chiaro cosa si intenda per «migliorare».
Certo, sopravvivere è un dato positivo rispetto a estinguersi, così come lo è la capacità di adattarsi all’ambiente. Ma che cosa significa «adattarsi»? Sopravvivenza e adattamento sono le due esigenze a cui l’evoluzione ha dovuto necessariamente ottemperare, ma che non sempre sono associate a strutture che noi consideriamo migliori, anche perché «migliori» in questo caso non vuol dire nulla.
La verità è che la vita è condannata a cambiare in continuazione. Si dice spesso che la vita genera forme sempre più complesse, o evolute. Sbagliato. La vita genera continuamente forme nuove, più complesse, meno complesse o della stessa complessità delle precedenti. Il problema è che non si può procedere più di tanto nella direzione di una minore complessità, perché a un certo momento ne seguirebbe la morte o addirittura la non nascita. Quindi, il tentativo continuo di cambiare produce di necessità – e non c’è alcun motivo per gioirne – un aumento di complessità. L’aumento di complessità che noi osserviamo, per esempio, da un piccolo insettivoro di duecento milioni di anni fa rispetto a uno scimpanzé o a un essere umano è dovuto alla necessità di cambiare e al fatto che la complessità non può diminuire più di tanto. Quindi è inevitabile, ma non necessario, che la complessità aumenti.
Lo studio della vita è abbastanza diverso dallo studio del mondo dal punto di vista fisico e chimico. Almeno superficialmente, il mondo fisico e chimico non ha una storia, o ne ha una molto diluita nel tempo, anche se noi oggi una storia la raccontiamo. La vita, invece, ha per forza una progressione diciamo quasi «narrativa», un prima e un dopo: non possono esistere forme viventi che non cambino. Quest’iniziale intuizione di Darwin a proposito della biologia è stata poi inaspettatamente accolta dalla fisica e dalla cosmologia, anche se, come sappiamo, con tempi molto diversi, e soprattutto con la consapevolezza che in un miliardo di anni nell’universo fisico succede ben poco, mentre nell’universo biologico può succedere tantissimo. Possiamo pertanto definire la biologia una scienza storica che dipende dalla sequenza di scelte precedenti e che mostra come la vita si trovi di continuo a un bivio davanti al quale le due opzioni sono entrambe ugualmente possibili: andare a destra o a sinistra? Ecco perché sarebbe importante poter trovare e studiare forme di vita extraterrestre: per controllare se certe affermazioni biologiche che noi facciamo a proposito della vita quale la conosciamo sono necessarie e universali o semplicemente effetto della storia biologica. Siamo quasi certi che sia vera la seconda opzione, ma nella scienza non ci si può mai dire sicuri finché non avvenga una verifica o una confutazione. Lo studio della biologia richiede una mentalità un poco diversa, e se ne accorse con chiarezza Darwin, che concluse il suo libro sull’origine delle specie con una famosissima frase: «C’è qualcosa di grandioso in questa visione della vita, con tutte le sue proprietà, che è stata originariamente infusa in poche forme o in una sola; e di come, mentre questo pianeta orbitava nello spazio in ottemperanza alle leggi della gravità fissate una volta per tutte, da un inizio tanto semplice così tante forme di vita si siano evolute e stiano evolvendo, tutte straordinariamente belle e degne della più grande ammirazione». La frase chiarisce – se ce ne fosse bisogno – che le stelle e i pianeti seguono un ritmo di cambiamento molto lento, o quasi nullo, mentre la vita non può fare a meno di cambiare.
Spesso le persone, anche quelle istruite, fanno fatica a comprendere questa differente prospettiva, perché in fondo l’uomo rimane un sognatore. Così, la parola evoluzione pian piano ha assunto una valenza positiva, pur restando priva del riferimento a uno scopo, dato che uno scopo finale dell’evoluzione non esiste. Si è andata, cioè, tingendo un po’ di ciò che in genere intendiamo per progresso, ovvero «procedere in avanti».
Il problema è che l’uomo ha da sempre il vizio di sovrapporre i propri desideri alla realtà, ovvero di cercare di vedere le cose come vorrebbe che fossero piuttosto che come sono. Questa, in fondo, è la differenza fra scienza e religione o, più in generale, tra scienza e ideologia. Sta tutto nella capacità di riuscire a vedere il mondo qual è o «accomodarlo» invece a nostro piacimento: se ne fossimo in grado non esisterebbero mitologie o religioni oppure radicate posizioni ideologiche, per le quali l’uomo si farebbe uccidere piuttosto che rinunciarci. Tale carenza di realismo spiega l’esistenza di due tipi di progresso: noi siamo in grado di «vedere» bene, ma non abbiamo la forza di accettare quello che non ci piace, e dunque ci comportiamo come se non riuscissimo ad affrontare la realtà, nonostante affermiamo di cercare strenuamente la verità.
L’avvicinamento dei concetti di progresso e di evoluzione ha avuto e continua ad avere conseguenze assai negative per entrambe le accezioni di progresso che abbiamo delineato. Per quanto riguarda la biologia, la convinzione che l’evoluzione biologica sia sempre associata a un miglioramento delle specie falsa il quadro globale dei cambiamenti e sembra assegnare una finalità al processo stesso e più in generale alla natura, che di scopi non ne ha. L’idea di scopo o fine si è sviluppata in alcuni animali superiori, e soprattutto in noi esseri umani, in un momento particolare della storia della vita su questo pianeta e in un segmento specifico delle forme viventi mai esistite. E basta. Insieme all’introduzione e alla diffusione dell’idea di progresso nelle vicende umane si viene ad associare un’idea di inevitabilità che non ha alcun fondamento.
L’idea di progresso civile ha prodotto, nelle varie epoche, punti di vista assai diversi.
Nell’antichità le critiche all’idea di progresso erano state pochissime e piuttosto timide e, sulla scia degli epicurei, degli atomisti, di Lucrezio, si era diffusa una visione piuttosto positiva e quasi lineare della condizione umana,
In seguito, per secoli ha dominato il pensiero cristiano secondo cui la società civile doveva tendere alla realizzazione sulla Terra del Regno dei cieli. Le cose sono cambiate nel Settecento e ancor più nell’Ottocento quando sono stati presi in considerazione parametri decisamente materialistici e tecnico-scientifici. La spinta demografica, l’introduzione nel lavoro delle macchine e uno sguardo più scientifico e disincantato del corpo umano hanno poi messo in moto una serie di meccanismi che hanno anche una valenza economica, ma che prima di tutto sono sociali e politici e legittimano una nuova visione del mondo nella quale anche il futuro trova una sua collocazione, almeno in prospettiva. Allo stesso tempo, l’accelerazione degli avanzamenti tecnico-scientifici è stata tale da creare anche qualche problema, e col tempo l’idea di progresso ha cominciato a vacillare. Tra i problemi, quello enorme dell’aumento della popolazione, risultato anche dell’allungamento della vita media, e a mio avviso più urgente di quello più spesso sollevato, ovvero la creazione di armi sempre più distruttive. Certo, le armi non sono una bella cosa e uccidono tante persone, ma credo che il rischio più grave che l’umanità corre in questo momento sia quello di non riuscire a sopravvivere su questo pianeta a causa dell’esaurimento delle materie prime e del cibo. Un problema enorme, del quale, nonostante le chiacchiere e i summit, non si intravede affatto la soluzione.

Scienza e tecnica

A complicare il quadro si aggiunge un discorso che riguarda la tecnica, e quando si mescolano tecnica ed etica le acque si intorbidano. La tecnica è più antica della scienza, eppure la storia degli ultimi duecento anni ha offuscato la nostra visione delle cose e ci pare che sia stata la scienza a dare origine alla tecnica. Certo, in parte è vero perché più si sa e più si può applicare, ma è altrettanto possibile applicare tantissime tecniche anche senza conoscerne il fondamento teorico. Qualcuno parla addirittura di tecno-scienza, come se si trattasse di un’entità unica che acquista sempre più autonomia...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Un futuro da Dio
  4. Introduzione. Quale progresso?
  5. PRIMA PARTE
  6. SECONDA PARTE
  7. Conclusione
  8. Ringraziamenti
  9. Indice