Lenin
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  1. 560 pagine
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Nella storiografia del Novecento la figura di Lenin è spesso filtrata attraverso l'immagine di un ideologo rigido. Tuttavia, dopo l'enorme mole di nuove informazioni emerse in seguito all'apertura degli archivi segreti dell'ex Unione Sovietica, Victor Sebestyen pone sotto una nuova luce il ruolo che la sua figura ha avuto nella Rivoluzione del 1917. Durante la Guerra fredda nessuno voleva che apparisse umano perché questo aspetto non si sarebbe accordato alle ideologie dominanti al di qua e al di là della Cortina di ferro. Voleva il potere e voleva cambiare il mondo ma, se è vero che, guidato dall'idea che il fine giustifica i mezzi, mentì senza vergogna al suo popolo, è altrettanto vero che fu un individuo complesso, tutt'altro che assente o insensibile, capace di amare e farsi travolgere dalle emozioni. Dalla Russia violenta, tirannica e corrotta in cui visse, agli scritti di filosofia ed economia marxista, fino alle relazioni con le donne della sua vita: la biografia definitiva di un personaggio controverso dai mille volti, con una nuova, sorprendente interpretazione.

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Informazioni

Editore
BUR
Anno
2018
ISBN
9788858691823

1

Un nido di nobili

  Questo Lenin… non è pericoloso.
  Principe GEORGIJVOV,
primo ministro della Russia postimperiale
Tutte le più importanti relazioni della vita di Lenin furono con donne. Aveva pochi amici maschi e li perdeva quasi senza eccezione oppure le amicizie finivano per motivi politici. Gli uomini dovevano dargli acriticamente ragione oppure venivano esclusi dalla sua cerchia. Come ricordava una persona a lui molto vicina durante gli anni dell’esilio: «Cominciai a prendere le distanze dal movimento rivoluzionario… e così per Vladimir Il´ič smisi definitivamente di esistere». A trentatré anni l’unico uomo a cui si rivolgeva con il «tu» (ty) confidenziale invece che con il «voi» (vy) formale di cortesia era il fratello minore Dmitrij.1
Per la maggior parte della vita, Lenin fu circondato da donne: la madre, le sorelle, colei che fu sua moglie per un quarto di secolo, Nadja, e la sua amante Inessa Armand, con la quale ebbe per molti anni una relazione affettiva oltre che professionale fatta di alti e bassi. Nei quindici anni di esilio in anguste camere d’affitto sparse per l’Europa visse con la suocera, una donna molto sicura di sé con idee profondamente diverse dalle sue.
Le donne di Lenin sono sempre state liquidate come pure e semplici «domestiche» dedite all’organizzazione della casa o alle quali era permesso svolgere compiti politici o mondani relativamente semplici, ma questo è un quadro del tutto fuorviante. Lenin aveva opinioni molto più progressiste sul ruolo della donna rispetto alla maggior parte dei suoi contemporanei di sesso maschile del movimento rivoluzionario, anche se è pur vero che tale posizione non sposta particolarmente in alto l’asticella.
Sotto molti aspetti il radicale Lenin fu in realtà un convenzionale borghese russo del tardo XIX secolo, per nulla femminista nel senso moderno del termine. Si aspettava che le sue donne lo coccolassero e si prendessero cura di lui, cosa che puntualmente facevano. Ma le ascoltava, e nelle questioni politiche prendeva in considerazione i loro pareri quanto quelli degli uomini.
La moglie Nadja è spesso dipinta come la sua segretaria, una amanuense priva di opinioni proprie. Invece era molto di più. Quando lo conobbe era una rivoluzionaria convinta; era stata imprigionata ed esiliata in Siberia prima di sposarlo ed ebbe un ruolo essenziale al suo fianco nella rete clandestina di cospiratori che tenne viva la fiamma della rivoluzione in Russia prima del 1917. Non scrisse opere sul marxismo o di filosofia, non si esprimeva su tattiche o programmi politici e raramente lo contraddiceva, ma Lenin si fidava delle sue capacità pratiche e del suo buon giudizio. «Gestiva» decine di agenti segreti bolscevichi sparsi per l’impero russo e conosceva ogni aspetto dell’organizzazione del Partito. Ancora più importante, Nadja teneva sotto controllo il carattere e l’umore volubile del marito, cosa che spesso richiedeva immenso tatto.
Inessa Armand è un’altra donna il cui ruolo nella vita di Lenin è stato frainteso o – nel caso delle autorità sovietiche dopo la morte del leader bolscevico – deliberatamente ignorato. Per dieci anni, fino alla morte di lei, avvenuta nel 1920, ebbero una relazione burrascosa. L’Armand era fondamentale per la vita emotiva di Lenin. Era anche una delle socialiste più note della sua generazione, una persona fidata a cui assegnare i compiti più delicati. Spesso lo rappresentava ai raduni internazionali di rivoluzionari, una responsabilità delegata a pochissime persone. Gli rimase al fianco a Mosca, dopo la Rivoluzione. Era spesso in disaccordo con lui e glielo diceva apertamente, eppure rimasero inseparabili. Tutti quelli che la conoscevano – inclusa Nadja, che diventò la sua più intima amica, in un curioso triangolo di devozione reciproca – capivano quanto fosse importante per lui. Tuttavia, dopo la morte del leader, i suoi successori instaurarono un «culto» del capo che promosse l’adorazione di Lenin in quanto icona e pilastro della rettitudine bolscevica, e Inessa fu cancellata dai libri di storia sovietici. Nel quinquennio precedente il 1917 Lenin scrisse a Inessa Armand molte più lettere – personali e politiche – che a qualsiasi altra persona. La loro corrispondenza e i diari della donna sono stati censurati per quasi settant’anni fino al crollo dello Stato comunista da lui fondato.
Due delle sorelle di Lenin superarono la prima infanzia e lavorarono a stretto contatto con lui in clandestinità. Anna Il´inična Ul´janova, nata nel 1864, aveva sei anni più di lui; Marija otto di meno. Durante il regime zarista furono entrambe incarcerate o esiliate più volte per attività sovversive; aiutavano a far entrare e uscire di nascosto dalla Russia rivoluzionari e letteratura socialista; dopo la Rivoluzione occuparono posizioni di rilievo nel regime sovietico. Per molti anni, durante l’esilio in Europa, una di loro – di solito Marija – o entrambe abitarono con lui, sua moglie e sua suocera.2
Per tutta la vita Lenin fece affidamento su una rete di donne devote e leali a lui, e, per la maggior parte, alla sua causa rivoluzionaria. Esse fecero grandi sacrifici per la sua carriera e a volte corsero enormi rischi personali per lui, dal momento che la rivoluzione era una faccenda pericolosa. Lenin talvolta diede per scontata la loro fede in lui, ma gli impegni erano reciproci.
Molti uomini cinici e spietati sono sentimentali quando si tratta delle loro madri. Lenin era solito ripetere spesso ai famigliari e ai compagni di lotta «la mamma… be’, è una santa». Negli ultimi anni della sua vita – la madre morì nel 1912 mentre lui era in esilio in Svizzera – la vide poco, ma le mandava lettere affettuose, e non solo per adempiere al suo dovere di figlio. Durante i suoi pellegrinaggi in Europa, ovunque si trovasse, le scriveva a intervalli regolari. Le lettere parlavano raramente di politica o del suo lavoro letterario e giornalistico, ma le raccontava minuziosamente della sua organizzazione domestica, della sua salute e dei suoi viaggi. Molte lettere sono una sorta di «osservazioni naturali» sulle sue spedizioni di caccia o le escursioni sulle Alpi. Camminare in montagna e per l’aperta campagna, immerso nella natura incontaminata era una delle grandi passioni di Lenin. Le sue lettere cominciano tutte con «Cara madre» o «Carissima mamuška». L’ultima risale a poche settimane prima della sua morte e termina con queste parole: «Vi stringo in un abbraccio caloroso e vi auguro vigore». Lenin era stizzoso, burbero e irascibile, specialmente col passare degli anni, ma sua madre era l’unica persona di cui non si lamentò mai con nessuno, l’unica a cui dimostrò un amore senza riserve.
Marija Aleksandrovna Blank nacque a San Pietroburgo nel 1835. Suo padre era un tipo eccentrico, molto severo e – fatto tenuto segreto dalle autorità sovietiche dopo la morte di Lenin – ebreo. Era nato a Odessa con il nome di Israel Moiseevič Blank, ma durante gli studi di medicina si convertì alla religione ortodossa e cambiò nome e patronimico in Aleksandr Dmitrijevič. Viaggiò in lungo e in largo per l’Europa e sposò la figlia di un ricco mercante tedesco, Anna Groschopf. Era protestante e, in base alle leggi religiose molto restrittive vigenti nella Russia zarista, avrebbe dovuto convertirsi alla fede ortodossa. Ma la giovane donna si rifiutò e crebbe i sei figli come luterani.3
Aleksandr Blank iniziò la carriera come medico militare, in seguito esercitò la professione nella polizia e infine diventò ispettore medico degli ospedali a Zlatoust, nella vasta provincia di Celjabinsk, in Siberia occidentale. A questo incarico era legato il titolo di «consigliere di Stato» che gli dava diritto al rango nobiliare. Quando andò in pensione, dopo i cinquant’anni, si registrò come membro della nobiltà di Kazan´ e acquistò una tenuta a Kokuškino, trenta chilometri circa a nord-est della città, con una bella casa padronale e quaranta anime che lavoravano la terra.4
La madre di Marija Aleksandrovna morì quando lei aveva tre anni. Il padre cominciò a convivere con la sorella della moglie defunta, Ekaterina von Essen, anche lei vedova. Era un ménage scandaloso per l’epoca e Blank voleva salvaguardare l’onore della cognata. Cercò di sposarla, ma il matrimonio era illegale agli occhi della Chiesa e alla coppia fu negato il permesso. I soldi di Ekaterina contribuirono all’acquisto della tenuta di Kokuškino, e i due rimasero insieme fino alla morte di lei, avvenuta nel 1863.5
La madre di Lenin era una donna riservata, risoluta, introversa. Aveva capelli castano scuro, una figura sottile e vestiva in modo elegante, anche se raramente all’ultima moda. In famiglia non c’erano baci o abbracci e Marija Aleksandrovna scoraggiava i figli dal manifestare le emozioni. In casa era lei la figura dominante, profondamente rispettata e riverita da tutti i figli. «Aveva il nostro amore e la nostra obbedienza» ricordò in seguito la maggiore delle ragazze Ul´janov, Anna. «Non alzava mai la voce e non ricorreva quasi mai alle punizioni».6
Era paziente e fece di tutto per evitare di far patire ai figli le ristrettezze in cui si vennero a trovare in seguito ai decessi in famiglia e alla costante attenzione della polizia segreta. Era frugale, ma non fu mai micragnosa. Intelligente e istruita, non appoggiò – e spesso non comprendeva – le idee radicali dei figli. Di certo non era marxista o una rivoluzionaria. Ma fu abbastanza saggia da non litigare con loro per questioni politiche o fare troppe domande sulle loro attività illegali, indipendentemente dalle sofferenze che sarebbero derivate dalle loro convinzioni. Nelle poche lettere scritte al figlio Vladimir giunte a noi, accenna alla politica a malapena una volta. Per Marija Aleksandrovna, la famiglia veniva prima di tutto.
Una volta adulti, tutti i suoi figli furono messi a turno in prigione o esiliati, alcune volte più di uno contemporaneamente. Lei si trasferiva sempre in prossimità del carcere o in una città il più vicino possibile al luogo del loro esilio. Spesso si umiliava implorando i funzionari di rilasciare uno di loro o di trattarli con maggior clemenza. Sebbene non sia mai stata ricca era benestante e tutti i figli beneficiarono del suo denaro per periodi prolungati. Inviava loro contanti, abiti, libri, pacchi di generi alimentari e non sembrò mai lamentarsi delle loro richieste. Tra i suoi figli, Lenin era quello che avrebbe richiesto più aiuto, anche se a volte riceveva sovvenzioni da altre fonti. Per alcuni anni assegnò a se stesso uno stipendio attingendo direttamente dai fondi del Partito bolscevico, ma guadagnava qualcosa con i suoi libri e il giornalismo. La vita di un rivoluzionario di professione può essere precaria e a volte si trovava a corto di contanti. Ancora dopo i quarant’anni, non avrebbe potuto sopravvivere senza il sostegno economico della madre.
Vladimir non possedeva la serena capacità di sopportazione di Marija Aleksandrovna, qualità sottolineata da tutti i conoscenti della donna, ma aveva ereditato altri tratti del suo carattere. «Non appena conobbi sua madre scoprii il segreto del fascino di Vladimir Il´ič» disse anni dopo Ivan Baranov, un rivoluzionario compagno del Lenin della prima ora.7
Per gli storici sovietici, gli avi del padre erano problematici quanto quelli della madre. L’ultima biografia ufficiale di Lenin pubblicata in Unione Sovietica, uscita negli anni Cinquanta del Novecento, affermava che suo padre, Il´ja Nikolaevič Ul´janov proveniva «da una modesta famiglia di ceto medio basso di Astrachan´», una formulazione che nasconde più di quanto non riveli. La nonna paterna di Lenin, Anna Alekseevna Smirnov, era una analfabeta calmucca, di origini centro-asiatiche, con i tratti somatici tipici delle sue origini etniche. Quasi tutte le descrizioni dell’aspetto di Lenin menzionano il taglio obliquo degli occhi tipico dei mongoli e gli zigomi alti, ma i sovietici occultarono sistematicamente le informazioni sui suoi nonni perché non si sarebbero adattate all’immagine ufficiale, accuratamente rielaborata, del fondatore del bolscevismo, che doveva essere presentato come un russo purosangue.8
Il´ja nacque nel 1831 ed entrambi i suoi genitori morirono in giovane età. Fu cresciuto dal fratello maggiore Vasilij che gli assicurò una buona educazione. Era un ricco sarto e commerciante titolare di una attività di successo ad Astrachan´, una maleodorante cittadina di pescatori sul delta del Volga, situata là dove il fiume sfocia nel Mar Caspio. Diventò professore di scienze e insegnò in numerose scuole secondarie nelle città di provincia della Russia meridionale. Si sposò nel 1863 e insegnò a Nižnij Novgorod fino al 1869, quando ricevette un’eccezionale promozione e diventò ispettore scolastico della provincia di Simbirsk, lavoro che gli valse il rango di nobile ereditario.
Di tutti i bambini Ul´janov, Vladimir era quello che più assomigliava al padre. Il´ja Ul´janov aveva occhi di taglio obliquo con riflessi ambrati, una fronte ampia e tondeggiante e capelli rossicci che cominciò a perdere subito dopo i vent’anni. Come il figlio pronunciava la «r» leggermente blesa. Era più socievole della moglie e amava la compagnia. Si assentava da casa molto spesso per le sue ispezioni nel vasto distretto scolastico che dirigeva. La madre di Lenin era luterana, ma non praticante. Suo padre invece era religioso e si assicurò che i figli fossero cresciuti come ortodossi alla tradizionale maniera russa.
Il´ja era una persona per bene di vedute liberali, che credeva alle riforme graduali e all’evoluzione attraverso l’istruzione, un borghese benintenzionato insomma, proprio il genere di persona che suo figlio sarebbe arrivato a disprezzare più di un reazionario irriducibile. Il´ja riveriva Alessandro II, lo «zar liberatore» che emancipò i servi della gleba nel 1861 e varò una serie di altre modeste misure per modernizzare l’autocrazia dei Romanov. Dopo il suo assassinio, nel 1881, per mano dei terroristi del gruppo rivoluzionario Narodnaja volja (Volontà del popolo), Il´ja Ul´janov pianse per giorni. Prese parte a una cerimonia in memoria dello zar celebrata nella cattedrale della Santissima Trinità di Simbirsk con l’alta uniforme dei funzionari della pubblica amministrazione. Era orgoglioso di far parte dell’establishment. A quanto si sa fu in contatto con solo un «sovversivo» famoso, il dottore della famiglia Ul´janov, Aleksandr Kadjan, che era stato mandato al confino dalla polizia segreta con una sentenza che lo obbligava a non allontanarsi dalla città, ma si trattava di un rapporto puramente professionale.
«Nostro padre non fu mai un rivoluzionario» scrive Anna nella sua breve storia della famiglia. «In quegli anni, aveva superato i quaranta ed essendo il capofamiglia voleva proteggere noi, i suoi figli, da quelle idee.» La sorella Marija concordava. «Nostro padre era fedele al regime zarista in tutto e per tutto, non certo un rivoluzionario» disse a un compagno più giovane. «Non sappiamo davvero abbastanza di lui per dire quale fosse la sua posizione nei confronti dei giovani radicali.»
Lenin non cercò mai di nascondere o falsificare le sue origini, sebbene i sovietici abbiano creato in seguito il mito che il fondatore del primo Stato dei lavoratori del mondo «veniva dal popolo» e aveva «umili origini sociali». A molti che lo conoscevano i suoi modi e il suo comportamento erano rivelatori. Il grande scrittore e drammaturgo Maksim Gor´kij, socialista convinto che nacque in una famiglia poverissima e veniva davvero dal popolo, disse: «Vladimir Il´ič ha la sicurezza di sé di un “capo”, un nobiluomo russo non privo di alcuni tratti psicologici della sua classe».9

2

Un’infanzia idilliaca

Gli uomini fanno la propria storia, ma non la fanno a loro piacimento, in circostanze scelte da loro stessi, bensì nelle circostanze che essi trovano immediatamente davanti a sé, determinate dai fatti e dalla tradizione.
La tradizione di tutte le generazioni scomparse pesa come un incubo su quelle viventi.
KARL MARX,
Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, 1852
Nell’infanzia o nella prima adolescenza di Vladimir Ul´janov niente lasciava presagire che sarebbe diventato uno dei più grandi ribelli della storia. Crebbe in un contesto sereno, circondato da una famiglia che lo amava, in condizioni borghesi agiate, anche se non di ostentata ricchezza. I genitori gli insegnarono i valori della diligenza, della parsimonia, del duro lavoro, dell’importanza dell’istruzione e furono per lui modello di tali virtù.
Lenin nacque il 10 aprile 1870 nella cittadina di Simbirsk, sulla riva delle placide acque del Volga, nella Russia sudorientale, a quasi novecento chilometri da Mosca. Sei giorni dopo, fu battezzato nella chiesa ortodossa di San Nicola, dove si riuniva la domenica l’alta borghesia cittadina.
La sorella Anna maggiore di sei anni, ricordava che alla nascita Volodja (il diminutivo di Vladimir) aveva «la parte superiore del corpo più pesante», la testa grossa e il corp...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. Introduzione
  4. Lenin
  5. Prologo. Il colpo di Stato
  6. 1. Un nido di nobili
  7. 2. Un’infanzia idilliaca
  8. 3. L’impiccato
  9. 4. Lo stato di polizia
  10. 5. Un’istruzione rivoluzionaria
  11. 6. Vladimir Il´Ič, avvocato
  12. 7. Nadja, un corteggiamento marxista
  13. 8. Linguaggio, verità e logica
  14. 9. All’estero
  15. 10. Il carcere e la Siberia
  16. 11. Nasce Lenin
  17. 12. Vite clandestine
  18. 13. L’Inghilterra, la loro Inghilterra
  19. 14. Che fare?
  20. 15. Il grande scisma: bolscevichi e menscevichi
  21. 16. Alti e bassi
  22. 17. Un’autocrazia senza autocrate
  23. 18. Ritorno a casa
  24. 19. «Sottraete a chi ha sottratto»
  25. 20. Ginevra: «un buco orribile»
  26. 21. Inessa: Lenin innamorato
  27. 22. Tradimenti
  28. 23. Un triangolo amoroso: da due a tre
  29. 24. La catastrofe: il mondo in guerra
  30. 25. Nel deserto
  31. 26. L’ultima tappa dell’esilio
  32. 27. La Rivoluzione: parte prima
  33. 28. Il vagone piombato
  34. 29. Alla stazione Finljandskij
  35. 30. L’interregno
  36. 31. «Pace, terra e pane»
  37. 32. Le prede di guerra
  38. 33. Una scommessa disperata
  39. 34. I giorni di luglio
  40. 35. In fuga
  41. 36. La Rivoluzione: parte seconda
  42. 37. Finalmente al potere
  43. 38. L’uomo al comando
  44. 39. La spada e lo scudo
  45. 40. Guerra e pace
  46. 41. Lo Stato monopartitico
  47. 42. La guerra del grano
  48. 43. Il regicidio
  49. 44. Le pallottole degli assassini
  50. 45. La vita semplice
  51. 46. Rossi e bianchi
  52. 47. Esequie a Mosca
  53. 48. L’Internazionale
  54. 49. Ribelli in mare e sulla terraferma
  55. 50. Intuizioni di immortalità
  56. 51. Una nuova rivoluzione
  57. 52. L’ultima battaglia
  58. 53. «Un frastuono esplosivo»
  59. 54. Lenin vive
  60. Dramatis personae
  61. Note
  62. Bibliografia scelta
  63. Indice