Guardare la mafia negli occhi
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Guardare la mafia negli occhi

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Guardare la mafia negli occhi

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Nel 2009, quando ancora frequenta il liceo, Elia Minari si accorge che le feste della sua scuola si tengono in una discoteca gestita da personaggi vicini a una cosca mafiosa: perché viene sempre scelto quel locale? E cos'hanno da spartire quei personaggi con la rassicurante provincia emiliana? Elia studia i documenti, inizia a fare delle domande scomode, insieme ad alcuni amici dà vita a un giornalino studentesco e a un'associazione, Cortocircuito. Poi realizza una serie di video-inchieste sulla presenza delle mafie al Nord e approfondisce casi sempre più importanti, fino agli appalti Tav e alla gestione dei rifiuti nella Pianura Padana. Elia denuncia e si scontra con un'omertà inattesa, accompagnata da accuse pubbliche («Danneggi il turismo, rovini le imprese del territorio») e minacce esplicite. Eppure non si ferma e le sue inchieste arrivano in tribunale, all'interno di cinque indagini della magistratura sulle infiltrazioni criminali al Nord.Guardare la mafia negli occhi restituisce il senso dell'impegno civico di Elia, che smaschera il vero volto della 'ndrangheta: dedita a crearsi un'immagine pulita anche tramite trasmissioni pilotate di tv locali e articoli di giornale, abile nell'utilizzo strategico dei social media, interessata agli eventi sportivi e popolari, capace di camuffarsi. Perché, come scrive nella prefazione il procuratore nazionale antimafia Franco Roberti, "la vera forza delle mafie è fuori dalle mafie". Un libro coraggioso e avvincente, nel quale, ripercorrendo le sue indagini, Elia ci dimostra come nella lotta alla criminalità organizzata ognuno possa fare la propria parte.

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Informazioni

Editore
RIZZOLI
Anno
2017
ISBN
9788858690840
Categoria
Sociologia

Il ministro e l’alta velocità

L’attuale ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio, preferiva non parlarne. La sua portavoce mi intimava di tacere.
Accadde il 21 marzo 2012 a un convegno pubblico, all’Università di Modena e Reggio Emilia, a cui ero stato invitato come relatore. Insieme alla portavoce, un’altra collaboratrice di Delrio mi invitò caldamente al silenzio.
Parlavo, in modo pacato e tranquillo, di un importante cantiere pubblico. Esponevo i fatti basandomi su documenti ufficiali e non su opinioni personali. Nonostante ciò, Delrio si era irritato. Grattava nervosamente la sua barbetta grigia, accuratamente rasata intorno alla bocca. Alternava il dito indice e il dito medio tra le punte ispide del pizzetto. Ancora poco conosciuto dai mass media, Delrio era sindaco di Reggio Emilia e presidente dell’Anci, l’associazione nazionale dei Comuni italiani. Ma era già pronto per una folgorante carriera politica nazionale. Delrio grazie alla laurea in medicina e al suo sguardo serio, è sempre apparso, anche ai miei occhi, una persona competente.
A quel convegno sulla legalità mi ero trovato seduto di fianco al futuro ministro, al tavolo dei relatori nell’aula magna dell’università. Nel mio intervento, che precedeva quello di Delrio, mi sembrava giusto non parlare solo astrattamente di legalità e del mio impegno contro le mafie. Di retorica, fine a se stessa, il convegno ne era già saturo. Così quel giorno decisi di sollevare, in modo molto composto, alcune questioni legate alla gestione della più grande opera pubblica in corso di esecuzione nella Pianura Padana.

Imprese in odore di mafia

La Mediopadana di Reggio Emilia è l’unica stazione del treno ad alta velocità tra Milano e Bologna. Per quest’opera inizialmente erano stati stanziati 15,5 milioni di euro, poi diventati 38 milioni e infine 79. Il primo incremento dei costi era giustificato da una modifica sostanziale del progetto, mentre il secondo appariva difficile da comprendere.
Quando lessi questi numeri rimasi sbalordito. Questi dati erano scritti nero su bianco anche in atti del Comune di Reggio Emilia. Ma oltre a quelli della stazione c’erano i costi delle numerose opere connesse e della linea ferroviaria ad alta velocità che solca tutta l’Emilia con viadotti, gallerie e ponti. Un cantiere, lungo duecento chilometri, che faceva gola a molti.
Lo staff di Delrio non voleva che si parlasse di questo tema. L’argomento sembrava un tabù. D’altronde nessun giornale, neanche a livello locale, aveva trattato il tema dell’aumento dei costi dell’importante cantiere pubblico. La stazione Mediopadana era considerata un grande vanto per l’Emilia, per cui non sembrava lecito sollevare dubbi o porre domande.
La comodità di questa nuova stazione non l’ho mai messa in discussione. Inoltre non sono contrario a priori alle grandi opere. Ho soltanto cercato di portare alla luce la presenza, all’interno del cantiere Tav, di alcune imprese e persone ritenute contigue alla criminalità organizzata. Me ne ero accorto mettendo in fila dati, numeri e fatti. Ad esempio, nella tratta del treno ad alta velocità tra Parma, Reggio Emilia e Bologna ha lavorato un’impresa in odore di mafia. Una relazione della Direzione investigativa antimafia parlava di «collegamenti tra la società e personaggi riconducibili alla famiglia mafiosa capeggiata dai fratelli Rinzivillo».
Non si poteva tacere riguardo situazioni così preoccupanti. Le mie parole, pronunciate nell’aula magna dell’università, erano basate esclusivamente su atti e fatti verificati.

Cifre false

Prima che prendessi la parola, il clima era molto sereno. Quel giorno all’università, appena ero arrivato, Delrio mi aveva salutato sorridente, dandomi anche una pacca sulla spalla. Ci eravamo già conosciuti in occasione di precedenti iniziative sul tema della legalità.
Il futuro ministro cambiò velocemente umore dopo che ebbi iniziato il mio intervento dal tavolo dei relatori. Parlai dell’aumento dei costi, dei tempi dilatati e dei subappalti del cantiere Tav. Delrio prese la parola e affermò secco che stavo dando informazioni non vere. Addirittura negò tutto. Rimasi molto sorpreso da quella reazione. Dichiarò che i dati e le cifre che avevo appena esposto erano sbagliati. «Hai dato delle notizie inesatte», sentenziò il futuro ministro delle Infrastrutture.
A quel punto, provai garbatamente a insistere, leggendo tranquillamente i dati scritti nei documenti che avevo. «Non sono veri. Se vuoi dire che sono veri di’ che sono veri, ma non sono veri», replicò stizzito. In quel momento si avvicinò al tavolo dei relatori una collaboratrice di Delrio: si diresse verso di me, si chinò e mi sussurrò alcune parole all’orecchio. «Elia, cambia argomento! Se fai così mi metti in difficoltà con il mio lavoro in Comune», mi disse irritata. Nel frattempo la portavoce del sindaco si agitava, camminava velocemente da una parte all’altra dell’aula magna. Alcuni minuti dopo mi chiamò in un angolo della sala e mi rimproverò duramente. In quel momento faticai a comprendere l’agitazione dello staff di Delrio, scatenata solo da alcune affermazioni pacate basate su documenti ufficiali e da semplici domande che avevo posto. Mi sembrava una situazione irreale.
Delrio nella sua replica negò anche l’aumento dei costi della stazione Mediopadana. Inoltre cercò di smentire la spesa per la costruzione dei tre imponenti ponti bianchi che conducono alla stazione ferroviaria. La progettazione di tutte queste opere, per fare le cose in grande, era stata commissionata al noto architetto spagnolo Santiago Calatrava. «Non bisogna dire che sono lievitati i costi della stazione o che sono lievitati i costi dei ponti: sono due cose inesatte», obiettò Delrio. «Lo dico difendendo le scelte precedenti», aggiunse per sottolineare che le sue affermazioni si riferivano anche al periodo antecedente la sua elezione a sindaco, avvenuta nel 2004.
Eppure quei numeri, contestati con forza da Delrio, risultavano dagli atti del Comune di cui era sindaco.
Quelle frasi di negazione mi apparvero subito fuori luogo. Anche l’ex sottosegretario del ministero delle Infrastrutture Mauro Del Bue, riferendosi alla stazione Mediopadana in un atto parlamentare, aveva scritto parole chiare: «Vi è stata una costante lievitazione dei costi». Il sottosegretario non era certamente riconducibile ai detrattori di Delrio: allora era un suo stretto collaboratore. Infatti il futuro ministro l’aveva nominato assessore nella sua giunta comunale.

Documenti negati

Dopo queste risposte di Delrio, la mia curiosità crebbe. Così decisi di dedicarmi a ulteriori approfondimenti.
Innanzitutto chiesi in Municipio, da semplice cittadino, di potere accedere alle delibere comunali sul nodo ferroviario mediopadano e sulle altre opere connesse. Si tratta di atti pubblici, in teoria. Però, appena arrivai in Comune, l’addetta alle relazioni con il pubblico mi comunicò che non era possibile. «Per visionare i documenti», mi spiegò, «occorre essere iscritti all’albo dei giornalisti.» Inoltre aggiunse che «anche i giornalisti non possono accedere subito ai documenti, ma devono attendere trenta giorni dalla richiesta degli atti».
Ero sbigottito. Mi ero recato in Comune certo che fosse una “casa di vetro”, in cui regnava la trasparenza, come spesso proclamava il sindaco durante le conferenze stampa. In realtà sarebbe stato semplice e velocissimo per gli addetti del Comune fornirmi i documenti richiesti, dato che avevo indicato la data e il numero esatto di alcune delibere comunali. Avevo rintracciato tali dati leggendo altri documenti sul cantiere Tav. Alcuni degli atti me li ero procurati prima del convegno con Delrio, cercando sui siti internet di altri enti.
Nei giorni seguenti, dopo le lezioni della mattina, tornai in Municipio: il personale del front office mi ribadì di non poter fornire alcun documento. A quel punto, scrissi anche un’e-mail agli uffici preposti, per essere sicuro che la richiesta di avere alcune delibere comunali arrivasse direttamente al dirigente e ai dipendenti del Comune che si stavano occupando del progetto della stazione. Ma nessuno mi rispose.
Non immaginavo una situazione di questo tipo. Rimasi incredulo. Riflettei su come agire. Pensai che l’unica possibilità fosse realizzare un video d’approfondimento che ricostruisse i fatti senza opinioni personali. Quel cortometraggio, pubblicato su internet nell’aprile 2012, era incentrato sul cantiere emiliano della Tav e sui silenzi connessi che non mi sarei aspettato.

Una brusca retromarcia

Dopo la pubblicazione del video, i giornali locali parlarono della mia inchiesta. La prima settimana di maggio del 2012 il Comune fu costretto a una brusca retromarcia. Il sindaco Delrio fece mea culpa, comportandosi correttamente. Confessò la mancanza di trasparenza online sui costi della stazione Mediopadana e sulle opere connesse. Così dimostrò di saper riconoscere gli errori. Inoltre ammise che, rispetto al progetto iniziale, le spese erano effettivamente aumentate. Tuttavia scaricò le responsabilità sul sindaco che l’aveva preceduto, di cui prima aveva difeso le scelte.
Delrio si giustificò dichiarando che era stata la giunta precedente ad approvare il progetto e a promettere un costo delle opere più basso. «Non è un impegno che ho preso io», sottolineò. Inoltre evidenziò che questi lavori pubblici, anche se in parte finanziati dal Comune di Reggio Emilia, erano gestiti da enti statali. Spiegò anche che la lievitazione dei costi, prima negata, secondo lui era giustificata: «Sono cambiate le opere impiantistiche e hanno inserito delle travi differenti e soprattutto ci sono stati gli aggiornamenti tariffari dei materiali: negli ultimi anni il costo dell’acciaio è aumentato esponenzialmente».
Dopo alcuni giorni, sul sito internet della stazione Tav comparvero alcuni documenti sul cantiere. La mia inchiesta aveva fatto scattare l’operazione trasparenza. Ma sul sito internet non veniva spiegato l’aumento consistente dei costi che risultava anche analizzando solamente i progetti dell’architetto Calatrava, senza guardare i precedenti.
Prima di allora, invece, sul portale web della stazione Mediopadana non era apparsa nessuna cifra sul costo delle imponenti opere. Neanche una. Però non mancavano dettagli minuziosissimi che magnificavano il progetto. Ad esempio, si leggevano frasi poetiche, oltre a descrizioni scrupolose sulla stazione: «Composta da tredici portali, diversi tra loro, che si alternano generando una forma che ricorda una successione di onde in movimento. A seconda del fronte, le onde si alternano tra loro in fase o in opposizione di fase, generano un fronte quieto e uno più mosso». Ma non c’era neanche un’informazione sugli appalti o sugli aspetti economici dell’oneroso progetto.

Ritardi e infiltrazioni di pioggia

A seguito del primo video, nell’estate del 2012 decisi di realizzare una seconda inchiesta. Portai alla luce diversi aspetti, tra cui i ritardi nella costruzione della stazione che allora era un cantiere in piena attività. Il primo treno sarebbe poi sfrecciato sotto la galleria in vetro e acciaio della Mediopadana con sei anni di ritardo rispetto alla data inizialmente prevista. La tanto sbandierata efficienza non sempre si era dimostrata all’altezza delle aspettative.
Nel giugno del 2013 ci fu finalmente l’inaugurazione solenne della mastodontica opera, con la presenza di Delrio che nel frattempo era diventato ministro del governo Letta. Nella stazione era stato previsto tutto, tranne il fatto che potesse venire a piovere. Già il giorno dopo il taglio del nastro dell’edificio, costato 79 milioni di euro, la pioggia bagnò il capo dei primi passeggeri che furono quindi costretti ad aprire l’ombrello, nonostante si trovassero sotto la nuovissima tettoia della stazione. «È normale che sia così», dichiarò subito l’ingegnere del Comune che aveva seguito il progetto. «La stazione è ancora un cantiere aperto.» Però l’inaugurazione, in pompa magna, era già avvenuta.

Una testimonianza sulla Tav

Nel 2012 avevo notato che l’argomento era sempre più interessante. Così avevo cercato di intervistare chi lavorava nel cantiere Tav. In molti preferivano non parlare, ma alla fine riuscii a raccogliere alcune testimonianze.
«In corso d’opera i costi aumentarono, anche a causa di diverse spese accessorie.» «Lei cosa intende per spese accessorie?» «C’è un mondo che gira attorno ai cantieri del treno ad alta velocità. È un mondo che vive senza fare nulla, gonfiando i costi. Non sto parlando di corruzione, ma di parassitismo puro.» A rispondere con queste parole alle mie domande era una figura chiave delle opere Tav. Si trattava di Alessandro Gandino, responsabile pubbliche relazioni del presidio informativo di Cepav, il consorzio di imprese che fino al 2007 si era occupato della realizzazione della linea ferroviaria dell’alta velocità e delle strutture connesse nella tratta da Milano a Bologna.
Fu sempre lui a farmi notare, più nei dettagli, l’esistenza di eccessive catene di subappalti, anche per le opere di minore importanza. «Ho visto catene di appalti e subappalti che lasciavano abbastanza perplessi», mi raccontò. Dal suo punto di vista «c’è un intero mondo che ci ha mangiato». Mi rivelò che anche il suo stipendio non era pagato in modo diretto ma attraverso una catena di subappalti inspiegabilmente lunga. Così i costi si gonfiavano in modo consistente, permettendo a molti intermediari di incassare profitti.
«C’era tutto un sottobosco sull’extra. Era allucinante. Hanno giocato tutti sull’extra.» Questo sarebbe uno dei motivi delle spese lievitate. A sostenerlo era sempre l’ex responsabile delle pubbliche relazioni del cantiere. La sua impressione era che in molti cercassero di aggiungere spese ulteriori, per aumentare il proprio profitto. Nel cantiere mediopadano, dove c’erano in ballo cifre enormi, forse potevano operare maggiormente inosservati.
Per i grandi lavori pubblici spesso si presentano ditte che inizialmente offrono dei prezzi bassi, per aggiudicarsi gli appalti, ma poi i costi aumentano facilmente grazie a modifiche, anche minime, al progetto e tramite spese aggiuntive.

L’indagine dopo la video-inchiesta

Un anno dopo la pubblicazione delle inchieste che avevo realizzato, la Procura di Reggio Emilia aprì un fascicolo d’indagine sulla stazione Mediopadana. Al centro dell’inchiesta giudiziaria della primavera 2013 c’erano appalti e subappalti del cantiere emiliano della Tav. Contestualmente la Direzione distrettuale antimafia di Bologna acquisì gli atti. Delrio non risultava indagato. Ma il quadro che emerse era più grave di quello che avevo dipinto nel corso del convegno all’università.
Invece, un anno prima, il tema delle possibili infiltrazioni mafiose nel grande cantiere pubblico aveva suscitato isterismo nello staff del sindaco. Sull’argomento si erano dimostrati scettici anche alcuni giornali locali.
A quel punto, dato che erano in corso anche le indagini giudiziarie, Delrio dichiarò: «Io sono sempre dell’idea che la magistratura e la Procura facciano il loro corso, che facciano le loro indagini. Loro sono lì per questo, fanno un servizio al Paese. Così come noi facciamo un servizio al Paese», rivendicò il politico, «quando facciamo il nostro mestiere, aiutando le grandi aziende italiane a realizzare grandi opere».
Inoltre si venne a sapere che nell’ottobre 2012, sette mesi dopo la mia intervista, Delrio era stato ascoltato dalla Direzione distrettuale antimafia. Il colloquio, a tratti concitato, era incentrato sul tema delle infiltrazioni della criminalità mafiosa nella città che Delrio governava già da otto anni. Molti dei contenuti di quell’audizione sono secretati, ma dalle carte pubblicate non emerge che in quell’occasione si sia parlato delle opere Tav. Delrio, che continua a non essere indagato, era stato convocato in Procura per parlare in generale di lavori pubblici, relazioni e contatti intessuti in qualità di sindaco.

Il guardiano pregiudicato

Nel 2013, dagli accertamenti della Procura sul cantiere Tav nella tratta Milano-Bologna, emerse che sarebbero state concesse autorizzazioni per i subappalti senza avere richiesto l’informativa antimafia obbligatoria. Tale prassi sarebbe stata seguita per più di un’...

Indice dei contenuti

  1. Copertina
  2. Frontespizio
  3. La forza delle mafie è fuori dalle mafie di Franco Roberti
  4. Un invito al silenzio
  5. I misteri della discoteca
  6. La banconota viola e la richiesta di risarcimento
  7. Pregiudizi e dolorose verità
  8. Le risate, le minacce e l’inseguimento
  9. «Danneggi il turismo»
  10. In mountain bike
  11. Il ministro e l’alta velocità
  12. Il boss mediatico e il controllo sull’informazione
  13. Divise complici
  14. Silenzi istituzionali
  15. La frontiera di Facebook
  16. Sciolti per mafia
  17. La dinastia torinese
  18. Gli appalti delle scuole
  19. La clinica
  20. La strategia veneta
  21. Cinquecento uomini in Lombardia
  22. L’appartamento di fronte
  23. Strumentalizzare la religione per educare alla sottomissione
  24. Prossima destinazione: Stoccarda
  25. Mi conviene?
  26. Post scriptum
  27. Ringraziamenti
  28. Dalle aule del liceo alle aule del tribunale di Marco Imperato
  29. Note
  30. Indice