1
I colleghi che ci stavano seduti sopra
Tristane si è girata, lenta, avvicinando il viso assonnato a pochi centimetri dal mio. Questa decisione improvvisa, presa senza interpellarmi, lì per lì mi ha seccato, perché mi eccitava sentire la sua schiena nuda contro di me mentre tenevo il suo seno tra le mani. Poi mi ha sorriso e mi ha dato un bacio sulla punta del naso.
«Ciao» ha detto, ed è suonato come uno “sciaaoo” languido e rilassato.
Ha nascosto la faccia tra il mio collo e il cuscino, e ha sbadigliato. Era spettinata. Odorava di sonno e del suo profumo, che si percepiva appena.
«Questa notte hai parlato mentre dormivi» ho mormorato.
«E che dicevo?»
«Non ho capito bene, qualcosa su di me.»
«Davvero?»
«Sì, mi hai chiamato “lo sbirro” e insistevi perché vi accompagnassi da qualche parte.»
«Ci accompagnassi?» ha chiesto incuriosita.
«Sì, amore, hai usato il plurale.»
Ha sorriso. «Forse volevo che fossi con noi per tutta la vita.»
«Una chiave di lettura interessante.»
«Ti piacerebbe?»
Ci siamo baciati piano. Aveva le labbra morbide e la lingua insinuante. Il tentativo di tenermi lontano dal lavoro era chiaro e il mio senso del dovere ha vacillato.
Lei è scivolata via e gli occhi, che una volta erano tristi, ma adesso ridevano, mi hanno fissato con un poco di apprensione. Era bella da far spavento, come fosse rinata in quelle ultime settimane. Un nuovo padre, una nuova vita e, nel letto, il più bel flic che si possa trovare sulla piazza.
«Sì, mi piacerebbe» ho detto.
Si è abbandonata su di me con un sospiro. L’ho baciata di nuovo e stavo architettando un piano strategico per arrivare in ritardo in ufficio, quando il telefono sul comodino ha cominciato a squillare. Lei ha avuto un sussulto, poi si è sciolta dall’abbraccio per rispondere.
«Tristane Le Normand» ha brontolato. Poi ha sorriso. «Ciao, Alain! Sì, è qui, te lo passo.»
La sua bocca ha sfiorato la mia, quindi mi ha passato la cornetta e si è alzata. Prima di prendere la comunicazione, ho seguito con lo sguardo la nudità del corpo slanciato che scompariva in bagno. Seduta stante ho stabilito che l’amavo.
«Dimmi.»
«Scusa se ti ho chiamato da Tristane, ma a casa non c’eri e hai il cellulare spento.»
La voce del mio socio era quella delle giornate no, troppo seria, priva di sfumature sociali o mondane. Era la voce che mi dava ansia.
«Che succede?»
«Hanno sparato a Fred, giù nel Midi.»
Sono rimasto senza fiato, tipo quando ti cade un’incudine sulla testa. Fred Céline, il compagno di Leila. Un amico. Non faceva parte della squadra, ma ci aveva aiutato un mucchio di volte. E anche se non era un fratello, gli somigliava molto. Mi è pure preso il batticuore.
«È morto?»
«Sì.»
«Com’è andata?»
«Non ne so molto, hanno telefonato dalla compagnia motociclisti. È stata la gendarmeria di Cognac ad avvisarli. Il corpo di Fred era dentro la sua auto. È uscito di strada dopo che gli hanno sparato. Dalla tessera hanno capito che era un flic.»
«Quando?»
«Ieri pomeriggio.»
«E Leila? Erano in vacanza insieme.»
Alain si è fatto più cupo. «Di lei non ci sono notizie.»
«Cazzo…»
La testa di Tristane è spuntata dalla porta del bagno e mi ha guardato con espressione interrogativa. Dovevo essere pallido come un cencio, perché mi ha raggiunto vicino al letto. Aveva indossato una vestaglia di seta color ambra, il contatto della mia mano con il tessuto mi ha ridato un po’ di tono.
«Leila era con lui quando l’hanno ammazzato?» ho chiesto a Servandoni.
«È probabile, c’era la sua borsa in macchina. Se non si è fatta viva, significa che le è capitato qualcosa, non credi?»
Lo credevo. «Un rapimento?»
«Non lo so, Pierre. Perché diavolo l’avrebbero rapita?»
«Per lo stesso motivo per cui hanno spedito Fred al creatore.»
«E sarebbe?»
«Non ne ho idea. Lui era un flic della compagnia motociclisti. A meno che non abbia multato la persona sbagliata, non riesco proprio a immaginare perché qualcuno dovesse ucciderlo.»
«Magari uno scambio d’identità.»
«Con le ipotesi strampalate possiamo arrivare fino a stasera. Vi raggiungo tra venti minuti. Tu cerca di avere delle informazioni in più.»
«E tu datti una mossa perché il grand patron ti vuole vedere.»
Ci siamo salutati e ho riagganciato. Tristane si è seduta accanto a me.
«Qualcosa di brutto?» ha domandato.
Fred non lo conosceva, ma era amica della mia collega.
«Il compagno di Leila è morto e lei è scomparsa.»
Anche Tristane è impallidita. Eravamo tutti pallidi quella mattina e in pochi minuti l’umore era precipitato sotto i tacchi. Nel suo sguardo m’è parso di riconoscere l’angoscia di chi sta con uno sbirro e ogni sacrosanto giorno si chiede se lo vedrà tornare a casa.
«Pensi che…»
L’ho interrotta con un bacio. Non volevo nemmeno considerarla un’ipotesi del genere. Qualcosa, dentro di me, mi suggeriva che Leila stesse bene. Non nutrivo dubbi su quanto fosse in gamba. Se c’era una capace di uscire per il rotto della cuffia da qualsiasi guaio, anche dal più complicato, era lei.
«Si aggiusterà tutto» ho detto.
Tristane ha finto di credermi e ha annuito.
Stavo vivendo una situazione nuova. Quella donna e suo figlio Benjamin erano la cosa più simile a una famiglia che avessi avuto da parecchio tempo. Si aspettavano molto da me, e questo mi agitava e meravigliava insieme. L’affetto che provavo per loro mi costringeva ad affrontare pensieri inesplorati. In particolare la complicità con Benjamin, un bambino di sette anni per il quale, qualche mese prima, ero diventato una specie di figura paterna o, meglio, un fratello maggiore.
«Devo andare» ho detto. «Tuo padre vuole vedermi. Cioè, Le Normand, il mio capo, intendo. Cavolo, devo ancora abituarmi.»
Lei ha riso. «Anch’io. A volte mi chiedo se ci sia stata davvero un’altra vita, prima di questa.»
Ci siamo baciati ancora e, già che c’ero, mi sono preso la briga di palpeggiarla per bene perché, con quella vestaglia addosso, era una calamita per le mani. Infine, benché a malincuore, mi sono alzato per darmi una lavata. Una bella montagna di merda mi attendeva al quai des Orfèvres e non era il caso di far aspettare i colleghi che ci stavano seduti sopra.
2
In direzione della scuola di Benjamin
Ho parcheggiato la Karmann Ghia tra un furgone azzurro della gendarmeria e la Nissan Primera di Michel Coccioni che, tanto per cambiare, sembrava un cestino della spazzatura. Il piano del cruscotto e la cappelliera erano invasi di cartacce, lattine, scatolette vuote, resti organici non meglio identificati e pezzi di metallo che, per quel che ne sapevo, potevano anche provenire dal motore.
Su per lo scalone ho trovato un casino d’inferno. Giugno è il periodo del marché, vale a dire che, come nel calcio, c’è gente che va e gente che viene. I nuovi entrano a far parte delle squadre cui sono assegnati, gli altri partono verso brigate o città differenti.
In ufficio da noi, su al quinto piano, i musi toccavano terra.
«Novità?» ho chiesto entrando.
«Fred è stato centrato da un proiettile attraverso il parabrezza» ha risposto Alain. «Lo ha preso nel collo. Ho comunicato alla gendarmeria di inoltrare con urgenza i risultati della perizia alla balistica. De Clock è avvisato, ci chiama non appena riceve il materiale.»
«Un cecchino?» ho domandato sorpreso.
«Sembra di sì.»
«Mandiamo qualcuno a casa di Fred e Leila. Se non sbaglio, abitano a Vincennes. Magari troviamo qualcosa.»
Constance Metzger stava riordinando una pila di dossier assieme a Rogliatti. Li prendevano uno alla volta, gli davano una bella spolverata e li disponevano in fila su una serie di scaffali che parevano fissati al muro per grazia di dio. Li ho interrotti.
«Metz, lascia perdere per un paio d’ore le pulizie di Pasqua. Tu e Aurélien fate un salto da Leila. Nel suo cassetto c’è un mazzo di chiavi di riserva, così evitate di buttare giù la porta.»
Non se lo sono fatto ripetere. Hanno mollato stracci e Chanteclair, e sono scomparsi.
«Avete provato al cellulare di Leila?»
«È rimasto nell’auto» ha detto Didier.
«Quindi non ha nemmeno uno straccio di telefono.»
«Già.»
Ho chiamato il garage della compagnia motociclisti.
«Il comandante Pantel, per cortesia» ho chiesto al centralinista.
«Chi devo dire?»
«Il commissario Mordenti della Crim.»
Mentre ascoltavo il cicalino dell’attesa mi sono guardato attorno. Entro pochi mesi ci avrebbero deportati tutti nel nuovo scatolone di vetro alle Batignolles. Nel frattempo noialtri eravamo stati trasferiti in via provvisoria nel sottotetto.
«Ciao, Pierre» mi ha salutato la voce roca di Pantel. «Immagino tu sia al corrente.»
«Sì, Raynal. Ci sono sviluppi?»
«Siamo in contatto con la gendarmeria di laggiù. Ho mandato due dei miei che spero m’informino nel primo pomeriggio.»
«Avete capito cos’è successo?»
«Aspetta un attimo.»
L’ho sentito scartabellare. Quando si parla di sbirri, in tanti pensano al cinema, p...