La consegna era stata spedita senza problemi. Era passata inosservata a Dogana, Immigrazione, polizia di frontiera, guardia costiera, FBI, pese pubbliche della commissione per il Commercio interstatale... perfino alla polizia statale e agli agenti della stradale.
Era arrivata nel quartiere di Manhattan.
Ma poi...
L’intoppo.
E anche bello grosso.
La consegna era scomparsa. La consegna per cui aveva speso 487.000 dollari (questioni di cambio monetario, altrimenti il prezzo d’acquisto sarebbe stato mezzo milione tondo).
Quella fredda mattina di primavera, Miguel Ángel Herrando si trovava nel suo palazzo di pietra arenaria, sulla Centoventisettesima Est. Possedeva l’intero edificio, e anche quelli a ciascun lato, tanto per sicurezza quanto come fonte di reddito. Be’, più per sicurezza. Benestante, temeva più di perdere la vita, o quella di moglie e figli, che il denaro. Herrando gestiva i 128 Lords, gang di cinquanta membri a Spanish Harlem. Era un miscuglio di messicani (la maggioranza), honduregni e guatemaltechi, alcuni regolari altri no. Anche bianchi. Potevano tornare utili: per esempio se non volevi che il tuo uomo venisse fermato e perquisito nel bel mezzo di un lavoro, anche se gli sbirri non facevano più cose del genere, assolutamente no. I diritti civili erano al potere. Che cosa esilarante.
Herrando, tuttavia, teneva i bianchi a distanza di sicurezza e giamaicani, cubani, colombiani, neri, cinesi, vietnamiti potevano rivolgersi altrove.
L’attraente uomo, robusto e forte, sedeva vicino alla finestra e osservava la strada scura sorseggiando un caffè (cubano: se non la sua gente, era felice di adottare il cibo e la cultura di quella che riteneva un’isola eccessivamente boriosa). La bevanda, dolce e densa, che gli solleticava il punto d’incontro tra mandibola superiore e inferiore, in genere gli dava una sensazione di benessere. Adesso non aveva effetto.
Il suo denaro era perduto. E il corriere non aveva consegnato. Si era presentato al solito posto concordato, ma niente. Aveva chiamato il telefono usa e getta dell’uomo cinque volte – il massimo che consentiva – e quando non aveva avuto risposta, aveva gettato via il Nokia e lasciato il ristorante alla svelta. Solo perché non compravi un telefono con la carta di credito non significava che non fosse rintracciabile. Il quarantacinquenne Herrando non era un esperto di tecnologia come qualcuno della sua gang, o perfino i suoi due gemelli di dieci anni, ma sapeva dell’esistenza di ping e ripetitori per cellulari.
«Miguel Ángel?» Quella che era sua moglie da diciotto anni apparve sulla soglia dello studio.
La stanza, buia e silenziosa, era il regno esclusivo di Herrando. Gestiva la sua banda da un circolo un isolato più a nord. Quello era il suo posto privato. E malgrado lo aiutasse nella gestione della gang e fosse di per sé una donna potente e pericolosa, la moglie attendeva il suo invito a entrare. Cosa che fece adesso.
Connie aveva un aspetto più europeo del suo, con la carnagione chiara e i capelli castani (i suoi erano nero corvino, anche se, per lo più, grazie alla tintura), e una figura voluttuosa, che non aveva perso il suo fascino dopo tutti quegli anni di matrimonio. Adesso, però, Herrando vide solo la sua espressione preoccupata e si girò nuovamente verso la finestra.
«Ancora niente?» gli chiese.
Era a conoscenza del problema.
«Niente.» Indicò con la testa l’intera area di New York City. «È là fuori da qualche parte. Ma è come se fosse su Marte.»
«Hai bisogno di qualcosa?»
Lui fece di no con la testa. La donna tornò in cucina. Stava facendo dei dolci, un processo che costituiva un mistero per Miguel Ángel Herrando. Non aveva mai cucinato in vita sua. Oh, apprezzava i processi coinvolti: chimica e calore. Ma li impiegava in modo leggermente diverso: un’aggressione con l’acido ai danni di un rivale l’anno prima e il rogo di un intruso del Bronx (ricordava ancora lo sgradevole odore di pelle e capelli bruciati).
Quella mattina sua moglie stava preparando delle torte per la colazione. Si sentiva profumo d’arancia e cannella.
Herrando sorseggiò il caffè, posò la tazzina decorata da teste di uccelli. Polli, credeva. Erano gialli con i becchi rosso sangue.
Stava osservando la strada davanti a sé: case di arenaria simili alla sua, donne in giro per negozi, bambini che giocavano a calcio, malgrado fosse giorno di scuola.
Il suo telefono vibrò.
L’usa e getta di quel giorno, buono per altre dieci, dodici ore.
Era il principale luogotenente di Herrando.
«Sì?» Fa’ che siano buone notizie.
Quattrocentottantasettemila dollari...
«Ho appena scoperto perché il nostro corriere non si è fatto vedere. È morto. Accoltellato a Midtown.»
«Cosa? Chi è stato?»
«Non ne ho idea. Mai saputo che Rinaldo fosse a rischio.»
«Neanche io. Altrimenti non l’avrei mai usato.»
Echi Rinaldo lavorava come freelance per diverse gang. Non aveva un suo territorio né alleanze e si limitava a fare il proprio lavoro, che consisteva nel consegnare «carichi difficili» (l’espressione che l’uomo usava con un certo umorismo) nelle mani di acquirenti o mutuatari. Non aveva mai imbrogliato nessuno e teneva la bocca chiusa.
«Sappiamo» continuò il luogotenente «che ha nascosto il carico senza problemi.»
«Pensi che quest’uomo, l’assassino, l’abbia seguito e torturato per scoprire dove?»
«Improbabile. Da quello che ho sentito, si è trattata di una colluttazione in strada. È morto in pochi minuti. E più o meno in pubblico. Vuoi che scopra chi è stato e...»
«A questo punto non mi interessa più» disse con calma Herrando. «Trovare il carico: questa è la nostra unica missione.»
Una pausa all’altro capo della linea. «Il venditore ha il denaro.»
«Non è un problema neanche quello.» Il venditore non avrebbe preso il denaro di Herrando per poi rubargli la consegna. Herrando conosceva bene il suo modo di agire. Il doppio gioco sarebbe servito a poco. Inoltre, la relazione tra i due era un rapporto d’affari ed era ancora troppo presto perché uno dei soci fregasse l’altro. «Cos’altro sai?»
«Stiamo monitorando gli scanner. Nessuno sa granché. Non è stato un sequestro e non c’erano appalti dati a qualcuno che corrisponde alla sua descrizione.»
«Usa chi devi, ma solo i nostri uomini, o gente che abbiamo in pugno, e scopri quello che puoi, rintraccia i movimenti di Rinaldo, attiva la sorveglianza su chiunque sappia qualcosa. Anche la polizia, se necessario.»
«Sissignore. Oh, ancora una cosa.»
«Sì?»
«Rinaldo non era solo quando è successo. C’era suo figlio con lui.»
Ah, sì. Giusto. Herrando se lo ricordava. Avevano stabilito che avrebbe portato il figlio con sé nei suoi giri per avere una parvenza di innocenza se l’avessero fermato per un’infrazione stradale. Non aveva mai conosciuto il bambino, ma credeva che avesse otto o nove anni.
«Cosa ha visto?»
«Niente, da quello che stiamo sentendo in giro. Ma chi può dirlo?»
«Lo terrò a mente. Adesso datti da fare.»
«Sissignore.»
Chiuse la chiamata e, contrariato, guardò i piccoli calciatori. Dovevano essere a scuola. Dov’erano i loro genitori? Rifletté sulla telefonata del luogotenente e decise che non era il momento di risparmiare cinquantanove dollari. Sfilò dal telefono la batteria, che tenne, e ruppe il dispositivo, che gettò in un sacchetto della spazzatura. Da un cassetto prese un altro telefono e con un affilato coltello dal manico d’osso, appartenuto a suo padre, iniziò a tagliare l’involucro di plastica, un centimetro per volta.
* * *
Conclusa la chiamata, l’uomo robusto rimise il Samsung nella tasca del giubbotto verde militare e, sorseggiando un eccellente caffè lungo, si chiese da dove venisse il nome Echi.
Non era una specie di parola straniera? No. Ecco.* Era quella? Una vecchia lingua? Tipo il greco o il latino? Ecco, dunque sono. Nel suo lavoro, Stan Coelho non aveva molti contatti con la letteratura antica o le lingue straniere, a parte lo spagnolo. E di tanto in tanto il russo, se doveva affrontare la gang di Brighton Beach a Brooklyn.
Avrebbe dovuto leggere di più. Avrebbe dovuto imparare di più.
Un altro boccone di uova acquose.
Quindi, Ecco Rinaldo era morto e un carico molto importante era scomparso.
Be’, questo era un casino.
Appollaiato su uno sgabello cigolante, stava finendo di fare colazione in una caffetteria dell’Upper East Side, uova al tegamino, toast per fare la scarpetta e salsiccia di tacchino, perché il tacchino aveva meno calorie e grassi dell’altro tipo, quello vero. Ma probabilmente non era così. Grasso di tacchino, grasso di maiale, più o meno la stessa cosa.
Sentì il ventre premere contro la cintura, come se il pasto gli stesse già espandendo i centododici centimetri di circonferenza vita. Non era così, Coelho ne era certo, ma il gonfiore immaginario sembrava reale. Presto avrebbe messo il peso sotto controllo.
«Ehi, tesoro, me la riempi?» Indicò la tazza di caffè. «E quel danese. Al formaggio. E il conto.»
«Certo.»
Fece per prendere il portafoglio, ma si mosse con grande cautela. Portava una Glock infilata nella cintola, abbastanza nascosta ma non del tutto, e il locale era affollato. Non era il caso che qualcuno si mettesse a urlare: «Quello stronzo ha una pistola!».
Rifletté sulla telefonata di poco prima: la sua missione era trovare il carico, magari scoprire chi aveva fatto fuori Rinaldo ma, a quel punto, era secondario. L’unica cosa importante era la consegna.
Lasciò un pezzo di salsiccia, per compensazione calorica, e mandò giù metà danese, che sapeva per lo più di zucchero. Non che fosse una cosa negativa. Bevve due grossi sorsi di caffè e mangiò il resto del dolce. Si pulì la bocca e i notevoli baffi, brizzolati come i folti capelli. Lasciò sotto il piatto una banconota da dieci e una da cinque, una mancia generosa. Poi rimise a posto il portafoglio, sempre con cautela, e lasciò la caffetteria, uscendo sulla Terza Avenue, congestionata di gente che andava al lavoro, per lo più diretta a sud, a Midtown. Lui viveva nel Queens, dove il tragitto casa-lavoro era diverso: in genere si prendeva l’autobus o si raggiungeva a piedi la metropolitana o la sopraelevata. Era affollato, ma non così.
Manhattan.
Buoni ristoranti. Ben poco altro per lui.
Coelho rimase nei pressi della caffetteria e si accese una sigaretta. Una don...