Un piede in due scarpe
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Un piede in due scarpe

  1. 294 pagine
  2. Italian
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Un piede in due scarpe

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Informazioni sul libro

Genova, inverno 1992. Mentre le celebrazioni per i cinquecento anni dalla scoperta dell'America ridisegnano il fronte del porto, l'omicidio del giovane Luca sconvolge le vite di un gruppo d'inseparabili amici, svelando passioni e segreti custoditi da anni. Quando i sospetti ricadono su Teresa, la sognatrice dai capelli rossi che ama i romanzi, il caso sembra ormai chiuso, ma a rovesciare la verità di comodo ci penserà una coppia d'eccezione: Diego Ingravallo, un commissario di polizia dall'ingombrante cognome letterario, e lo psicologo Paolo Luzi, a cui un tragico passato ha conferito il dono - o la maledizione - di riconoscere le bugie di chi mente sapendo di mentire.
Dagli studi di potenti avvocati ai salotti della Genova bene fino ai malinconici quartieri della città operaia, i due investigatori sprofonderanno in un abisso di paure e ossessioni. Tra i caruggi assediati dalla buriana, il grande freddo è quello che invade i cuori fino a incrinare ogni certezza, salvo una: mai sottovalutare le conseguenze dell'amore.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2017
ISBN
9788858691212

1

Una pioggerella fine e maligna cadeva di sbieco, tagliata dalle gelide raffiche di Nordest. Era qualche anno che la buriana non si faceva sentire, ma quell’inverno si era presentata la sera di Natale e da allora non aveva più mollato. Erano passati anche i giorni della merla, i più freddi della stagione, ed erano trascorsi dieci anni da quando era iniziata la sua nuova vita o, come la chiamava lui, “pseudovita”. L’erba del giardino aveva il colore smorto della paglia e quella mattina al gelo si accompagnava pure la pioggia.
Per uno spirito mediterraneo come il suo era troppo: troppo freddo e troppo vento, una vera rottura di cazzo.
Il dottor Paolo Luzi si affacciò alla finestra della cucina e, sorseggiando il caffè, lanciò uno sguardo laggiù, dove la città lo aspettava per cominciare un’altra giornata. Doveva incontrare una nuova paziente della quale conosceva solo nome e cognome, nient’altro. La donna aveva richiesto l’appuntamento in un modo insolito: con un biglietto imbucato a mano nella cassetta della posta, in cui lo pregava di rispondere lasciando indicazioni presso la vicina farmacia San Giorgio. Ma il fatto curioso era che quel foglio ingiallito sembrava la pagina strappata da un libro. Le due parole stampate in alto gli ricordavano qualcosa: La Scala.
Il mare e la diga foranea erano nascosti da un grigiore uniforme, e questo non era bene. In una città di mare, il mare è l’unica certezza. Tolto quello, rimangono solo vecchi pensionati, giovani disoccupati, mugugni e paura del futuro. Lui non aveva paura del futuro soltanto perché il disastro ce l’aveva alle spalle e sapeva che niente di peggio avrebbe potuto capitargli.
Infilò il Burberry e il berretto impermeabile a tesa floscia, e si avviò a piedi lungo le crose che dalle alture precipitano verso il centro. In meno di mezz’ora raggiunse lo studio di via San Bernardo. Da una grondaia mezza marcia un fiotto d’acqua si rovesciava sul carruggio.
Il portone, come al solito, era socchiuso. Entrò nel grande atrio che odorava di muffa, osservò la fontana di pietra bianca, che languiva a secco da almeno due secoli, e infilò il fatiscente scalone di marmo salendo fino al secondo piano.
Rannicchiata sull’ultimo gradino, immersa nella semioscurità, c’era una ragazza intenta nella lettura di un libro. I capelli ramati, né lunghi né corti, erano fradici, appiccicati al collo e alle orecchie. Quando sollevò il capo, lo scrutò con intensità senza proferire parola. Gli occhi verde acqua erano grandi, vividi, e brillavano di luce propria nella penombra del ballatoio.
Paolo Luzi avvertì il primo segnale: una fitta al costato, all’altezza del cuore. Quando succedeva – e nel lavoro gli capitava spesso – significava che il suo interlocutore stava soffrendo.
«Buongiorno» disse piegandosi leggermente in avanti. «Aspetta me?»
La ragazza annuì, ma rimase seduta ostruendo il passaggio. Lui non si mosse, la gamba destra su uno scalino e la sinistra su quello di sopra. Sollevò la manica del Burberry e controllò l’orologio.
«L’appuntamento è alle nove» si giustificò.
L’altra annuì di nuovo, sbattendo le palpebre.
«Che ne dice di venire dentro?»
Lei non raccolse l’invito e, sempre in silenzio, si fece da parte per lasciarlo passare.
Paolo improvvisò un piatto sorriso di circostanza. Ridere non era il suo forte. «È tutta bagnata, al freddo si beccherà un malanno.»
Senza ricambiare il sorriso, la giovane si decise a dire qualcosa. «Mancano dodici minuti alle nove.»
«Ho una sala d’aspetto, sempre meglio che starsene all’umido e al buio.»
La rossa chiuse il libro e lo infilò nella borsa; Paolo fece appena in tempo a sbirciare la copertina e leggere il titolo. Aspettò che lui aprisse la porta, poi scattò in piedi e al suo cenno infilò l’ingresso. Il dottore accese la luce e avvertì che la temperatura all’interno non era molto più alta di quella del pianerottolo. Si precipitò in bagno per avviare la caldaia e maledisse di avere declinato la proposta dell’idraulico che, qualche mese prima, gli aveva suggerito di collegare l’impianto a una centralina col timer. Era estate, e non aveva previsto quanto sarebbe stato spiacevole trovare al mattino, in inverno, l’ambiente gelido come una ghiacciaia.
Invitò la ragazza ad accomodarsi nella minuscola anticamera, arredata con quattro sedie e un tavolino Ikea, ingombro di volumi e vecchie riviste. Quindi allungò la mano per presentarsi. «Sono il dottor Paolo Luzi.»
Lei ricambiò con una stretta incerta e quasi riluttante. «Piacere, Teresa Gorrini.»
Quando passò nello studio, Paolo evitò di chiudere la porta, quasi avesse paura di lasciarla sola, anche se l’appartamento era piccolissimo, quarantuno metri quadri in tutto, e dalla giovane lo separavano solo pochi passi. Appese il Burberry e il cappello all’appendiabiti e accese la lampada da tavolo. Lo studio era a un piano basso e anche nelle giornate di sole la luce del vicolo filtrava avara. Sedette sulla Dalani girevole con la finestra alle spalle e annusò l’aria che sapeva di sigaro toscano. Nonostante ogni sera spalancasse le imposte per un buon quarto d’ora, nella stanza tutto era impregnato di quell’odore: il cuoio delle poltrone, il tappeto orientale che gli aveva regalato sua cugina, le tende di organza e perfino i tomi impilati nella vecchia libreria di mogano ereditata dal nonno.
Come sempre, chiuse gli occhi e approfittò dei pochi minuti che precedevano la seduta per analizzare l’impressione procuratagli da quella strana paziente. Lo chiamava “il fiuto del cane” perché, quando si incontrano per la prima volta, i cani fanno così: si annusano per conoscersi. E l’esperienza gli aveva insegnato che quelle sensazioni spesso si rivelavano preziose.
Sotto un impermeabile chiaro che la pioggia aveva macchiato di ampi aloni grigiastri, Teresa Gorrini indossava un pesante maglione a girocollo e un paio di jeans stinti, calzava una cattiva imitazione degli anfibi Dr. Martens e portava a tracolla una grande borsa di cuoio consumato, floscia, informe, in cui trovare le chiavi doveva essere un rebus. Il tutto le conferiva un’aria dimessa, da scolaretta povera, catapultata in una scuola esclusiva per yuppie. Doveva avere circa venticinque anni, non era bella, ma nemmeno brutta: viso regolare, cosparso da una spolverata di efelidi, naso pronunciato e sottile, aria da pulcino bagnato. Amava la lettura e quella mattina si stava cimentando con Il processo di Kafka. Paolo aveva fiutato un dolore sordo e confuso, che aveva confuso anche lui, insieme a un’irriducibile propensione a farsi del male, purtroppo tutt’altro che rara a quell’età.
Le poltrone occupavano due pareti d’angolo. La lampadina a basso voltaggio dell’abat-jour emanava un chiarore discreto e comprensivo. Teresa non si era tolta lo spolverino e stava seduta in punta, la schiena ritta e le dita attorcigliate in un groviglio inestricabile.
«Mi dica, la ascolto» disse Paolo poggiando come al solito le mani in grembo.
«Avevo bisogno di parlarle e le ho chiesto un appuntamento per iscritto.»
Lui si limitò ad annuire.
«Ho trovato il suo biglietto da visita nella farmacia qui sotto.»
Annuì ancora.
«Si sarà chiesto perché non ho fatto come tutti gli altri.»
«E come fanno tutti gli altri
«Immagino usino il telefono.»
«Ha ragione, me lo sono domandato.»
«Non ce l’ho» dichiarò Teresa serissima.
«Ma esistono le cabine.»
Seguì un breve silenzio durante il quale lo sguardo della ragazza non lo mollò un istante.
«Oggi tutti hanno il telefono, come mai…» riprese Paolo.
«… io no? Per non lasciare tracce.»
«Capisco» rispose il dottore che in realtà non capiva un tubo. «A proposito del suo messaggio, era la pagina di un libro, vero?»
«Una raccolta di racconti di Tommaso Landolfi. Lo conosce?»
«Ho letto qualcosa. La pietra di luna, mi sembra…»
«La pietra lunare» lo corresse lei. «È un autore raffinato che inventa storie pazzesche, a volte sconclusionate.»
«C’erano anche due parole stampate: La Scala
«Sì, è una collana della Rizzoli. Ero a secco di carta e ho strappato il frontespizio. Il libro l’ho trovato su una bancarella dell’usato, si intitola A caso
«Ah» fece Paolo con aria ebete. Non lo aveva mai sentito.
La ragazza riprese fiato e attaccò: «Sono venuta perché ho bisogno del suo aiuto». Pausa. «Ho paura di commettere una sciocchezza. Anzi, sono quasi sicura che la farò. Spero che lei mi convinca a lasciar perdere.»
«Sentiamo.»
«La probabilità che ci riesca è remota, ma deve provarci, così dopo nessuno potrà rimproverarmi di avere agito con leggerezza, senza aver considerato ogni aspetto.»
«Mi sembra un’eccellente premessa» commentò Paolo con la sensazione di fischiare in un cimitero.
«È una decisione terribile, me ne rendo conto. Chiunque mi accuserebbe d’essere una sventata, una criminale, dopo tre anni di matrimonio.»
«Lei è sposata?»
«Io?» Teresa spalancò i grandi occhi verde acqua. «Ma scherza? Certo che no!»
«Allora temo di non aver capito…»
«Lui è sposato con Sonia, Sonia Cersosimo.»
«E chi sarebbe questa Sonia Cer…»
«… Cersòsimo, con l’accento sulla prima “o”. Un cognome orribile, non trova?»
«Complicato» ammise lui. «Ricapitolando, Sonia è la moglie di…?»
«Luca Latorre.»
«E lei in che rapporti è con Luca?»
«Siamo amanti, dai tempi del liceo. In realtà stavamo insieme fino a sette anni fa, quando battendosi le tempie e chiedendo perdono mi ha annunciato che si sarebbe messo con Sonia. Solo che io non riuscivo a lasciarlo e lui non poteva fare a meno di me, così abbiamo continuato a vederci, di nascosto.»
«E perché il matrimonio con un’altra?»
«Sonia è la figlia di Carmelo Cersosimo, il più grosso importatore di stoccafisso e baccalà del Nord Italia. Insomma, è ricca da fare schifo. E il fratello minore di Luca soffre di una malattia genetica per la quale esistono solo cure sperimentali, praticate all’estero, che costano un occhio della testa.»
Paolo fece un lungo respiro e provò a trarre la prima conclusione: «Dunque lei ha un amante e teme di fargli del male».
«Esatto» confermò la ragazza quasi rinfrancata.
«E perché, dal momento che il suo amore viene ricambiato?»
«È questo il punto: Luca è un puro e la scorsa settimana mi ha confessato che non sopporta più di tenere un piede in due scarpe.» Stava per aggiungere qualcosa, ma si bloccò e tacque di colpo. Distolse lo sguardo, abbassandolo verso il pavimento, e incassò la testa nelle spalle come una tartaruga che cerca rifugio nel carapace.
«Continui» la incalzò Paolo.
«Credo proprio che uno di questi giorni lo ammazzerò.»
Al dottor Luzi le persone bizzarre non dispiacevano. Del resto si era scelto un mestiere che consisteva nell’occuparsi delle stravaganze della gente. Ma in quella circostanza avvertì il secondo segnale, rivelazione d’una facoltà che lo distingueva dai colleghi e dal resto del mondo, e che rappresentava per lui una via di mezzo tra il karma e un handicap. Era un “dono” che non aveva ricevuto dai libri e neppure dall’insegnamento dei maestri, ma dal destino. E non da un destino qualsiasi, bensì dalla variante più feroce e bastarda. La stessa che, alle due della notte del 9 luglio 1982, aveva costretto suo cognato Carlo a suonargli alla porta. Se l’era trovato davanti con la faccia stralunata, pallido come un morto, mentre gli ripeteva di stare calmo. Per la prim...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Un piede in due scarpe
  4. Preludio
  5. 1
  6. 2
  7. 3
  8. 4
  9. 5
  10. 6
  11. 7
  12. 8
  13. 9
  14. 10
  15. 11
  16. 12
  17. 13
  18. 14
  19. 15
  20. 16
  21. 17
  22. 18
  23. 19
  24. 20
  25. 21
  26. 22
  27. 23
  28. 24
  29. 25
  30. 26
  31. Primo interludio
  32. 27
  33. 28
  34. 29
  35. 30
  36. 31
  37. Secondo interludio
  38. 32
  39. 33
  40. Ringraziamenti