Lo stupore della notte (Nero BUR)
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Lo stupore della notte (Nero BUR)

  1. 364 pagine
  2. Italian
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Lo stupore della notte (Nero BUR)

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Se la incontri non la dimentichi, perché il commissario Rosa Lopez è pronta a sacrificare un ostaggio per riportare la situazione in parità. La ricordano ancora in Calabria, dove si è fatta le ossa nella guerra alle cosche. Non la dimenticano oggi, a Milano.
Lettere minatorie e proiettili nella cassetta della posta sono il premio per una carriera che l'ha condotta ai vertici dell'Antiterrorismo. Ma dietro la scorza da superpoliziotta, Rosa cova il tormento: il suo compagno è in coma, vittima di un attentato. E non c'è solo il senso di colpa, ci sono anche le frequentazioni con quelli del Lovers Hotel, il luogo che non esiste, in cui niente è proibito e quando qualcuno deve cantare si attacca la musica della tortura. La sbirra, però, non può cedere alla donna. Una minaccia gravissima incombe sulla città: la più perfida delle menti criminali ha ordito un piano di morte.
Lo chiamano il Maestro e insegna l'arte della guerra. Per fermarlo, la Lopez scivolerà in una spirale di ricatti, tradimenti e vendette. Considerato la voce under 40 più brillante del noir italiano, Piergiorgio Pulixi si avvale di fonti confidenziali per esplorare gli oscuri rovesci delle strutture di pubblica sicurezza. In una metropoli caleidoscopio delle vanità dell'Occidente, nelle cui strade l'eroina scorre a fiumi e impazzano le gang di latinos, mentre i milanesi hanno smesso di ammazzare al sabato per trasformarsi in potenziali bersagli, tutto quello che credete di sapere vi apparirà sconosciuto.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2018
ISBN
9788858693483

1

Dodici anni dopo.

Quartiere Corvetto, Milano

Gatti mannari. Guardandoli, Rosa non poté fare a meno di pensare che parevano gatti mannari, come quelli di una fiaba che aveva letto a suo nipote qualche mese prima. Scattanti come mici nella notte, ma letali come lupi famelici. Solo che in questo caso non era stato un virus a renderli dei mostri assetati di sangue, ma anni e anni di addestramento massacrante che li avevano trasformati in perfetti strumenti di morte. Non semplici sbirri, ma poliziotti mannari.
Gli uomini delle forze speciali circondarono il palazzo e tre operatori si calarono dal tetto in corda doppia con agilità felina. Dall’alto i cecchini tenevano sotto tiro l’obiettivo, coprendo al tempo stesso le vie di fuga.
Rosa si guardò intorno. Erano le due e mezza di notte. Il quartiere era deserto. A parte loro. Sedici operatori del NOCS, il Nucleo operativo centrale di sicurezza e venti uomini scelti della UOPI, l’Unità operativa primo intervento specializzata in operazioni antiterrorismo. Tutti aspettavano solo un suo ordine. Qualche ora prima aveva disposto una stretta sorveglianza con i droni, che aveva comprovato la presenza del Soggetto. Non aveva richiesto l’appoggio aereo così da preservare l’effetto sorpresa.
«Dottoressa, siamo pronti. Aspettiamo il suo via» disse Alfa Due, il supervisore tecnico-operativo della missione.
Rosa Lopez fissò gli occhi azzurri che spiccavano sul viso celato dal mephisto e dal caschetto antiproiettile. L’ufficiale dei corpi speciali trasudava tensione. Non capiva perché non gli desse il via libera, perché continuasse a tergiversare. L’uomo dentro l’appartamento aveva massacrato ventinove persone, ed era riuscito a scappare facendosi beffe della polizia belga e di quella svizzera. Tutte le forze di intelligence europee gli stavano dando la caccia, ma loro erano arrivati prima. Ora, però, se qualcosa fosse andato storto, ognuno di loro avrebbe pagato con la carriera, a partire da lui. E più i minuti passavano, più il rischio che l’operazione non filasse per il verso giusto aumentava.
La donna si allacciò le cinghie del giubbotto in kevlar e diede attraverso la radio l’ordine di staccare l’elettricità nell’isolato. Un secondo dopo diversi jammer mandarono in tilt i cellulari e gli scanner di radiofrequenze.
«Lo voglio vivo» disse poi al comandante. «Anche a pezzi, ma vivo.»
L’uomo annuì e mandò i suoi uomini a stanare il Soggetto.
Rosa estrasse la Beretta e la posò sul fianco, la sicura disinserita. Iniziò a inspirare profondamente, trattenendo il fiato per qualche secondo prima di espirare, una tecnica che prendeva il nome di “respirazione tattica”. Lo scopo era quello di rallentare i battiti cardiaci e ossigenare al meglio il cervello per raggiungere la concentrazione necessaria nei teatri operativi. Gliel’avevano insegnata all’ultimo corso di aggiornamento finanziato dalla CIA in un villaggio sperduto del Kosovo, tra tante altre nozioni sui nuovi sistemi contro il terrorismo islamico. Nozioni non propriamente legali.
«Dottoressa, tutto ok?» chiese uno dei suoi uomini.
La donna annuì. In realtà non era tutto ok. Se la stava facendo sotto. Non per la pericolosità del Soggetto – aveva fatto irruzione da sola in posti ben più rischiosi di quell’ex alveare operaio – ma per il fatto che tutti i riflettori fossero puntati su di lei. Era abituata ad agire nell’ombra, indisturbata. Ora, invece, sentiva che se ci fosse stata qualche “disgrazia” non avrebbe potuto insabbiare tutto come suo solito. Questa volta avrebbe dovuto rendere conto del suo operato non soltanto ai superiori e al Viminale, ma a tutto il maledetto Paese. Non poteva permettersi incidenti diplomatici o l’ennesimo scandalo. Ne andava della sicurezza nazionale.
«Sì. Preparate le auto e assicuratevi che le vie di fuga siano effettivamente libere. Lo inforniamo subito» rispose Rosa, commissario della Polizia di Stato, capo dell’Unità speciale contro il terrorismo di matrice islamica della DIGOS milanese, e coordinatrice regionale per le Unità antiterrorismo interforze.
Quando udì il primo boato delle granate accecanti, la poliziotta iniziò il conto alla rovescia. Dodici secondi era il tempo stimato per addomesticare l’obiettivo e bonificare l’appartamento. Una stima per eccesso.
“Dodici… undici… dieci…”
Due spari. Pum, pum.
“Nove… otto…” proseguì mentalmente.
Pum. Terzo sparo.
«Che diavolo sta succedendo?» domandò qualcuno.
“Sette… sei… cinque…”
Un urlo. In italiano.
“Quattro…”
«Lascia andare il bambino, pezzo di merda!» sentì Rosa in cuffia. La voce era di uno degli operatori all’interno della casa.
“Tre…”
Grida in arabo.
“Due…”
Il pianto di una donna.
“Uno…”
La preghiera di un bambino.
«Uscite o gli faccio saltare il cervello!» udì negli auricolari. Voce maschile dall’accento inconfondibile: Hussien Amri, il Soggetto.
«Cazzo…» sussurrò lei.
Le persone iniziarono ad affacciarsi alle finestre. Le luci dei cellulari in modalità registrazione video sfavillavano nella notte come falene impazzite. Esattamente ciò che avrebbero dovuto evitare che accadesse.
«Merda!» ringhiò Rosa.
Abbandonò la sua postazione e corse verso il palazzo, seguendo i poliziotti in tenuta tattica. Uno degli operatori fu portato fuori dai colleghi. Era stato ferito a una spalla. Una scia di sangue insozzava i gradini delle scale. Rosa per poco non ci scivolò sopra.
«Lasciatemi passare» intimò una volta raggiunto l’appartamento. Impugnò la Beretta a due mani e fece cenno ai bestioni del NOCS di spostarsi.
Cercarono di dissuaderla, ma lei non li ascoltò nemmeno.
«Sto entrando» disse alla radio, rivolta ad Alfa Due. Era lei il dirigente a capo dell’operazione. L’uomo non poté far altro che ordinare ai suoi di scansarsi.

2

Case popolari Mazzini, Corvetto, Milano

Una volta dentro, vide il Soggetto illuminato dai fasci di luce delle torce montate sui fucili dei colleghi. Hussien Amri indossava una maschera antigas. Si faceva scudo con un bambino a cui stava puntando una semiautomatica alla tempia.
Ai suoi piedi una donna morta, e un’altra che lo implorava di lasciare andare il piccolo.
Rosa vide un secondo uomo a terra, senza vita. Le teste di cuoio si erano disposte a raggiera e tenevano Amri sotto tiro. Pregavano che muovesse anche solo un muscolo per poterlo impallinare.
“Cristo!” pensò Rosa. Aveva la fronte imperlata di sudore, che ora le stava colando sugli occhi, facendoli bruciare.
«Hussien, sei fottuto. Non voglio il bambino sulla coscienza e non lo vuoi nemmeno tu. Non c’entra nulla con la tua missione. Ti do dieci secondi, poi i miei uomini sparano» disse in un arabo perfetto e privo d’inflessione. «Se l’ostaggio muore per il fuoco incrociato, daremo la colpa a te. Tutti i giornali ti dipingeranno come un assassino di bambini. E quello non mi sembra un cane infedele, ma un piccolo musulmano, o sbaglio?»
«Taci, cagna. Fuori di qui!» le urlò contro il terrorista, la voce distorta dalla maschera.
«Mi servono vivi. Sia lui sia il bambino… Non sparate» disse la poliziotta agli altri.
«È troppo nervoso. Abbiamo una linea di tiro pulita» le risposero. «Fulminiamolo.»
«No! Mi serve vivo, ho detto!»
«Ha ferito uno dei miei, Lopez» ribatté Alfa Due. «Uccidiamo questo stronzo!»
Hussien Amri aveva falciato quindici persone con un furgone a Bruxelles, in quella che ormai i giornalisti chiamavano car-jihād. Quando era sceso dal mezzo, imbracciando un fucile automatico, ne aveva sterminate altre quattordici con una tempesta di piombo. Sei donne. Due bambini di undici e tredici anni. Non meritava di vivere.
Ma a Rosa serviva vivo.
Loro erano stati categorici.
Per qualche istante non accadde niente. Un’altra manciata di secondi e le teste di cuoio avrebbero sparato anche senza un suo ordine diretto; in seguito si sarebbero coperti l’un l’altro, dicendo che nel trambusto avevano sentito il via libera della Lopez o che avevano visto il Soggetto puntare l’arma contro uno di loro. Non sarebbe stata né la prima né l’ultima volta.
Così Rosa prese una decisione drastica: spostò la tacca di puntamento dalla testa di Amri al piede del bambino, e tirò il grilletto. Nell’istante in cui il bimbo s’inarcò per il dolore e Hussien osservò incredulo la scena, Rosa Lopez gli piantò in corpo due proiettili in zone non letali, scaraventandolo contro la parete.
Le teste di cuoio avanzarono come tigri, disarmando il terrorista, senza preoccuparsi di pestargli gambe, braccia e testicoli con gli anfibi Magnum. Uno di loro prese in consegna il bimbo ferito e uscì dall’appartamento, chiedendo soccorso immediato attraverso la radio.
Rosa sfilò davanti agli sguardi dei colleghi, carichi di un misto di rispetto e incredulità, e corse fuori dal palazzo.
«Fate entrare i paramedici. Voglio Amri su una macchina diretta al Forno in meno di due minuti» ordinò al suo vice e, rivolta agli altri: «Fate setacciare l’appartamento dalla Scientifica e ditegli di portare via quello che trovano. Qualsiasi cosa. Voglio tutto al Forno».
S’infilò nella sua auto e cercò di placare il respiro e il tremore che si era impossessato delle mani. Si sentiva una merda, ma aveva dovuto farlo.
“È soltanto un piede. Meglio quello che la vita, perché avrebbe potuto morire sotto il fuoco incrociato” pensò. Avrebbe potuto sparare direttamente all’iracheno, ma aveva temuto che per un riflesso condizionato Amri tirasse il grilletto, uccidendo il piccolo. Avrebbe pensato a come giustificare la sua scelta in seguito. L’importante era aver preso Hussien Amri vivo: questo avrebbe facilitato tutto il resto.
Riaccese i suoi due cellulari e quando vide le teste di cuoio portare il terrorista in uno dei SUV, salì anche lei con loro. Si mise a fianco dell’iracheno, incappucciato e ammanettato dietro la schiena. Gli avevano tamponato le ferite alla bell’e meglio.
«Non pensavi che avrei sparato al piccolo, vero?» gli sussurrò in arabo.
«Fottiti» biascicò Hussien.
Rosa gli afferrò i testicoli e li strizzò con tutta la forza che aveva, facendolo piegare in due. Quel gesto aveva una duplice funzione: primo, ammorbidire il Soggetto in vista dell’interrogatorio, mettendo subito le cose in chiaro; secondo, dimostrare ai suoi uomini – nel caso in cui ancora non lo avessero capito – che lei giocava pesante, quanto e più di loro.
«Portiamolo al Forno» disse all’autista.
Il SUV schizzò a sirene spiegate, scortato da altri tre mezzi blindati. Dopo qualche minuto uno dei due cellulari del commissario capo Lopez iniziò a vibrare. Era quello criptato. Quello delle brutte notizie.
«Sì?» rispose.
«Porta Hussien al Lovers» intimò una voce maschile in inglese. «Dobbiamo scambiarci due chiacchiere.»
«Non posso, sono nel bel mez...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Lo stupore della notte
  4. Prologo
  5. 1
  6. 2
  7. 3
  8. 4
  9. 5
  10. 6
  11. 7
  12. 8
  13. 9
  14. 10
  15. 11
  16. 12
  17. 13
  18. 14
  19. 15
  20. 16
  21. 17
  22. 18
  23. 19
  24. 20
  25. 21
  26. 22
  27. 23
  28. 24
  29. 25
  30. 26
  31. 27
  32. 28
  33. 29
  34. 30
  35. 31
  36. 32
  37. 33
  38. 34
  39. 35
  40. 36
  41. 37
  42. 38
  43. 39
  44. 40
  45. 41
  46. 42
  47. 43
  48. 44
  49. 45
  50. 46
  51. 47
  52. 48
  53. 49
  54. 50
  55. 51
  56. 52
  57. 53
  58. 54
  59. 55
  60. 56
  61. 57
  62. 58
  63. 59
  64. 60
  65. 61
  66. 62
  67. 63
  68. 64
  69. 65
  70. 66
  71. 67
  72. 68
  73. 69
  74. 70
  75. 71
  76. 72
  77. 73
  78. 74
  79. 75
  80. 76
  81. 77
  82. 78
  83. 79
  84. 80
  85. 81
  86. 82
  87. 83
  88. 84
  89. 85
  90. 86
  91. 87
  92. 88
  93. 89
  94. 90
  95. Epilogo