Il guardiamarina Hornblower
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Il guardiamarina Hornblower

  1. 336 pagine
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Il guardiamarina Hornblower

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1793, l'Inghilterra si oppone allo strapotere francese, imponendo un blocco navale che costa lacrime e sangue alla marina di Sua Maestà. Il diciassettenne Horatio Hornblower si imbarca come guardiamarina e inizia il suo duro apprendistato, tra le piccole e grandi ingiustizie compiute dagli ufficiali, le difficili condizioni di vita a bordo e gli obblighi che il suo grado gli impone. Impara ben presto a dominare la paura e ad affrontare le proprie debolezze, tanto da venire messo al comando di un'importante missione: abbordare un cargo francese per condurlo in Gran Bretagna. Un'epopea tra battaglie e sfide su terra e in mare aperto, una lotta per la sopravvivenza contro la furia della natura e le perfidie sottili di uomini ambiziosi. I primi passi di uno dei personaggi più amati del romanzo d'avventura, un antieroe ostinato, taciturno, coraggioso e fedele, un lupo solitario affascinante e letale.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2018
ISBN
9788858692370
Argomento
Literature
Categoria
Classics

X

Il facente funzione di tenente di vascello Hornblower stava portando alla fonda a Gibilterra lo sloop Le Rêve, preda dell’Indefatigable. Era nervoso: se qualcuno gli avesse chiesto se credeva che tutti i cannocchiali della flotta del Mediterraneo fossero puntati su di lui, avrebbe riso dell’ipotesi assurda, ma si sentiva come se li avesse avuti addosso davvero. Nessuno valutò mai con maggior prudenza la forza della brezzolina in poppa o stimò più ansiosamente la distanza dalle grosse navi di linea alla fonda o calcolò più attentamente lo spazio occorrente a Le Rêve per la girata. Jackson, il suo sottufficiale, era a prora in attesa di ammainare i fiocchi e così non perse tempo quando l’ordine venne.
«Tutta la barra all’orza» ordinò poi Hornblower. «Imbroglia per tutto!»
Le Rêve andò ancora avanti, mentre il vento smorzava l’abbrivo.
«Fondo!»
La catena, che il peso dell’àncora tirava fuor di cubia, brontolò una protesta; quindi il rumore sempre gradito dello schiaffo dell’àncora che cade in mare annunciò la fine della traversata. Hornblower seguì attentamente Le Rêve che si pigliava catena, poi si distese un po’. Aveva condotto la preda in salvo. Evidentemente il commodoro – Edward Pellew dell’Indefatigable – non era ancora rientrato, e perciò era dovere di Hornblower presentarsi all’ammiraglio del porto.
«Dar fuori la baleniera» ordinò. Quindi, ricordandosi dei suoi doveri umanitari: «Fate salire i prigionieri in coperta».
Questi erano stati rinchiusi dabbasso per quarantott’ore perché la paura di essere ricatturato era l’incubo di ogni comandante delle prede. Ma lì, a Gibilterra, con tutta la flotta del Mediterraneo intorno, quel pericolo non c’era più. Due marinai ai remi della baleniera la fecero volare sull’acqua e, tempo dieci minuti, Hornblower faceva la sua visita d’arrivo all’ammiraglio.
«Voi dite che vi sembra che cammini bene?» chiese quest’ultimo osservando la preda.
«Sissignore, ed è anche abbastanza maneggevole» rispose Hornblower.
«Allora la metterò in servizio. Non ce n’è mai abbastanza di queste navi avviso» rifletté l’ammiraglio.
Anche con quell’allusione, per Hornblower fu una gradita sorpresa ricevere una busta dai grandi sigilli e, apertala, trovarvi una lettera con la quale gli «veniva richiesto» di prendere il comando dell’HM sloop Le Rêve e di procedere «con la massima sollecitudine» per Plymouth, appena gli fossero stati consegnati i dispacci per l’Inghilterra. Era un comando isolato, un’occasione di rivedere l’Inghilterra, dove non metteva piede da tre anni, e una soddisfazione professionale. Ma c’era un’altra lettera, consegnata contemporaneamente, che Hornblower lesse con meno trasporto.
«Le Loro Eccellenze il maggior generale sir Hew e lady Darlymple chiedono il piacere della compagnia del facente funzione di tenente di vascello Horatio Hornblower a pranzo alle quindici di quest’oggi, al palazzo del governo.»
Poteva essere un gran piacere pranzare con il governatore di Gibilterra e con la sua signora, ma per un facente funzione di tenente di vascello, dotato di una sola cassetta personale e messo nella necessità di vestirsi in modo adatto per tale cerimonia, poteva essere al più un piacere misto a preoccupazioni. Ed era anche difficile per un giovanotto andare dall’imbarcadero al palazzo del governo senza un brivido di eccitazione, specialmente dopo che il suo amico guardiamarina Bracegirdle, che veniva da una ricca famiglia e aveva una bella rendita, gli aveva prestato un paio delle sue migliori calze di seta: i polpacci di Bracegirdle erano pieni e quelli di Hornblower erano ossuti, ma questa difficoltà era stata artisticamente aggirata. Due cuscinetti di stoppa, qualche strisciolina di cerotto dell’infermeria e Hornblower si trovò ad avere un paio di gambe di cui nessuno si sarebbe vergognato. Fu in grado di mettere avanti il piede sinistro per fare l’inchino senza alcun timore che le calze gli facessero le grinze, con la sublime consapevolezza, come ebbe a dire Bracegirdle, di aver due gambe delle quali ogni gentiluomo sarebbe stato fiero. Al palazzo del governo il solito aiutante di campo, compìto e languido, andò incontro a Hornblower e lo introdusse. Hornblower fece il suo inchino a sir Hew, un vecchio signore rumoroso dal viso rosso, e a lady Darlymple, un’anziana e rumorosa signora.
«Signor Hornblower» disse quest’ultima. «Devo presentarvi... Vostra Grazia, questo è il signor Hornblower, nuovo comandante del Rêve. Sua Grazia la duchessa di Wharfedale.»
Una duchessa, nientemeno! Hornblower portò avanti la sua gamba imbottita, allungò l’alluce, si pose una mano sul cuore e s’inchinò per quanto i calzoni stretti glielo permisero: era cresciuto ancora da quando li aveva comprati, al tempo dell’imbarco sull’Indefatigable. Occhi azzurri che guardavano dritto, in un volto di mezz’età, una volta bello.
«È dunque questo il tale di cui stavamo discorrendo?» disse la duchessa. «Cara Matilde, mi volete affidare a un bimbo in fasce?»
La sorprendente volgarità dell’accento lasciò Hornblower senza fiato. Si aspettava tutto meno che una elegantissima duchessa potesse parlare con l’accento del mercato. Alzò gli occhi per fissarla, ma si dimenticò di rialzarsi e rimase lì, con il mento in avanti e la mano ancora sul cuore.
«Sembrate il maschio di un’oca in un prato» disse la duchessa. «Mi aspetto che vi mettiate a fischiare da un momento all’altro.»
Anche lei mise il mento in fuori e prese a voltarsi da una parte e dall’altra con le mani sulle ginocchia in una perfetta imitazione di un’oca battagliera, e a quanto pare con una tal rassomiglianza a Hornblower da suscitare negli altri ospiti uno scoppio di risa. Hornblower, confuso, arrossì come un gambero.
«Non canzonate il giovanotto» disse la duchessa prendendone le difese e dandogli dei colpetti sulla spalla. «È solo un ragazzo, e non c’è nulla da vergognarsene. Semmai, c’è di che andare fiero, di meritare il comando di un bastimento a quell’età.»
Per fortuna fu annunciato che il pranzo era servito, e ciò valse a salvare Hornblower dall’ulteriore confusione in cui quell’osservazione gentile lo aveva piombato. Naturalmente Hornblower si trovò al centro della tavola con gli altri giovani ufficiali: sir Hew sedeva a un capo con la duchessa, mentre lady Darlymple sedeva all’altro, accanto al commodoro. Inoltre, le signore erano meno numerose degli uomini, perché Gibilterra, almeno in teoria, era una fortezza assediata. Così Hornblower non aveva donne né da una parte né dall’altra; alla sua destra sedeva il giovane aiutante di campo che lo aveva introdotto per primo.
«Alla vostra salute, Vostra Grazia» disse il commodoro, guardando l’estremità opposta della tavola e alzando il bicchiere.
«Grazie» rispose la duchessa. «Proprio in tempo per salvarmi la vita. Mi stavo chiedendo chi sarebbe venuto in mio soccorso.»
Portò alle labbra il bicchiere colmo fino all’orlo, e quando lo depose era vuoto.
«Avrete una compagna di viaggio allegra» disse l’aiutante di campo a Hornblower.
«Come sarebbe a dire una compagna di viaggio?» chiese Hornblower sbalordito.
L’aiutante di campo lo guardò con aria di commiserazione.
«Dunque non vi hanno informato?» gli chiese. «Come sempre, il maggior interessato è l’ultimo a sapere le cose. Quando domani partirete con il corriere, avrete l’onore di imbarcare Sua Grazia per portarla in Inghilterra.»
«Il Signore abbia pietà di me!» disse Hornblower.
«Speriamolo» disse piamente l’aiutante di campo, odorando il vino. «Questo Malaga dolce è roba da poco. Il vecchio Hare ne comprò una partita nel ’96 e da allora sembra che ogni governatore ritenga doveroso far servire Malaga.»
«Ma chi è la mia passeggera?» interrogò Hornblower.
«Sua Grazia la duchessa di Wharfedale» rispose l’aiutante di campo. «Non avete sentito la presentazione fatta da lady Darlymple?»
«Ma non parla come una duchessa» protestò Hornblower.
«No. Il vecchio duca stava rimbambendo quando la sposò. A detta dei suoi amici, era la vedova di un locandiere. Cercate di immaginare, se volete, cosa ne dicono i suoi nemici.»
«Ma che fa qui?» chiese ancora Hornblower.
«È di passaggio per tornare in Inghilterra. Si trovava a Firenze quando ci sono entrati i francesi, a quanto ho capito. Ha raggiunto Livorno e ha corrotto un capitano di cabotaggio per farsi portar qui. Poi ha chiesto a sir Hew di trovarle un passaggio e sir Hew ne ha parlato all’ammiraglio: sir Hew si rivolgerebbe a chiunque, per far piacere a una duchessa, anche se gli amici la dicono la vedova d’un locandiere.»
«Capisco» disse Hornblower.
Ci fu uno scoppio d’allegria all’estremo della tavola, dove la duchessa stava pungolando con il manico del coltello le costole del governatore vestito d’una giacca scarlatta, come per accertarsi che non gli sfuggisse nulla di quel motivo d’ilarità.
«Probabilmente non vi mancherà il buonumore durante il viaggio di rimpatrio» osservò l’aiutante di campo.
Proprio allora una fumante lombata di manzo fu posta davanti a Hornblower, e tutte le sue preoccupazioni svanirono di fronte alla necessità d’affettarla e di ricordarsi i doveri della persona educata. Cautamente impugnò il trinciante e la forchetta e interrogò con lo sguardo la compagnia all’intorno.
«Posso servirvi un po’ di questo manzo, Vostra Grazia? Signora? Signore? Ben cotto o poco cotto, signore? Un po’ di sugo?»
Nel caldo della sala da pranzo, il sudore gli scorreva sul viso, mentre combatteva con la lombata di manzo; ma per fortuna la maggior parte degli invitati espresse il desiderio di essere servita con altri piatti, cosicché ebbe poco lavoro da fare. Si mise nel piatto un paio di fette tagliate alla meglio, come modo migliore per nascondere la sua poca destrezza.
«Manzo di Tetuan» disse annusando l’aiutante di campo. «Duro e filaccioso.»
Era un’osservazione giustificata da parte d’un aiutante di campo di governatore, che non avrebbe mai potuto immaginare come quella carne potesse essere deliziosa per un giovane ufficiale di Marina, che fino al giorno prima aveva battuto il mare a bordo di una fregata affollata. Anche la prospettiva di dover ospitare una duchessa non fece perdere l’appetito a Hornblower. E i piatti finali, meringhe, crostate e frutta, mandarono in estasi il giovane il cui ultimo dolce, la domenica prima, era stato un castagnaccio.
«Questi dolci rovinano il palato» disse l’aiutante di campo, ma Hornblower non vi badò.
Adesso era il momento dei brindisi. Hornblower si alzò per brindare al Re e alla famiglia reale; alzò il bicchiere alla duchessa.
«E ora beviamo al nemico» disse sir Hew «e speriamo che i suoi galeoni del tesoro cerchino di attraversare l’Atlantico.»
«Per completare il suo brindisi, sir Hew» disse il commodoro dall’altro capo della tavola, «speriamo che gli spagnoli si decidano a uscire da Cadice.»
Intorno alla tavola si udì come un ringhio di animali selvatici. Gli ufficiali di Marina presenti appartenevano per la maggior parte alla squadra del Mediterraneo di Jervis, la quale negli ultimi mesi aveva battuto l’Atlantico con la speranza di intercettare gli spagnoli se questi fossero usciti. Jervis doveva mandare le sue navi a rifornirsi a Gibilterra due alla volta, e quegli ufficiali appartenevano alle due navi di linea presenti in quel momento in porto.
«Johnny Jervis direbbe amen» disse sir Hew. «Allora un brindisi agli spagnoli, signori, che si decidano a uscire da Cadice.»
A questo punto le signore si alzarono, riunite da lady Darlymple. Appena le regole dell’etichetta lo consentirono, Hornblower presentò le sue scuse e si eclissò, deciso a non eccedere nel bere la sera precedente la partenza in comando isolato.
Forse la prospettiva della venuta a bordo della duchessa fu un utile sedativo e salvò Hornblower dal preoccuparsi troppo di questo suo primo comando. Prima dell’alba era in piedi – ancora prima che cominciasse il breve crepuscolo del Mediterraneo – per accertarsi che il suo prezioso bastimento fosse in grado di affrontare il mare e i nemici che vi sciamavano. Per vedersela con quei nemici, aveva quattro cannoncini da quattro libbre e ciò significava l’impossibilità di salvarsi contro chiunque: la sua era la nave più debole che ci fosse in mare, perché il più piccolo brigantino mercantile aveva un armamento più potente. Dunque, come per tutti i deboli, la sua unica salvezza risiedeva nella fuga; e Hornblower, nella penombra, osservò l’alberata che avrebbe dovuto portare la velatura dalla quale dipendeva tutto. Esaminò il ruolo delle guardie con i suoi due ufficiali in comando di guardia, il guardiamarina Hunter e l’ufficiale di rotta Winyatt, per accertarsi che ognuno degli undici uomini dell’equipaggio conoscesse i propri compiti. Quindi tutto quello che gli rimase da fare fu di indossare la sua migliore divisa di navigazione, cercare di far colazione e attendere la duchessa.
Per fortuna questa arrivò presto; il governatore e sua moglie avevano dovuto alzarsi a un’ora davvero ingrata per vederla partire. Il signor Hunter segnalò l’avvicinarsi della lancia del governatore con eccitazione repressa.
«Grazie, signor Hunter» disse freddamente Hornblower: ora il servizio esigeva da lui questo atteggiamento, anche se fino a poche settimane prima avevano giocato a rincorrersi sull’alberata dell’Indefatigable.
La lancia si affiancò e due marinai in divisa perfetta si agguantarono con le gaffe alla scala. Le Rêve aveva un’opera morta tanto bassa che salire a bordo non presentava difficoltà neanche per le signore. Il governatore salì a bordo accolto dal trillo dei due soli fischi che Le Rêve poté mettere assieme e lady Darlymple lo seguì. Quindi venne la duchessa con la sua accompagnatrice: quest’ultima era più giovane e bella, come la duchessa doveva essere stata una volta. Vennero infine un paio di aiutanti di campo e a questo punto l’esigua coperta del Rêve apparve decisamente affollata, sicché non vi era più posto per portare su il bagaglio della duchessa.
«Vostra Grazia, permetteteci di mostrarvi il vostro alloggio» disse il governatore.
Lady Darlymple manifestò il suo rumoroso stupore alla vista della minuscola cabina con due cuccette e inevitabilmente tutti batterono la testa nei bagli sovrastanti.
«Non moriremo per questo» disse stoicamente la duchessa «e questo è più di quanto direbbero tanti uomini che dovessero fare un viaggetto fino a Tyburn.»
All’ultimo momento uno degli aiutanti di campo tirò fuori un pacchetto di dispacci e si fece firmare la ricevuta da Hornblower; vennero scambiati gli ultimi saluti e sir Hew con lady Darlymple scesero da bordo nuovamente accompagnati dal trillo dei fischi.
«Gente all’argano!» ordinò Hornblower nell’istante in cui l’equipaggio della lancia si curvava sui remi.
Pochi secondi di lavoro alacre portarono Le Rêve a picco sull’àncora.
«L’àncora ha lasciato» avvertì Winyatt.
«Drizza dei fiocchi» gridò Hornblower. «Drizza di maestra!»
Appena le vele furono stabilite e il timone fece presa nell’acqua, Le Rêve venne in filo al vento. Siccome tutti erano occupati a caponare l’àncora e a bordare le vele, fu Hornblower in persona che ammainò la bandiera per salutare, quando Le Rêve scivolò oltre la diga con uno scirocchetto in poppa e mise il naso nella prima delle grandi onde atlantiche che entravano nello stretto. Attraverso l’osteriggio udì il rumore di qualche cosa che cadeva e di qualcuno che si lamentava, ma non poté occuparsi delle donne che erano abbasso. Ormai aveva l’occhio al cannocchiale, puntato prima su Algesiras, poi su Tarifa: qualche corsaro ben armato o una nave da guerra avrebbe facilmente potuto fare una fulminea uscita e piombare su una preda indifesa come Le Rêve. Hornblower non poté concedersi un momento di riposo durante la guardia di giorno. Passato capo Marroqui prese una rotta per San Vincenzo e allora le montagne della Spagna meridionale cominciarono a sparire sotto l’orizzonte. Al mascone di dritta cominciava a vedersi Capo Trafalgar, quando finalmente chiuse il cannocchiale e cominciò a pensare al pranzo: era piacevole essere il comandante, padrone della nave, e poter ordinare il pranzo quando ne aveva voglia. Le gambe dolenti gli dissero che era stato troppo in piedi: undici ore continue; se l’avvenire gli avesse portato molti comandi indipendenti, si sarebbe logorato troppo comportandosi in quel modo.
Dabbasso si distese con gioia in cuccetta e mandò il cuoco a bussare alla porta della cabina della duchessa per chiederle, con i suoi omaggi, se le occorresse niente; sentì la voce acuta della duchessa rispondere che non aveva bisogno di nulla, neanche del pranzo. Hornblower scrollò le spalle filosoficamente e pranzò con l’appetito dei giovani. Tornò in coperta che calava la notte; Winyatt aveva la guardia.
«Si sta alzando nebbia, comandante» gli disse.
Era così. Il sole era invisibile sull’orizzonte, ingolfato in una foschia acquosa. Hornblower sapeva di dover pagare quel prezzo per un vento propizio: nei mesi invernali, a quelle latitudini, è sempre probabile trovar nebbia dove le fresche brezze di terra raggiungono l’Atlantico.
«Domattina sarà ancora più fitta» disse pensieroso e modificò le sue consegn...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Il guardiamarina Hornblower
  4. I
  5. II
  6. III
  7. IV
  8. V
  9. VI
  10. VII
  11. VIII
  12. IX
  13. X
  14. Dizionario di voci marinare